QUESITO:
Vorrei porvi una serie di interrogativi circa il che relativo. Partiamo con il primo dei due esempi:
1. Parlai alla moglie di Marco che dormiva.
a) Suppongo che il pronome relativo si colleghi alla moglie di Marco anziché a quest’ultimo. L’inserimento di una virgola o di un altro segno di punteggiatura potrebbe invece produrre l’effetto opposto?
b) La grammatica è arbitraria nell’individuazione del referente, oppure il lettore può risalire a esso mediante gli elementi della frase (alludo in special mondo alle parti variabili). Mi spiego meglio: se l’esempio fosse più dettagliato: “Parlai alla moglie di Marco, che dormiva, beato, sul divano”, sarebbe lecito ricondurre il pronome a Marco, unico elemento maschile della frase.
Secondo esempio:
2. Fece una carezza al proprio figlio. Che si scansò bruscamente.
L’esempio è di mia creazione; costruzioni del genere, con il che a inizio frase, sono tuttavia abbastanza frequenti in letteratura.
c) Una sola domanda: questo genere di costruzione – se valido – deve collegarsi esclusivamente all’ultimo complemento della frase precedente? “Fece una carezza al proprio figlio. Che non fu gradita”. In questo caso il che “risale” fino al complemento oggetto, anziché “fermarsi” al complemento di termine.
RISPOSTA:
Riguardo alla prima frase, sottolineo che un nome proprio non può essere seguito da una relativa limitativa, perché è perfettamente identificativo di un individuo, senza che debba essere aggiunto altro. Se sostituiamo Marco con un sintagma nominale comune, però, la relativa limitativa diviene senz’altro riferita a quest’ultimo: “Parlai alla moglie del vicino di posto che dormiva”. Il pronome relativo, infatti, rimanda all’antecedente più vicino tra quelli possibili (Marco, pur essendo più vicino a che rispetto a la moglie, non è un antecedente possibile; il vicino di posto è un antecedente possibile).
La virgola rimette in gioco anche Marco come antecedente, perché la relativa esplicativa aggiunge informazioni sull’antecedente, non lo identifica. Per la regola della vicinanza dell’antecedente, anzi, dobbiamo propendere senz’altro per l’interpretazione che fosse Marco a dormire, non la moglie (per quanto un minimo di dubbio potrebbe permanere). Ovviamente l’ambiguità sarebbe risolta (come lei stesso suppone) dalla presenza nella proposizione relativa di un’informazione riferibile soltanto a uno dei due possibili antecedenti: “Parlai alla moglie di Marco, che è bionda”, o, al contrario, “Parlai alla moglie di Marco, che è un mio carissimo amico”.
Nella seconda frase il punto fermo è legittimo: un punto che interrompe una sequenza sintattica in modo insolito, separando, per esempio, una subordinata da una reggente, oppure un complemento dal verbo che lo richiede, o altri componenti sintattici in teoria non separabili, è detto punto anomalo ed è una caratteristica sfruttata da alcuni scrittori e giornalisti per focalizzare l’attenzione su singole parole o singoli sintagmi isolandoli. Dal punto di vista della coerenza, comunque, non c’è differenza tra “Fece una carezza al proprio figlio. Che non fu gradita” e “Fece una carezza al proprio figlio, che non fu gradita”. Il riferimento di che a una carezza è possibile non perché ci sia il punto fermo, ma perché una carezza è il più vicino degli antecedenti possibili di fu gradita.
Fabio Ruggiano