QUESITO:
Una frase come “È da due giorni che non vedo le mie amiche: non vorrei che si siano ammalate” sia giusta mentre “È da due giorni che non vedo le mie amiche: non vorrei che si fossero ammalate” è sbagliata, o comunque meno formale? Mi pare comunque che siano frequente le formulazioni vorrei che + congiuntivo trapassato per indicare l’anteriorità dell’azione.
In relazione alla frase “Vorrei eventualmente rivolgermi al professore, a patto che sia propenso a ricevermi”, è possibile che quando vorrei rappresenta la forma attenuata e cordiale di voglio sia ammesso, come nell’esempio in evidenza, nella secondaria introdotta da congiunzioni condizionali o locuzioni condizionali, il congiuntivo presente, mentre se vorrei ricopre il suo ruolo proprio, sulla falsariga del periodo ipotetico, nella subordinata sia ammesso il congiuntivo imperfetto?
Alcuni esempi con a patto che, ma avrei potuto inserire anche purché, a condizione che, sempre che e così via:
“Vorrei vedere un film, a patto che la mia amica mi faccia compagnia” (vorrei = ‘voglio’);
“Vorrei vedere un film, a patto che la mia amica mi facesse compagnia” (a patto che = ‘solo se’, ‘nel caso che’).
RISPOSTA:
Non vorrei che + congiuntivo trapassato è possibile, anzi preferibile, rispetto non vorrei che + congiuntivo passato, per esprimere un desiderio rispetto a un evento ormai avvenuto. Nella risposta a cui lei fa riferimento il problema era la contrapposizione con il congiuntivo presente, per questo il trapassato non è stato contemplato.
La preferenza per i tempi del passato nella completiva retta da verbi di desiderio, aspirazione, necessità al condizionale presente non intacca la costruzione di altre subordinate, che continuano a rispettare le proprie regole anche se nella reggente c’è un verbo di questo tipo. Né hanno alcun peso nella costruzione sintattica le sfumature semantiche di vorrei o simili. Le proposizioni introdotte da a patto che sono condizionali e richiedono il modo congiuntivo; il tempo dipende dal grado di possibilità dell’evento espresso. Il suo primo esempio (vorrei vedere… a patto che mi faccia) è equivalente alla frase vorrei vedere un film, ma lo farei a patto che mi faccia compagnia, che non presenta difficoltà. Il secondo esempio (vorrei vedere… a patto che mi facesse) è equivalente a vorrei vedere un film, ma lo farei a patto che mi facesse compagnia, ugualmente corretta, con una sfumatura di possibilità più marcata veicolata da facesse rispetto a faccia. L’evento, cioè, è rappresentato da facesse come possibile, mentre con faccia si allude soltanto al rapporto di condizione e conseguenza. Impossibile sarebbe, invece, una costruzione come *vorrei vedere un film, a patto che mi avesse fatto compagnia, perché l’impossibilità espressa da avesse fatto contrasta con il desiderio ancora attuale. In relazione a avesse fatto sarebbe richiesto avrei voluto vedere.
Fabio Ruggiano