“Credo che userò il futuro” o “Credo di usare l’infinito”?

Categorie: Pragmatica e testualità, Semantica, Sintassi

QUESITO:

Le costruzioni implicite con l’infinito presente possono sostituire anche le coniugazioni al futuro delle costruzioni esplicite o sono invece contestualizzabili solo nella contemporaneità?
“Credo di venire” corrisponde all’agrammaticale “credo che io venga” o a “credo che verrò”?
Quindi: le due costruzioni sotto riportate sono equivalenti e ugualmente accettabili?
“Egli ha fatto ciò che aveva promesso che avrebbe fatto”;
“Egli ha fatto ciò che aveva promesso di fare”.

RISPOSTA:

I modi indefiniti hanno il “difetto” di avere solamente due tempi, presente e passato. Non è un caso che l’italiano abbia operato questa semplificazione rispetto al latino (ricordiamo, infatti, che in latino il participio e l’infinito avevano anche il futuro; il gerundio, invece, era molto diverso da quello italiano, quindi non si può confrontare). Il futuro è il tempo meno funzionale tra quelli codificati, perché può essere facilmente assorbito dal presente. Anche tra i modi finiti, del resto, condizionale, congiuntivo e imperativo non hanno il futuro (l’imperativo lo aveva in latino, sebbene fosse raramente usato). Il futuro, pertanto, è appannaggio del solo indicativo; e anche nell’indicativo notiamo nell’italiano contemporaneo la tendenza del presente a svolgere le funzioni del futuro, come in questo esempio letterario di discorso diretto: “- Alle tre ho un appuntamento, ma appena finito prendo la macchina e vengo. -” (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006).
La perdita del tempo futuro non danneggia affatto la comunicazione (altrimenti i parlanti non la avrebbero permessa): il ricevente è sempre in grado di riportare l’azione al presente o al futuro grazie alle informazioni cotestuali o alla sua enciclopedia mentale (ovvero, semplificando, al buonsenso). Di conseguenza, “Credo di venire” può significare tanto ‘Credo che io venga adesso’ quanto ‘Credo che verrò più tardi’. Sottolineo che, sebbene in questo caso la costruzione implicita sia fortemente richiesta, le varianti esplicite, al congiuntivo presente e all’indicativo futuro, non sono agrammaticali (cioè non contemplate dal sistema della lingua): la prima è al limite del substandard, la seconda è decisamente accettabile in contesti di media formalità parlata, proprio perché giustificabile per la volontà dell’emittente di sottolineare la temporalità dell’azione. Decisamente substandard, ma comunque non agrammaticale, è “Credo che vengo”, che emerge in contesti molto trascurati, come questo (dalla pagina Instagram del cantante Nek): “Nek credo che vengo al tuo concerto a Napoli Io saro’ quella che urlera’ a pazza”.
La variante esplicita al futuro ha anche il vantaggio di esprimere la persona del soggetto, utile se l’emittente voglia enfatizzarla; si pensi alla differenza tra “Preciso che non sono stato ancora pagato”, o ancora più chiaramente “Preciso che io non sono stato ancora pagato”, e “Preciso di non essere stato ancora pagato”.
Questo stesso dettaglio può rendere preferibile “Egli ha fatto ciò che aveva promesso che avrebbe fatto” rispetto a “Egli ha fatto ciò che aveva promesso di fare”. D’altro canto, però, nella variante con il condizionale passato c’è una sgradevole ripetizione di che, a fronte di uno scarsissimo guadagno semantico. Si dovrebbe, pertanto, ma è una questione di stile, preferire comunque la variante implicita.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Registri, Verbo
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