QUESITO:
Quando i miei interlocutori italiani mi dicono “questo non è importante”, “è un’eccezione”, “non ti fissare”, mi fanno impazzire; sono troppo curioso per capirne di più. Sono molto fortunato di averla conosciuta.
Mi piace tanto la sfumatura della lingua italiana anche se mi fa impazzire a volte. Noi diciamo che “i step in it” spesso e credo che s’impari sbagliando. Ma con questo esempio (sulla differenza d’uso tra essere interessato e essere affezionato di cui a questa domanda/risposta) c’è un modo per evitare questi sbagli? Ad esempio AFFEZIONARE come INTERESSARE è un verbo transitivo e AFFEZIONARSI esiste. Sia INTERESSATO SIA AFFEZIONATO sembrano aggettivi. Essere interessato a qualcosa come dice lei è quasi: question: una forma passiva (ma non è scritto “da qualcosa” e quindi mi sembra più un aggettivo). Ma non riesco a capire come mai affezionato funzioni diversamente. C’è un modo per estrarre un indizio con questi aggettivi/participi passati con ESSERE per evitare l’uso incorretto dei pronomi indiretti per far riferimento a una cosa? Potresti fornirmi altri esempi? Forse è soltanto una cosa di apprendimento empirico?
RISPOSTA:
Lei ha messo ancora una volta il dito su un’altra bella piaga della linguistica, ovvero il comportamento di alcuni verbi inaccusativi (essere interessato, essere affezionato) e, prima ancora, il rapporto tra linguistica teorica, linguistica applicata, didattica e uso (o comportamento) linguistico. Non sempre le grammatiche danno (né servono a dare) risposte utili alla classificazione teorica e alla riflessione linguistica. Solitamente, la grammatica più utile per questo genere di riflessioni (cioè, per ricavare una regola dall’osservazione di molti esempi diversi) è la Grande grammatica italiana di consultazione di Renzi, Salvi, Cardinaletti, il Mulino. Ma procediamo con ordine. I participi passati di verbi transitivi sono sempre a metà strada tra valore aggettivale e valore verbale (può vedere su questo la seguente domanda/risposta). Interessare e affezionare sono due verbi molto diversi. Il secondo è solo transitivo, ma di fatto viene utilizzato soltanto nella forma pronominale (affezionarsi a qualcuno o a qualcosa) o passiva/aggettivale (sono affezionato a qualcuno o qualcosa). Interessare è sia transitivo sia intransitivo e consente usi e costruzioni differenti: A interessa B, A si interessa a B, A è interessato da B, A è interessato a B, A si interessa di B ecc. Per questo ribadisco che «essere interessato all’italiano» e «essere interessato dall’italiano», sebbene il secondo sia meno comune del primo, sono molto simili. Mentre è possibile dire sia «l’italiano mi interessa», sia «mi interesso all’italiano», sia (meno comune) «mi interesso dell’italiano» (per es.: «di mestiere, mi interesso delle sorti dell’italiano nel mondo»), con affezionare le costruzioni sono meno numerose: «il gatto è affezionato / si affeziona alla casa» («le è affezionato», «le si affeziona»), mentre è impossibile (o possibile solo in teoria, ma di fatto innaturale) «la casa affeziona il gatto». Per questo motivo, cioè per l’unicità della reggenza preposizionale in a per esprimere il secondo argomento verbale di affezionarsi (affezionarsi a qualcuno o a qualcosa), il pronome gli/le funziona sempre bene con quel verbo. Mentre con interessare, che, come dimostrato, regge costrutti molto diversi, gli/le non funzionano sempre. A complicare l’intera questione c’è anche il fatto che interessare al passato può ammettere sia la costruzione transitiva sia quella inaccusativa: «una cosa mi ha interessato» / «una cosa mi è interessata». Insomma, come vede, le varianti da considerare sono molte, e riguardano in questo caso la natura e le reggenze del verbo in questione. La regola per non sbagliare in questo caso è la seguente: con il verbo interessare non si può pronominalizzare al dativo (gli/le) la cosa o la persona che interessano, perché esse debbono fungere da soggetto e non da complemento: «A mi interessa», oppure «Io mi interesso a A», ma non «Io gli/le interesso», perché in quest’ultimo caso si intenderebbe che io interesso A e non che A interessa me.
L’unica regola empirica per non sbagliare è quella di ascoltare e leggere il più possibile, per acquisire l’uso comune di forme e costrutti. La regola teorica, invece, è quella che Lei già applica molto bene: tenere sempre desto lo spirito critico e sforzarsi di cogliere un comportamento generale (= regola) che tenga insieme più esempi e che giustifichi, pertanto, analogie e differenze. Nel primo caso (empiria), la riflessione non giova («non ti fissare»), nel secondo (teoria) è invece fondamentale. Va detto però che si può leggere e scrivere bene anche senza conoscere a fondo le regole, come anche, viceversa, si possono conoscere a fondo le regole anche scrivendo e parlando molto male. In altre parole, tra linguistica teorica e comportamento linguistico c’è spesso un abisso.
Fabio Rossi