Dove “si ci” trova il pronome?

Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

L’avverbio di luogo ci sostituisce il luogo. Ad esempio: “- ti trovi bene a Firenze? – Sì, mi ci trovo bene”.
Coniughiamo le prime tre persone: Io mi ci trovo beneTu ti ci trovi beneLui / lei ci si trova bene.
Come vede, alla terza persona il ci precede il si, mentre nella prima e seconda persona l’avverbio di luogo è posto dopo i pronomi.
Possiamo affermare che questo “capovolgimento” è dovuto ad una questione di natura fonetica?
E ancora: per la prima persona plurale, credo nessuno dica e tanto meno scriva Noi ci ci troviamo bene. Come ovviare? Usare la variante vi al posto di ci, renderebbe la frase ancora più bislacca: Noi vi ci troviamo bene.
E allora? Come sostituire il ci ci?

 

RISPOSTA:

L’inversione dell’ordine dei pronomi (ci è un pronome, non un avverbio, per quanto abbia la funzione di indicare un luogo) alla terza persona è dovuta probabilmente alla concorrenza di una struttura simile, che ha avuto il sopravvento. Su lui si ci trova ha influito la forma impersonale del verbo pronominale corrispondente a trovarsi, ovvero trovarci ‘riconoscere’, in cui ci fa parte del verbo stesso e si è il pronome che rende il verbo impersonale. Il fenomeno non riguarda questo verbo in particolare, ma si è prodotto su tutti i verbi analoghi allo stesso modo: metterci ha influito su mettersifarci su farsivederci su vedersi ecc.
Anche all’infinito è evitata la forma che dovrebbe essere regolare, trovarsici, in favore di quella analoga ai verbi con ci, quindi trovarcisi
Tale adattamento è antico: non ho trovato esempi di si ci in testi letterari più recenti di questo: “Ad alcuni reggenti, in questo primo anno, dispiacque la novità per gl’incomodi che s’immaginavano dover soffrire, ma dapoi ben si ci accomodarono” (Pietro Giannone, Vita scritta da lui medesimo, 1740 ca.). Per la verità, ho trovato attestazioni anche contemporanee di si ci, in discorsi parlati o scritti trascurati di provenienza siciliana, come questo, tratto da un’intercettazione di due malavitosi della provincia di Palermo: “Allora Vicè, fagli sapere se lui si ci può mettere” (livesicilia.it, 2019), quest’altro, tratto da una dichiarazione del mafioso Giovanni Brusca: “Dopodiché gli dico: ‘Fagli sapere a Totò Riina che ho commesso l’omicidio di Vincenzo Milazzo’, perché lui si ci vedeva tutti i giorni” (repubblica.it, 2019), o questo, da un blog sportivo catanese: “Lui si ci mette sempre l’impegno necessario per se e per la squadra” (ilblogdialessandromagno.it, 2014). Quest’ultimo esempio è davvero notevole, perché il verbo qui usato è metterci ‘impiegare’, non mettersi ‘sistemarsi’ (come nell’esempio precedente), quindi si non è richiesto dalla costruzione, ma è inserito perché lo scrivente si adegua a un modello per lui forte.
Non escludo, quindi, che si ci rimanga ancora oggi come regionalismo popolare siciliano o al massimo meridionale.
Per quanto riguarda la seconda domanda, comunemente si ovvia al problema della ripetizione di ci alla prima plurale con l’eliminazione del ci di luogo (noi ci troviamo bene). Se è necessario sottolineare il luogo, è possibile trasformare il secondo ci in lì / là, che va anteposto o posposto: noi lì / là ci troviamo bene, o noi ci troviamo bene lì .
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Dialetti e italiani regionali, Pronome, Storia della lingua
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