QUESITO:
Vorrei entrare nel merito dei modi verbali che si possono – o si devono – impiegare nelle subordinate completive, in particolare nelle oggettive.
Se non sbaglio, in più occasioni avete sottolineato che in un registro formale si possa sempre usare il congiuntivo, benché l’indicativo risulti spesso la scelta più comune e largamente tollerata. Prima di apprendere tali indicazioni, tendevo a suddividere i possibili costrutti di tipo completivo in due categorie: quelli governati da verbi che richiedono l’indicativo e quelli governati invece da verbi che indulgono al congiuntivo. In altre parole, la distinzione che determinavo non seguiva l’asse formalità (congiuntivo) / “colloquialità” (indicativo).
Pensavo, ad esempio, che la frase “Ho capito che cosa vuoi veramente” fosse preferibile (ma anche più ligia alla grammatica) a “ho capito che cosa tu voglia veramente”, come “affermo che avete regione” anziché “affermo che abbiate ragione” ecc.
Per concludere, vi sarei riconoscente se mi chiariste questi dubbi:
1. Con la completive oggettive si può sempre usare il congiuntivo, anche se il costrutto affermativo è retto da verbi dichiarativi o di giudizio o percezione, quali, tra gli altri, constatare, dire, ricordare, rispondere, scrivere, sostenere, vedere ecc.?
2. Se, in determinate soggettive e oggettive, si usasse l’indicativo (ad esempio “È evidente che ha sbagliato”, “Sostengo che ha smesso di lavorare”, “Dico che i colleghi non sono in grado”, “Ha dimostrato che i ragazzi erano scappati” ecc.) si svilupperebbe comunque un registro sintattico medio-alto, adatto anche a contesti sorvegliati? (Mi vengono in mente i tanti “Sostiene Pereira che…” seguiti dall’indicativo che ho sempre ritenuto essere un esempio da manuale).
RISPOSTA:
Confermo che il congiuntivo sia la scelta più formale per le proposizioni completive, sebbene l’indicativo sia più comune, e in certi casi adatto a quasi tutti i contesti. Da rivedere, pertanto, l’idea che sia proprio il congiuntivo la variante meno “ligia alla grammatica”, ovvero meno aderente all’italiano standard.
I casi più favorevoli alla scelta dell’indicativo sono quelli in cui il verbo della proposizione reggente contenga nel suo significato il tratto della certezza (come sapere, affermare, constatare, i verbi di percezione in genere) e la reggente stessa sia affermativa e al presente. Questo avviene perché il modo indicativo veicola una sfumatura di fattività, mentre il congiuntivo è il modo della volizione e dell’eventualità. La semantica, pertanto, si intreccia con il registro e rende accettabili scelte diverse, a seconda di quale ragione l’emittente vuole far prevalere. Ci sono addirittura alcuni casi divenuti quasi canonici, con verbi reggenti dalla semantica ambigua, nei quali la maggioranza dei parlanti concorderebbe per una interpretazione semantica della scelta tra indicativo e congiuntivo: “Credo / penso che tu sei una brava persona” (= ‘ne sono sicuro’) contro “Credo / penso che tu sia una brava persona” (= ‘lo penso anche se non ne ho le prove’). Coerentemente con questa interpretazione semantica, il congiuntivo diventa preferibile al passato: “Credevo / pensavo che tu fossi (molto più sciatto eri) una brava persona”, per la controfattualità che emerge da una simile costruzione, o, per la stessa ragione, se la reggente diviene negativa, anche al presente: “Non credo / penso che tu sia (molto più sciatto sei) una brava persona”. A prescindere dalla convinzione generale, comunque, la ragione diafasica (il grado di formalità) è sempre presente e il congiuntivo rimane la scelta più formale anche con il verbo reggente costruito affermativamente e al presente.
Con verbi reggenti assertivi e di percezione, come detto, il congiuntivo è decisamente marcato verso l’alto, soprattutto quando questi verbi sono costruiti affermativamente al presente: “So / vedo che tu sei (molto formale sia) una brava persona”. Tale preferenza per l’indicativo è più sfumata al passato: “Sapevo / vedevo che tu eri (molto formale fossi) una brava persona”, ma si perde quasi del tutto con la costruzione negativa al passato: “Non sapevo / vedevo che tu fossi (o eri) una brava persona”. Per la costruzione negativa al presente dobbiamo cambiare verbi reggenti (spiegherò il motivo subito sotto) e, come si vede, il congiuntivo è anche qui preferibile o almeno sullo stesso piano dell’indicativo: “Non affermo / sento che tu sia (o sei) una brava persona”.
Con sapere e vedere costruiti negativamente al presente la subordinata oggettiva è innaturale (*”Non so che tu sia / sei una brava persona”). Possiamo, però, trasformarla in una interrogativa indiretta; osserviamo che, così, il congiuntivo diviene un’alternativa ancora più vicina alla medietà: “Non so / vedo se tu sia (o sei) una brava persona”.
In moltissimi casi, comunque, l’indicativo è una scelta talmente diffusa tra i parlanti che deve essere considerata adatta a molti contesti, anche di media formalità. Tra questi rientrano certamente i romanzi rivolti al grande pubblico, come il giustamente famoso Sostiene Pereira da lei citato, che aspirano a un modello di lingua comune. Anche in questo romanzo, non a caso, ci sono casi di congiuntivo in completive rette da verbi al passato; in questo brano, ad esempio, si susseguono una soggettiva e una oggettiva: “gli pareva strano, sostiene, che una persona che aveva formato riflessioni così profonde sulla morte non pensasse all’anima. E dunque pensò che ci fosse un equivoco”.
Fabio Ruggiano