Non sarebbe “un errore” volere il congiuntivo presente

Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi piacerebbe porre alla vostra attenzione tre costruzioni, le prime due ricavate da testi musicali e l’ultima da un noto romanzo del Novecento. Vorrei mettere sotto la lente non già il modo congiuntivo, che reputo adeguato, ma i tempi che gli autori hanno scelto.

1) Un errore sarebbe volere che tu sia oro anche per me.
2) Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigliasse un po’ più al mio.
3) Mi gettai sulla spiaggia e immersi la faccia nel tritume fradicio e credo che svenissi perché rimasi immobile, quasi senza sentimento, un tempo che mi parve lunghissimo.

In riferimento al brano letterario – oltre alla domanda sull’adeguatezza del tempo imperfetto – vi chiedo – muovendo da alcuni dei vostri articoli FAQ pubblicati – se la forma esplicita della frase (“credo che svenissi”) non avrebbe dovuto essere sostituita da quella implicita (“credo di essere svenuto”).

 

RISPOSTA:

​Nella frase 1) troviamo un congiuntivo presente in dipendenza dall’infinito presente di un verbo di volontà, a sua volta dipendente da un condizionale presente. Questa situazione fa entrare in conflitto due costrutti, quello richiesto normalmente dalla consecutio temporum per la contemporaneità nel presente, e quello preferito dai verbi di volontà, desiderio, opportunità.
Il primo prevede nella oggettiva (anche in dipendenza da un condizionale presente) un presente, congiuntivo o indicativo: “Penserei che sia un pazzo se facesse davvero quello che temi”; “Se me lo chiedessi, ti risponderei che è un pazzo a volersi licenziare”. Il secondo prevede il congiuntivo imperfetto: “Vorrei che tu fossi più riflessivo quando prendi certe decisioni”. A rafforzare l’attrazione verso il congiuntivo imperfetto è anche il modello del periodo ipotetico del secondo tipo a cui si può conformare la frase: “Un errore sarebbe volere che tu sia oro anche per me” = “Un errore sarebbe se tu fossi oro anche per me”. Si noti, però, che se manteniamo i due gradi di subordinazione il presente torna a essere valido quanto l’imperfetto: “Un errore sarebbe se io volessi che tu sia / fossi oro anche per me”. Si torna, cioè, alla situazione iniziale, in cui il presente congiuntivo dell’oggettiva indica la contemporaneità nel presente, ma l’imperfetto è preferito dalla reggenza del verbo volere.
In conclusione, nella frase 1) presente e imperfetto sono ugualmente, per ragioni diverse, legittimi.
Nella frase 2) il congiuntivo si trova all’interno di una proposizione relativa, non di una oggettiva. La proposizione relativa è piuttosto libera da condizionamenti di tempo e modo verbale, infatti qui è accettabile il congiuntivo presente (“Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigli un po’ più al mio”) e anche l’indicativo presente (“Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somiglia un po’ più al mio”). In generale, quando è costruita con il congiuntivo, la relativa assume una sfumatura semantica di desiderio o auspicio; quindi “il cui nome somiglia” è una constatazione oggettiva, “il cui nome somigli / somigliasse” è un auspicio. Osservando l’alternanza dei modi da un altro punto di vista, si può dire che con l’indicativo la relativa è propria, quindi funge da ampliamento attributivo dell’antecedente (una metropoli), con il congiuntivo è impropria, e si avvicina a una finale-consecutiva: “Si potrebbe costruire una metropoli tale che / affinché il suo nome somigli un po’ più al mio”.
Il congiuntivo imperfetto, rispetto al presente, è attratto dalla semantica del costrutto reggente, si potrebbe, assimilabile a sarebbe bellosarebbe opportuno, ovvero a un’espressione che indica opportunità. Siamo, quindi, in una situazione analoga a quella della frase 1). Potremmo addirittura individuare una sfumatura di differenza semantica tra “Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigliasse un po’ più al mio”, in cui è più percepibile il desiderio che ciò avvenga, e “Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigli un po’ più al mio”, in cui la possibilità è vista dall’emittente con maggiore distacco, sebbene pur sempre come auspicabile.
Nella scelta tra somiglia e somigli, va detto, incide anche il grado di formalità del contesto: al netto delle sfumature semantiche, quando l’alternanza tra indicativo e congiuntivo è possibile, quest’ultimo risulta la scelta più formale. A meno che non si voglia sottolineare la sfumatura oggettiva, quindi, somigli è preferibile a somiglia.
Nella frase 3) l’imperfetto congiuntivo svenissi nell’oggettiva dipendente da un presente (credo) è perfettamente in linea con la consecutio temporum. Ovviamente, l’imperfetto è adatto a indicare azioni non momentanee, mentre il passato esprime azioni concluse (“credo che io sia svenuto”). Con questo tempo, quindi, lo scrittore ha inteso esprimere lo svolgimento dell’azione dello svenire, che poi, peraltro, non si è realizzata, quindi non si è conclusa. Oggi sarebbe più comune un costrutto progressivo: “Credo che stessi svenendo”, o anche “Credo che stessi per svenire”, nel quale, si noti, il verbo essere è comunque all’imperfetto congiuntivo.
Per quanto riguarda la forma esplicita della oggettiva con lo stesso soggetto della reggente, essa è giustificata dalla necessità di sottolineare l’aspetto durativo dell’azione; l’infinito passato renderebbe l’azione conclusa: “Credo di essere svenuto”.
Una questione collegata alla scelta dell’imperfetto è la scelta di ribadire il soggetto pronominale oppure lasciarlo sottinteso (“Credo che svenissi” o “Credo che io svenissi”), visto che svenissi vale tanto per la prima quanto per la seconda persona singolare. Normalmente il co-testo permette di capire se a compiere l’azione sia io o tu; ma se così non fosse, sarebbe bene esplicitare il soggetto. Questo, inoltre, può essere inserito per veicolare un valore contrastivo: “Credo che io (e non qualcun altro) svenissi”.
​Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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