Usi enfatici di aggettivi come “determinato”

Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho notato che il 90% dei miei studenti abusa dell’aggettivo determinato, usato prevalentemente come pre-modificatore: determinate paroledeterminate personedeterminati momentideterminato gruppo etc. Ha chiaramente un valore indefinito e vago (leggi ‘inutile’) e non indica affatto il significato di ‘prestabilito, prefissato’. Non mi spiego la frequenza d’uso che ha dei valori incredibilmente alti negli elaborati in italiano dei miei studenti e mi chiedo cosa provochi questo (ab)uso.

 

RISPOSTA:

Di norma, gli aggettivi qualificativi assumono una funzione diversa se preposti o posposti al nome a cui si riferiscono: nel primo caso essi sono detti descrittivi e servono a qualificare emotivamente l’oggetto designato dal nome; nel secondo caso sono detti restrittivi e indicano una qualità oggettiva posseduta dall’oggetto, tale da distinguere l’oggetto da altri simili. Così “Il verde prato in cui giocavo da bambino” comunica una partecipazione emotiva all’enunciato, assente in “Il prato verde in cui giocavo da bambino” (al netto del contenuto emotivo complessivo dell’enunciato). 
Alcuni aggettivi assumono, a seconda della posizione rispetto al nome, non solo una funzione, ma anche un significato diverso: “Un caro amico” / “Un amico caro”, “Una vera sorpresa” / “Una sorpresa vera”, “Un povero artigiano” / “Un artigiano povero”. All’interno di quest’ultima categoria, esiste un sottogruppo di aggettivi che, in posizione prenominale, perdono quasi del tutto il proprio significato e assumono la funzione di enfatizzare o intensificare l’oggetto designato dal nome: “Un forte mal di testa” / “Un mal di testa forte”, “Un alto commissario” / “Un commissario alto”, “Una discreta somma” / “Una somma discreta”. Tra questi ultimi facciamo rientrare certo e il sinonimo determinato. Preposti al nome, questi aggettivi sono desemantizzati (come osservato da lei), quindi non aggiungono alcuna qualità al nome, ma ne intensificano, soggettivamente, il valore. Possiamo assimilare l’uso di questi strumenti a quello, altrettanto diffuso, di avverbi del tutto desemantizzati come praticamenteovviamentedi fatto.
Fermo restando che questa funzione dell’aggettivo è codificata e accettata nello standard italiano, bisogna chiedersi come mai un uso che serve solamente a dare enfasi al discorso, senza aggiungere informazioni (e che, pertanto, deve essere limitato al parlato informale e a pochi altri contesti), sia tanto ricorrente nel parlato (e a volte anche nello scritto) dei giovani. È possibile che simili aggettivi funzionino come riempitivi di pause, cioè servano ad allungare l’enunciato in modo da dare il tempo all’emittente di pensare al segmento successivo. Accanto a questa necessità, si può individuare anche l’intento di dare maggior peso, pragmatico, alle parole, per compensare una insicurezza di fondo sul contenuto semantico delle stesse. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Linguaggio giovanile, Registri
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