“Vorrei” usare il tempo giusto del congiuntivo

Categorie: Pragmatica e testualità, Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi piacerebbe portare alla vostra attenzione tre considerazioni relative alle proposizioni introdotte da vorrei che.

Prima considerazione.
Parto dal presupposto che siamo stati tutti (o quasi) abituati a usare il congiuntivo imperfetto, anche per azioni presenti o future, per i verbi indicanti opportunità, desiderio, volontà formati con il condizionale presente:
Vorrei che fosse estate.
Come suggerisce la Grammatica di Serianni, tuttavia, la “dipendente si costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso che con il congiuntivo presente”. Da ciò ricavo che la frase “Vorrei che sia estate” 
abbia una sua validità. 
Curiosando in rete, mi sono imbattuto in teorie secondo le quali la scelta tra i due tempi possibili non derivi da preferenze stilistiche o di consuetudine d’uso, ma da ragioni semantiche ben precise. In sostanza, se il nostro vorrei è espressione di desiderio, via libera per il congiuntivo imperfetto; se, invece, è una forma edulcolorata di voglio, meglio il congiuntivo presente.

Seconda considerazione. 
Accantonando per il momento i temi finora affrontati, catalogare verbi come voleredesideraregradire è abbastanza semplice. Ma non per tutti i verbi – quantomeno per me – lo è. Prendiamo ad esempio le seguenti costruzioni:

1. Da una provocazione del genere, ci si aspetterebbe che domani la controparte reagisca / reagisse.  
2. Non accetterei che nei prossimi giorni Paola non si presenti / presentasse all’appuntamento. 

Forse è un mio deficit, ma i due imperfetti non mi paiono così stonati anche in un contesto di azione presente-futura. 

Terza e ultima considerazione.
Ho recentemente avuto un bonario contradditorio con un amico, appassionato, come me, di lingua italiana. Egli sostiene che una frase quale “Vorrei un’auto che avesse il cambio automatico” non ammetta varianti per la subordinata. Fermo restando che io stesso confermerei tale scelta sintattica, il focus, in questo caso, a mio avviso si sposta dai temi affrontati fin qui mettendo in evidenza la proposizione relativa. Riterrei corretta, benché inusuale, anche la costruzione “Vorrei un’auto che abbia il cambio automatico”.

 

RISPOSTA:

La spiegazione semantica della differenza tra congiuntivo presente e imperfetto nella completiva retta da vorrei è piuttosto debole: distinguere tra vorrei forma di cortesia di voglio e vorrei forma sinceramente desiderativa è una sofisticazione irrealistica. Stabilito che la ragione della preferenza per l’imperfetto nella completiva non è di natura semantica, non è comunque facile stabilire quale sia la ragione effettiva. Un fattore determinante è certamente il modello del periodo ipotetico, che induce il parlante ad associare meccanicamente il condizionale presente al congiuntivo imperfetto. A questo si aggiunge la funzione pragmatica del condizionale, spesso usato per ridurre la partecipazione psicologica del parlante all’evento (vorrei = ‘voglio se è possibile’) e quindi coerente con l’allontanamento dell’evento dal presente operato dall’imperfetto. Si potrebbe obiettare che simili ragioni dovrebbero operare su tutte le reggenze, non soltanto su quelle dei verbi di desiderio, opportunità, necessità; a tale obiezione, però, è facile rispondere: tali verbi sono di gran lunga i più usati al condizionale per reggere una completiva e, per la verità, l’imperfetto è considerato un’alternativa valida anche nei rari casi di verbi non rientranti in queste categorie. Un esempio di quest’ultima osservazione è rappresentato dalle sue due frasi con ci si aspetterebbe e non accetterei. La seconda, per la verità, non è utile perché accettare è molto vicino a volere, come non accettare è vicino a rifiutare, ovvero a non volere (questo a dimostrazione del fatto che è difficile costruire esempi di verbi al condizionale che reggono completive e non esprimono desiderio, opportunità, necessità). Aspettarsi è il tipico verbo che viene usato come controesempio per dimostrare che nella completiva dipendente da un condizionale presente si usa di norma il congiuntivo presente. Ebbene, anche in questo caso l’imperfetto “suona” accettabile, se non addirittura preferibile, a dispetto della norma della consecutio temporum secondo cui il condizionale presente funziona come l’indicativo presente, per cui ci si aspetterebbe che reagisca = ci si aspetta che reagisca. Visto che i parlanti sentono come più appropriato il congiuntivo imperfetto in quasi tutti i casi, compreso questo, il congiuntivo imperfetto si può considerare accettabile; la norma della consecutio, comunque, vige ancora, per cui in un contesto formale è meglio costruire la frase con il congiuntivo presente (ovviamente nei pochi casi di verbi non di desiderio, opportunità, necessità). Al contrario, sebbene non si possa definire errato il congiuntivo presente in dipendenza da verbi di desiderio, opportunità, necessità al condizionale, questa scelta è rischiosa perché verrebbe giudicata come errata dalla maggioranza dei parlanti.
La frase “Vorrei un’auto che avesse il cambio automatico” è sintatticamente non giustificata. La proposizione relativa è indipendente dalla consecutio temporum, per cui l’imperfetto al suo interno indica proprio un evento o uno stato passato. La frase così costruita, quindi, lascia intendere che il parlante voglia adesso un’auto che in passato aveva il cambio automatico. Una vera bizzarria. La costruzione più attesa, pertanto, è “Vorrei un’auto che abbia il cambio automatico” (o anche, in un contesto più colloquiale, che ha il cambio automatico, non certo *che aveva il cambio automatico). Ovviamente, su questa frase agisce l’influenza della costruzione discussa sopra vorrei che + congiuntivo imperfetto (vorrei che la mia auto avesse…), ma in questo caso il modello è fuorviante e va tenuto distinto da questa costruzione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Verbo
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