QUESITO:
Le frasi introdotte da “non è un caso che“ si possono costruire anche con il modo indicativo? Personalmente, ho sempre e soltanto adoperato il congiuntivo, ma effettuando una consultazione in rete, ho riscontrato che l’indicativo spopola, anche in seno ad autori di indubbia fama.
Vorrei inoltre domandarvi se questo sintagma accetta tutti i tempi del congiuntivo, oppure se sussistano delle limitazioni d’uso.
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Non è un caso che la maggioranza dei tifosi romanisti risieda nella capitale stessa.
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Non è un caso che all’epoca il nostro insegnante di spagnolo parlasse correntemente anche il catalano.
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Non è un caso che nel lontano 1984 il presidente del consiglio avesse sconfessato/abbia sconfessato pubblicamente il suo partito.
A proposito di quest’ultimo esempio, quale dei due tempi è da preferire? Potrebbero essere ammessi entrambi?
RISPOSTA:
Come quasi sempre accade in italiano, le ragioni per preferire il congiuntivo all’indicativo solo esclusivamente di tipo diafasico, non sintattico. Detto in parole più semplici: l’indicativo al posto del congiuntivo va quasi sempre bene, fin dalle origini dell’italiano, solo che conferisce al testo un livello di formalità più basso rispetto al congiuntivo. Pertanto, in tutti i suoi esempi retti da non è un caso che (o se) va bene anche l’indicativo, che è però più informale.
Le regole della consecutio temporum sono sempre le stesse: presente per contemporaneità nel presente tra le due proposizioni, imperfetto per contemporaneità nel passato, passato per anteriorità dipendente dal presente, trapassato per anteriorità dipendente dal passato. Questo a rigore, anche se poi in questo come in altri casi è ammessa una certa flessibilità, data anche dalla reggente che di fatto si comporta quasi come un avverbio o un complemento (si è cioè quasi grammaticalizzata: non è un caso che/se = non a caso).
Veniamo ora al commento dei suoi casi specifici uno per uno.
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Non è un caso che la maggioranza dei tifosi romanisti risieda nella capitale stessa.
Come già detto, risieda rappresenta la scelta più formale, risiede quella meno formale ma altrettanto corretta.
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Non è un caso che all’epoca il nostro insegnante di spagnolo parlasse correntemente anche il catalano.
parlasse formale, parlava informale. Per quanto riguarda il tempo verbale, l’imperfetto in questo caso non si motiva per la contemporaneità nel passato, visto che siamo qui in regime di anteriorità in dipendenza dal presente, bensì dalla natura continuativa, e non puntuale dell’azione: lo parlava abitualmente, non una volta soltanto. Infatti se usassimo il passato (abbia parlato / ha parlato) il senso della frase cambierebbe: lo ha parlato una sola volta, in un momento specifico.
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Non è un caso che nel lontano 1984 il presidente del consiglio avesse sconfessato/abbia sconfessato pubblicamente il suo partito.
Meglio abbia sconfessato (anteriorità, in dipendenza dal presente: non è un caso), ma avesse sconfessato non può dirsi scorretto. Il trapassato (sia indicativo sia congiuntivo) oggi sempre più spesso può sostituirsi al passato, per motivi non semplicissimi da individuare.
Fabio Rossi