Sull’ambiguità e la polisemia delle lingue (a proposito del doppio significato di ci)

Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

L’ambiguita’ fa parte della bellezza e della frustrazione della lingua italiana dato che la particella <>  puo’ indicare diverse cose. Lo sapevo gia’.
Per evitare questi malintesi, che cosa puo’ consigliarmi? Devo evitare questo uso di ci nelle frasi che le ho girato o devo cambiare i miei interlocutori (scherzo).
Questo tipo di cosa mi succede abbastanza frequentemente anche se provo a fare pratica con gli italiani colti.   A volte mi fa impazzire quando va cosi’.    Vuol dire che la lingua italiana debba essere semplificata?  Forse vuol dire che in questi giorni con la tecnologia, i bombardamenti delle informazioni, non c’e’ tempo per studiare bene la lingua italiana in Italia.  Ne sono molto curioso.
Questo tipo di cosa succede anche tra le madrelingue?   Immagino di si’ dato che la lingua e’ a volte ambigua.  Potrebbe fare un’ipotesi per spiegarmi come mai due dei miei interlocutori non mi abbiano fatto una domanda per farmi chiarire quello che volevo dire con la particella ci???
 

 

RISPOSTA:

Come dice lei, l’ambiguità fa parte di tutte le lingue naturali del mondo. Se così non fosse, ci vorrebbe una quantità infinita di segni (parole, frasi ecc.) per esprimere un rapporto univoco segno / significato, ma la memoria umana non è fato per gestire l’infinito, pertanto ci si deve rassegnare alla polisemia (cioè al fatto che uno stesso segno, parola, frase, abbiano più significati) e all’ambiguità. Ambiguità che peraltro 99 volte su cento il contesto e la collaborazione tra gli interlocutori contribuiscono a limitare. Proprio per questo i suoi interlocutori, in quanto parlanti nativi e attivi, cioè collaborativi, non hanno avuto alcun problema a disambiguare, grazie al contesto, il suo enunciato.
Di casi come questi ne troverà a miliardi, in tutte le lingue del mondo, e non sono un male, bensì un bene delle lingue. Appunto perché consentono di risparmiare le risorse della nostra limitata memoria. La polisemia non ha nulla a che vedere né con lo studio, né con l’imperizia dei parlanti, né con la decadenza, o la semplificazione, delle lingue. Comunque, tutte le lingue tendono alla semplificazione delle risorse.
Quindi dorma pure sonni tranquilli e confidi nella forza del contesto e nello spirito collaborativo dei suoi interlocutori.
Per quanto riguarda (tra i miliardi) altri esempi possibili di polisemia di ci, nei vari contesti, pensi anche a un verbo pronominale come tenerci, che può indicare sia ‘avere interesse per qualcuno o qualcosa’, sia ‘tenere in un luogo’:
1) (riferito a una scatola): ci tengo (nel senso di ‘mi piace molto’)
2) ci tengo le sigarette.

Fabio Rossi

Parole chiave: Avverbio, Pronome
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