Ringraziamo il prof. Alessandro De Angelis, che ci ha anticipato le conclusioni, qui sintetizzate, di un articolo in stampa nel quale ricostruisce le discusse origini del nome caciara, di provenienza romana, ma oggi diffuso in tutta Italia, insieme a caciarone ‘che, chi è solito fare chiasso in compagnia’, all’aggettivo caciaroso ‘che fa confusione’ e al verbo scaciottare ‘schiamazzare’.
La voce caciara nel significato di ‘confusione, gazzarra’ è attestata in romanesco solo in tempi piuttosto recenti. È difatti documentata per la prima volta nel Vocabolario romanesco di Filippo Chiappini (ed. 1967), col valore di ‘luogo pieno di confusione e di gente volgare’ (oltreché col valore primario di ‘caciaia, magazzino del cacio’), anche se la sua attestazione deve essere retrodatata alla fine dell’Ottocento: Chiappini morì nel 1905 e, come noto, si dedicò alla stesura del vocabolario negli ultimi decenni della sua vita.
L’etimologia di caciara ‘confusione’ generalmente accolta prevede un suo collegamento con caciara ‘locale ove si stagiona il formaggio o lo si ripone’ (< cāseārius ‘dove si fa il formaggio’), con un trapasso semantico che si attribuisce alla rumorosità che avrebbe caratterizzato tale luogo. L’evoluzione semantica, dal luogo concreto al concetto astratto, sarebbe dunque in parte paragonabile a quella dell’italiano casino o di bordello che dal significato originario di ‘postribolo’ sono passati al valore di ‘chiasso, confusione’. Altri postulano invece una connessione con gazzarra ‘chiasso, cagnara’ (dall’arabo parlato ġazāra ‘grido che levano i Saraceni nell’assaltare il nemico’, poi ‘chiacchierio’); tra questi ci sono alcuni tra i dizionari più diffusi, come il GRADIT: «etim. incerta, forse connesso con gazzarra».
Per quanto concerne invece il legame con caciara ‘luogo ove si ripone il cacio’, la difficoltà semantica maggiore che pone un tale tipo di rapporto è che le caciare erano in genere magazzini non abitati, utilizzati per stagionare i formaggi o come deposito prima della vendita. Nelle campagne romane la caciara si trovava in un lato della capanna dei pastori, o in un ambiente contiguo. In questo secondo caso si trattava di una piccola capanna di canne e stoppie, ove il formaggio veniva riposto in cerchi di legno detti cascini. Nelle caciare, quindi era evidentemente il silenzio a dominare, certo non la confusione.
D’altro canto, escludere il collegamento tra caciara ‘magazzino per la stagionatura o per il deposito dei formaggi’ e caciara ‘confusione’ non è così ovvio. La nascita del referente qui in esame, appunto la caciara, e la prima documentazione in romanesco del vocabolo nel significato di ‘confusione’ sembrerebbero, in area romana e laziale, di fatto coeve. Tra il 1884, anno in cui una ordinanza del comune di Roma vietò ai pizzicaroli di salare il formaggio, provocando la nascita dei primi stabilimenti per la salatura e la stagionatura del formaggio alle porte della città, e la prima testimonianza chiappiniana di caciara ‘confusione’ non c’è di fatto distanza cronologica.
Insomma, che caciara ‘confusione’ e caciara ‘magazzino per la stagionatura dei formaggi’ possano rappresentare uno stesso vocabolo con due diversi valori, il secondo derivato dal primo per traslato, sembra tutt’altro che inverosimile. Varrà dunque la pena di riflettere sul percorso semantico che ha condotto dall’uno all’altro.
Se è vero che la nozione di ‘confusione’ mal si adatta alle caratteristiche delle antiche caciare, tale nozione si attaglia perfettamente a una delle funzioni del caciaro. Nella comunità nomade dei pastori delle campagne romane, il caciaro svolgeva un ruolo tutt’altro che marginale. Questi provvedeva ogni mattina alla sveglia della comunità, uscendo dalla capanna e battendo ritmicamente con un bastone sul fondo di un secchio (il cosiddetto battisecchio).
Nel dialetto urbano, la nozione di ‘rumore, confusione’ venne però associata non più all’agente (il caciaro che praticando il battisecchio per la sveglia mattutina faceva rumore), bensì al luogo. Nonostante il battisecchio fosse in realtà praticato al di fuori della caciara, è probabile che delle precise modalità di questa operazione, come pure dell’intera vita pastorale che si svolgeva fuori dalla città, deve essersi persa presto memoria quando il termine, uscito dal contesto rurale in cui era inserito, entrò nel lessico urbano. Sul piano morfologico, un tale mutamento è stato senz’altro favorito dal rapporto che lega in italiano le formazioni maschili in –aio (-aro) a quelle femminili in –aia (-ara), le prime designanti l’agente, le seconde il luogo, ad es. burraio vs. burraia, carbonaio vs. carbonaia, tartufaio vs. tartufaia etc. e, per il romanesco, agnellaro ‘pastore che para gli agnelli’ vs. agnellara ‘compartimento del mattatoio dove si ammazzano gli agnelli’; bufolaro ‘guardiano o conduttore di bufale’ vs. bufolara ‘terreno riservato all’allevamento delle bufale’.
Si può a questo punto rintracciare, a partire da caciaro, la seguente trafila morfologica e semantica: caciaro ‘persona addetta alla lavorazione del cacio e alla sveglia mattutina tramite il battisecchio’ > caciara ‘luogo dove il caciaro fa rumore’ > ‘luogo rumoroso’ > ‘rumore, frastuono’.
Bibliografia essenziale:
Chiappini, Filippo, Vocabolario romanesco, ed. Bruno Migliorini, con aggiunte e postille di Ulderico Rolandi, Roma, Chiappini Editore, 19673.
Trinchieri, Romolo, Vita di pastori nella campagna romana, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1953.
Trinchieri, Romolo, Vocabolario della pastorizia della campagna romana, “Quaderni di Semantica” 2, 1994, 327-395.