Presente dappertutto nel mondo, ma soprattutto nell’acqua del mare, il sale è noto almeno dal 3000 a. C. per le sue qualità antibatteriche, ottime per la conservazione dei cibi. Che sia figlio del mare lo dice il nome stesso, derivato dalla radice indoeuropea sal-/hal-/har-, da cui deriva anche il greco háls ‘mare, sale’ e il latino sal (il latino mare deriva da un’altra radice che significa ‘ammasso d’acqua’). Per la precisione, la radice sal-/hal-/har- non ha niente a che fare con l’acqua, ma indica uno spazio grande e uniforme. Dalla stesse radice, infatti, vengono parole come il latino area (da cui le italiane area e aia) e il greco hálos (da cui alone). Meno sorprendentemente, dal greco háls, nel senso di ‘sale’ vengono, in italiano, alogeno (detto di elementi chimici che formano sali se uniti ad un metallo) e il tecnicismo haloterapia.
Gli antichi romani avevano un’alta considerazione del sale, tanto da costruire un’intera via consolare, la Salaria, da Roma a Castrum Truentinum (oggi Porto d’Ascoli) sul Mare Adriatico, per trasportarlo a Roma tanto dal Mare Adriatico quanto dalle antichissime saline intorno alla foce del Tevere. Il sale era strategico per la vita romana: consentiva, si è detto, di conservare i cibi grazie alle tecniche di salagione, ma era anche offerto agli dei nei sacrifici e persino usato come denaro, per pagare giornalmente soldati e funzionari pubblici. Erano, costoro, i primi salariati della storia, cioè i primi impiegati a ricevere un salario per il loro servizio.
L’utilità del sale in campi centrali per la sopravvivenza, l’aspetto, bianco e puro, e forse anche la parentela con l’acqua favorirono già in epoca antica la costruzione di un’immagine vitale e positiva per questo elemento. Da qui la coniazione, dalla stessa radice, di parole che hanno a che fare con la salute, come salve ‘stammi bene’, salus ‘salvezza, salute’, salubritas ‘sanità’. Il simbolo del sale/salute si continuò anche nel Medioevo, durante il quale esso veniva sparso durante battesimi, benedizioni ed esorcismi, mentre se ne deplorava lo spreco, considerato non solamente antieconomico, ma anche di cattivo augurio.
L’alone simbolico sviluppatosi intorno al sale, però, è ancora più complesso: oltre alla salute, esso è associato fin dall’antichità all’intelligenza; impronte di questo valore sono ancora ben presenti in italiano (e in altre lingue moderne), sia nel patrimonio idiomatico che nei significati di alcune parole. Celebre è l’espressione “sale della terra”, con cui Cristo definisce i suoi discepoli nel sermone della montagna, ma è anche significativo che gli aggettivi insipido e sciocco, indicanti una pietanza non sufficientemente salata, qualifichino anche una persona non brillante. Non solamente il sale, tra l’altro, è usato come metafora dell’intelligenza, ma anche il confinante concetto di sapore. Gli aggettivi insipido, saporito, sapido (tanto ‘gustoso’, quanto ‘sagace, arguto’) e lo stesso nome sapore sono imparentati con il verbo latino sàpere, che dal significato ‘avere sapore’ aveva sviluppato già nell’antica Roma quello metaforico di ‘avere conoscenza’, con tutte le conseguenti ramificazioni nelle lingue moderne, neolatine e no (vale la pena ricordare almeno il nome inglese savvy ‘acume’).
Dopo una storia tanto gloriosa, oggi il sale ha perso gran parte della sua funzione, quindi anche della sua potenza simbolica. È molto meno usato come additivo per la conservazione del cibo, anche se rimane essenziale nella confezione dei salumi e di altri alimenti tipici. Recenti studi, inoltre, hanno dimostrato che l’assunzione di una dose superiore a 5g al giorno può essere molto nociva, arrivando a causare un aumento del 27% dell’incidenza di ictus o di malattie cardiovascolari.
Fabio Ruggiano