Il verbo tendere ci offre l’occasione di riflettere sull’origine delle parole, verbi, aggettivi, nomi, che designano o hanno a che fare con oggetti astratti. Sono sempre parole che in origine si riferivano, e spesso ancora si riferiscono, a cose concrete. Tendere, infatti, dal latino TENDO, ha prima di tutto il significato di ‘raddrizzare, allungare’ riferito a una corda. Ancora oggi, non a caso, tendiamo un arco e tendiamo le corde di uno strumento come la chitarra. Grazie al prefisso s- (dal latino EX-), inoltre, stendiamo un lenzuolo e stendiamo le vele, perché questo suffisso ha il potere di intensificare il significato del verbo base (come in battere → sbattere, beffeggiare → sbeffeggiare, cancellare → scancellare), quindi allargare l’effetto del tendere dalla singola fibra a un insieme di fibre quale è un tessuto. Quando tendiamo una corda, inoltre, si suppone che questa rimanga, per l’appunto, in tensione, mentre quando stendiamo un tessuto, lo stiamo solamente svolgendo in tutta la sua estensione (su estendere e estensione torneremo tra poco). Per questo motivo la tenda (da TELA TENTA, appunto ‘tela tesa’) si chiama così: perché rimane in tensione.
L’idea che la corda, quando viene tesa, rimanga in tensione ha innescato la metafora alla base dei concetti astratti di tendere e di tensione. Quando tendiamo a un risultato non facciamo altro che comportarci come una corda che va da un ideale punto di partenza, che sarebbe quello in cui ci troviamo, a un ideale punto di arrivo, che sarebbe il risultato. Non solo, finché tendiamo siamo in una condizione di inquietudine, in pieno sforzo, in tensione, appunto, o, per usare l’equivalente inglese, in stress. Lo stesso vale quando tendiamo una mano a qualcuno: non stiamo solamente allungando il braccio, ma ci impegniamo, ci sforziamo di raggiungere quel qualcuno. Minore impegno, e certe volte aperta ritrosia, invece, esercita chi stende la mano. Spesso, infatti, si dice di chi chiede l’elemosina. Si conferma, quindi, l’idea che stendere, rispetto a tendere, non comporta l’attivazione dello stato di tensione.
Dall’idea di sforzarsi per raggiungere, il significato di tendere si è ulteriormente allargato. Quando questo verbo non ha come soggetto un essere animato, dotato di volontà e quindi anche della possibilità di sforzarsi per raggiungere un obiettivo, il suo significato sfuma verso ‘arrivare quasi a uno stato o a una qualità’, come in questo esempio:
In queste condizioni il bilancio dei flussi termici è positivo (si parla di rientrate di calore) e quindi l’edificio tende a riscaldarsi (AA. VV, Progettare e riqualificare per l’efficienza energetica, 2015 p. 18).
Il significato si può spingere anche oltre, fino a coincidere con ‘essere a volte’:
Alesi: “Interlagos tende a essere scivolosa” (formulapassion.it, 2014).
A causa del potere di sfumare il significato di qualsiasi verbo, tendere a è usato massicciamente da parlanti poco convinti delle proprie affermazioni. Ovviamente lo stesso succede a tutte le parole corradicali:
“Tendenzialmente sarà Gentiloni, specie se si voterà presto, naturalmente non voglio tirarlo per la giacchetta”, lo ha detto Matteo Renzi durante la trasmissione Di Martedì su La7, rispondendo alla domanda su chi sarà il leader del centrosinistra alle elezioni (ilpopulista.it, 2018).
Veniamo a estendere, che rispetto a stendere è un latinismo, perché ha mantenuto quasi intatto il prefisso EX-, laddove in stendere questo si è evoluto in s-. Estendere, come molti latinismi, è un tecnicismo, quindi esprime il senso più oggettivo possibile legato al tendere. Rappresenta, in altri termini, l’opposto di tendere in quanto al tratto semantico della tensione. Vediamo questi due esempi:
E la pianura si stende, si allarga, si allontana, si perde, scompare fra vapori cenericci, come un mare biondeggiante fra due scogliere di montagne (Domenico Ciampoli, La Mietitrice, 1882).
La pianura si estende prevalentemente nella zona compresa tra il Golfo di Cagliari e il Golfo di Oristano (schededigeografia.net, 2018).
Per sua natura la pianura si estende, cioè ‘va da un punto a un altro’, in modo neutrale e senza sfumature espressive. Dicendo “la pianura si stende”, invece, alludo al fatto che la pianura possa voler andare da un punto a un altro, quasi personificandola.
Tra i prefissati di tendere ci sono contendere ‘tendere insieme, allo stesso obiettivo’, distendere, intendere ‘tendere dentro, capire’, ostendere ‘mettere in mostra’. Concentriamoci su attendere, e in particolare sulla differenza tra questo verbo e un suo quasi sinonimo: aspettare.
I sinonimi perfetti sono estremamente rari, perché la lingua è un organismo economico, che non ammette sprechi. In realtà, a volte bisogna analizzare nel profondo il significato delle parole per trovare il tratto specifico che le distingue da un quasi sinonimo. Nella coppia aspettare/attendere, il primo verbo si è specializzato nel riferimento al tempo di attesa, mentre il secondo anticipa decisamente l’evento atteso. Così nella frase
Non mi è arrivato nessun progetto, anzi, lo attendo da giorni (repubblica.it, 2012),
l’emittente mette l’accento sul contenuto dell’attesa. Diversamente, se avesse detto
Non mi è arrivato nessun progetto, anzi, lo aspetto da giorni […],
avrebbe sottolineato la durata dell’attesa (con probabile allusione polemica alla sua estensione). Quindi attendere presuppone decisamente un obiettivo che vuole essere raggiunto tramite l’attesa, mentre aspettare è concentrato sull’atto stesso dell’attesa. Per questo, quando chiamiamo il servizio clienti di un’azienda, la voce registrata ci dice: “Attendere, prego”, e non: “Aspettare, prego”; perché ci vuole rassicurare che l’attesa non è fine a sé stessa: ha uno scopo, è utile.
Fabio Ruggiano