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Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

I prefissi come super-arci-iper-ultra- ecc, si possono, indifferentemente, premettere a tutti gli aggettivi qualificativi di grado positivo, oppure seguono delle regole?

 

RISPOSTA:

Questi prefissi formano il superlativo assoluto dell’aggettivo a cui si uniscono; non possono essere usati, pertanto, con gli aggettivi che non ammettono il grado superlativo, ovvero gli aggettivi di relazione (quelli che instaurano una relazione oggettiva tra il nome che determinano e il nome da cui sono derivati) e quelli di grado positivo dal significato superlativo. Tra i primi figurano aggettivi come mattutinomensilearchitettonico; tra i secondi troviamo aggettivi come stupendofantasticomeraviglioso. Va detto che molti aggettivi di relazione hanno significati estensivi che ammettono la gradazione; per esempio civile è di relazione in codice civile ‘relativo alle relazioni sociali’ (impossibile *codice supercivile, come anche codice civilissimo), ma indica una qualità graduabile in una persona civile ‘che si comporta seguendo le regole’ (possibile una persona supercivile, come anche una persona civilissima). Per altri versi, anche gli aggettivi dal significato superlativo ammettono il grado superlativo quando sono usati con un valore enfatico o ironico (in contesti non formali); in questi casi preferiscono unirsi ai prefissi piuttosto che al suffisso -issimosupermeravigliosoiperfantastico ecc. (meno comuni meravigliosissimofantasticissimo ecc.).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nella frase “Oltre 10.000 soldati avanzarono sul fronte”, oltre si può considerare complemento di quantità? Nella frase “Ti aspetto da meno di due ore”, da meno di è una locuzione prepositiva?

 

RISPOSTA:

In questa frase oltre si comporta come un avverbio che modifica l’aggettivo numerale 10.000; in analisi logica, pertanto, si analizza insieme all’aggettivo come attributo (in questo caso attributo del soggetto). Nella seconda frase la divisione in sintagmi non è corretta: ti aspetto regge il complemento di tempo continuato da meno, formato con l’aggettivo invariabile meno, che ha qui un valore neutro (significa, cioè, ‘una quantità minore’); tale aggettivo mette, quindi, la quantità indicata in relazione con un altro riferimento quantitativo, espresso dal complemento di paragone di due ore.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

In aperitivo per eccellenza il sintagma per eccellenza è un complemento di qualità?

 

RISPOSTA:

Sì; esso può, infatti, essere parafrasato con un aggettivo qualificativo, come straordinarioeccelsoimpareggiabile o simili.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Mi chiedo come fare l’analisi logica di frasi come questa: “La lezione dovrà essere interessante”. Il verbo _essere_fa da copula anche se accompagnato dal servile? O va considerato predicato verbale? Ma in quest’ultimo caso, l’aggettivo finale cosa sarebbe? Predicativo del soggetto?

 

RISPOSTA:

In analisi logica il verbo viene considerato per la sua funzione di predicato, non per la sua forma: il sintagma dovrà essere, pertanto, viene analizzato tutto insieme, perché svolge una funzione unitaria. Tale funzione è quella di copula, cioè di collegamento tra il soggetto e un suo completamento, che qui è rappresentato dall’aggettivo interessante, definito nome del predicato o parte nominale. Il sintagma complesso dovrà essere interessante è, quindi, un predicato nominale.
Si noti, a margine, che la parte nominale del predicato nominale è di fatto un tipo di complemento predicativo del soggetto; ha, infatti, la stessa funzione del predicativo del soggetto retto da verbi copulativi. In “Luca è simpatico” e “Luca sembra simpatico”, cioè, simpatico ha la stessa funzione di completare il soggetto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Quando rientrerà la mamma, sarò libera dall’impegno di badare al mio fratellino” di badare al mio fratellino è da considerarsi una subordinata dichiarativa (in quanto specifica il significato di impegno nella principale) oppure una finale?

 

RISPOSTA:

L’aggettivo libero è uno di quelli che possono reggere un argomento (come adatto adegno dipronto a). Quando l’argomento prende la forma di una proposizione, questa non può che essere considerata argomentale, per l’appunto. Tra le argomentali, la dichiarativa è quella che corrisponde più da vicino alle caratteristiche della proposizione così formata.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Perché a volte l’articolo si concorda con l’aggettivo (ovvero con la parola che lo segue)? Ad esempio: il tuo amico invece di lo tuo amicol’ultimo compito da fare invece di il ultimo compito da fare. Si concorda così per evitare la cacofonia?

 

RISPOSTA:

Bisogna distinguere tra l’accordo, che regola la scelta del genere e del numero dell’articolo, e l’armonizzazione della catena fonica, che regola la scelta della forma dell’articolo. L’articolo concorda sempre con il nome; infatti, nei suoi esempi, il e l’ sono maschili singolari perché amico e compito sono nomi maschili singolari. La forma dell’articolo, poi, cambia a seconda dell’iniziale della parola subito successiva per facilitare la pronuncia dell’intera espressione che contiene l’articolo. L’articolo determinativo maschile singolare, per esempio, ha tre forme: illol’, ognuna selezionata in base all’iniziale della parola successiva nella frase. Come lei stesso ha notato, del resto, la forma dell’articolo cambia anche se l’articolo è seguito direttamente dal nome (l’amico, ma il compito); in questo caso, infatti, il nome è non solo la testa che governa l’accordo, ma anche la parola subito successiva all’articolo.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Il mio notaio è una donna, ma preferisce essere chiamata notaio anziché notaia. Come devo accordare l’aggettivo quando mi riferisco a lei? È corretto dire “Il mio notaio è bravissimA / preparatissimA” o devo usare sempre e solo l’aggettivo al maschile?

 

RISPOSTA:

L’accordo è un fenomeno grammaticale; è, quindi, regolato dal genere, non dal sesso. Questo principio funziona senza sbavature quando i nomi designano oggetti inanimati (“La porta è rossa” / “Il tavolo è basso”), e non desta particolari problemi neanche con gli animali (“La giraffa maschio è altissima”, ma “Il maschio della giraffa è altissimo”). I dubbi, invece, sorgono nei rari casi in cui un nome che designa una categoria di persone ha un genere che non corrisponde al sesso del designato. L’italiano possiede un piccolo numero di questi nomi (che rientrano nel gruppo dei nomi promiscui, insieme a quelli come giraffapavone ecc.), quasi tutti femminili ma riferiti tanto a uomini quanto a donne: la guidala guardiala persona e pochi altri. Anche a questi nomi si applica la regola dell’accordo, per cui “Mario è una guida bravissima / una persona generosa” ecc.
I nomi mobili (come amico / amica) adattano il genere al sesso del designato modificando la desinenza; non hanno, quindi, il problema dell’accordo. In questo gruppo, però, rientrano alcuni nomi di professione e carica pubblica usati al maschile anche quando designano referenti femminili (notaioarchitettoil presidente e tanti altri). Questi nomi non fanno eccezione per l’accordo; Il femminile con nomi maschili va considerato scorretto anche in questi casi: non solo, quindi il notaio sarà sempre bravissimo e mai bravissima, ma anche la frase iniziale della sua domanda dovrà essere corretta in “Il mio notaio è una donna, ma preferisce essere chiamato notaio anziché notaia).
L’uso di un nome mobile maschile per un designato femminile – ricordiamo – è scorretto: così come non si può dire “Il mio amico Maria è una ragazza simpatica”, non si può dire “Il mio avvocato / notaio / architetto… Maria Rossi è una professionista eccellente”. La maggiore tolleranza per il maschile sovraesteso di nomi come notaio è un fatto puramente culturale e non riguarda le regole della lingua italiana. Bisogna, certo, ammettere che le regole della lingua sono permeate dalla cultura; per questo motivo, per esempio, alcune parole usate comunemente in una certa epoca divengono inappropriate e persino censurate in un’altra (inutile fare degli esempi). Se, però, l’italiano è stato modellato dalla cultura nel senso della sovraestensione del maschile dei nomi di professione in un’epoca in cui questo era normale e accettato, per lo stesso principio il femminile di questi nomi deve tornare a essere usato in un’epoca in cui il pensiero comune è cambiato.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio relativo all’analisi grammaticale degli aggettivi possessivi loro e altrui.
Essendo entrambi invariabili vorrei capire se nel momento in cui devo analizzarli è sufficiente scrivere “aggettivo possessivo invariabile” o se devo anche specificare maschile, femminile, singolare e plurale osservando il nome dell’oggetto posseduto.
Per esempio: “Le formiche portavano delle provviste nel loro formicaio”.
In questa frase devo scrivere: “aggettivo possessivo invariabile” o anche “maschile e singolare” perché si riferisce a formicaio, che è appunto maschile singolare? O lo devo analizzare come femminile plurale perché è riferito a formiche?

 

RISPOSTA:

La questione è duplice: bisogna capire con quale sintagma concorderebbe loro se fosse variabile e come è meglio descrivere tale accordo nell’ambito dell’analisi grammaticale. Per il primo punto possiamo servirci di uno stratagemma: osserviamo come si comportano gli aggettivi possessivi variabili in italiano, per esempio nella frase “Abbiamo preso il suo zaino”. Come si vede, la scelta dell’aggettivo è determinata dalla persona o cosa che detiene il possesso (nella frase lo zaino appartiene a una terza persona, quindi si usa l’aggettivo di terza persona singolare), ma la forma dell’aggettivo dipende dal nome accompagnato (nella frase suo concorda con zaino). Allo stesso modo, nella sua frase loro è scelto perché il possessore è una terza persona plurale (le formiche), ma se l’aggettivo fosse variabile concorderebbe con formicaio (e lo stesso vale per altrui). Per quanto riguarda la descrizione dell’aggettivo nell’analisi grammaticale, loro deve essere descritto come invariabile; a rigore, infatti, attribuire a loro un genere e un numero è scorretto, perché qualsiasi scelta non corrisponderebbe all’effettiva forma della parola (che, per l’appunto, non ha né genere né numero).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Una frase come “Nessuna parola, fatto o azione mi hanno ferito” è corretta? Si può concordare l’aggettivo indefinito solo con il nome più vicino?

 

RISPOSTA:

L’accordo tra un aggettivo preposto e un soggetto composto di nomi di genere diverso è problematico, perché il nome più vicino all’aggettivo attrae la concordanza. Se, ad esempio, volessimo definire amatissimi il figlio e la figlia di qualcuno potremmo dire gli amatissimi figlio e figlia (con l’aggettivo al plurale maschile “onnicomprensivo”) o l’amatissimo figlio e l’amatissima figlia; il rischio, però, sarebbe di formare l’amatissimo figlio e figlia, per via dell’attrazione dell’accordo operata dal nome più vicino all’aggettivo, figlio. nel suo caso l’accordo al plurale non è possibile, visto che nessuno non ha la forma plurale, quindi non rimane che “Nessuna parola, nessun fatto o nessuna azione mi hanno ferito”. La concordanza di nessuno con il solo primo nome, comunque, non può dirsi un errore grave: non pregiudica, infatti, affatto la comprensione della frase (gli aggettivi non ripetuti potrebbero essere considerati semplicemente sottintesi).
Aggiungo che anche il verbo avere può andare al singolare (“Nessuna parola, fatto o azione mi ha ferito” o “Nessuna parola, nessun fatto o nessuna azione mi ha ferito”); il singolare, si badi, è dovuto non all’accordo con il solo primo soggetto, bensì all’accordo con ciascun soggetto uno alla volta, visto che i tre nomi sono presentati come uno in alternativa all’altro.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Una giornalista, alla radio, ha detto: «Era un artista che metteva tutti i suoi discepoli a proprio agio». Forse sono troppo pedante, fossilizzandomi sulle regole della sintassi e trascurando così il messaggio che il parlante voleva chiaramente suggerire, o, forse, sono io a essere in errore; ma quell’aggettivo, proprio, non dovrebbe riferirsi al soggetto?

Se così fosse, il significato della frase sarebbe alquanto bizzarro: l’“agio” sarebbe stato dell’artista stesso invece che dei discepoli di quest’ultimo. Al posto della giornalista, avrei detto «a loro agio».

 

RISPOSTA:

Ha perfettamente ragione, proprio è un errore, perché può riferirsi soltanto al soggetto della proposizione nella quale è inserito. Viceversa, a volte in luogo di proprio è ammesso anche loro, se non genera equivoci: «gli studenti, con le loro brave cartelle sulle spalle» (o «proprie cartelle»).

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

Gradirei sapere quale dei due termini che vi proporrò è il più adeguato per definire la seguente condizione: vi sono delle perdite di acqua in un appartamento, il muro è fessurato eccetera. Orbene, definendo questa situazione, è più corretto parlare di problemi edilizi o architettonici oppure entrambi i termini sono corretti?

 

RISPOSTA:

Più che un dubbio linguistico il suo esempio riguarda un problema ingegneristico. Perdite d’acqua o fessurazioni nel muro, infatti, possono coinvolgere sia l’edilizia sia l’architettura e per definire con precisione il problema sarebbe bene conoscerne la natura attraverso un’analisi dettagliata. Sia la parola edilizia sia la parola architettura richiamano il concetto di ‘tecnica e arte della costruzione di edifici’, ma la prima si concentra sulla costruzione fisica dell’edificio e la seconda sull’estetica e sulla funzionalità degli spazi. A prima vista, si potrebbe dire che i problemi di infiltrazione o di fessurazione nel muro siano più legati a un problema edilizio. Tuttavia, se le fessurazioni sono il risultato di una cattiva progettazione strutturale, potrebbe trattarsi di un problema architettonico, e quindi potrebbe sovrapporsi al problema edilizio. In conclusione, non è possibile assegnare un aggettivo adeguato in base a un contesto così generico.
Raphael Merida

Parole chiave: Aggettivo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se entrambe le soluzioni riportate di seguito sono corrette, oppure se ve ne sia una meno formale rispetto all’altra:
È una sfumatura semantica che risulta difficile cogliere.
È una sfumatura semantica che risulta difficile da cogliere.

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono possibili e praticamente equivalenti dal punto di vista semantico; la prima, però, ha una costruzione sintattica intricata, per quanto del tutto comprensibile e ammessa dalla grammatica.
L’intrico dipende dalla natura della proposizione che cogliere, contemporaneamente relativa e soggettiva; da una parte, infatti, che riprende il sintagma una sfumatura semantica (quindi introduce una relativa), dall’altra la proposizione funge da soggetto di risulta difficile (quindi è una soggettiva). Per evidenziare questa sovrapposizione di funzioni, potremmo parafrasare questa parte della frase con cogliere la quale risulta difficile.
La seconda frase è più lineare dal punto di vista sintattico: che è il soggetto della proposizione relativa che risulta difficileda cogliere è una proposizione completiva assimilabile a una oggettiva, retta dall’aggettivo difficile. Non è facile associare le due frasi a determinati registri: in linea generale, mentre la seconda è adatta a tutti i contesti, la prima è più adatta a contesti medio-alti, soprattutto scritti, per via della complessità della costruzione.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ritengo che il termine ipotesi si riferisca ad un contenuto, oggettivamente incerto, che viene dato come puramente possibile anche dal parlante, mentre i vocaboli arbitrario e illazione (che considererei sinonimi) definiscano un’affermazione data erroneamente come certa dal parlante, pur essendo oggettivamente solo possibile. Non essendo sicuro della mia posizione, gradirei un vostro parere al riguardo.

 

RISPOSTA:

Il nome ipotesi indica un presupposto logico che deve essere dimostrato vero o falso. Per esempio, l’ipotesi che il riscaldamento globale attuale sia prodotto in larga parte dalle attività umane è stata ampiamente provata. Una volta dimostrata, l’ipotesi diviene una tesi; è, comunque, spesso possibile mettere in discussione le prove a sostegno dell’ipotesi, quindi revocare la certezza della tesi derivante. Da questo significato di base, il nome ipotesi ha sviluppato quello, più comune, di ‘congettura’, che apparentemente è equivalente a ‘presupposto di un ragionamento’, ma invece presenta una determinante differenza di prospettiva: mentre, infatti, il presupposto innesca un ragionamento finalizzato a provarlo, una congettura potrebbe avere lo stesso valore ma è più spesso, al contrario, proposta come conclusone incerta di un ragionamento. Per quanto incerta, quindi, la congettura è rappresentata come un’opinione già formata, non come un’idea ancora da verificare. Con questo secondo significato, ipotesi si avvicina al significato comune di illazione, che è proprio ‘deduzione, congettura basata su prove incerte’. Rispetto a ipotesi, inoltre, nel significato di illazione è sottolineata la componente di incertezza, ovvero di insufficienza di prove, che porta con sé una connotazione negativa. Una illazione è, cioè, una congettura decisamente incerta, partigiana, una supposizione presentata come conclusiva ma in realtà indebita o ingiustificata, spesso introdotta per confondere il ragionamento di altri, o per danneggiare maliziosamente la reputazione di qualcuno.
L’aggettivo arbitrario ha, nel linguaggio comune, il significato di ‘non necessariamente ben motivato’ o ‘poco giustificato’; per questo motivo può considerarsi sinonimo di indebito e persino illegittimo. Tanto un’ipotesi quanto un’illazione possono essere arbitrarie, ma se un’ipotesi arbitraria è un passaggio logico azzardato, un errore in buona fede, l’illazione arbitraria è una fallacia architettata con dolo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Coerenza, Nome
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QUESITO:

Gradirei sapere se la seguente espressione è corretta: “Erano rimasti due sorelle e un fratello ed erano tutti celibi”. È corretto definire i fratelli e la sorella con l’unico termine celibi o è d’obbligo esprimersi diversamente, attribuendo ai maschi il termine celibi e alle femmine il termine nubile?

 

RISPOSTA:

I termini celibe e nubile hanno un riferimento di genere inequivocabile, quindi sarebbe scorretto attribuire l’uno o l’altro al genere opposto. Per descrivere la situazione bisogna costruire la frase diversamente, per esempio … e nessuno dei tre si era sposato o … e né le sorelle né il fratello si erano sposati, oppure scegliere un termine diverso, come single o non sposati.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le espressioni per la prima volta (es. “Lo vedo per la prima volta”) e prima del tempo (es. “Invecchiare prima del tempo”) possono essere considerate locuzioni avverbiali di tempo (nel secondo caso come equivalente di anzitempo) o vanno analizzate differentemente? In particolare, prima del + tempo deve altrimenti essere analizzata come locuzione prepositiva?

 

RISPOSTA:

Si tratta di locuzioni avverbiali di tempo. Il termine locuzione riguarda esclusivamente il significato dell’espressione, a prescindere dalla forma; a esso si sovrappone in parte il termine, scientificamente più trasparente, sintagma, che riguarda sia la forma sia il significato (è l’unità formalmente più piccola della costruzione linguistica dotata di significato autonomo): molte locuzioni avverbiali e aggettivali hanno la forma di sintagmi preposizionali (tra quelle aggettivali si pensi, ad esempio, a quelle usate per descrivere le colorazioni dei tessuti: a quadrettia losanghea pois…). Locuzioni prepositive (che, per la precisione, si chiamano locuzioni preposizionali) sono, invece, espressioni come davanti afuori dainvece di e anche prima di. Come si vede, quindi, nella locuzione avverbiale prima del tempo è contenuta la locuzione preposizionale prima di; mentre, però, la locuzione avverbiale prima del tempo è un sintagma preposizionale, la locuzione preposizionale prima di (così come tutte le altre locuzioni preposizionali) non è un sintagma, perché non è dotata di significato autonomo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

“I bambini dovranno allegare un file in formato pdf, elaborato secondo lo schema allegato, contenente l’elenco dei disegni trasmessi, in pdf non modificabile, di seguito indicati:”
Nella frase precedente è il file contenente l’elenco che deve essere in pdf non modificabile, o ciascuno dei disegni?

 

RISPOSTA:

Il sintagma in pdf non modificabile non può che essere interpretato dal lettore come retto da disegni, perché si trova tra disegni e di seguito indicati, che è inequivocabilmente concordato con disegni.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

A volte ho difficoltà nel riconoscere se uno e una sono articoli indeterminativi o aggettivi. Per esempio nella frase: “Sono andato a Pisa per una visita”, in analisi logica per una visita = complemento di fine più attributo, oppure una è semplicemente articolo?

 

RISPOSTA:

In italiano è possibile distinguere l’articolo indeterminativo dall’aggettivo numerale soltanto considerando il contesto della frase. Diversa la situazione di altre lingue, nelle quali le due parole hanno forme diverse; per esempio l’inglese, in cui un’espressione come a ticket for an hour suona molto bizzarra, perché significa ‘un biglietto per un’ora qualsiasi’, mentre del tutto normale è a ticket for one hour, cioè ‘un biglietto per un’ora, valido per un’ora’.
Un modo molto pratico per accertarsi se uno sia da considerarsi articolo o numerale è provare a parafrasarlo con uno indeterminato e con uno solo. Se la parafrasi più calzante è la prima saremo davanti a un articolo, se è la seconda avremo un numerale. Nella sua frase una visita è da intendersi probabilmente come ‘una visita indeterminata’, non come ‘una sola visita’, quindi una è articolo.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

I mesi dell’anno sono in italiano sostantivi, tuttavia pur essendo “nomi propri di cosa”, si scrivono con la lettera minuscola. È sbagliato ricondurre l’uso della lettera minuscola al fatto che vengano intesi come “aggettivi”’ del sostantivo “mese” (anche se sottinteso) come avviene, tra l’altro, in latino (dove sono aggettivi)?

RISPOSTA:

In italiano, i nomi dei mesi, così come quelli della settimana e delle stagioni, non sono dei veri nomi propri (in latino, molti nomi dei mesi erano derivati da nomi propri: Ianuarius ‘Giano’; Martius ‘Marte ecc.) e non richiedono l’iniziale maiuscola. A parte i casi di personificazione (per esempio in poesia), quelli in cui un nome è attribuito a una persona (per esempio Domenica, nome proprio di persona), o alcuni casi particolari che indicano una determinata occorrenza (il Sabato Santo, il Martedì grasso ecc.), i nomi dei giorni, dei mesi e delle stagioni non indicano un’unicità, ma una periodicità, cioè qualcosa che si ripete sempre. Nell’italiano antico e moderno i nomi che indicano data (come appunto i nomi dei giorni, dei mesi o delle stagioni) sono stati percepiti da un buon numero di parlanti come nomi propri e per questo scritti spesso con la lettera maiuscola. Nell’italiano contemporaneo questa percezione è venuta meno e l’uso della maiuscola può essere ricondotto all’influsso della grafia inglese che, al contrario di quella italiana, prevede l’iniziale maiuscola per questo tipo di nomi.
Raphael Merida

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QUESITO:

Quale di queste due espressioni è corretta:

“Sconcerta il nostro (come esseri umani) dibattersi o dibatterci per cose banali”.

 

RISPOSTA:

Il verbo dibattersi, intransitivo pronominale, viene usato all’interno dell’esempio proposto con la funzione di sostantivo, preceduto da articolo. Entrambe le forme del verbo sono possibili, ma hanno significati diversi: il dibattersi è impersonale, ed equivale a ‘il fatto che ci si dibatta’; il dibatterci contiene il pronome di prima persona plurale, quindi potremmo parafrasarlo come ‘il fatto che noi ci dibattiamo’. L’aggettivo possessivo nostro produce, pertanto, una precisazione determinante quando si unisce a dibattersi, perché personalizza di fatto la forma impersonale (il nostro dibattersi = ‘il fatto che noi ci dibattiamo’); quando si unisce a dibatterci, invece, produce soltanto un rafforzamento del concetto già espresso dal pronome ci. Tale rafforzamento è a rigore superfluo, ma è del tutto ammissibile, specie all’interno di un contesto informale, perché conferisce alla proposizione una maggiore enfasi, e perché è giustificato proprio dalla presenza di nostro, che è percepito come semanticamente coerente con ci (laddove la combinazione di nostro e dibattersi è sentita come insufficiente per esprimere la personalità dell’azione, ovvero chi sia il soggetto logico del dibattersi).

Francesca Rodolico

Fabio Ruggiano

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“Hai scelto il brano peggiore tra i tanti possibili”.
Vorrei sapere se l’aggettivo possibili nella suddetta costruzione è corretto.

Sì, la costruzione è corretta: l’aggettivo possibile è comunemente usato in contesti simili senza un significato preciso, ma con la funzione di rafforzare proprio l’aggettivo o il pronome (ogni possibile candidatotutti i libri possibili…).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretto l’uso di conosciuto come sinonimo di noto?

 

RISPOSTA:

Sì, conosciuto e noto sono sinonimi. Come tutti i sinonimi, comunque, non sono intercambiabili sempre: ovviamente conosciuto non può essere sostituito da noto quando è usato come participio passato, non come aggettivo (“L’ho conosciuto in un bar”); a sua volta noto è preferito a conosciuto quando si riferisce a qualcosa che deriva la qualità dall’essere stata trattato o discusso in precedenza: “L’argomento è noto a tutti; non serve tornarci su”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È sbagliato usare “proprio” al posto di “nostro” come nell’esempio che segue?
“E per colpa tua, mettiamo anche oggi in dubbio la propria conoscenza”.

 

RISPOSTA:

Proprio può sostituire soltanto i possessivi di terza persona suo e loro. La frase proposta quindi non è corretta perché propria non si riferisce a un soggetto di terza persona (“E per colpa tua, Mario anche oggi mette in dubbio le sue/proprie conoscenze”), ma a un soggetto di prima persona plurale: “E per colpa tua, (noi) mettiamo anche oggi in dubbio la nostra conoscenza”.
Raphael Merida

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Pronome
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

L’aggettivo poco concorda in genere e numero con il sostantivo al quale si riferisce. A tal proposito riprendo parte di un testo di una canzone: “Una è troppo poco, due sono tante”.

Di conseguenza, come devo comportarmi nelle seguenti espressioni?

  • La differenza è poco/poca
  • Due settimane è poco/sono poche

 

RISPOSTA:

Nel testo della canzone troppo poco è una locuzione avverbiale. In questo caso l’avverbio poco si unisce all’avverbio troppo per sottolineare un eccesso di scarsità. Negli altri due esempi poco invece è un aggettivo in funzione predicativa (cioè si collega al nome tramite il verbo), quindi: “La differenza è poca” e “Due settimane sono poche”. Nell’alternativa “Due settimane è poco”, poco è un pronome indefinito in un’espressione ellittica in cui è sottinteso un sostantivo ricavabile dal contesto: “Due settimane è poco (tempo)”.

Raphael Merida

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QUESITO:

Si scrive: “Un bel e solido palazzo” oppure: “Un bello e solido palazzo”? Ovviamente è preferibile scrivere: “Un palazzo bello e solido”. Ma dovendo scegliere, in questo caso, tra bel e bello, quale si fa preferire?

 

RISPOSTA:

Bel e bello seguono gli stessi criteri degli articoli il e lo. In questo caso, davanti a vocale, può avvenire l’elisione di bello; avremo quindi “Un bell’e solido palazzo”.

Raphael Merida

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

Gradirei sapere se l’affermazione “persona impositiva”, riferita ad un soggetto capace di farsi valere, può essere definita corretta.

 

RISPOSTA:

No, perché l’aggettivo impositivo è usato perlopiù in riferimento al tono, oppure in contesti burocratici, in riferimento a un provvedimento, un’autorità, una legislazione e simili, non a una persona. Naturalmente, è sempre possibile, con una certa forzatura semantica, che in qualche testo impositivo venga riferito a una persona, ma per esprimere il concetto di “che impone il proprio volere o autorità” esistono altri aggettivi in italiano, quali autoritario, oppure, con significato ancora più fortemente connotato negativamente, arrogante, dispotico, sopraffattore ecc.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

Sarebbe possibile inserire una virgola tra un sostantivo e il suo aggettivo?

“Ha una bella macchina, rossa”

Oppure prima di una preposizione?

“È andato via, a casa”

 

RISPOSTA:

Sì, in certi contesti la virgola può dividere in più unità informative una struttura semantica altrimenti addensata in una singola unità testuale. In questo caso, l’aggettivo rossa in posizione conclusiva e separato dal nome attraverso la virgola crea un doppio fuoco informativo che mette in rilievo sia il fatto che la macchina è bella sia il fatto che la macchina è rossa.

La virgola si inserisce perfettamente anche nel secondo esempio: la separazione del sintagma preposizionale (a casa) dal resto della frase è favorita dalla posizione conclusiva del sintagma. Non avremmo potuto separare, invece, la preposizione dal nome con cui essa costituisce un sintagma (*a, casa).

Raphael Merida  

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QUESITO:

Ho sempre dato per scontato che la lunghezza fosse verticale e la larghezza orizzontale. E che quindi la longitudine fosse orizzontale e la latitudine verticale, essendo il nostro pianeta più lungo orizzontalmente che verticalmente.
Adesso però ho dei dubbi.
Nel grande romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei Tartari, si accenna a un gradone che corre longitudinalmente verso il Nord, che taglia longitudinalmente la pianura. Non capendo come facesse un piano orizzontale a correre in lungo, ho cercato il significato di longitudinale: «che è disposto nel senso della lunghezza», «orizzontale, in lunghezza». Se è orizzontale, non dovrebbe essere disposto nel senso della larghezza?

 

RISPOSTA:

La longitudine si calcola in orizzontale (cioè, letteralmente, parallelamente all’Orizzonte), perché segna un punto a Est o a Ovest del meridiano di Greenwich. La latitudine, al contrario, segna un punto a Nord o a Sud dell’Equatore, quindi si calcola in verticale (cioè perpendicolarmente all’Equatore).
Bisogna, però, distinguere tra i nomi longitudine e latitudine e gli aggettivi longitudinale e latitudinale (nonché gli avverbi in -mente da essi derivati): i primi hanno un’applicazione esclusivamente scientifica (e sono usati nella lingua comune solo nelle locuzioni avverbiali in longitudine e in latitudine); i secondi sono usati regolarmente anche con un significato estensivo (che recupera il significato etimologico longus ‘lungo’ e latus ‘largo’), e in particolare longitudinale ‘esteso nel senso della lunghezza’, latitudinale ‘esteso nel senso della larghezza’. Di conseguenza, longitudinale diviene, nella lingua comune, equivalente a lungo (per cui longitudinalmente e in longitudine equivalgono a in lunghezza), mentre il meno usato latitudinale diviene equivalente a largo (e latitudinalmente e in latitudine equivalgono a in larghezza). Dal momento che, per convenzione, in una superficie la lunghezza è la dimensione più estesa e la larghezza quella meno estesa, nell’esempio da lei riportato il gradone descritto è un oggetto orientato nella stessa direzione della dimensione più estesa dell’area considerata.
Si noti che tanto la lunghezza quanto la larghezza sono dimensioni orizzontali, cioè parallele al piano dell’Orizzonte; nel caso di oggetti tridimensionali a queste si aggiunge l’altezza, che è la dimensione verticale, cioè perpendicolare al piano dell’Orizzonte.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli incondizionati di quando era giovane.”

Vi chiedo se è corretto l’uso dell’aggettivo (in questo caso “incondizionati”) dopo il dimostrativo “quelli”, che, in tale costruzione, se non vado errata assume la funzione di pronome.

Vi chiedo infine se sia possibile, per ottenere particolari effetti retorici, isolare l’aggettivo tra due virgole, creando così un inciso:

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli, incondizionati, di quando era giovane.”

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli incondizionati di quando era giovane.”

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Il referente slancio è singolare ma può capitare che un elemento anaforico (in questo caso il pronome quelli) rimandi a un referente con il quale non è grammaticalmente in accordo, senza che questo si configuri come un errore. L’aggettivo incondizionati deve accordarsi, naturalmente, con il pronome cui si riferisce, cioè quelli. Inoltre, l’aggettivo isolato tra due virgole crea una doppia focalizzazione nella sequenza narrativa. Dei due fuochi (“quelli” e “incondizionati”) il più marcato è il secondo grazie all’effetto dell’isolamento e del lavoro inferenziale a cui questo invita il lettore (gli slanci di una volta non erano semplici slanci; erano incondizionati).

Raphael Merida

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Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

Nella frase “una madre di un ragazzo ogni giorno mette il suo zaino nell’entrata per ricordarglielo”, non ci sono errori o possibili equivoci nel pronome “suo”? Come ci si deve regolare in questi casi per non sbagliare?

 

RISPOSTA:

In questo caso non mi sembra vi siano equivoci, sia per motivi contestuali (perché mai la madre dovrebbe indurre il figlio a prendere il proprio, anziché il suo, zaino, per andare a scuola?), sia per motivi morfologici: infatti, se si volesse specificare l’appartenenza dello zaino al soggetto della frase (cioè, alla madre), si sarebbe potuto utilizzare proprio, per evitare ambiguità. In altri contesti, qualora vi fosse ambiguità, è suggeribile sostituire il possessivo con un sintagma disambiguante: «Luca accompagna Laura a casa di lei»; anche se, pure in questo caso, basterebbe sua, se ci si riferisce alla casa di Laura, propria se ci si riferisce a quella di Luca.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Pronome
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QUESITO:

Vorrei capire meglio la differenza tra i seguenti termini: serio / serioso: una persona seriosa è una persona pesante?

Emozionante / emozionale: può un bracciale essere emozionale perché richiama delle emozioni?

A tempo, per tempo, in tempo-di fretta, in fretta: comprendo la differenza tra andare in fretta e andare di fretta ma, ad esempio, nel caso di «mangiare» si dice «mangiare di fretta» o «mangiare in fretta»?

Solo, da solo

 

RISPOSTA:

Sì, una persona seriosa è una persona pesante, che si prende troppo sul serio; anche un argomento può essere serioso.

Emozionale ha un uso molto limitato, sebbene oggi se ne abusi per influenza dell’inglese emotional, per cui non mi meraviglierei se anche un bracciale venisse (impropriamente) definito emozionale, anche se a rigore emozionale non è ciò che produce emozioni, bensì ciò che riguarda le emozioni, quindi si può parlare di stato emozionale (o emotivo).

Meglio «mangiare in fretta»; «di fretta» di solito si riferisce a andare o essere (ma non solo): «vado di fretta», «sono di fretta» = «ho fretta». Comunque, non è scorretto dire «mangiare di fretta».

Solo e da solo sono spesso intercambiabili: «sono sempre solo / da solo». Ma a volte non sono equivalenti: «riesci a farlo da solo» vuol dire ‘senza l’aiuto di nessuno’.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Avverbio, Italiano L2
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“Tante di cose” o “tante di persone”, come dice Lei, sono agrammaticali, ma in caso di ripresa nominale, cioè col “ne” come ripresa pronominale in aggiunta al “di” partitivo (“Ne vede tante di cose/persone”), sarebbero legittime.

Se non si vuole utilizzare il pronome di ripresa “ne” allora bisognerebbe modificare il nome “cose”:

“Ogni giorno vede tante di queste cose/persone”.

Secondo lei, se cambiassimo ”vede tante di cose/persone” in “Vede tante di cose/persone interessanti” cambierebbe qualcosa o si resterebbe nell’agrammaticalità?

 

RISPOSTA:

Secondo me sì, sarebbe agrammaticale; accettabile, forse, soltanto in uno stile molto informale. L’indefinito tanto può reggere il partitivo, ma in contesti in cui sia chiara la ripartizione di un sottogruppo: «tanti dei miei amici non sono laureati», oppure: «vedo qui presenti tante delle persone che ho conosciuto al corso di francese» o simili. Invece, nel suo esempio («vede tante di persone interessanti») non c’è questa ripartizione, perché «tante persone» indica genericamente un numero elevato di persone e non un sottogruppo nell’ambito di un gruppo più ampio o di una totalità.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Sono molto comuni costruzione col “di” partitivo nelle quali manca un soggetto/oggetto perché sottinteso:

  1. a) Ce ne sono (tante) di cose!
  2. b) Ne ha fatte (tante) di cose!

Costruzioni analoghe sono quelle seguite da un modificatore nominale:

  1. c) Direi che (di persone) ce ne sono (tante) che non vanno mai al cinema.
  2. d) Di situazioni simili ne ho vissute (tante) di tutti i colori.
  3. e) Nella vita di cose ne vedrai (tante) di belle e di brutte.

Nella frase “e” il modificatore del sintagma nominale sottinteso (“tante) è preceduto dalla preposizione “di”, ma a differenza della frase “d”, dove il modificatore nominale è un vero e proprio sintagma preposizionale, qui abbiamo un aggettivo che fa modificatore nominale, aggettivo che di norma non è preceduto da nessuna preposizione, tranne in questi specifici casi.

Quello che mi chiedo è:

Se rendessimo esplicito il sintagma nominale “tante”, l’aggettivo richiederebbe lo stesso quel “di” o perlomeno sarebbe facoltativa la scelta di inserirlo o meno?

  1. f) Nella vita di cose ne vedrai tante di belle e di brutte. A me non convince proprio quel “di” in quest’ultima frase , anzi lo casserei proprio, poiché al mio orecchio suona malissimo, ma a rigor di logica forse è corretto?

 

RISPOSTA:

La ragione della presenza del sintagma preposizionale introdotto da di è dovuto al fatto che il clitico ne pronominalizza un sintagma preposizionale introdotto da di. Tant’è vero che senza ne il di cade: «ci sono tante cose/persone», «ha fatto tante cose», «ci sono tante persone che non vanno al cinema» ecc.

In «Di situazioni simili ne ho vissute (tante) di tutti i colori», «di tutti i colori» è un’espressione idiomatica ammissibile soltanto se introdotta da di, tant’è vero che il di rimane anche senza ne: «ho vissuto (tante) situazioni (simili) (che erano) di tutti i colori».

In «Nella vita di cose ne vedrai tante di belle e di brutte», come giustamente dice lei, il secondo (e il terzo) di è di troppo (e dunque da evitare), perché, per via del clitico ne, serve il sintagma preposizionale «di cose», mentre belle e brutte sono aggettivi che, come tali, si collegano al nome (cose) senza preposizione. Esattamente come «vedrai cose belle e brutte». A meno che non siano aggettivi sostantivati (cioè con cose sottinteso): «Nella vita ne vedrai (tante) di belle e di brutte». Meno bene «Nella vita ne vedrai (tante) belle e brutte». Del resto, l’espressione idiomatica è «vederne delle belle», non certo *«vederne belle».

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

“Le parole scritte restano”. In analisi grammaticale qual è la funzione di “scritte”?

 

RISPOSTA:

Aggettivo qualificativo, femminile, plurale. Naturalmente, trattasi di participio passato del verbo scrivere usato, nella frase in questione, con funzione aggettivale. Dato che le parole non funzionano in isolamento, in nessuna lingua, bensì inserite in un contesto (frase), è bene analizzarle nella funzione (non a caso, lei nella sua domanda utilizza la parola funzione) che svolgono all’interno della frase. In questo caso non v’è alcun dubbio che la funzione di scritte sia aggettivale (ovvero attributo in analisi logica). Vi sono peraltro dei casi limite: «Le parole scritte da te restano». In questo caso la presenza del complemento d’agente lascerebbe propendere per l’analisi come verbo, cioè participio passato. Tuttavia, dato che anche gli aggettivi (e i nomi) possono reggere argomenti («sensibile ai complimenti», «utile a/per scopi diversi» ecc.), non è questo un discrimine per stabilire se un participio sia verbale o aggettivale. Ancora una volta, come spesso accade nelle lingue, non si tratta di bianco o nero ma di come si decide di ritagliare la realtà linguistica: chi opta per valorizzare sempre la natura verbale del participio (che, per inciso, si chiama così proprio perché partecipa della doppia natura di verbo e di nome, ovvero aggettivo), chi invece (e io mi colloco tra questi ultimi) pensa che si debba valutare caso per caso a seconda del contesto sintattico. Non vi sarebbe alcun dubbio, per esempio, nel considerare verbale il participio della frase seguente: «Scritte, le parole restano», nella quale «scritte», isolato dal resto della frase, non può che assumere la funzione di subordinata (ipotetica implicita: «se scritte…»). Anche nella sua frase si potrebbe sostenere che «scritte» sia una relativa implicita: «Le parole che sono scritte restano», ma sarebbe una spiegazione antieconomica: perché mai scomodare una struttura sottintesa quando la linearità della frase è chiarissima? Come vede, la distinzione tra analisi grammaticale e analisi logica, necessaria in teoria per tener distinti i piani dell’analisi linguistica, è meno netta nella realtà dei fatti: per stabilire se analizzare «scritte» come aggettivo o come verbo è prima necessario comprendere la sintassi della frase. In conclusione, ribadisco la mia opinione: «scritte», nella frase in questione, va analizzato come aggettivo e non come participio passato.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Nella frase “Ne ha preparate tre, poi gliele ha spedite per congratularsi del suo successo” quali sono le funzioni sintattiche dei pronomi? Ecco la mia proposta:
Ne = pronome personale atono, compl. specificazione o partitivo
Tre = pronome numerale, complemento di quantità? O forse più genericamente compl. specif.
Gliele = pronome personale. Gli: compl. termine. Le: compl. ogg.
Si (congratularsi) = pron. personale, intransitivo pronominale.
Suo = agg. possessivo, compl. specif.

 

RISPOSTA:

Le sue analisi sono sostanzialmente corrette, tranne i seguenti punti:
Tre = complemento oggetto. Il si contenuto nel verbo congratularsi, che è intransitivo pronominale, non ha una funzione sintattica precisa, ma contribuisce alla costituzione del significato del verbo (forse lei intendeva proprio questo nella sua analisi, ma non è chiaro). Suo è l’unica parola tra quelle analizzate che non è un pronome, ma un aggettivo; dal punto di vista sintattico gli aggettivi non svolgono la funzione di complementi ma sono analizzati come attributi.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase “Tutto bene, davvero non vi preoccupate per me”, tutto è pronome, aggettivo o nessuno dei due? Inoltre, ha la funzione sintattica di soggetto?

 

RISPOSTA:

Nella frase tutto equivale a ‘tutte le cose, ogni cosa’, quindi è un pronome. La frase “Tutto bene” è analizzabile come frase nominale, cioè priva di verbo. In una frase senza verbo l’identificazione del soggetto è complicata, visto che quest’ultimo si definisce come il costituente sintattico con cui il verbo concorda. D’altro canto, è facile riconoscere la costruzione verbale soggiacente quella non verbale: “Va tutto bene”; in questa frase tutto ha proprio la funzione di soggetto.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se il termine “leoluchiane” è corretto per indicare “Giornate di studio dedicate a San Leoluca” (“Giornate leoluchiane”).

 

RISPOSTA:

L’aggettivo leoluchiano è ben formato e rappresenta bene il nome di Leoluca. Aggiungo che l’aggettivo san si scrive per lo più con la minuscola quando indica la persona (come nel caso di san Leoluca), con la maiuscola quando fa parte del nome proprio di una chiesa (“la basilica di San Pietro”), di una località (“l’estate scorsa sono stato a San Gimignano”), di una via o di una piazza (“piazza San Francesco”).

Raphael Merida

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

 

Gradirei sapere se negli esempi elencati di seguito l’uso di “quale” è corretto in sostituzione di “come”.

  1. Ha adottato lo stoicismo quale filosofia di vita per affrontare i problemi della quotidianità.
  2. Si è posto la realizzazione di una mostra personale quale obiettivo artistico e professionale.
  3. L’aggettivo “espansivo” non è preciso quale sinonimo di “intraprendente”.
  4. Ho scelto il cinema quale alternativa alla solita birra al pub.

RISPOSTA:

 

L’aggettivo quale può assumere la funzione di aggettivo relativo con il significato di ‘come’; tutte le frasi da lei proposte, quindi, sono corrette.

Raphael Merida

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

Gradasso può essere considerato un sinonimo di spavaldo, visto che entrambi hanno come sinonimo spaccone?

 

RISPOSTA:

In una lingua difficilmente esistono sinonimi perfetti: a ben vedere, tra le parole c’è sempre una differenza anche solo sfumata di significato. Nella terna spaccone, spavaldo, gradasso il primo nome ha un significato vicino a quello degli altri due, perché condivide con essi il tratto della vanteria eccessiva; in spavaldo, però, è più forte che negli altri due il tratto dell’esibizione del coraggio di fronte agli altri.

Tra spaccone e gradasso, invece, la differenza sta nella maggiore arroganza del gradasso rispetto allo spaccone, che risulta più legato all’esibizione di qualità non necessariamente possedute.

Le differenze si notano maggiormente se ricostruiamo le etimologie delle tre parole. Nell’etimologia di spavaldo, probabilmente dal latino pavor ‘paura’ + il prefisso s- e il suffisso germanico -aldo, si nota già un riferimento alla mancanza di paura connotato però negativamente dal suffisso –aldo (come nella parola ribaldo). Il sostantivo gradasso, che caratterizza in negativo una persona che si vanta in modo eccessivo delle proprie qualità inesistenti, è un’antonomasia formata sul nome del guerriero saraceno Gradasso, un personaggio dell’Orlando innamorato e dell’Orlando Furioso descritto come impulsivo e arrogante. Spaccone è un sostantivo derivato dal verbo spaccare più il suffisso accrescitivo –one. A differenza del gradasso, dietro il quale si nasconde un tipo di carattere ben definito, lo spaccone è colui che, iperbolicamente, vanta la forza di spaccare il mondo (senza però riuscirci).

Raphael Merida

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Quale fra queste due affermazioni è corretta dal punto di vista grammaticale?
1) L’ultima sua opera è stato un libro.
2) L’ultima sua opera è stata un libro.

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette: il participio passato della copula può concordare con il soggetto o con il nome del predicato, se è un nome di genere diverso dal soggetto, come in questo caso. Si noti che il participio passato dei verbi copulativi preferisce di gran lunga l’accordo con il soggetto (“L’ultima sua opera è sembrata un capolavoro”; meno comune “… è sembrato un capolavoro”), mentre il participio passato dei verbi che richiedono il complemento predicativo del soggetto concorda soltanto con il soggetto (“L’ultima sua opera è stata ritenuta un capolavoro”; non *”… è stato ritenuto un capolavoro”).
Si noti che se il nome del predicato o il complemento predicativo è plurale mentre il soggetto è singolare, il verbo in qualsiasi sua forma preferisce di gran lunga la concordanza con il nome del predicato o il complemento predicativo, non con il soggetto (“Il suo miglior piatto sono / sono state / sembrano / sono sembrate / sono ritenute le lasagne”). Al contrario, nei pochi casi in cui il soggetto è plurale e il nome del predicato o il complemento predicativo è singolare, il verbo concorda con il soggetto (“I suoi amici sono la sua famiglia”).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Un uomo attraversava i ghiacciai…: era equipaggiato, era armato ed era in viaggio verso chissà dove”. Il correttore del testo considera i verbi era equipaggiato ed era armato come forme passive. Avrei qualche perplessità in merito.

 

RISPOSTA:

Fa bene: in questo caso equipaggiato e armato sono usati come aggettivi e funzionano da parti nominali dei predicati nominali era equipaggiato e era armato. Può trovare maggiori spiegazioni sulla distinzione tra participio passato verbale e nominale in questa risposta dell’archivio di DICO.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Era uno dei miei pregi, o almeno credevo che fosse tale.”

Tale dovrebbe equivalere a un pregio. Dal punto di vista logico, non mi pare che la costruzione presenti grandi difficoltà interpretative; ma, dal punto di vista sintattico, _tale_ si riferisce a un termine che nel testo non compare, se non nella forma plurale (uno dei miei pregi).

Considerando ciò, il periodo è corretto?

 

RISPOSTA:

Il periodo è corretto. Bisogna precisare intanto che il referente uno dei miei pregi è singolare (appunto uno), non plurale. Può, comunque, capitare che un elemento anaforico rimandi a un referente con il quale non è grammaticalmente in accordo, senza che questo si configuri come un errore, ma semmai come una costruzione tipica del parlato; per esempio “Non c’è neanche uno yogurt in frigo? Ma se ne ho presi sei l’altro giorno!” (ovvero ho preso sei yougurt).

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

  1. “Stiamo parlando di voi stessi, ragazzi miei.”
  2. “Stavo parlando ai ragazzi di loro stessi.”

In questi due casi, stessi è corretto quale rafforzativo, oppure si tratta di un uso scorretto, in quanto il soggetto della proposizione non coincide con il pronome cui si riferisce l’aggettivo?

 

RISPOSTA:

L’uso è corretto in entrambi i casi; l’aggetto stesso può accompagnare i sintagmi nominali della frase (anche costruiti con un pronome) a prescindere dalla funzione sintattica da questi svolta.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho dei dubbi riguardo alla possibile collocazione dei modificatori nominali in diversi contesti e situazioni.

Modificatori del nome preceduti da un modificatore verbale:

1a. Ho messo una cosa qui bellissima / di marmo / che potrebbe aiutarmi.

Modificatori del nome dopo il verbo dell’interrogativa:

2a. Quale cosa hai venduto di plastica / plasticosa / che non andava venduta?

3a. Quante ne hai dezuccherate / senza zucchero / che non fanno male alla salute?

4a. Cosa hai osato toccare di colore giallo / di legno / che non andava toccato?

5a. Di quale parte sei della Svezia?

Questione ancora più complicata:

Modificatori del nome, preceduti da un modificatore verbale, collocati dopo il verbo di un’interrogativa:

6a. Quale cosa hai messo qui di colore rosso / rossa / che non apprezzi più di tanto?

7a. Quale cosa hai comprato senza nemmeno avvisarmi di colore rosso / rossa / che ti piace?

Chiaramente tutte le frasi possono essere riformulate in questo modo:

1b. Ho messo qui una cosa bellissima / di vetro / che potrebbe aiutarmi.

2b. Quale cosa di plastica / plasticosa / che non andava venduta hai venduto?

3b. Quante dezuccherate / senza zucchero / che fanno male ne hai?

4b. Cosa di colore giallo / di legno / che non andava toccato hai osato toccare?

5b. Di quale parte della Svezia sei?

6b. Quale cosa di colore rosso / rossa / che non apprezzi hai messo qui?

7b. Quale cosa di colore rosso / rossa / che ti piace hai comprato senza avvisarmi?

La questione potrebbe farsi più intricata se si pensa che in alcune di queste frasi il complemento preposizionale / aggettivo potrebbe essere interpretato come modificatore verbale, più precisamente come complemento predicativo del soggetto / oggetto, non come modificatore nominale, vista la sua posizione postverbale, per la precisione negli esempi da 2 e 4.

Inoltre, l’esempio 7 potrebbe essere ambiguo, in quanto che ti piace potrebbe essere anche inteso come subordinata esplicita del verbo avvisare, dando il senso che qualcuno compra un qualcosa che gli piace, senza però avvisare qualcun altro.

Chiaramente queste situazioni di ambiguità si possono creare, ma quello che mi chiedo è questo: sintatticamente e grammaticalmente parlando, possiamo parlare di frasi corrette in questi significati e nel senso che vorrei dare? Cioè, i vari modificatori nominali (di legno, che non andava toccato, della Svezia, bellissima ecc.) delle frasi b si possono considerare dei modificatori nominali tanto nelle varianti a quanto nelle varianti b?

 

RISPOSTA:

Qualunque sia la posizione del modificatore, esso sarà sempre ricondotto al sintagma modificato; anche se interpretiamo i modificatori come complementi predicativi (o predicazioni supplementari), dal punto di vista sintattico e semantico essi modificano ancora i sintagmi nominali a cui si riferiscono. Va, però, detto, che il modificatore è tipicamente adiacente al modificato, tranne che non ci siano ragioni per allontanarlo (per esempio l’inserimento di un altro modificatore più strettamente legato al modificatore o la funzione predicativa del modificatore): alcune frasi a, pertanto, risultano innaturali e al limite dell’accettabilità (per esempio “Ho messo una cosa qui bellissima”, perché difficilmente si può accettare che l’aggettivo qualificativo sia legato al sintagma nominale qualificato meno strettamente di un’indicazione di luogo). La proposizione esclusiva nella frase 7 non è in nessun caso un modificatore del nome (infatti non può essere in alcun modo trasformata in una relativa il cui pronome introduttore riprenda il sintagma nominale o in un aggettivo); modificatori di sintagmi nominali introdotti da senza sarebbero, ad esempio, borsa senza manici (ovvero che non ha i manici), oppure maglietta senza maniche (smanicata).

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Chiedo gentilmente delucidazioni su un dubbio che mi è sorto. Scrivendo la frase “Gran parte del merito è …”, dove ci sono i puntini va messo “la sua” o “il suo”?

Es.: “Se sono riusciti a fare questa cosa gran parte del merito è la sua” o “Se sono riusciti a fare questa cosa gran parte del merito è il suo”?

In pratica: “Il suo/la sua” segue “gran parte” o “merito”?

Nello specifico la frase precisa sarebbe: “Il tempo per lui sembra non passare mai: ennesima prestazione sontuosa; puntuale nelle chiusure, preciso negli interventi e provvidenziale in più di un’occasione: se i biancoverdi sono riusciti a limitare il passivo nella prima frazione gran parte del merito è la sua/il suo”

 

RISPOSTA:

La concordanza a rigor di grammatica, e dunque consigliabile in uno stile sorvegliato, è al femminile, dal momento che la testa del sintagma è femminile («gran parte»). Il maschile si configura come una cosiddetta concordanza a senso, molto comune nell’italiano colloquiale ma da evitare in quello scritto formale.

C’è però un’alternativa per usare il maschile, ovvero quella di anticipare «il merito». Basterebbe scrivere così: «il merito è in gran parte suo».

Sarebbe inoltre preferibile, in una prosa più agile ed elegante, eliminare l’articolo, nella frase da lei segnalata: «gran parte del merito è sua», considerando dunque sua (o suo) come aggettivo piuttosto che some pronome.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nel verso della canzone “Dammi solo un’ora baby / e un po’ di coca-cola che mi graffi la gola”, la relativa è consecutivo-finale, ma se al posto del congiuntivo graffi usassimo l’indicativo graffia la semantica della frase cambierebbe?

 

RISPOSTA:

Nel verso la relativa con che e il congiuntivo ha un valore a metà strada tra il consecutivo e il finale; il modo migliore per trasformarla è tale che + congiuntivo. La trasformazione con tale che + indicativo non sarebbe equivalente; tale costruzione sarebbe, anzi, molto strana, perché il graffiare è qui rappresentato non come una qualità della Coca-Cola (come sarebbe in una frase come “La Coca-Cola contiene una tale quantità di anidride carbonica che graffia la gola”), ma come lo scopo per cui il parlante chiede la Coca-Cola.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella frase «Era bagnato fradicio e tutto coperto di neve», i due predicati, in analisi logica, sono verbali o nominali?

 

RISPOSTA:

Possono essere analizzati sia come predicati verbali, sia come predicati nominali, a seconda che si dia ai participi passati il valore verbale o aggettivale. Come spesso accade, l’interpretazione cambia a seconda dell’ottica dell’analista: non si tratta, cioè, di un’opposizione di sistema (cioè della grammatica italiana), bensì del punto di vista del linguista. La differenza tra predicato verbale e predicato nominale è meno netta di quanto comunemente si creda e dipende essenzialmente dal grado di autonomia semantica attribuito al verbo (debole, nel caso della copula nel predicato nominale) e all’aggettivo o sostantivo che lo accompagna. Nel caso specifico, bagnato e coperto possono essere interpretati come parte di un imperfetto passivo, oppure come aggettivi. Dato che non vi sono elementi dirimenti per attribuire un ruolo verbale a bagnare e coprire (per esempio la presenza di un complemento d’agente o di causa efficiente: «bagnato dalla pioggia», «coperto dalla neve»), mi pare più prudente l’interpretazione di bagnato e coperto come aggettivi, e dunque l’interpretazione di «era bagnato» e «era coperto» come predicati nominali. Completiamo l’analisi logica della frase: tutto è complemento predicativo del soggetto, mentre di neve è comunque un complemento argomentale (non importa se di specificazione, qualità, mezzo o altro), cioè un complemento che serve a completare il significato del participio (coperto) che altrimenti resterebbe incompleto. Si potrebbe dunque dedurre da ciò che «coperto di neve» sia analogo a «coperto dalla neve» e che dunque il predicato sia verbale; tuttavia il valore argomentale di «di neve» non è dirimente, ai fini del valore verbale piuttosto che aggettivale, dal momento che anche gli aggettivi possono esigere un complemento argomentale per essere completati, come nel caso di «essere pieno di neve», «essere adatto alle strade bagnate», «essere tifosa di una squadra» e simili. Pertanto, esattamente come «era fradicio» e «era pieno (di neve)» sono predicati nominali, analogamente «era bagnato (fradicio) e «era coperto (di neve)» sono predicati nominali, mentre «era sferzato dal vento», per esempio, sarebbe un predicato verbale, dal momento che, proprio come in «bagnato dalla pioggia» e «coperto dalla neve», i complementi di causa efficiente consentono la trasformazione della frase da passiva in attiva («il vento lo sferzava», «la pioggia lo bagnava», «la neve lo copriva»), requisito di un predicato verbale (ma non di un predicato nominale: gli aggettivi e i nomi, non essendo temporalizzati, non hanno diatesi attiva o passiva). Tornando però, circolarmente, all’inizio del mio ragionamento, anche quest’ultima analisi potrebbe essere contestata, dal momento che non tutti i verbi passivi reggono un complemento d’agente o di causa efficiente, né soltanto i verbi ammettono la reggenza di un argomento oltre al soggetto. Come si vede, in casi siffatti, più che la distinzione tra predicato verbale e nominale sembra contare il riconoscimento della predicazione e la struttura sintattica della frase, cioè il riconoscimento di tutti gli argomenti del verbo, dei sostantivi e degli aggettivi.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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QUESITO:

Tutte e tre le varianti sono ammissibili?

“Il fatto non è dovuto a negligenza / a una negligenza / a una qualche negligenza” (da parte dell’imputato, ad esempio).

Nello specifico _a qualche_ e _a un qualche_ sono intercambiabili?

“Chiedilo a qualche medico / a un qualche medico”.

 

RISPOSTA:

Per quanto riguarda a negligenza / a una negligenza, la variante senza l’articolo è generica e non specifica, ovvero si riferisce alla classe designata dal sintagma nominale, mentre la variante con l’articolo indeterminativo è individuale non specifica, ovvero si riferisce a un esempio non specifico della classe designata dal sintagma. In altre parole, a negligenza rappresenta il referente come astratto e non collegato direttamente alla situazione descritta, a una negligenza lo rappresenta come un elemento qualsiasi integrato nella situazione. Come conseguenza pragmatica, a una negligenza veicola un’intenzione comunicativa di accusa, perché identifica una responsabilità circostanziale, mentre a negligenza rileva soltanto la circostanza, senza evidenziare alcuna responsabilità. Il terzo caso possibile in italiano, quello del referente individuale specifico, è costruito con l’articolo determinativo o un aggettivo dimostrativo; ad esempio: “La negligenza che hai dimostrato è grave”, oppure “Quella negligenza mi è costata cara”. Si noti che il nome negligenza è astratto quando è generico, concreto quando è individuale, perché passa a identificare un atto e le sue conseguenze.

La variante un qualche è ridondante rispetto al solo un; l’aggettivo indefinito non aggiunge alcuna informazione al sintagma costruito con l’articolo indeterminativo, per quanto sia ipotizzabile che sia inserito per aumentarne la non specificità, ovvero l’indeterminatezza. Inoltre, qualche rende automaticamente il sintagma logicamente plurale, anche se grammaticalmente è singolare (qualche dottore = ‘alcuni dottori’), quindi non è compatibile con l’articolo indeterminativo. Per questi motivi la sequenza un qualche è da evitare in contesti di formalità media e alta, specie se scritti; la ridondanza, e persino la forzatura grammaticale, invece, sono tollerabili nel parlato informale.

Va sottolineato che un qualche dottore non è equivalente a un dottore qualsiasi / qualunque (possibili, ma meno formali, anche le varianti un qualsiasi / qualunque dottore), che indica l’assenza di qualità particolari (o il fatto che l’individuazione di qualità particolari sia trascurabile). Ad esempio: “Chiedilo a un qualche medico” = ‘chiedilo a un medico’ / “Chiedilo a un medico qualsiasi” = ‘chiedilo a un medico a prescindere da chi esso sia’.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vi propongo un altro quesito.

  1. Cercò di riattivare una memoria/quella memoria che non gli venne in soccorso.

Domando se sia normale (e anche corretto), in questo caso, sostituire l’articolo determinativo “la” o con l’indeterminativo o con l’aggettivo dimostrativo. È evidente che la “memoria” sia sempre e soltanto una, non necessitando dunque di essere distinta da altre; mi sembra tuttavia che, nell’esempio segnalato, l’articolo indeterminativo o l’aggettivo dimostrativo si prestassero bene al legame con la proposizione successiva.

Il concetto si sarebbe potuto formulare, a mio avviso, anche mantenendo l’articolo determinativo e lavorando con la punteggiatura:

  1. Cercò di riattivare la memoria, che (però) non gli venne in soccorso.
  2. Cercò di riattivare la memoria. Che (però) non gli venne in soccorso.

Ma mi sento più incline verso le prime due soluzioni.

Nella speranza di aver espresso chiaramente il fulcro della questione, nonché le ragioni che mi hanno spinta a operare le scelte sopraindicate, vi ringrazio di nuovo per la vostra preziosa attenzione.

 

RISPOSTA:

Sia l’articolo (determinativo o indeterminativo) sia l’aggettivo dimostrativo svolgono la funzione di determinante, cioè servono a meglio circoscrivere il senso e l’ambito dei nomi che precedono, per es. specificando se indicano elementi generici, categorie astratte, elementi di un insieme, elementi già nominati o mai nominati prima, noti o ignoti all’interlocutore ecc. Con termini come memoria, che indicano elementi non numerabili, non è frequente l’articolo indeterminativo, se non in casi particolari («ha una memoria eccezionale»). Nella sua frase 1 quindi opterei per l’articolo determinativo la, preferibile anche rispetto a quella, perché il valore forico (cioè la memoria ripresa subito dopo tramite il pronome relativo che) è già reso dall’articolo determinativo. Non a caso, infatti, l’articolo determinativo italiano deriva proprio da un dimostrativo (latino): ILLAM (o, al maschile, ILLUM). Le alternative interpuntive proposte sono altrettanto corrette, ma non indispensabili, a meno che non si voglia sottolineare il fatto che (la memoria) non venga in soccorso. Del resto, come giustamente osserva lei, la memoria è sempre una, e dunque qui non ha senso la distinzione tra relativa limitativa (senza virgola) o esplicativa (con la virgola). Pertanto la presenza o no di un segno interpuntivo che distacchi la subordinata relativa dalla reggente è dovuta soltanto all’esigenza di conferire maggiore autonomia (e dunque rilievo semantico) al mancato soccorso della memoria.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Salve quale affermazione è corretta?

Grazie per esserci stata vicinO

Grazie per esserci stata vicinA

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette, perché vicino ha due diversi valori in italiano: come aggettivo o come avverbio. Come aggettivo richiede l’accordo di genere e di numero («stati vicini», «state vicine») con il nome o il pronome cui si riferisce, come avverbio è invece invariabile. Pertanto in «Grazie per esserci stata vicina», vicino è un aggettivo e come tale va accordato con il soggetto (sottinteso) cui si riferisce (cioè tu). In «Grazie per esserci stata vicino» invece vicino è un avverbio e come tale non cambia né nel genere né nel numero («stati vicino», «state vicino»). Come avverbio vicino è simile a «accanto».

Il significato delle due frasi non cambia nella sostanza, anche se il valore aggettivale è meno impersonale e dunque, in certo qual modo, più caloroso.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nel caso seguente, cos’è più corretto?

«La ZIPPO è un tipo di sedia completamente nuova, nata da un esperimento interessante»

oppure

«La ZIPPO è un tipo di sedia completamente nuovo, nato da un esperimento interessante».

Ossia, la concordanza dell’aggettivo va fatta con “un tipo” o con “sedia”?

 

RISPOSTA:

La concordanza corretta è soltanto quella al maschile, con «un tipo», che è la testa del sintagma «un tipo di sedia». Se vuole la concordanza al femminile non deve usare «un tipo di sedia» ma «una sedia»: «La ZIPPO è una sedia completamente nuova, nata da un esperimento interessante».

Fabio Rossi

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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QUESITO:

Vorrei sottoporre alla sua attenzione un quesito su quella che forse si potrebbe definire una sostantivizzazione del participio.

1) I morti per covid = la gente che è morta a causa del covid.

2) I Laureatisi in economia = le persone che si sono laureate in economia.

(Verbo intransitivo/participio passato verbale)

3)Gli Infettati da covid = la gente che è stata infettata dal covid.

4)I preoccupati da questa situazione = la gente che viene preoccupata dalla situazione

(Verbo passivo/participio passato verbale)

5)Gli amanti la musica = le persone amanti la musica.

6)I partecipanti al convegno = le persone partecipanti al convegno.

7)Gli aventi diritto = Le persone aventi diritto.

(Participio presente verbale)

8)I laureati in economia = Le persone che sono laureate in economia

9)I preoccupati per questa situazione = le persone che sono preoccupate per questa situazione

(Participio passato con funzione aggettivale)

10)I partecipanti al convegno = Le persone che sono partecipanti al convegno

(Participio presente con funzione aggettivale)

11)Gli infetti da covid = la gente che è infetta da covid.

12)Gli esperti di musica = Le persone che sono esperte di musica.

13) I pieni di rabbia = la gente che è piena di rabbia.

(Aggettivo)

Non penso che tutti i casi in questione siano sostantivi veri e propri, ma che il sostantivo sia racchiuso all’interno di participi passati verbali, participi presenti verbali, participi passati aggettivali, participi presenti aggettivali e aggettivi.

Penso si tratti di sostantivizzazione, altrimenti, basandoci sulla prima frase, avremmo, per esempio:

“Siete dei morti per il covid”, che sarebbe una frase con tutt’altro senso, in quanto il participio passato “morto” in questa specifica frase è un sostantivo “puro” , ma nell’uso che si fa nella frase “1” non corrisponde alle funzioni che ha come sostantivo puro, ma a quelle del verbo.

In poche parole, nella prima frase dell’elenco mantiene il proprio valore verbale (intransitivo) originario, cioè di di participio passato verbale di forma intransitiva.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda il participio presente “amante”.

Per esempio:

Può essere un sostantivo puro = “gli amanti della musica”.

Può essere un participio presente usato come aggettivo, cioè un participio presente con funzione aggettivale = “le persone che sono amanti della musica”.

Può essere, come nella frase in questione (5), usato come participio presente verbale, o meglio, ne ha tali funzioni nella quinta frase = “le persone amanti la musica”.

Lei cosa ne pensa? Ritiene la mia analisi giusta o sono letteralmente fuori strada?

 

RISPOSTA:

Il participio (presente e passato) si chiama così, fin dal latino, proprio perché ha una natura duplice, sia verbale, sia aggettivale-nominale, come dimostra tra l’altro la lessicalizzazione piena di alcune parole, divenute sostantivi a tutti gli effetti: amante, i morti ecc., oppure di partici latini divenuti sostantivi italiani: studente, docente, presidente ecc. Dunque «I morti per Covid» è un caso di participio sostantivato (ma comprendo la sua osservazione al riguardo, sulla quale tornerò alla fine della risposta). «I laureatisi in economia» non è corretto, perché l’uso sostantivato sarebbe «I laureati in economia», mentre laureatisi, con la particella pronominale del verbo laurearsi, rende il participio verbale: «le persone laureatesi in economia» va invece bene, ancorché pesante; anche in questo caso sarebbe meglio «le persone laureate in economia».

«Gli Infettati da Covid» può essere considerato sia d’uso nominale (perché ha l’articolo) sia verbale (perché ha il complemento di causa efficiente).

«I preoccupati da questa situazione»: come sopra, sebbene nessuno in un italiano comune e fluido userebbe mai un’espressione così innaturale. Sarebbe molto meglio «le persone preoccupate per questa situazione».

«Gli amanti la musica»: come sopra, sia nominale (per l’articolo), sia verbale (per il complemento oggetto). Ma sarebbe preferibile l’uso pienamente nominale: «Gli amanti della musica».

«I partecipanti al convegno»: uso nominale.

«Gli aventi diritto»: sia nominale sia verbale.

«I laureati in economia»: nominale.

«I preoccupati per questa situazione»: nominale, ma, come detto sopra, meglio «le persone preoccupate per questa situazione».

«Gli infetti da Covid»: infetto in italiano non è participio passato, dunque l’uso è ovviamente nominale.

«Gli esperti di musica»: nominale, perché il participio passato di esperire è esperito, non esperto.

«I pieni di rabbia»: nominale, pieno non è participio. Ovviamente, se in tutti questi casi si premette «le persone», quanto segue passa dal valore nominale a quello aggettivale.

Il suo ragionamento, ancorché un po’ farraginoso, è in gran parte giusto. Per riassumere: dato che in molti casi il participio continua a reggere un complemento (ovvero un argomento, cioè un completamento) del verbo (come «I morti per Covid», «Gli infettati dal Covid» ecc.), allora, anche se è preceduto dall’articolo, esso non perde del tutto la sua componente verbale. Il ragionamento è sensato, però deve tener presente che in italiano anche aggettivi e nomi possono reggere argomenti, come per es. pieno, disponibile, voglia, paura ecc.: «la piena di grazia», «i disponibili all’incontro», «ho voglia di vacanza», «paura di morire» ecc. Come vede, il confine tra nome (o aggettivo) e verbo è, a ben guardare, meno rigido di quanto si creda, non soltanto nel caso del participio (presente e passato). Pertanto, in conclusione, la reggenza di complementi come «per Covid», «da Covid», «la musica» ecc. non giustifica il fatto che i participi reggenti quei complementi siano soltanto verbali, ma, quantomeno, che siano sia nominali (o aggettivali) sia verbali.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Gradirei proporvi queste tre parole: pleonastico, ridondante e tautologico. A mio parere si tratta di sinonimi che significano ‘eccessivo’, ‘superfluo’.

Questi termini hanno a che fare con un aspetto quantitativo, cioè con la ripetizione dello stesso concetto facendo ricorso a parole diverse (es. bella, attraente e fisicamente perfetta) e non qualitativo (es. uso di parole ampollose, eccessivamente ricercate). Inoltre ritengo che i termini pleonastico e ridondante si riferiscano soltanto ad un discorso, mentre il vocabolo tautologico si possa attribuire tanto ad un discorso quanto ad un parlante. Ovviamente non sono sicuro di ciò ed è per questo motivo che mi sarebbe gradita la vostra opinione a riguardo.

 

RISPOSTA:

Tra le tre parole non vi è un rapporto di sinonimia assoluta (del resto rarissima), bensì di quasi sinonimia. Tautologico si riferisce perlopiù all’uso di termini che non aggiungono nulla in più rispetto a quanto già espresso dal significato di altri termini, per es. «il cantante canta». Tautologico non si riferisce, di norma, a una persona, ma soltanto a un uso linguistico, a un testo, e perlopiù a una definizione o simili (concetto, ragionamento ecc.).

Pleonastico si usa perlopiù in riferimento a pronomi o costrutti ridondanti, in quanto rimandano allo stesso referente già designato da un altro sintagma, per es. «il mare lo vedo» (dove lo si riferisce a il mare). In questo senso, pleonastico e ridondante, nella lingua comune, possono essere usati come sinonimi, sebbene ridondante abbia un campo semantico più ampio, mentre pleonastico sia più specifico. Ridondante, di tutti e tre gli aggettivi, è quello che più si presta a un uso più generale, e dunque si può riferire anche, genericamente, a un discorso eccessivamente carico e ampolloso: «testo ridondante di tecnicismi», «discorso ridondante di complimenti» (in nessuno dei due casi ridonante può essere sostituito da pleonastico o da tautologico), «stile o prosa ridondante» ecc. In questo senso, dunque, ridondante è l’unico dei tre aggettivi a potersi riferire anche, qualitativamente, all’uso di parole ampollose, eccessivamente ricercate.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Retorica
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QUESITO:

So che il termine elezione viene usato spesso in campo medico con il significato di ‘migliore’, ‘più opportuno’. Per esempio: “In quella situazione l’intervento di elezione è l’asportazione della cistifellea”. Vorrei sapere se lo stesso termine può essere usato con lo stesso significato in altri contesti. Per esempio: “Se ci si trova nel raggio d’azione di un serpente, la strategia di elezione consiste nel rimanere immobili”.

 

RISPOSTA:

Il termine elezione ha come primo significato quello di ‘scelta volontaria’; dal significato primario, però, si è sviluppato quello di ‘preferenza’, che emerge chiaramente nell’espressione di elezione e nell’aggettivo semanticamente equivalente elettivo ‘frutto di scelta’ (come nel titolo del romanzo di Goethe Le affinità elettive), ma anche ‘preferibile’. Nell’uso comune, quindi, l’espressione significa ‘preferibile’ (quindi la strategia d’elezione = ‘la strategia preferibile’); nel linguaggio della medicina, invece, permane il significato primario, infatti un intervento di elezione non è quello preferibile, ma quello scelto volontariamente in presenza di altre possibilità, come la procrastinazione o un altro tipo di intervento.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se con piuttosto che si possano usare i due punti, come nel caso: «Piuttosto che: “L’occasione fa l’uomo ladro”, si dovrebbe dire…».

Inoltre, se nella frase “Avere un’amica, come riteneva necessaria la madre”, sia giusto mettere “necessaria” e non “necessario”.

 

RISPOSTA:

No, nel primo caso non si tratta di un elenco, ma di una frase legata, che come tale non richiede i due punti.

Nel secondo caso, l’accordo corretto è al maschile (necessario), perché l’aggettivo non si riferisce all’amica, bensì all’azione (e alla proposizione) avere un’amica.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

E’ giusto scrivere: “Quadri orario o quadri orari” , “Moduli orari o moduli orario”?
 

 

RISPOSTA:

Vanno bene entrambe le soluzioni, in italiano. L’una, più tradizionale (quadri orarimoduli orari), tratta il secondo termine come aggettivale e dunque lo accorda col sostantivo precedente, mentre l’altra (più sul modello inglese, e dunque forse meno apprezzata in uno stile più tradizionale) tratta orario come sostantivo con ellissi della preposizione reggente: cioè quadro orario = quadro dell’orario. I sintagmi con omissione della preposizione (come anche, ad es., monte ore), ancorché ammissibili, hanno spesso un sapore tra il tecnologico e il burocratico sgradito ai palati più raffinati e pertanto, se possibile, potrebbero essere utilmente sostituiti dai costrutti più tradizionali (quadri orarimoduli orarimonte orario ecc.).

Fabio Rossi
 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quando il verbo essere viene usato in una costruzione tipo il fatto è che, dato che essere è un verbo copulativo, non è possibile che la proposizione introdotta dal pronome che sia un’oggettiva, è vero? Il fatto diventa il predicato nominale? 
Prendiamo questo esempio: “Sono contento che sia andata così”. Qui abbiamo il verbo copulativo essereIo è il soggetto, giusto? Contento sembra un predicato nominale, giusto? La proposizione dopo il che non può essere una soggettiva anche se il verbo nella prima frase è essere: come mai? È a causa del predicato nomiale contento o a causa del soggetto io? O è qualcos’altro? 
Prendiamo questo esempio dal libro Il francese di Massimo Carlotto:

Si era convinto che quella bella ragazza non POSSEDESSE altro che il suo corpo (p. 9-10).
 
Sembra un’altra proposizione oggettiva (dopo che). Non riesco a capire come mai non è scritto “Si era convinto del fatto che quella bella ragazza non possedesse altro che il suo corpo”. Quale tipo di proposizione segue il che nella frase scritta da Carlotto?

 

RISPOSTA:

La copula non può reggere il complemento oggetto, quindi se la reggente è il fatto è o espressioni simili la subordinata è soggettiva. In effetti questa subordinata potrebbe rappresentare sia il soggetto del verbo essere (per esempio “Il fatto è che non voglio venire” = “Che non voglio venire è il fatto”), sia il completamento del predicato di cui fa parte il verbo essere (che non potremmo chiamare predicato nominale, visto che sarebbe formato dalla copula più un’intera proposizione); per semplicità, comunque, la consideriamo soggettiva (e in nessun caso oggettiva). Nella frase “Sono contento che sia andata così” la proposizione subordinata non può fare da soggetto del verbo essere: in questo caso il soggetto della reggente non può che essere io e il predicato nominale è sono contento. L’aggettivo contento può essere completato da un argomento preposizionale (che prende il nome di oggetto obliquo), per esempio sono contento del risultato, oppure da una proposizione argomentale (ovvero completiva) oggettiva. L’aggettivo convinto ha la stessa costruzione di contento: può reggere un argomento preposizionale (per esempio sono convinto della mia opinione) o una proposizione oggettiva, come nel suo esempio. Nella variante della frase sono convinto del fatto che… l’aggettivo convinto è completato dall’argomento preposizionale del fatto, il quale, a sua volta, regge una proposizione argomentale. Questa proposizione può essere classificata ancora come oggettiva, se consideriamo convinto che equivalente a convinto del fatto che, oppure (come farei io) dichiarativa, visto che è retta non da un verbo, ma dall’argomento di un verbo.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Quale forma è corretta?
Una volta sola
Una volta solo

Marco non era a casa
Marco non c’era a casa

Inoltre ad una donna non sposata anche se ha una età avanzata si può dire ancora signorina?

 

RISPOSTA:

“Una volta sola” (o “Una sola volta”) e “Una volta solo” (o “Solo una volta”) sono entrambe frasi corrette, sebbene la seconda sia meno adatta a un contesto formale. Nella prima, l’aggettivo solo è, come di consueto, accordato con il sostantivo femminile volta. Nella seconda, invece, solo non ha valore di aggettivo bensì di avverbio, ovvero sta per soltanto.
“Marco non era a casa” va bene sempre e in tutte le varietà di italiano, mentre “Marco non c’era a casa” va bene soltanto nel parlato informale o nello scritto che lo imita. Tra l’altro, l’enunciato sarebbe pronunciato con una leggera pausa prima di “a casa”. L’avverbio/pronome locativo ci in questo caso risulta pleonastico per via della presenza del sintagma locativo pieno “a casa”. L’intera frase, dunque, possibile ma informale, si configura come una dislocazione a destra. Può essere utile in un contesto in cui “a casa” sia considerato elemento dato, per es. nel dialogo seguente:
– Ho cercato Marco ma non si trova da nessuna parte.
– Hai cercato a casa?
– Non c’era, a casa!
Una donna non sposata anche se ha un’età avanzata si può dire ancora signorina, anche se l’uso di questa parola è giustamente sempre meno frequente, in quanto fortemente discriminatorio nei confronti delle donne. Perché mai, infatti, di una donna si dovrebbe rilevare lo stato civile mentre di un uomo no? Lei chiamerebbe mai un uomo non sposato signorino?

Fabio Rossi

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QUESITO:

Desidero sottoporre alla vostra attenzione un altro testo dei miei. Volevo
sapere se questo testo fosse ben scritto (anche a livello della
punteggiatura) e se è necessario migliorare il riferimento
pronominale. Inoltre volevo sapere se nel testo si intuisce che la ragazza
si tiene il naso tappato dal momento in cui mi ci infila dentro fino a che
non raggiunge la sua abitazione. Per quanto riguarda l’ultima frase, volevo
sapere se questa fosse ben scritta, oppure se posso formularla ancora
meglio. In altre parole, ciò che voglio dire è che la ragazza fa le ultime
due azioni per tirarmi fuori dal suo naso.

*Successivamente provi ad acciuffarmi, però non ci riesci: sono troppo
piccolo. Ritenti una seconda volta e anche una terza, ma non c’è verso: è
troppo complicato per te. Tuttavia non ti arrendi, e alla fine, dopo aver
fatto quasi l’impossibile, hai successo: a questo punto usi le dita per
infilarmi nel tuo naso; dopodiché continui a tenerti sempre il naso tappato
per intrappolarmici dentro. Ormai non perdi più altro tempo ed esci di
soppiatto dal mio appartamento, e cammini a passo spedito verso casa tua:
che è lontanissima dalla mia. Non appena arrivi, entri subito in camera tua
e chiudi la porta della stanza. Adesso usi sempre le tue stesse dita per
tirarmi fuori dal tuo naso, così come provi a soffiarti, di nuovo, il naso
con la mano: una volta che mi hai espulso fuori da quello, non fai
nient’altro che posarmi con estrema delicatezza sul cuscino del tuo letto.*

Vi ringrazio come sempre per i vostri preziosi suggerimenti. Ne sto facendo
tesoro, e posso dire che grazie ai vostri consigli sto evitando un sacco di
errori. Ancora grazie per il magnifico servizio che offrite.

 

RISPOSTA:

I riferimenti pronominali sono corretti e quanto vuole esprimere si capisce benissimo. Forse si potrebbero migliorare un paio di cose che segnalo sotto nel testo tra parentesi quadre. Ciò che contribuirebbe a rendere il testo un po’ meno faticoso, tra l’altro, è l’eliminazione dei continui aggettivi possessivi tuo: è ovvio che una parte del corpo (naso) sia della persona di cui si fa riferimento, non c’è alcun bisogno di sottolinearlo, di norma. Questa abitudine (sbagliata) di dire continuamente mio nasotue mani ecc. è invalsa dall’inglese (per es. del doppiaggio), in cui invece i possessivi sono sempre obbligatori: my nosemy fingermy house ecc.
Ecco qui il brano con alcune proposte di correzione:

Successivamente provi ad acciuffarmi, però non ci riesci: sono troppo piccolo. Ritenti una seconda volta e anche una terza, ma non c’è verso: è troppo complicato per te. Tuttavia non ti arrendi, e alla fine, dopo aver fatto quasi l’impossibile, hai successo: a questo punto usi le dita per infilarmi nel tuo naso [qui tuo è corretto ed efficace, perché in effetti il contesto è davvero insolito: complimenti per la vivida fantasia!]; dopodiché continui a tenerti sempre il naso tappato per intrappolarmici dentro. Ormai non perdi più altro tempo ed esci di soppiatto dal mio appartamento, e cammini a passo spedito verso casa tua: [qui sarebbe meglio una virgola al posto dei due punti] che è lontanissima dalla mia. Non appena arrivi, entri subito in camera tua e chiudi la porta della stanza. Adesso usi sempre le tue stesse dita per tirarmi fuori dal tuo [eliminare tuo: ormai è chiaro di chi sia il naso] naso, così come provi a soffiarti, di nuovo, il naso con la mano: una volta che mi hai espulso fuori da quello [da quello è inutile e pesante: eliminarlo!], non fai nient’altro che posarmi con estrema delicatezza sul cuscino del tuo [sta a casa sua, è ovvio che il letto sia il suo: eliminare suo] letto.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Pronome
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nelle seguenti frasi qual è la diversa funzione grammaticale di una?
“Vorrei una sola fettina di arrosto”;
“La zia abita in una bella casa”.

 

RISPOSTA:

Nella prima una è un aggettivo numerale cardinale; nella seconda è un articolo indeterminativo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase “Monica ha braccia più che robuste, spalle larghe, ecc.”,
robuste è aggettivo, invece “più che” è una locuzione oppure serve per formare il
superlativo assoluto?

 

RISPOSTA:

Più che robuste è superlativo assoluto, dunque più che in questo caso è una locuzione avverbiale che sta per ‘molto’.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

La seguente concordanza fra aggettivo e sostantivi è corretta? Le sue grandissime esperienza e capacità.
Grandissime sarebbe rivolto a tutti e due i nomi.

 

RISPOSTA:

La concordanza è corretta, anche se la sequenza aggettivo plurale – nome singolare può risultare sgradevole, per la sua rarità. Tale sequenza si può evitare ripetendo l’aggettivo: la sua grandissima esperienza e la sua grandissima capacità, oppure riformulando la frase, per esempio: la sua esperienza e la sua capacità, entrambe grandissime.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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QUESITO:

Ho l’abitudine di inserire in molte delle mie costruzioni l’aggettivo “eventuale”. 

Dopo anni e anni di impiego largo e sistematico ho iniziato a domandarmi se esso sia stato, e sia, superfluo. Non vorrei che la semantica delle frasi, o la semplice logica, portasse allo stesso risultato finale per il mittente, anche se l’aggettivo fosse espunto.

Ecco un campionario di esempi:  

a) Bisogna controllare l’eventuale buona riuscita dell’esperimento.
b) È opportuno verificare l’eventuale assenza del delegato.
c) Il vincitore dovrà eventualmente partecipare alla premiazione?
d) Gli esaminatori valuteranno i progetti e ne giudicheranno l’eventuale approvazione.
e) Dati aspetti della circolare sono determinanti ai fini di un eventuale stato di agitazione.

 

RISPOSTA:

In effetti  in tutti gli esempi citati eventuale ed eventualmente sono pleonastici, perché l’eventualità del fatto è implicata dal contesto o dal significato del verbo:
a) se bisogna controllarla, vuol dire che che la buona riuscita non è assodata, ma va per l’appunto controllata;
b) idem per verificare;
c) l’eventualità è data dalla domanda stessa;
d) valutare e giudicare sono alla stregua di controllare e verificare;
e) forse è questo l’unico caso in cui eventuale possa agevolare la comprensione dell’enunciato, dal momento che lo stato di agitazione potrebbe essere dato per assodato, se non ci fosse eventuale; anche se dal senso generale dell’enunciato si capisce che essere determinante ai fini di qualcosa ha senso soltanto se questo qualcosa esiste, altrimenti il discorso non avrebbe senso; e dunque direi che eventuale è tranquillamente omissibile anche in questo caso.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Avverbio
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QUESITO:

Leggendo su internet i vari nomi dati alla morte, come Tristo Mietitore o Signora in Nero, mi chiedo se è così che ci si debba regolare nel caso se ne volessero coniare di nuovi. Mi riferisco alle maiuscole, che vengono messe anche alle parole seguenti, ma non alle preposizioni.

 

RISPOSTA:

Le convenzioni sull’uso della maiuscola sono poco vincolanti quando si tratta di usi non canonici. Nel suo caso possiamo considerare le espressioni da lei citate come nomi propri composti (in questo senso anche Morte può essere scritto maiuscolo, se è usato come nome proprio). I nomi propri formati da più di una parola sono piuttosto rari: esempi del genere sono quelli geografici, come Monte BiancoMar Nero e anche L’AquilaIl Cairo ecc. Per convenzione, tutte le parole che compongono questi nomi si scrivono maiuscole; questa convenzione, però, si scontra con quella, opposta, che sfavorisce la maiuscola per le parole vuote (articoli, preposizioni, congiunzioni). Nel caso di L’Aquila e simili questa eccezione è aggirata dal fatto che la parola vuota è iniziale, quindi la maiuscola si giustifica per quest’altra via; in casi come Mare dei Sargassi, invece, si propende senz’altro per la minuscola per le preposizioni. 
Il suo caso può essere ben assimilato a quello dei nomi geografici, per cui vanno bene Tristo Mietitore (come Mar Nero) e Signora in Nero (come Mare dei Sargassi). Non sono esclusi, però, tristo Mietitore, visto che tristo è decisamente distinguibile come attributo, mentre Nero di Mar Nero è più nettamente parte del nome, e Signora in nero, perché, similmente, in nero è una specificazione abbastanza autonoma, laddove dei Sargassi di Mare dei Sargassi è nettamente parte del nome.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Nome, Preposizione
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Si dice un ragazzo e una ragazza biondi (perché con l’aggettivo, il genere maschile prevale sul femminile  quando il numero è plurale); però, per quanto riguarda il sostantivo, in specie quando si riferisce agli  aggettivi numerali ordinali, non è così:

Questi sono il primo e il secondo posto.
Terzo e quarto premio assegnato.

Scrivendo il primo e il secondo posti o terzo e quarto premi assegnati si incorrerebbe in forme grammaticalmente errate o soltanto insolite?

 

RISPOSTA:

L’accordo al plurale tra il nome e l’aggettivo è corretto: è percepito come inatteso per via del forte legame sintattico che si crea tra l’aggettivo preposto al nome e il nome stesso. Se il nome è accompagnato anche dall’articolo, per giunta, si crea un paradosso: l’articolo concorda non con il nome ma con l’aggettivo. Impossibile, del resto, sarebbe una frase come *i primo e secondo posti.
Il paradosso e, almeno in parte, la sensazione di stranezza spariscono se si anticipa il nome: i posti primo e secondopremi terzo e quarto assegnati. Per evitare la costruzione problematica con gli aggettivi preposti al nome è possibile, oltre che anticipare il nome, ripeterlo: il primo posto e il secondo postoterzo premio e quarto premio assegnati. Possibile, in fondo, è anche la costruzione con il nome posposto al singolare, che è grammaticalmente imperfetta, ma non ambigua e giustificabile (per il già ricordato legame stretto tra l’aggettivo preposto e il nome).
Fabio Ruggiano 

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QUESITO:

“Entro stasera bisogna che il capoufficio mi chiami/mi abbia chiamato.”
“Entro stasera bisognerebbe che il capoufficio mi chiamasse/mi avesse chiamato.”
Se le due varianti proposte per ognuna delle frasi sono corrette, domando:
le forme verbali in questi casi sono riconducibili alla consecutio (abbia chiamato e avesse chiamato sono rispettivamente anteriori a bisogna e bisognerebbe), oppure indicano il grado di probabilità dell’evento (abbia chiamato e avessi chiamato sono meno probabili rispetto a chiami e chiamasse)?

 

RISPOSTA:

Il verbo bisognare (e analoghi: è necessariorichiesto ecc.) regge una completiva che ha due marche di subordinazione: il connettivo che (talora omesso) e il congiuntivo, che nel registro meno formale può tranquillamente sempre essere sostituito dall’indicativo. Il congiuntivo, pertanto, retaggio di antiche reggenze latine, serve a indicare la subordinazione e non il grado di eventualità (come erroneamente detto dalle grammatiche), tranne in alcuni ovvi casi come il periodo ipotetico ecc. (ma su questo troverà ampia documentazione nel nostro archivio delle risposte DICO digitando la parola congiuntivo). La completiva retta da bisogna non ha bisogno (scusi il gioco di parole) di specificare finemente il tempo dell’azione rispetto alla reggente; in altre parole, da adesso (momento dell’enunciazione, ovvero di chi dice bisogna) a quando l’enunciatore/trice ritiene che “bisogni”, l’azione si esprime di norma al presente (o all’imperfetto in dipendenza da bisognava). Oltretutto, nel suo esempio, l’azione della chiamata non è anteriore, bensì posteriore alla reggente (bisogna adesso), ma è semmai anteriore rispetto alla circostanza posta dallo/a stesso/a enunciatore/trice (entro stasera). Motivo per cui, a maggior ragione, non c’è alcun bisogno di utilizzare il passato (mi abbia chiamato / mi avesse chiamato), né c’entra nulla l’eventualità; come ripeto, infatti, il congiuntivo è richiesto (nello stile formale) come marca di subordinazione, non come indicazione di eventualità (bisogna, oltretutto, esprime la necessità non certo l’eventualità, sebbene non sia certo se la persona chiami o no). Quindi, la consecutio temporum non richiede affatto il passato e l’azione espressa al presente (o all’imperfetto) rappresenta l’alternativa migliore. Possiamo dunque dire che l’alternativa mi abbia / avesse chiamato sia (o è) scorretta? Non direi: con la lingua si può fare quasi tutto quel che si vuole e pertanto se un/a parlante sente l’esigenza di esprimere l’azione come anteriore vuol dire che la lingua gli/le consente di farlo, però mi sento di affermare che la soluzione al passato / trapassato sia / è meno appropriata, soprattutto a un contesto formale.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Anton si fermò impietrito” impietrito è un aggettivo?

 

RISPOSTA:

Dal punto di vista morfologico è il participio passato del verbo impietrire. Nella frase ha più la funzione di aggettivo che quella di verbo, sebbene la funzione verbale rimanga sempre in parte operante. Riconosciamo che il participio ha la funzione di aggettivo perché esso descrive una condizione, una qualità temporanea del soggetto, non un processo subito dal soggetto. La funzione di verbo emergerebbe con chiarezza se, per esempio, aggiungessimo un complemento di causa efficiente: “Anton si fermò impietrito dalla paura”. In questo caso, il participio descriverebbe l’azione dell’agente inanimato sul soggetto, non una condizione in cui si viene a trovare il soggetto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

È possibile accordare il pronome indefinito qualcosa a un aggettivo femminile?
“Cerco qualcosa bella” è completamente sbagliato?

 

RISPOSTA:

L’accordo al femminile è sbagliato, perché qualcosa è maschile sia come pronome, sia come nome (un qualcosa, non *una qualcosa). Bisogna dire che tale errore è molto comune, perché i parlanti riconoscono il nome femminile cosa all’interno di questa parola e sono tratti in inganno; rimane, però, sicuramente un errore. 
Fabio Ruggano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Quale affermazione è corretta?

Ci porterà molto fortuna.
Ci porterà molta fortuna.

 

RISPOSTA:

Le frasi sono entrambe corrette, ma la seconda, nella quale molta è un aggettivo che accompagna fortuna, è di gran lunga più comune. Nella prima molto è un avverbio che si riferisce a tutta la frase. Per cogliere con più chiarezza il significato della prima frase si può sostituire molto con il sinonimo grandemente: “Ci porterà grandemente fortuna”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nella frase: “quel quartiere è pericoloso: restane lontano”, lontano è complemento
predicativo del soggetto o complemento di luogo?

 

RISPOSTA:

Lontano è predicativo del soggetto, mentre la particella pronominale atona (clitica) ne (= da quel luogo) è complemento di moto da luogo.
Che luogo abbia qui valore di aggettivo e non di avverbio è confermato dal fatto che deve accordarsi col soggetto: resta lontana, restate lontani/e ecc.
In una frase in cui lontano avesse valore di avverbio (es. andiamo lontano), esso sarebbe allora complemento di luogo (in questo caso moto a luogo).

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se questa frase è corretta: “Non intendo insegnare a nessuno il suo mestiere”. Dal punto di vista grammaticale mi sembra una frase corretta perché uso l’aggettivo suo collegandolo a un complemento di termine. L’unico problema è che quel suo mi suona male: mi suonerebbe meglio proprio, che però credo sia errato.

 

RISPOSTA:

La scelta corretta è suo: come da lei suggerito, infatti, proprio si può riferire soltanto al soggetto, che deve, inoltre, essere di terza persona. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In un caso come il seguente, si può considerare l’ultimo elemento (né alcun’altra creatura) come riassuntivo, perciò dominante per la concordanza del verbo al singolare (potrà)?
“Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né  potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Lettera ai Romani 8:38, 39, CEI).

 

RISPOSTA:

L’aggettivo altra contenuto nel sintagma né alcun’altra creatura esclude che questo sintagma riassuma in sé tutti gli elementi precedenti, ma configura le possibili creature evocate come aggiuntive rispetto agli elementi elencati precedentemente. Del resto, il nome creatura non può essere usato correttamente come iperonimo di mortevitapresenteavvenirealtezzaprofondità, che identificano stati dell’essere o qualità, non certo creature.
Non bisogna, comunque, ritenere il verbo singolare potrà un errore (sebbene sia, in effetti, una forzatura grammaticale): quando il soggetto è rappresentato da più elementi collegati tra loro mediante la congiunzione o, come in questo caso, mediante , la concordanza al singolare è comune e ci sono buone ragioni per ammetterla al pari di quella al plurale. Con la congiunzione o, infatti, gli elementi dell’elenco sono l’uno in alternativa all’altro, quindi soltanto uno di essi realizza l’azione; con , invece, addirittura tutti gli elementi sono esclusi dall’azione: nessuno di essi, infatti, è il soggetto logico, Nella sua frase, per esempio, il soggetto logico, soggiacente a tutta la costruzione, è niente.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Non capisco se, in queste frasi, quello indicato in corsivo sia un complemento di modo o predicativo. C’è un “trucchetto” per imparare a distinguerlo senza avere dubbi?
1. “FRANCESCO CORRE VELOCE VERSO LA PALESTRA” (qui direi che si tratta di un COMPL. DI MODO perché posso trasformarlo nell’avverbio velocemente; ma sarebbe errato del tutto considerarlo compl. predicativo?).
2. SE NE ANDÒ ZITTO ZITTO A CASA.

 

RISPOSTA:

Per distinguere l’aggettivo con funzione predicativa da quello con funzione avverbiale bisogna considerare se esso descrive uno stato o una qualità del soggetto (predicativo) oppure un modo di realizzazione dell’azione (avverbiale). Spesso questa distinzione è abbastanza netta, ma ci possono essere casi dubbi. Nei suoi due esempi, veloce è decisamente un aggettivo avverbiale (quindi, dal punto di vista dell’analisi logica, un complemento di modo), perché la qualità della velocità si riferisce all’azione del correre, non al soggetto; zitto zitto è direttamente una locuzione avverbiale, equivalente a silenziosamente, quindi è senz’altro un complemento di modo. Diversamente, in una frase come “Se ne andò zitto a casa” zitto sarebbe un aggettivo predicativo (quindi un complemento predicativo), perché descriverebbe non il modo di andare, ma una qualità temporanea del soggetto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Avverbio
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Non so quale frase – o quali, nel caso ce ne sia più di una – tra queste sia scorretta.
Il dubbio verte sulla declinazione del termine dritto.
1a) I ragazzi guardarono dritto negli occhi le ragazze.
1b) I ragazzi guardarono dritti negli occhi le ragazze.
1c) I ragazzi guardarono dritte negli occhi le ragazze.

 

RISPOSTA:

L’unica forma possibile è dritto, perché il termine qui è usato come avverbio di modo ed è, quindi, invariabile.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi sembra che gran e grande siano quasi sempre interscambiabili, sia al maschile che al femminile. Esempi: un gran silenzio e un grande silenziouna gran donna e una grande donna. Ovviamente, davanti ad una vocale si dirà un grand’uomo, con la d prima dell’apostrofo e non un gran uomo. Idem al femminile: una grand’italiana. Ma con la z e la cosiddetta s impura come la mettiamo? Ho letto recentemente su un quotidiano: un gran spavento. Non si dovrebbe dire e scrivere un grande spavento? E con la z, non penso si possa dire una gran zuppa e un gran zio. Ma allora dovrebbe essere sbagliato anche un gran spavento

 

RISPOSTA:

La risposta “Grande / gran / grand’” dell’archivio di DICO risponde quasi pienamente a questa domanda. Aggiungo qui che nell’Italia settentrionale è del tutto comune l’uso di gran in tutti i contesti, anche davanti a consonanti implicate (come la s impura), non contemplato nell’italiano standard. Non mi sorprenderebbe, pertanto, che l’esempio da lei letto sia opera di uno scrivente di provenienza settentrionale.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo
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Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

Gradirei sapere quale fra queste due soluzioni è corretta: “Farò del mio meglio perché tu abbia meno problemi POSSIBILE” (con il significato di ‘che è possibile che tu abbia’) oppure POSSIBILI (con il significato di ‘fra quelli che sono possibili in questo caso’).

 

RISPOSTA:

Nella frase abbiamo un superlativo relativo a cui manca l’articolo determinativo, come è normale nel caso di superlativi di avverbi (“Mario parla meno / più velocemente di tutti”) o, appunto, di nomi. In casi come questi il complemento partitivo è spesso superfluo, perché il superlativo va inteso come universale; tale mancanza, però rende il superlativo formalmente identico a un comparativo: meno problemi, infatti, può ben essere un comparativo di minoranza (ad esempio in meno problemi dell’altra volta). Per ovviare a questo problema si preferisce sottolineare l’universalità del costrutto con l’avverbio possibile, che equivale a ‘in assoluto’. Essendo un avverbio, possibile è invariabile; non è raro, però, che i parlanti lo percepiscano come un aggettivo e quindi lo concordino con il nome, se questo è plurale. Il fraintendimento, per la verità, non provoca ambiguità né produce un significato impossibile, per cui non si può condannare completamente. La forma invariabile, comunque, rimane quella più corretta.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sottoporvi questa frase: “Secondo me il problema è male impostato da questo folcloristico personaggio (e dico folcloristico per usare un eufemismo)”.
Ritengo che ci sia qualcosa da ridire su quel dico folcloristico per usare un eufemismo, ovviamente non sul piano del significato pragmatico, bensì su quello della logica espressiva. Sembrerebbe infatti che lo scrivente, spinto dal desiderio, fine a sé stesso, di usare eufemismi, ricorra al termine folcloristico così come sarebbe potuto ricorrere anche ad altri termini, pur di raggiungere la sua finalità: usare eufemismi. Ciò  non avrebbe alcun senso, altera il significato della frase che, ovviamente, esprime l’intenzione di stemperare un insulto e non il piacere di usare eufemismi.
Quindi, per accordare il piano pragmatico con quello logico, sarebbe meglio, a mio avviso, dire e uso un eufemismo quando dico folcloristico

 

RISPOSTA:

La proposizione finale per usare un eufemismo lascia chiaramente intendere che l’uso dell’eufemismo non sia fine a sé stesso, come lei suggerisce, ma sia a sua volta il mezzo per ottenere uno scopo ulteriore, che è quello di non offendere esplicitamente la persona di cui si sta parlando (facendo, quindi, capire che si intende offenderla).Se così non fosse, non ci sarebbe alcuna ragione di precisare lo scopo dell’uso lessicale.
La sua osservazione si ferma al piano del significato superficiale e trascura il senso che l’espressione assume nel contesto in cui è usata; un senso allusivo, implicato. La sua variante della proposizione, si noti, non sposta di molto la questione; se, infatti, interpretassimo la sua proposizione soltanto dal punto di vista del significato otterremmo una descrizione metalinguistica dell’aggettivo folcloristico, del tutto ingiustificata nel contesto (al pari della proposizione finale). L’unico modo per giustificare la sua precisazione è supporre che essa abbia un secondo fine, che torna a essere quello implicato dalla proposizione finale. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi del periodo
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Vorrei sapere se I due termini sollecito e solerte possono essere usati come sinonimi nel duplice senso di “eseguito senza indugi e, contemporaneamente, con cura, con precisione” oppure se, come suggerisce la radice etimologica, è preferibile operare una distinzione, cioè attribuire a solerte il solo significato di “eseguito con cura” (non valutando, in questo caso l’aspetto temporale, in accordo con l’etimologia composta, se non vado errato, da sollus ars) e a sollecito il solo significato di “concluso in breve tempo” ( in questo caso tralasciando l’aspetto qualitativo dello stesso, in accordo con l’etimologia, che dovrebbe essere riferita alle parole latine sollus citus).

 

RISPOSTA:

Innanzitutto va detto che i due aggettivi sono più frequentemente usati in riferimento alle persone che agiscono, non alle azioni eseguite. 
Detto questo, solerte e sollecito sono solo in parte sinonimi, perché è possibile individuare sfumature di significato che appartengono soltanto a uno dei due aggettivi e non all’altro. Sollecita è una persona che svolge un determinato compito o un’azione con cura e impegno; solerte, invece, è una persona che agisce con impegno in tutte le attività che sono proprie del suo ruolo. Ad esempio, uno studente solerte è uno studente che si impegna in tutte le attività proprie di uno studente; uno studente sollecito è uno studente che ha svolto un compito qualsiasi (non per forza legato al ruolo di studente) velocemente e con cura. Infatti ha perfettamente senso dire “Mario è uno studente solerte”, molto meno “Mario è uno studente sollecito”; allo stesso modo, ha senso dire “Mario è stato sollecito nell’aiutare il suo compagno” (cioè ‘è stato rapido e premuroso’), molto meno “Mario è stato solerte nell’autare il suo compagno”.
Si badi, in conclusione, che nell’aggettivo sollecito è contenuto sia il tratto [+ veloce] sia il tratto [+ con cura]; è, del resto, facile che i due tratti si fondano e si confondano (si pensi anche alla parola premura, che significa tanto ‘cura’ quanto ‘fretta’). Questa confusione è meno evidente, per quanto comunque percepibile, in solerte.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo
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QUESITO:

Ho letto in un libro questa frase: “Era mezzo morta di paura”. Io direi: “Era mezza morta di paura”, essendo mezza un aggettivo. Mi è stato detto che mezzo può essere usato anche come avverbio e di conseguenza l’espressione mezzo morta potrebbe essere considerata corretta. Lo conferma?

 

RISPOSTA:

Nell’espressione da lei citata mezzo è chiaramente un avverbio, quindi deve rimanere invariato a prescindere dal genere dell’aggettivo che accompagna. Funziona, cioè, come moltomolto buonamolto buone ecc. Che sia un avverbio e non un aggettivo è facilmente dimostrabile: mezza morta, infatti, non funziona né sintatticamente né semanticamente. Dal punto di vista sintattico, due aggettivi predicativi in sequenza non separati da una congiunzione o da una virgola sono molto strani: “- Com’era la macchina che hai visto? – Era rossa veloce”; dal punto di vista semantico, l’aggettivo mezzo significa ‘diviso a metà’, e non credo che la signora soggetto della frase fosse divisa a metà, oltre che morta di paura. Piuttosto, la signora era parzialmente morta di paura, ovvero mezzo = parzialmente
Nella lingua d’uso si possono incontrare espressioni come mezza mortamezza matta o simili perché l’avverbio mezzo è molto più raro dell’aggettivo mezzo, quindi il parlante è indotto a credere che mezzo sia sempre un aggettivo. Signora mezza morta, però, equivale, lo ripeto, a *bicicletta molta vecchia (al posto di molto vecchia).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Avverbio
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QUESITO:

Da vocabolario Treccani: “Retrostante – Di luogo o ambiente, che sta dietro a un altro”. Gli esempi lasciano intendere che il luogo o ambiente si debba trovare dietro un altro, ma sullo stesso piano o livello (es. la stanza R.il prato R. la casa).
Vorrei sapere se si può considerare retrostante un luogo/ambiente che non si trova sullo stesso piano/livello dell’altro luogo/ambiente preso a riferimento (es. un balcone retrostante un altro, ma i due balconi sono su piani differenti).

 

RISPOSTA:

Il significato dell’aggettivo retrostante punta l’attenzione su una sola coordinata spaziale, avanti-dietro, e trascura le altre, quindi non esclude che l’elemento così qualificato si trovi su un piano diverso rispetto all’altro elemento che fa da riferimento. Ovviamente, se la posizione relativa dei due elementi non è ulteriormente chiarita, il ricevente potrebbe presumere che la rappresentazione di tale posizione non richieda altri dettagli, e quindi che questi si trovino sullo stesso piano.
Segnalo, a margine, che retrostante può essere usato assolutamente (la cucina retrostante); quando ha un elemento di riferimento, invece, può essere costruito direttamente (retrostante la casa), ma è più frequente con la preposizione a (retrostante alla casa).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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QUESITO:

a) “Marco, Giovanni e Luca sono amici e tutti e tre musicisti. Il solo Giovanni è anche un affermato paroliere”.
b) “Marco, Giovanni e Luca sono tutti e tre musicisti. Ad essere anche un paroliere è il solo Giovanni”.

Vi chiedo se le due costruzioni dell’aggettivo solo, prima in funzione di soggetto, poi in funzione di complemento, sono valide. Per ciò che concerne la seconda frase, gli avverbi solo e soltanto sarebbero certamente più usuali, ma vorrei sapere se sia comunque corretta la mia scelta.

 

RISPOSTA:

L’aggettivo solo preposto al nome e preceduto dall’articolo prende il siginificato di ‘unico, singolo’. Nelle sue due frasi è costruito correttamente (del resto il sintagma il solo Giovanni si ripete identico) e può essere sostituito dagli avverbi solosolamentesoltanto con praticamente nessuno scarto semantico. Va sottolineato che in entrambe le frasi il solo Giovannè soggetto, e in entrambi i casi del verbo è (nella seconda frase si noti è il solo Giovanni, ovvero il solo Giovanni è). La differenza tra la prima e la seconda frase è il diverso modo di focalizzare il sintagma il solo Giovanni, con il solo, che già di per sé concentra l’attenzione sul sintagma che lo contiene, o costruendo una frase scissa (o più precisamente scissa invertita: la scissa sarebbe è il solo Giovanni a essere…), che isola il sintagma all’interno di una proposizione presentativa, introdotta dal verbo essere, completata da una subordinata relativa (o più precisamente pseudorelativa) implicita che contiene l’informazione essere un paroliere. Come si può vedere, l’informazione contenuta nella proposizione pseudorelativa è rappresentata come nota (l’emittente, cioè, presume che il ricevente abbia già in mente tale concetto); il concetto, però, non è stato introdotto prima, quindi la presunzione potrebbe essere sbagliata e il ricevente potrebbe non essere in grado di collegare il concetto di essere un paroliere con quello di sono musicisti. La scelta comunque rimane accettabile perché il concetto di paroliere è in qualche modo estraibile da quello di musicisti, o almeno diventa estraibile da parte del ricevente quando viene introdotto come noto. Più difficile da interpretare, al limite dell’incoerenza, sarebbe stata una costruzione come “Marco, Giovanni e Luca sono tutti e tre musicisti. Ad essere anche un autista è il solo Giovanni”, laddove “Marco, Giovanni e Luca sono amici e tutti e tre musicisti. Il solo Giovanni è anche un autista” sarebbe rimasta del tutto coerente perché l’informazione essere un autista è presentata non come nota, ma come nuova (pur con la focalizzazione dell’attenzione su il solo Giovanni).
Per un approfondimento sulla frase scissa è possibile consultare l’archivio di DICO usando la parola chiave frase scissa.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Articolo
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QUESITO:

È più corretto dire una volta solo o una volta sola? So che comunque si dice spesso solo una volta.

 

RISPOSTA:

Solo una volta e una volta sola sono espressioni comuni, corrette e praticamente sinonimiche. Nella prima solo è un avverbio, equivalente a solamente, nella seconda sola è un aggettivo, concordato con voltaUna volta solo è possibile e corretta, al pari di una volta solamente, ma è sfavorita dai parlanti rispetto a una volta sola
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

“Giuseppe, come studente, è molto superficiale”.
In analisi logica che cos’è l’avverbio moltoCome studente è un’apposizione oppure un complemento predicativo?

 

RISPOSTA:

In analisi logica gli avverbi che modificano gli aggettivi sono considerati parte dell’attributo, del complemento predicativo o della parte nominale rappresentati dall’aggettivo. Nella sua frase molto superficiale è parte nominale. Come studente è un complemento predicativo.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica
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QUESITO:

Da sempre – spero a ragione – uso l’aggettivo suo (con le dovute declinazioni di genere e numero) in riferimento al soggetto della proposizione o del complemento, data la versatilità che lo contraddistingue; per contro, proprio nelle mie costruzioni ha avuto – e ha tuttora – un ruolo circoscritto al solo soggetto. Se la premessa è valida, mi sentirei di segnalarvi alcune criticità.
Prendiamo ad esempio la proposizione Paolo era insieme al suo amico e a sua moglie. 
Mettiamo, inoltre, che per ragioni a noi ignote non si possa modificare l’assetto della costruzione (che ci permetterebbe di agevolarne la comprensione). A rigore, la moglie in esame sarebbe quella dell’amico di Paolo. Se invece si fosse trattato della moglie di Paolo, si sarebbe optato per propria
Sviluppando però questa circostanza, per omogenità di stile e di messaggio, a mio avviso, dovremmo sostituire anche l’aggettivo suo in relazione all’amico del soggetto, vale a dire Paolo.
La frase, così rielaborata, avrebbe questo effetto (su cui vorrei interpellarvi): Paolo era insieme al proprio amico e alla propria moglie. 
Per tirare le somme, e aggiungendo una subordinata, vi chiederei se le seguenti chiose sono valide: Paolo parlò al proprio amico, che decise di confidarsi con la propria moglie (in questo caso la moglie è dell’amico di Paolo). 
Paolo parlò al proprio amico, che decise di confidarsi con sua moglie (in questo caso la moglie è di Paolo).

 

RISPOSTA:

La distinzione tra suo e proprio è nei termini da lei indicati: proprio si può usare soltanto in riferimento al soggetto della proposizione, mentre suo può riferire a qualsiasi sintagma della frase (immagino che lei intenda questo quando parla di soggetto del complemento). Detto questo, una frase come “Paolo era insieme al suo amico e alla propria moglie” è ineccepibile; la omogeneità di stile e di messaggio da lei evocata è un fattore del tutto soggettivo, non generalizzabile; al contrario, direi che la variante insieme al proprio amico e alla propria moglie risulterebbe inutilmente farraginosa, sebbene non scorretta. Lo stesso dicasi per la seconda frase: la variante Paolo parlò al suo amico è del tutto legittima, visto che non c’è nella frase un altro referente concorrente di Paolo. La terza frase presenta lo stesso problema della prima: a rigore tanto propria moglie quanto sua moglie possono rimandare alla moglie del soggetto della proposizione, il pronome che, a sua volta coreferente di il proprio amicosua moglie, però, potrebbe essere la moglie di Paolo, per cui, per escludere ogni ambiguità, è preferibile usare propria moglie se la moglie è dell’amico e usare una perifrasi (per esempio con la moglie di Paolo) nel caso in cui la moglie sia di Paolo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se è errata la frase “Anche questo è un uomo e la sua vita”.

 

RISPOSTA:

La frase è del tutto corretta se si considera questo come pronome “neutro”, con il significato di ‘questa cosa’. In questo caso la frase diviene equivalente a “Anche questa cosa è un uomo e la sua vita’. 
Se, invece, si attribuisce a questo la funzione di aggettivo dimostrativo la frase non è perfettamente corretta, perché il sintagma concordato con questo è un uomo e la sua vita, che contiene due nomi, uno maschile e uno femminile, quindi richiede un accordo plurale maschile. La frase corretta è, pertanto, “anche questi sono un uomo e la sua vita”. Una terza alternativa, che evita questo accordo, corretto ma poco trasparente, è modificare leggermente la sintassi della frase, per esempio così: “Anche questo è un uomo, e anche questa è la sua vita”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi chiedo da sempre come mai si dice la fine (femminile), la settimana (femminile), ma il fine settimana (maschile). In italiano, il genere delle parole composte non è collegato ai generi delle parole singole che contengono?

 

RISPOSTA:

La questione è effettivamente aperta. Di norma il genere dei composti corrisponde al genere della loro testa, ovvero del costituente che detta le caratteristiche morfologiche e semantiche. Per esempio, un pescecane è maschile e definisce un tipo di pesce perché la testa del composto è pesce.
Nel caso di fine settimana ci si aspetterebbe che il genere fosse femminile, perché fine, che è la testa del composto, è femminile (ma può essere anche maschile, con il significato di ‘obiettivo, scopo’). La ragione della scelta del genere maschile per questo composto è probabilmente che esso è un calco traduzione dell’inglese week end, e quindi è trattato come una parola straniera. Le parole straniere che entrano in italiano provenendo da lingue prive del genere (come è l’inglese) sono di solito maschili, ma possono essere anche femminili se richiamano alla memoria dei parlanti altre parole femminili già esistenti in italiano (per esempio, e-mail è femminile perché richiama posta o lettera). Nel caso di fine settimana i parlanti non hanno sentito l’eco di la fine, ma hanno, invece, assimilato questa parola ai giorni della settimana, che sono tutti maschili tranne uno.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se è da considerarsi errore l’espressione “più acerrimo” oramai di uso comune e presente anche in opere di Pirandello.

 

RISPOSTA:

La risposta più sintetica è: sì, è ancora da considerarsi errore, perché le grammatiche e i dizionari dell’italiano odierno considerano tuttora acerrimo come superlativo colto (latineggiante) di acre e agro, rispetto al meno colto agrissimo (pure possibile); come tale, non ammette alcuna gradazione (più acerrimomeno acerrimoil più acerrimo ecc.).
Ma, come ben sa, la lingua, la grammatica e la linguistica raramente ammettono risposte semplificate e rassicuranti, come ogni fenomeno umano e sociale. Acerrimo è sempre più spesso avvertito (e da anni: Pirandello: “Il mio più acerrimo nemico”, La rallegrata) come aggettivo autonomo, proprio in virtù della sua natura anomala rispetto al regolare agrissimo, e come tale si presta ad essere usato come aggettivo non superlativo, anche con piùpiù/meno acerrimo.
Secondo quanto osserva il glottologo Salvatore Claudio Sgroi, che sul concetto di errore produce tuttora decine di articoli, potremmo dire che su più acerrimo agiscono due regole:
– regola 1, etimologica: più acerrimo non è ammesso, per via della natura superlativa di acerrimo;
– regola 2, analogica e morfologica: acerrimo si distacca dagli altri superlativi, come tale ha acquisito una sua autonomia, tanto da consentire forme come più/meno acerrimo ecc.
Ciascuno è libero di optare per la regola 1 o 2.
Dato che ogni lingua è fatta non soltanto di regole ed eccezioni ma anche di percezioni (sociali), al momento la situazione è più o meno la seguente: sebbene anche autori colti (Pirandello), del passato e del presente, abbiamo usato più acerrimo, la maggioranza dei parlanti italiani colti attuali ritiene discriminante socialmente (cioè “da ignoranti”) l’uso di una forma come più acerrimo, che quindi ancora oggi è bene evitare nel contesto scritto formale.
Dato che ogni lingua cambia nel tempo, è molto probabile che tra pochi anni acerrimo perda completamente la propria trasparenza etimologica e venga dunque considerato un aggettivo non alterato a tutti gli effetti. A quel punto tutte le grammatiche e tutti i dizionari accoglieranno più acerrimo come forma normale e anche noi “reazionari” della lingua ci arrenderemo all’evidenza e scriveremo più acerrimo senza colpo ferire. Ma, finché ciò non accadrà, suggerisco di continuare a evitare forme quali più acerrimo, con buona pace di Pirandello e di Sgroi.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Si dice i migliori vini d’Italia o dell’Italia?
I jeans robusti sono quelli larghi, non stretti?

 

RISPOSTA:

L’espressione comune è i migliori vini d’Italia. Si userebbe dell’Italia soltanto se l’Italia fosse il secondo termine di un paragone: la Francia ha più vini dell’Italia.
L’aggettivo robusto significa anche ‘adatto a persone robuste’, quindi ‘largo’. Non può significare mai ‘stretto’. Con il significato di ‘largo’, però, non si usa riferito ai capi di abbigliamento, ma soltanto alle taglie; si dice jeans di taglia robusta, non jeans robusti. Ovviamente si può dire jeans robusti, ma solo se si intende ‘jeans forti, resistenti, che non si rompono facilmente’.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Qual è il connettivo giusto? 
“Non mi trovi piu bella che / di prima?”
Come posso scegliere la forma giusta davanti agli avverbi?

 

RISPOSTA:

Quando si mettono a confronto due avverbi, il secondo è introdotto sempre da chemeglio prima che dopomeglio dopo che primameglio bene che velocemente
Anche in questo caso si userebbe che se l’avverbio che rappresenta il primo termine di paragone fosse esplicitato: più bella ora che prima. Senza l’avverbio ora si può ancora usare che (più bella che prima), ma la frase suona strana, perché sembra che si stia facendo un confronto, impossibile, tra l’aggettivo bella e l’avverbio prima. La forma più bella di prima permette di evitare questa ambiguità (la preposizione di, infatti, indica una relazione più ampia rispetto a che). Più bella di prima è, quindi, preferibile a più bella che prima
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

se scrivo a proposito di Mario : “Quella persona (Mario) è un ipocrita”. Dovrei scrivere un’ ipocrita con l’apostrofo (persona è femminile) oppure, essendo Mario un uomo, senza l’apostrofo? Propendo per il femminile, quindi con l’apostrofo. Del resto, se dicessi, sempre a proposito di Mario, che un falso, dovrei dire “Quella persona è falsa” (al femminile) e non “Quella persona è falso”. 

 

RISPOSTA:

I suoi due esempi (“Quella persona è un ipocrita” e “Quella persona è falsa”) non si equivalgono, perché nel primo la parte nominale è rappresentata da un nome (un ipocrita), nel secondo è rappresentata da un aggettivo (falsa). Questa differenza è determinante: l’aggettivo, infatti, concorda con il nome a cui si riferisce in numero e genere (quindi Mario è falso ma la persona è falsa); il nome concorda soltanto in numero. 
In questo caso specifico c’è una difficoltà: ipocrita è un nome di genere comune, che può essere sia maschile che femminile, rimanendo invariabile. In teoria i nomi che hanno sia il maschile che il femminile possono essere concordati anche nel genere con l’altro nome a cui si riferiscono, come propone lei. In pratica, però, questo non avviene, perché il soggetto logico (nel suo caso Mario) è più strettamente collegato al nome che funge da parte nominale di quanto non sia collegato all’aggettivo. La frase, pertanto, viene di norma costruita con un ipocrita. Questo è un caso in cui la logica vince sulla grammatica.
Il caso di ipocrita le sembra particolarmente dubbio perché questo nome può essere usato come aggettivo; ma se proviamo a confrontarlo con ci sono altri nomi di genere mobile che non lasciano dubbi: “Quella persona (Mario) è un giornalista” (e non *”Quella persona (Mario) è una giornalista”).
Lo stesso dubbio relativo a ipocrita potrebbe valere per alcuni nomi mobili (quelli che cambiano la desinenza a seconda del genere): “Quella persona (Mario) è un amico” o “Quella persona (Mario) è un’amica”? Inevitabilmente, se si scegliesse la seconda soluzione si darebbe l’impressione che la persona sia una donna. Al contrario: “Mario è una persona amica”, perché qui amica è usato come aggettivo. Nessun dubbio con un nome mobile come maestro / maestra: “Quella persona (Mario) è un maestro”, e non *”Quella persona (Mario) è una maestra”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Credo che la tua tesi di rara completezza e profondità”.
Questa frase può apparire ambigua? La collocazione di rara prima o dopo completezza e profondità altererebbe il senso della frase?

 

RISPOSTA:

La posizione dell’aggettivo qualificativo rispetto al nome altera sempre il valore dell’aggettivo. Di norma, gli aggettivi preposti al nome (quindi nella posizione più insolita) servono a qualificare emotivamente l’oggetto designato dal nome. Così rara completezza comunica una certa enfasi emotiva, assente in completezza rara. Non si apprezza, invece, alcun cambiamento nel significato dell’aggettivo raro in ragione della sua posizione rispetto al nome. Questo avviene per altri aggettivi, per esempio grandeun grande artista (‘molto capace’) / un artista grande (‘corpulento’, oppure ‘anziano’).
Per un approfondimento di questo tema rimando alla FAQ  Usi enfatici di aggettivi come “determinato” dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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QUESITO:

L’espressione La vedo stanco è corretta? La prima lettera dentro le virgolette va maiuscola? E quella dopo le virgolette? Comunque stanco può essere usato al maschile dando del lei? 

 

RISPOSTA:

Per l’iniziale della prima parola all’interno delle virgolette c’è una convenzione molto radicata che la vuole maiuscola sempre se le virgolette contengono un discorso diretto (disse: “Vieni”.). Se le virgolette non contengono un discorso diretto non richiedono la lettera maiuscola (il tuo “mal di testa” è molto sospetto). All’esterno delle virgolette (quindi anche dopo) vigono le regole comuni: la maiuscola è, quindi, regolata dalla punteggiatura (disse: “Vieni” e le fece un cenno / disse: “Vieni”. E le fece un segno).
Per la concordanza del pronome di cortesia rimando alla FAQ “Lei”, “voi”, “loro” dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Si può dire “La citta di… ha i piu abitanti / è la citta con i piu abitanti rispetto ad altre citta (cioè con il numero piu alto di abitanti)?

 

RISPOSTA:

Più può essere avverbio o aggettivo. Quando è avverbio è seguito da un aggettivo (più bello) e può essere preceduto dall’articolo determinativo per fare il superlativo relativo (il più bello del mondo); quando è avverbio è seguito da un nome (più abitanti) e non può essere preceduto da un articolo determinativo (*i più abitanti). Per fare il comparativo di maggioranza con un nome, quindi, basta dire “La città di XXX ha più abitanti di XXX”; per fare il superlativo relativo, invece, bisogna sostituire più con una espressione equivalente, per esempio “La città di XXX ha il maggior numero di abitanti della regione”.
Attenzione: nel caso di “La città di XXX ha più abitanti rispetto ad altre città vicine” siamo sempre di fronte a un comparativo di maggioranza (non a un superlativo relativo), perché si confronta un dato con un altro dato, anche se quest’ultimo è composto da più dati. Per questo motivo, come si vede, in questo caso si può dire più abitanti rispetto a… (ovviamente senza l’articolo determinativo).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Articolo, Avverbio
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QUESITO:

Pronti è un verbo (participio presente) oppure un aggettivo? In questa frase sembra un participio presente: “i nuovi personaggi contano veramente: perchè pronti a sacrificare la loro vita per qualcosa di più grande”.
Se è un participio presente, qual è l’infinito? Ho trovato la forma verbale essere promente, che non avevo mai sentito, ma esiste?

 

RISPOSTA:

Pronti è la forma maschile plurale dell’aggettivo pronto. Effettivamente questo aggettivo ha un’origine verbale: continua, infatti, il latino PROMPTUM, participio perfetto del verbo PROMERE. Si badi, comunque, che il participio perfetto latino corrisponde grosso modo al participio passato, non al presente. Un aggettivo (oggi usato quasi esclusivamente come nome) che continua un participio presente latino è, per esempio, presidente, dal latino PRAESIDENTEM, participio presente del verbo PRAESIDERE.
Si ricordi che i participi presenti italiani finiscono soltanto in -ante (amante) o -(i)ente (ardentedormiente). 
Oltre che dalla terminazione simile a quella dei participi presenti, l’idea che pronto potesse essere una forma verbale potrebbe essere stata suggerita dalla sintassi della frase: perché pronti, infatti, è una proposizione nominale, cioè senza verbo. In questo caso, però, è facile riconoscere che il verbo è essere sottinteso: perché sono pronti.
Per quanto riguarda promente, la forma non è attestata, cioè non è stata mai usata, ma è teoricamente esistente. Sarebbe il participio presente di promere, il verbo che continua proprio il latino PROMERE, etimologicamente legato anche a pronto, e che significa ‘manifestare’ o ‘estrarre’. Se fosse usato, quindi, promente significherebbe ‘manifestante’ o ‘estraente’. Va detto, comunque, che promere, oltre a essere un verbo difettivo, perché è stato usato soltanto alla terza persona singolare dell’indicativo presente, è anche molto raro e aulico; non ci sono molte possibilità, quindi, che promente venga mai usato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Lo guardai per svariati minuti e lo studiai attento”: l’uso dell’aggettivo con funzione avverbiale è adatto anche a un tono formale? In un esempio come quello indicato soluzioni quali attentamente o con attenzione sarebbero da favorire?

 

RISPOSTA:

L’uso dell’aggettivo con funzione avverbiale è attestato fin dal Trecento ed è codificato nell’italiano standard. Se osserviamo la distribuzione di questo fenomeno oggi, notiamo che esso è tipico di espressioni idiomatiche o comunque cristallizzate: andare piano (e andarci piano), parlare fortetenere duro… Questo tipo di espressioni sposta di norma il registro verso il basso, al limite dell’informalità (e in casi come andarci piano supera questo limite).
A parte questi casi, però, l’aggettivo con funzione avverbiale è anche sfruttato in testi letterari o che hanno scopi estetici (ad esempio pubblicitari: vota comunistamangia sano…). Anche questi usi, pur rimanendo standard, sono diafasicamente orientati verso l’alto, ovvero verso la varietà letteraria.
Il suo esempio fa parte di questa seconda fenomenologia, nella quale l’aggettivo è scelto come variante libera dell’avverbio, funzionale a un effetto estetico o poetico.
Si noti che tra attento e attentamente si coglie anche una differenza semantica: l’aggettivo è un complemento predicativo, che indica l’atteggiamento del soggetto (= ‘lo studiai rimanendo attento’); l’avverbio è un complemento di modo, che indica il modo in cui è svolta l’azione (= ‘lo studiai in modo attento’).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho un dubbio in merito alla frase che segue: “A meno di necessità specifiche da parte tua che potrai fare presenti…”; è corretto declinare al plurale presenti?

 

RISPOSTA:

Certo: presenti concorda con necessità (come specifiche), che è femminile plurale. Essendo un aggettivo a due uscite, una (presente) per il singolare, una (presenti) per il plurale, il genere del nome con cui concorda non conta: necessità presenti / alunni presenti.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

Vi scrivo a proposito dell’aggettivo grande: quando è obbligatorio e quando è facoltativo il troncamento di questo aggettivo? 

 

RISPOSTA:

L’apocope, o troncamento, di grande è uno dei due casi di apocope sillabica esistenti nell’italiano moderno (l’altro è san(to) Tommaso). Si può realizzare, ma non è obbligatoria, davanti alle parole che cominciano per consonante semplice: gran / grande velocitàgran grande signore, anche plurali e femminili: gran / grandi lettorigran / grandi lettrici.
La forma gran è obbligatoria soltanto in alcune espressioni cristallizzate, come a gran vocedi gran lungaun gran cheuna gran cosagran partegran premio e qualche altra. Per questo motivo, quando viene usata può far assumere al sintagma un significato figurato; per esempio: grande signore = ‘persona dalle doti eccezionali’ / gran signore ‘persona che vive spendendo molto’. 
Davanti a parole che cominciano per consonante complicata (sc-st-ps-gn-) e z- si usa grandegrande scempiogrande strategagrande psicologogrande zaino.
Davanti a parole che cominciano per vocale si usa ancora grande oppure la forma elisa grand’grand’uomo, grand’affare, grand’effetto. La forma elisa può essere usata soltanto al singolare; al plurale è obbligatoria la forma piena grandigrandi affarigrandi effetti. Soltanto grand’uomo ammette il plurale grand’uomini (comunque raro), perché questa espressione è cristallizzata, tanto che si può scrivere anche granduomini
Fabio Ruggiano
Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Retorica
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QUESITO:

Potrebbe cortesemente chiarirmi se in analisi grammaticale il nome solitudine è astratto o concreto e se è derivato da solo?

 

RISPOSTA:

Premetto che la distinzione tra concreto e astratto è spesso vaga e ambigua e, per quanto tradizionalmente sfruttata nelle grammatiche scolastiche, non aggiunge niente alla conoscenza del lessico. Ferma restando questa premessa, il nome solitudine è astratto, perché la sensazione descritta con questo nome non si può percepire attraverso i sensi. Certo, si può obiettare che il concetto stesso di sensazione è legato alla percezione dei sensi, quindi solitudine sarebbe concreto, ma è appunto in questa contraddizione che si fonda l’idea della vaghezza della distinzione.
Il collegamento tra la radice di solitudine e quella di solo è evidente, ma bisogna fare una precisazione. Il nome solitudine si è formato sulla base del nome latino solitudinem, mentre l’aggettivo solo si è formato sulla base del latino solum. In latino solitudinem deriva da solum, ma le due parole italiane solitudine e solo sono nate autonomamente. Non possiamo dire, quindi, che solitudine derivi da solo, perché le due parole in italiano hanno una storia separata; è chiaro, però, che le due parole sono corradicali.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio su questa frase: “La mia mamma è la più bella del mondo”. La più bella è superlativo relativo o assoluto?

 

RISPOSTA:

Superlativo relativo: lo si riconosce dalla forma (articolo + più + grado positivo dell’aggettivo) e dalla presenza del complemento partitivo (del mondo = ‘tra tutte quelle del mondo’). Proprio il complemento partitivo, che può essere esplicito o implicito, rende relativa (rispetto a un insieme) la qualità superlativa. Il superlativo assoluto ha forma diversa (bellissima oppure molto bella) e non è seguito dal complemento partitivo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Ho letto che per definizione gli aggettivi indefiniti indicano una qualità o una quantità imprecisata. Non riesco però a immaginare un esempio in cui un aggettivo indefinito possa esprimere una qualità. Ancor meno dopo aver letto l’esempio riportato dal sito che ho consultato: era alquanto difficile. Non si tratta di avverbio?

 

RISPOSTA:

Ha ragione: gli aggettivi indefiniti non esprimono qualità, bensì caratteristiche legate alla quantità di un oggetto. Tale differenza si vede bene se confrontiamo l’aggettivo qualificativo diverso con l’aggettivo indefinito diverso (o, se vogliamo, l’uso qualificativo dall’uso indefinito dell’aggettivo diverso): 1. “I tuoi amici sono diversi dai miei” (= i miei amici hanno una certa qualità); 2. “Ho diversi amici a Genova” (= ho un numero imprecisato di amici). Ancora più chiara è la differenza nell’aggettivo certo: 1. “Sono certo della mia affermazione”; 2. “Ho una certa idea che tu mi stia mentendo”. Quando è usato come indefinito, certo significa ‘imprecisato’, che è per certi versi il contrario del significato assunto dall’aggettivo qualificativo.
Un’altra caratteristica degli aggettivi indefiniti è che alcuni possono essere usati come avverbi. Uno degli aggettivi con questa capacità è proprio certo: “Non è certo (= certamente) lui che stavo cercando”. Un altro è alquanto, che è, appunto, avverbio nella frase da lei riportata. Proprio alquanto, tra l’altro, al singolare è usato raramente, e soltanto con nomi non numerabili: alquanto zuccheroalquanto traffico; più spesso è usato al plurale (alquante personealquanti invitati). Ancora più spesso, invece, è usato come avverbio, per modificare un aggettivo, come nella sua frase, o un altro avverbio (alquanto velocementealquanto presto). 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase “Ognuno ha le sue idee, ma bisogna rispettare quelle altrui”, ognuno è un pronome; invece altrui che funzione ha? 

RISPOSTA:

Ha la funzione che gli è propria sempre nell’italiano moderno, ovvero quella di aggettivo possessivo. Anticamente era possibile usarlo anche come pronome, con il singificato di ‘qualcun altro’ o ‘a qualcun altro’.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Quando si dà del lei a una persona di sesso maschile si dice ad esempio: la vedo stanco, o la vedo stanca? L’accordo va fatto al maschile o al femminile? 
Se ad esempio dico: tavoli e specchi quadrati, l’aggettivo quadrati riguarda solo gli specchi? Mi verrebbe da dire tavoli e specchi entrambi quadrati.
Se fosse pennelli e scarpe rossi si intenderebbe entrambi perché rossi è accordato al plurale. Ma è corretto dire rossi per comprendere entrambi?

 

RISPOSTA:

Quando si dà del lei a qualcuno l’accordo con il pronome va fatto alla terza persona e secondo il genere della persona. Quindi, ad esempio: signora Verdi, la vedo stanca, ma signor Verdi, la vedo stanco (e inoltre, ovviamente non signor Verdi, lo vedo stanco). Quest’uso, oggi praticamente obbligatorio, non è l’unico possibile in teoria (e si noti che si tratta di una infrazione della regola grammaticale dell’accordo); se fosse ancora vitale l’espressione sua signoria, sottintesa dal lei, l’accordo sarebbe sempre al femminile: vedo la sua signoria stanca (signor Verdi)
L’aggettivo che si riferisce a più nomi dello stesso genere si accorda al plurale nel genere dei nomi. Questo può ingenerare ambiguità; nella frase tavoli e specchi quadrati, ad esempio, l’aggettivo quadrati può riferirsi tanto a specchi quanto a tavoli e specchi. Non può, invece, riferirsi al solo tavoli, perché altrimenti dovrebbe essere posto accanto a questo nome (tavoli quadrati e specchi). Per evitare questa ambiguità si può costruire la frase come fa lei, aggiungendo l’aggettivo entrambi. L’aggettivo entrambi, però, suona un po’ strano riferito a due gruppi di elementi, perché per la precisazione significa ‘tutti e due’, non ‘tutti’. Al suo posto si potrebbe usare tutti (in questo caso non è possibile intendere tutti quadrati come ‘completamente quadrati’, perché completamente quadrati non ha senso). Un’altra soluzione ineccepibile potrebbe essere ugualmente quadrati
Ancora, se quadrati fosse riferito soltanto a specchi, si potrebbe dire specchi quadrati e tavoli, o tavoli e, inoltre, specchi quadrati o in altri modi (bisognerebbe considerare l’intera frase).
Quando l’aggettivo si riferisce a più nomi di generi diversi, come nel suo terzo esempio, l’accordo va fatto al plurale maschile: pennelli e scarpe rossi, quindi, significa ‘pennelli rossi e scarpe rosse’.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Accordo/concordanza, Aggettivo
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nel seguente brano vicino è un aggettivo o un avverbio?
Bello di persona, gentile di modi, venne chiamato a Roma, dove il Papa lo volle sempre vicino e gli affidò i lavori più delicati.
Forse si tratta di un predicativo dell’oggetto?

 

RISPOSTA:

Quando vicino (ma anche lontano) è singolare maschile non si distingue nella forma dall’avverbio, ed è, pertanto, difficile stabilire se abbia funzione di aggettivo o di avverbio. Ovviamente, se l’aggettivo si riferisce a un nome femminile e/o plurale il problema si risolve automaticamente: in il papa la volle vicina il papa li volle vicini la parola è un aggettivo; in il papa la volle vicino o il papa li volle vicino è un avverbio di luogo. La coincidenza morfologica rende difficile stabilire la funzione della parola perché, a monte, è difficile stabilire la differenza di funzione, quindi di significato, tra vicino aggettivo e vicino avverbio di luogo. Un modo per rilevare questa differenza è considerare che l’aggettivo rappresenta una qualità del nome a cui si riferisce, mentre l’avverbio indica una posizione relativa nello spazio. Per questo quando vogliamo comunicare la nostra partecipazione al dolore di una persona diciamo ti siamo vicini, non ti siamo vicino, perché vogliamo esprimere un sentimento, una caratteristica che in quel momento ci qualifica, non una posizione nello spazio. Con il verbo essere costruiamo comunemente espressioni che contrastano con questo principio: “- Dove sono i cani? – Sono vicini” (più insolito, sebbene più logico, sono vicino). Questo, però, si spiega con l’ambiguità semantica propria del verbo essere, che è prima di tutto la copula, quindi seleziona preferibilmente l’aggettivo, e solo secondariamente è un verbo spaziale, equivalente a trovarsi. L’ambiguità tocca comunque quasi tutti i verbi, perché è insita nella parola stessa vicino (così come in lontano): la posizione nello spazio, infatti, è affine a una qualità. Per questo, anche se sostituiamo si trovano a sono nell’esempio precedente, la costruzione non cambia di molto: “- Dove si trovano i cani? – Si trovano vicini”. Va detto, però, che con trovarsi l’avverbio diviene molto più accettabile (si trovano vicino), perché il verbo seleziona più decisamente l’informazione relativa al luogo.
In definitiva, quindi, nel suo esempio vicino può essere tanto un aggettivo quanto un avverbio. Se è aggettivo, l’espressione è parafrasabile come il papa volle che lui gli fosse vicino; se è avverbio, propende per il papa volle che lui gli stesse vicino. Difficilmente, comunque, il parlante medio coglierebbe tale distinzione; sarebbe portato, invece, a considerare le due versioni della frase assolutamente equivalenti.
Dal punto di vista dell’analisi logica, l’aggettivo può essere considerato un attributo o un complemento predicativo dell’oggetto (a seconda dell’impostazione seguita); l’avverbio è, invece, un complemento di stato in luogo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Come posso capire la regola nel caso della comparazione di due avverbi?
1. Elena ha studiato più oggi che ieri. 
2. Mario è tornato più stanco di prima. 
In queste due frasi si usano congiunzioni diverse, perché?

 

RISPOSTA:

Nelle sue frasi è presente una comparazione, che richiede il secondo termine di paragone, anche detto complemento di paragone. Questo complemento è introdotto dalla preposizione di o dalla congiunzione che secondo queste regole: di è preferito (ma la sostituzione con che è possibile) quando il complemento è costituito da un nome (più stanco di Luca) o un pronome (più stanco di te) non preceduti da altre preposizioni, oppure un avverbio. In quest’ultimo caso rientra la sua seconda frase.
Che è obbligatorio quando il complemento di paragone è costituito da un nome o un pronome preceduti da una preposizione: “Mi piace di più parlare con te / con Luca che con lui / con Marco”; quando è costituito da un aggettivo, se questo riguarda lo stesso oggetto del primo aggettivo: “Luca è più studioso che intelligente”, “Questa occasione è più unica che rara”, oppure da un avverbio se questo riguarda lo stesso evento (più oggi che ieri, come nella sua prima frase); quando è costituito da un verbo, ovvero da un’intera proposizione: “Mi piace di più sciare che pattinare”, “Correndo si arriva prima che camminando”, “Se ogni tanto ti limiti nel bere è meglio che se bevi sconsideratamente”.
Si noti che, nella sua prima frase, se cambiamo l’ordine delle parole di diventa preferibile a che: “Elena ha studiato più oggi che ieri”, ma “Oggi Elena ha studiato più di ieri”. In questa forma, infatti, il complemento di paragone diventa analogo a quello della seconda frase. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase “Ha fatto un minimo sforzo”, minimo potrebbe essere considerato sia superlativo assoluto sia superlativo relativo, nel senso di ‘il più piccolo tra tanti’?

 

RISPOSTA:

Minimo è il superlativo assoluto di piccolo; il superlativo relativo si forma con il minore. “Ha fatto lo sforzo minore” implicherebbe la presenza di un riferimento rispetto al quale il superlativo sarebbe tale: “Ha fatto il minor sforzo possibile / lo sforzo minore tra quelli che gli si erano prospettati / lo sforzo minore della sua squadra (tra quelli fatti dai componenti della sua squadra)”.
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

In una frase come “loro si vestono eleganti”, l’aggettivo, che mi pare un avverbio, si concorda con il soggetto o no?
 

 

RISPOSTA:

La frase “loro si vestono eleganti” è corretta, ma informale. Sarebbe più formale “loro si vestono elegantemente”, con l’avverbio al posto dell’aggettivo (che, infatti, ha funzione avverbiale). Possibile, ma molto informale, anche “loro si vestono elegante”, con l’aggettivo che rimane invariato proprio perché ha la funzione di avverbio.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Una volta costrinse un suo studente a ripercorrere i suoi passi attraverso l’immensa stazione”.
La domanda è questa: l’aggettivo possessivo suoi potrebbe riferirsi allo studente o al maestro in questa frase? Quello che dovrebbe dirimere il dubbio è il verbo ripercorrere, che significa ‘percorrere di nuovo’?

 

RISPOSTA:

​L’aggettivo possessivo suo rimanda al soggetto della proposizione, che nel caso di i suoi passi è un suo studente (così come, a sua volta, suo nella proposizione principale una volta constrinse un suo studente rimanda all’altro personaggio in questione). In teoria, quindi, suoi passi sono quelli dello studente. Sempre in teoria, i passi dell’altro soggetto dovrebbero essere definiti i passi di lui: “Una volta costrinse un suo studente a ripercorrere i passi di lui attraverso l’immensa stazione”. 
In realtà, la situazione è più complicata, perché suo è comunemente riferito anche a soggetti di proposizioni sovraordinate, non solamente completive, come è in questo caso. Ugualmente ambigua, per esempio, sarebbe la frase: “Lo chiamò per parlare dei suoi genitori” (i genitori del chiamante o del chiamato?). Il complemento di specificazione con il pronome personale in sostituzione dell’aggettivo possessivo, inoltre, è sentito come antiquato e burocratico (fa pensare a formule come la di lui consorte).
Responsabile, ma in minor misura, dell’ambiguità del riferimento è l’indecidibilità della responsabilità dell’azione (non è possibile, cioè, inferire dal cotesto se i suoi passi siano quelli dello studente o quelli dell’altro personaggio). Il verbo ripercorrere non è dirimente: anche se lo sostituissimo con percorrere l’ambiguità rimarrebbe, perché essa è provocata soprattutto dall’aggettivo possessivo. Non ambigua, per esempio, sarebbe la frase “Una volta costrinse alcuni suoi studenti a ripercorrere i suoi passi attraverso l’immensa stazione”, perché non potremmo riferire il secondo suoi agli studenti
Per risolvere il problema si può soltanto formulare la frase diversamente, oppure fornire, prima o dopo, informazioni dirimenti.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

È possibile scrivere molto superiore?

 

RISPOSTA:

Certo: è equivalente a molto più alto. In questo caso l’avverbio molto serve a rafforzare la locuzione aggettivale comparativa.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Avverbio
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QUESITO:

Un’amica mi ha fatto venire un dubbio: il caso è diverso dal classico bell’e buono in quanto ci siamo chiesti quale sia la forma corretta tra un bel e ricco libro (forma da lei sostenuta) e un bello e ricco libro (forma da me sostenuta).

 

RISPOSTA:

​Il vincitore della sfida è lei (ma si tratta di una mezza vittoria): bello e bel si comportano come lo e il se sono seguiti direttamente dal nome a cui si riferiscono; quindi bello sguardo (come lo sguardo), bello zoccolobello arcobaleno (o meglio bell’arcobaleno), ma bel canto (come il canto), bel discorso ecc. Nella sua espressione, bello non è seguito direttamente dal nome, ma l’elisione (bell’) è comunque preferita davanti a vocale (è quel che succede in bell’e buono), mentre l’apocope (bel) non è giustificata. Ubello e ricco libro, quindi, è possibile, ma oggi è sfavorita rispetto a bell’e ricco. Se vogliamo mantenere bello nella sua forma piena, dobbiamo farlo uscire dall’orbita del nome, posponendolo a questo: un libro bello e ricco
La forma apocopata bel è soggetta a restrizioni ancora maggiori se è seguita da un elemento diverso dal nome (perché si perde il rispecchiamento con l’articolo). Un caso come un bel ma stupido ragazzo è da scartare in favore di un ragazzo bello ma stupido (meno felice un bello ma stupido ragazzo): anche qui l’aggettivo posposto al nome a cui si riferisce si libera dal paragone con l’articolo e non è più soggetto all’apocope.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Articolo
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QUESITO:

Vi chiedo se è possibile accettare in uno scritto la forma “stramegafantastico”

 

RISPOSTA:

Dipende dal contesto. Dal punto di vista dello standard, la parola presenta due difetti: l’aggettivo fantastico è considerato già semanticamente superlativo e non accetta, di conseguenza, la forma superlativa; il raddoppiamento del prefisso (stra- + mega) è superfluo. In un contesto “brillante” o giocoso, però, censurarla sarebbe una reazione logicistica e fuori luogo: è evidente, infatti, che la parola sia formata allo scopo di suscitare sorpresa e guadagnare la simpatia dell’interlocutore. Queste funzioni, in alcuni casi, sono importanti tanto quanto la trasmissione lineare di informazioni. 
Per maggiori dettagli sui prefissi (o prefissoidi) stra-mega-maxi- ecc. la rimando alla risposta Come si scrive e di che grado è “extrafondente”?dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Neologismi
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QUESITO:

I miei dubbi sono i seguenti:
1. nella frase “Al giorno d’oggi è importante essere sul web”, è giusto scrivere sul web?
2. È più corretto dire cerco in Internet o su Internet?
3. nella frase “L’agenzia si occupa della realizzazione di siti internet in provincia di Genova, di Savona e di La Spezia”, è corretto ripetere la preposizione di  oppure è meglio scrivere di Genova, Savona e La Spezia?
4. Nella frase “È necessaria una fase di studio e progettazione iniziali”, è corretto il plurale iniziali?

 

RISPOSTA:

​1. Sul websul Web, o sul web (vale a dire “sul web“) è la costruzione più comune, motivata dal fatto che i contenuti del web ci raggiungono sotto forma di stringhe di testo e immagini su uno schermo. I parlanti, quindi, assimilano per metonimia il contenuto al contenitore. Più preciso è nel web, visto che il web è l’ambiente figurato nel quale si trovano i contenuti. Si ripropone con questa espressione la stessa alternanza che c’era già tra in un libro e su un libronel giornale e sul giornale.
2. Come sopra.
3. Le due varianti sono ugualmente corrette; visto che non c’è ragione di ripetere la preposizione, però, è preferibile non ripeterla.
4. Sì, un aggettivo riferito con due o più nomi di genere diverso (a prescindere dal loro numero) concorda di norma al maschile plurale.
​Fabio Ruggiano
 

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Si può scrivere: con che macchina, con che faccia, etc….oppure è corretto scrivere: con quale macchina, con quale faccia…. Sono accettabili entrambi?

 

RISPOSTA:

Sì, sebbene che sia lievemente meno formale e meno accetto ai puristi. Con buona pace di questi ultimi, tuttavia, l’aggettivo interrogativo ed esclamativo che, sempre più spesso e in tutti i livelli di lingua, sta sostituendo quale, anche in certe espressioni (quasi) idiomatiche: “quale onore!” > “che onore!”. Ma regge ancora, per esempio, in: “Qual buon vento ti porta?”.
 
Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Registri
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QUESITO:

Mi piacerebbe sapere se, in un testo scolastico (es. la simulazione di una lettera o di un diario), si può accettare l’espressione “Siamo migliori amiche”.

 

RISPOSTA:

La lettera a un amico o a un’amica e il diario sono generi caratterizzati da un registro informale, nel quale figurano a loro agio, e sono pienamente giustificate, espressioni “brillanti”, non canoniche, vicine al parlato.
Ma vediamo perché migliore amico/a e migliori amici/amiche sono espressioni non canoniche. Molto diffuse oggi, presentano tre difficoltà se passate al vaglio della grammatica standard: non hanno l’articolo determinativo e non hanno il complemento partitivo, entrambi richiesti dal superlativo relativo migliore; mancano del complemento di specificazione (o dell’aggettivo possessivo), richiesto dal nome amico.
In una frase standard come “Il migliore amico dell’uomo è il cane” si nota che l’aggettivo al grado superlativo relativo sia preceduto dall’articolo determinativo; amico, inoltre, è correttamente specificato (molto strano sarebbe *”Il miglior amico è il cane”). Anche in questa frase, invece, manca il complemento partitivo, che, per la verità, può facilmente essere sottinteso nel caso in cui coincida con tra tutti gli altri o simili: “(Tra tutti gli altri amici,) il migliore amico dell’uomo è il cane”.
Delle tre difficoltà individuate nell’espressione qui analizzata, quindi, una è trascurabile: migliore amico presuppone tra tutti.
Più strana sembra la mancanza del complemento di specificazione per amico/a/i/e. A ben vedere, però, anche questa si spiega con il sottinteso: “Siamo migliori amiche” è implicitamente completata da l’una dell’altra. Come si vede, questo costrutto appesantisce l’espressione e la rende molto meno agevole e immediata: si capisce, quindi, perché i parlanti lo eludano. Rispetto allo standard, questa scelta rappresenta uno scarto, non grave ma sufficiente per abbassare di un gradino la formalità dell’espressione.
La terza mancanza, quella dell’articolo prima di migliore/i, è l’unica davvero grave, perché contrasta con una regola sintattica molto rigida (migliore è comparativo di maggioranza; il migliore è superlativo relativo), sebbene si giustifichi sul piano della convenienza. Se inseriamo l’articolo, infatti, otteniamo “Siamo le migliori amiche”, che renderebbe il sottintendimento del complemento di specificazione inaccettabile per la maggioranza dei parlanti.
Questa disamina dei “difetti” insiti nell’espressione ci consegna, per contrasto, la variante standard della stessa: “Siamo le migliori amiche l’una dell’altra”. Si noterà, nella formulazione, oltre alla minore efficacia espressiva, la “stranezza” del mancato accordo tra il nome del predicato le migliori amiche e il costrutto reciproco, che è grammaticalmente singolare. La variante “Siamo la migliore amica l’una dell’altra”, pure possibile, sana questa “stranezza”, ma provoca la sgrammaticatura (quindi è formalmente più trascurata) del mancato accordo tra la copula (a sua volta concordata con il soggetto), plurale, e il nome del predicato, singolare.
A margine rilevo che la lettera e la pagina di diario, generi testuali familiari ai ragazzi fino a qualche anno fa, oggi appaiono anacronistici e, per questo, poco motivanti. Si possono sostituire con l’articolo di un blog, l’e-mail, il post di un social network (purché siano rese chiare le finalità e le caratteristiche formali che questi prodotti devono avere).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho notato che il 90% dei miei studenti abusa dell’aggettivo determinato, usato prevalentemente come pre-modificatore: determinate paroledeterminate personedeterminati momentideterminato gruppo etc. Ha chiaramente un valore indefinito e vago (leggi ‘inutile’) e non indica affatto il significato di ‘prestabilito, prefissato’. Non mi spiego la frequenza d’uso che ha dei valori incredibilmente alti negli elaborati in italiano dei miei studenti e mi chiedo cosa provochi questo (ab)uso.

 

RISPOSTA:

Di norma, gli aggettivi qualificativi assumono una funzione diversa se preposti o posposti al nome a cui si riferiscono: nel primo caso essi sono detti descrittivi e servono a qualificare emotivamente l’oggetto designato dal nome; nel secondo caso sono detti restrittivi e indicano una qualità oggettiva posseduta dall’oggetto, tale da distinguere l’oggetto da altri simili. Così “Il verde prato in cui giocavo da bambino” comunica una partecipazione emotiva all’enunciato, assente in “Il prato verde in cui giocavo da bambino” (al netto del contenuto emotivo complessivo dell’enunciato). 
Alcuni aggettivi assumono, a seconda della posizione rispetto al nome, non solo una funzione, ma anche un significato diverso: “Un caro amico” / “Un amico caro”, “Una vera sorpresa” / “Una sorpresa vera”, “Un povero artigiano” / “Un artigiano povero”. All’interno di quest’ultima categoria, esiste un sottogruppo di aggettivi che, in posizione prenominale, perdono quasi del tutto il proprio significato e assumono la funzione di enfatizzare o intensificare l’oggetto designato dal nome: “Un forte mal di testa” / “Un mal di testa forte”, “Un alto commissario” / “Un commissario alto”, “Una discreta somma” / “Una somma discreta”. Tra questi ultimi facciamo rientrare certo e il sinonimo determinato. Preposti al nome, questi aggettivi sono desemantizzati (come osservato da lei), quindi non aggiungono alcuna qualità al nome, ma ne intensificano, soggettivamente, il valore. Possiamo assimilare l’uso di questi strumenti a quello, altrettanto diffuso, di avverbi del tutto desemantizzati come praticamenteovviamentedi fatto.
Fermo restando che questa funzione dell’aggettivo è codificata e accettata nello standard italiano, bisogna chiedersi come mai un uso che serve solamente a dare enfasi al discorso, senza aggiungere informazioni (e che, pertanto, deve essere limitato al parlato informale e a pochi altri contesti), sia tanto ricorrente nel parlato (e a volte anche nello scritto) dei giovani. È possibile che simili aggettivi funzionino come riempitivi di pause, cioè servano ad allungare l’enunciato in modo da dare il tempo all’emittente di pensare al segmento successivo. Accanto a questa necessità, si può individuare anche l’intento di dare maggior peso, pragmatico, alle parole, per compensare una insicurezza di fondo sul contenuto semantico delle stesse. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La frase “Ho cambiato qualche foto, anche se avrei voluto mettere altre” è corretta?

 

RISPOSTA:

​Nella sua frase c’è un unico problema, che riguarda il riferimento del pronome indefinito altre. Il significato generico di questo pronome richiede che si specifichi da quale insieme si estraggono gli elementi scelti. Ci vuole, insomma, un complemento partitivo. La soluzione più immediata è realizzarlo con il pronome ne, che rimanda, ovviamente, a foto: quindi “avrei voluto metterne altre”. Se altre non rimandasse a fotoaltre sarebbe aggettivo, non pronome, e dovrebbe appoggiarsi a un nome, che diventerebbe il complemento oggetto di mettere: “avrei voluto mettere altre cose / immagini / pose” o simili.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Pronome
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Buongiorno, nella seguente frase: “Aprile è il quarto mese dell’anno, maggio è il quinto”, il quinto è pronome o sostantivo? Io sono più orientata per il sostantivo.

 

RISPOSTA:

Nel suo caso il numerale è un pronome. Per maggiori informazioni la rimando a questa altra risposta dell’archivio di DICO.
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Avrei bisogno di alcune conferme inerenti ad alcune frasi da analizzare grammaticalmente per una scheda di scuola primaria.
1. “Questi soldi sono pochi”. Pochi è aggettivo o pronome?
2. “Nessuno dei miei fratelli mi ascolta”. Nessuno è aggettivo o pronome?
3. “Qualche volta ci divertiamo davvero poco”. Poco è aggettivo o pronome?
4. “Mario ha parlato tanto”. Tanto è aggettivo o pronome?
5. “Alla gara di nuoto sono arrivato primo”. Primo è aggettivo o pronome?

 

RISPOSTA:

Pochi è aggettivo (predicativo, perché si collega al nome non direttamente, ma per il tramite di un verbo) nella prima frase, mentre poco è avverbio nella terza (più precisamente davvero poco è una locuzione avverbiale). Avverbio è anche tanto nella quarta frase: come davvero poco nella terza frase, infatti, modifica il significato del verbo aggiungendo ad esso una sfumatura. Nessuno è un pronome, primo è aggettivo (predicativo, come poco nella prima frase).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase “Il mio banco è il primo a destra, quello di Giovanni il secondo” il numerale primo è da considerarsi aggettivo o pronome?

 

RISPOSTA:

Essendo preceduti da articoli, né primo né secondo possono essere considerati semplici aggettivi. Non possono essere neanche considerati aggettivi sostantivati (come il rosso in una frase come “Il rosso ti dona molto”), perché è evidente la loro funzione di rimandare a un nome già introdotto precedentemente, banco. Questa è la tipica funzione dei pronomi; difatti, se al posto di il primo mettessimo quello (“Il mio banco è quello”), quello sarebbe un pronome dimostrativo. C’è da dire che alcune grammatiche attribuiscono ai numerali la funzione di aggettivi o di nomi, ma non quella di pronomi: secondo questa visione, il primo e il secondo, nella sua frase, sarebbero nomi. La differenza tra il primo e quello sarebbe che il primo ha un contenuto semantico ben preciso, mentre quello veicola solamente un significato di contorno; la funzione dei numerali in casi come questo, però, è talmente vicina a quella dei pronomi che non ho molti dubbi nel definirli, appunto, pronomi.
Dubbi maggiori sulla natura dei numerali, non solo degli ordinali, ma anche dei cardinali, sorgono quando essi fanno riferimento a un nome non introdotto, ma “inglobato”, ovvero implicito: “Ho preso otto in fisica”, “sono le tre e un quarto”. In questi casi c’è un accordo quasi unanime nel riconoscerli come nomi.
Una grammatica che ha rilevato il problema della labilità dei confini tra natura nominale e pronominale nel campo dei numerali in italiano è quella (in francese) di Jacqueline Brunet, Grammaire critique de l’Italien, Université de Paris VIII-Vincennes, Paris, 1981 (vol. IV, pp. 86-87, 92-93).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se le seguenti costruzioni, ricavate da brani narrativi e di cui la letteratura abbonda, siano valide nelle loro ellissi verbali:
“Appoggiato a una delle cabine di ferro del portico era un uomo in attesa, le braccia incrociate”. 
“Riposò lentamente il ricevitore, restando poi immobile, gli occhi sul telefono”.
“Era Annetta, la cuoca, gli occhi rossi, la testa imbacuccata nello scialle”.
“Donato, nude le braccia, in canottiera, i fianchi stretti da una sciarpa, se ne stava accovacciato in un angolo”.
“Federica ora parlava piano, la testa china, i capelli sul viso”.
In quest’ultimo esempio vi è inoltre un impiego particolare dell’avverbio ora: è legittimo in un enunciato al passato?

 

RISPOSTA:

Quelle da lei messe in evidenza sono apposizioni modali-associative, ovvero nomi seguiti da aggettivi o participi (ma ci potrebbero essere anche proposizioni relative), apposti a un nome introdotto subito prima, di cui rappresentano un dettaglio. Il costrutto è a suo agio in letteratura, ma alcuni di questi sintagmi, divenuti routinari, si sono diffusi anche nella lingua comune; ad esempio le braccia conserte o le gambe penzoloni. Nella lingua comune, per la verità, si trova più frequentemente la variante sintatticamente legata di queste strutture: con le braccia consertecon le gambe penzolonicon le dita incrociate ecc., che viene a coincidere con un complemento predicativo (“Si fermò con le braccia alzate”) o di unione (“Si presentò con le scarpe tutte infangate”).
Queste apposizioni rientrano nella categoria delle strutture assolute, ovvero quelle strutture legate logicamente ma non sintatticamente al resto della frase di cui fanno parte. Una disamina completa delle strutture assolute, compreso il cosiddetto accusativo alla greca, è qui: http://www.treccani.it/enciclopedia/strutture-assolute_(Enciclopedia-dell’Italiano)/.
Per quanto riguarda ora usato all’interno di un discorso riportato al passato, si deve innanzitutto ricordare che questo avverbio è comunissimo, e accettabile nello scritto di media formalità, anche con il significato di ‘in quel momento’ (il dizionario GRADIT dà addirittura questo uso come FO, ovvero fondamentale: “per indicare contemporaneità nel passato, in quel momento: il pericolo era cessato, o. poteva  fermarsi“). Lo scrivente, però, potrebbe averlo usato come tratto del discorso indiretto libero (il breve estratto non consente di decidere a quale significato sia riconducibile l’uso specifico). Se, infatti, attribuiamo a ora il significato tradizionale di ‘in questo momento’, questo avverbio sposta per un attimo il centro deittico dal piano diegetico al piano mimetico. In altre parole, ora interrompe la narrazione in terza persona, che è costruita dall’esterno e da una coordinata temporale diversa rispetto ai fatti (chi narra, cioè, è una persona diversa da chi agisce, e si trova in un tempo diverso, tanto che riporta le azioni al passato) per portare il discorso al piano della realtà, proiettandoci per un attimo nella linea temporale, quindi nel punto di vista, del protagonista della storia.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Se è vero che le forme dei pronomi possessivi corrispondono a quelle degli aggettivi e sono SEMPRE precedute da articolo, nella frase “Queste penne sono mie” qual è l’analisi grammaticale di mie?

RISPOSTA:

​Nella sua frase mie è un aggettivo con funzione predicativa (completa, insieme alla copula, il predicato nominale). Per coglierne più chiaramente la natura di aggettivo, e la differenza con il pronome corrispondente, si possono fare le seguenti sostituzioni:
a. “Queste penne sono mie” = “Queste penne sono di mia proprietà” = “Queste penne mi appartengono”;
b. “Queste penne sono le mie” = “Queste penne sono quelle di mia proprietà” = “Queste penne sono quelle che mi appartengono”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

Le consiglio di usare il plurale, che è la forma più rigorosa dal punto di vista grammaticale. Il singolare rappresenterebbe una scelta meno precisa, che potrebbe essere giustificata in un contesto parlato, come una lezione, o scritto di formalità medio-bassa, come un articolo non specialistico o una comunicazione tra non esperti. Va detto che l’attrazione esercitata dall’ultimo referente sull’aggettivo è molto forte, tanto che la sbavatura dell’accordo in “Arte e civiltà etrusca” è poco percepibile; questo è dimostrato, tra l’altro, dal titolo del catalogo di una mostra del 1955: Mostra dell’arte e della civiltà etrusca, aprile-giugno 1955, Milano, Palazzo reale, Silvana editore.
L’esistenza di questa e di altre attestazioni di ambito specialistico dovrebbe rassicurare sulla legittimità dell’accordo al singolare; la considerazione sul rigore grammaticale, però, rimane: sta, dunque, al parlante valutare l’adeguatezza dell’una o l’altra variante in base al contesto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Registri
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “Il mondiale più tecnologico di sempre”, essendo presente sempre, siamo di fronte ad un superlativo relativo? Non credo sia un comparativo.
Un cordiale saluto. 

 

RISPOSTA:

Il più tecnologico è il grado superlativo relativo dell’aggettivo tecnologicoDi sempre rappresenta l’insieme in relazione al quale opera il superlativo (che per questo si chiama relativo). Possiamo dire che di sempre semplifica un’espressione come “di quelli giocati finora”. Questo costituente sintattico che completa il superlativo relativo viene comunemente associato al complemento partitivo, perché indica la totalità rispetto alla quale l’oggetto qualificato al superlativo emerge come parte.
Un comparativo di maggioranza, invece, si costruisce senza l’articolo determinativo prima di più e richiede un secondo termine di paragone (detto anche complemento di paragone): “Il mondiale di quest’anno è più tecnologico di quello dell’anno scorso”. Come si vede, di quello dell’anno scorso non rappresenta un insieme di cui fa parte l’oggetto qualificato (e rispetto al quale l’oggetto spicca per una qualità superlativa), ma è un oggetto confrontabile con il primo.
Va detto che il superlativo relativo ha senso solamente se ci sono almeno tre elementi in gioco, con uno che emerge sugli altri due. Se, invece, la qualità superlativa è in relazione a un altro solo oggetto, il superlativo finisce per coincidere con un comparativo di maggioranza. Quindi in “Ho tre figli: il maggiore si chiama Luca” abbiamo un superlativo relativo; in “Ho due figli: il maggiore si chiama Luca” abbiamo un comparativo di maggioranza. Per questo motivo, se manca l’insieme (esplicito o inferibile dal contesto) in relazione al quale la qualità posseduta dal soggetto è superlativa, non è possibile decidere se si tratti di un superlativo o un comparativo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Articolo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Salve, vorrei sapere se nell’espressione “La scuola è ricominciata” il verbo essere più il participio formano un predicato nominale. Inoltre chiedo: come faccio a capire in modo chiaro quando il participio ha funzione aggettivale o forma, insieme al verbo un predicato verbale?

 

RISPOSTA:

Nella sua frase il verbo è ricominciata è da interpretarsi come predicato verbale, perché esprime il risultato di un processo, come se dicesse ‘la scuola ha concluso il processo di riapertura’, ovvero ‘la scuola ha riaperto’. La funzione verbale del participio è predominante ma non netta in questo caso: è sempre possibile, infatti, ma un po’ forzato, interpretare la frase come ‘la scuola si trova nello stato di essere ricominciata’. Insomma, ricominciata sarebbe identificabile come aggettivo, quindi come parte nominale di un predicato (nominale, appunto), se esprimesse una caratteristica, anche circostanziale, della scuola.
È più facile distinguere tra la funzione nominale-aggettivale e quella verbale del participio con i verbi transitivi, perché ammettono il complemento di agente/causa efficiente. Per esempio, in “Lucia ha i capelli mossi” mossi è un aggettivo e ha la funzione di complemento predicativo, mentre in “Lucia ha i capelli mossi dal vento” si coglie distintamente, grazie al complemento di causa efficiente, la natura verbale del participio. In questo caso, infatti, “mossi dal vento” va interpretata come proposizione relativa implicita, come se fosse ‘che sono mossi dal vento’. Allo stesso modo, in “Il mare è mosso oggi” è mosso è predicato nominale; in “Il mare è mosso dalle onde” è mosso è predicato verbale. Attenzione: se dicessi “Il mare è mosso a causa delle onde”, mosso rimarrebbe comunque aggettivo.
Oltre alla presenza del complemento di agente/causa efficiente, si può stabilire se un participio è più nominale o più verbale provando a sostituire il verbo essere con venire: “Il mare è mosso dalle onde” può ben essere costruita come “Il mare viene mosso dalle onde”, mentre “Il mare è mosso oggi” non funziona bene come “Il mare viene mosso oggi”. Il verbo venire, cioè, rende obbligatoria l’interpretazione del participio come verbale, quindi se dicessi “Il mare viene mosso oggi” implicherei che c’è un agente che lo muove, anche se non lo sto esplicitando. Così “La casa viene abbandonata in questo momento” non lascia dubbi sul fatto che si tratti di un processo in corso (quindi viene abbandonata è un predicato verbale), mentre “La casa è abbandonata in questo momento” può essere interpretata esattamente come la versione con viene, ma anche come ‘La casa si trova in stato di abbandono in questo momento’ quindi è abbandonata può essere tanto predicato verbale quanto nominale.
Come detto, i verbi intransitivi sono più opachi da questo punto di vista: pur senza escludere la fumosità del limite tra verbale e nominale nella natura del participio, però, è sempre possibile, con un’attenta analisi, almeno propendere per l’una o per l’altra funzione. Per aggiungere un altro esempio al suo, si veda questo: “Luca è un creativo: è andato all’accademia d’arte” indica che il soggetto ha compiuto l’azione di andare (è parafrasabile con “Luca ha frequentato l’accademia d’arte”); “Luca è un creativo: è andato di testa” indica che il soggetto si trova in un certo stato (è parafrasabile con “Luca è matto”).
A margine, visto che domande su questo argomento sono già state poste a DICO, le consiglio di leggerle, con le relative risposte, nel nostro archivio, cercando “participio”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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QUESITO:

Vorrei sapere se sia corretto scrivere extrafondente tutto attaccato e se in una frase del tipo “Per Pasqua ho ricevuto in regalo un uovo di cioccolato extrafondente” la parola extrafondente possa essere considerata come aggettivo qualificativo al grado superlativo assoluto.

 

RISPOSTA:

La grafia extrafondente è pienamente accolta, tanto da essere registrata nel dizionario dell’uso GRADIT. Basta fare una veloce ricerca on line, comunque, per vedere che le alternative extra-fondente e extra fondente sono diffuse tra gli scriventi (difficile stabilire quale sia la preferita). Sono tutte da considerarsi corrette, al pari di extra vergine e extra-amaro.
Questa variabilità grafica, del resto, è prevedibile, visto che i prefissi extra-megamaxi- e simili sono percepiti quasi come parole a sé stanti (possono essere annoverati, infatti, nella categoria degli affissoidi, e in particolare prefissoidi, morfemi a metà tra gli affissi e la parole a tutti gli effetti) e pertanto resistono all’univerbazione, cioè alla fusione con la parola base per formare una nuova parola. Solo quando la nuova parola è del tutto acclimata la grafia univerbata si stabilizza, come in extracomunitarioextraconiugaleextraparlamentare ecc.
Per quanto riguarda il grado dell’aggettivo, è sicuramente superlativo assoluto: i prefissoidi sopracitati rappresentano una alternativa, molto apprezzata nell’italiano contemporaneo, al suffisso -issimo o all’avverbio molto. Nel caso specifico dell’aggettivo fondente, il superlativo fondentissimo è al limite dell’accettabilità, perché la qualità definita dall’aggettivo non si può graduare, un po’ come per iniziale o motorizzatoExtrafondente, infatti, è nato in ambito pubblicitario, nel quale si fanno spesso forzature linguistiche, e si può dire solo della cioccolata.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Salve, nella frase il forno è acceso, è acceso è un verbo nella forma passiva oppure acceso è un aggettivo? grazie

 

RISPOSTA:

Dato che manca il complemento d’agente, la risposta più economica e prudente alla sua domanda è la seguente: è + aggettivo. In realtà, in casi del genere, ovvero laddove vi è una perfetta identità tra il participio passato e l’aggettivo, non v’è alcuna differenza, dal punto di vista morfologico e sintattico, tra è + aggettivo e forma passiva del verbo. Tuttavia, dato che nella frase da lei citata, se davvero nel contesto non c’era nient’altro (per es.: “il forno era acceso da ore”, “il forno è acceso dal cuoco”, ecc.), nulla sembrerebbe ricondurre l’azione a una componente di agentività, cioè a un qualche tipo di azione compiuta o subita, sembra più prudente interpretarla come copula (verbo essere) più parte nominale (vale a dire l’aggettivo acceso). Si tratta, cioè, di un predicato nominale, anziché di un predicato verbale (come invece sarebbe se la considerassimo forma passiva del verbo accendere).

Sappia, comunque, che il suo dubbio è molto interessante e per niente banale. Anzi, la natura verbale o aggettivale dei participi è un problema ancora non risolto (e forse irresolubile) dai linguisti. La natura del participio è ibrida, tra verbo e aggettivo, e proprio da qui deriva l’etimologia di participio, cioè; ‘che partecipa della natura del verbo e dell’aggettivo’. Quindi, forse, una risposta univoca alla sua domanda non c’è e non può esserci, in assenza di un complemento d’agente o di causa efficiente o di qualche altra specificazione verbale.

Un mio collega, una volta, disse, secondo me a ragione, che chi avesse risolto la questione se il participio fosse più un nome o più un verbo avrebbe vinto il Nobel della linguistica!

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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Categorie: Morfologia, Semantica

Sublime ha comunemente il significato di ‘eccelso, nobilissimo’; è, quindi, pleonastico farne il superlativo (il più sublime equivale, appunto, a *il più nobilissimo). Quando accompagna alcuni nomi, però, l’aggettivo prende la sfumatura filosofica di ‘relativo al sublime’, cioè legato alla sensazione di elevazione spirituale e intellettuale comunicata da un’opera d’arte o da un’esperienza particolarmente intensa; in questi casi il superlativo relativo è accettabile (il superlativo assoluto, *sublimissimo o *molto sublime, è comunque impossibile). Tra i nomi che accettano il superlativo relativo di sublime ci sono sentimentoattoopera d’artesignificato. Qualche esempio: “La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. Non che io creda che dall’esame di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccorne, ma nondimeno il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera […] pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana” (Giacomo Leopardi, Pensiero LXVIII); “Il pittore o lo scultore, il cui genio è tale che riescono a ritrarre l’anima nel corpo, esprimono senza moti veementi il più sublime dei sentimenti” (Piero Giordanetti e Maddalena Mazzocut-Mis, I luoghi del sublime moderno, 2005, p. 77); “Allora ‘l’opera d’arte più sublime’, quando essa, come dall’altro lato il crimine classico, si avvicina mimeticamente alle cose, rappresenta un medium cognitivo attraverso il quale possono essere acquisite non concettualmente conoscenze sulla realtà” (Axel Honneth, Critica del potere. La teoria della società in Adorno, Foucault e Habermas, 1986); “Nel suo significato più sublime, l’arte è l’espressione estetica dell’interiorità umana” (http://libreriamo.it/arte/che-cose-unopera-darte/, 5 febbraio 2015); “Nell’adorazione, compiamo l’atto più sublime, più miracoloso del creato” (Luca Asprea, Il previtocciolo, 2003, p. 336).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Nome
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QUESITO:

Negli ultimi test di medicina 2017 è stato posto il seguente quesito: Quali, tra i termini proposti, completano correttamente la seguente proporzione verbale? Esteriore estremo = X : Y. 
La risposta esatta del miur è “X = superiore Y = sommo” Ritengo tuttavia che la risposta “X = alto Y = supremo” è parimenti valida.
Chiedo parere linguistico.
Grazie

 

RISPOSTA:

La sua ipotesi non è corretta: esteriore e estremo sono rispettivamente il comparativo e il superlativo di estero ; allo stesso modo, superiore e supremo (e anche sommo) sono il comparativo e il superlativo di un aggettivo poco usato e letterario: supero (che significa ‘posto in alto’). La proporzione verbale, pertanto, è esteriore: estremo =superiore: supremo (o sommo). L’aggettivo alto, evidentemente, è escluso dalla proporzione, essendo di grado positivo (lo stesso di estero e supero)

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

I miei vicini di casa sono sconvolti per un furto”. Sono sconvolti è predicato nominale o verbale?

 

RISPOSTA:

La costruzione della frase suggerisce di interpretare il sintagma sono sconvolti come l’unione di copula e aggettivo, quindi come un predicato nominale. Diversamente, se il complemento di causa fosse un complemento di causa efficiente (“I vicini sono sconvolti da un furto”, e ancora meglio: “I vicini sono stati sconvolti da un furto”), il sintagma sarebbe un predicato verbale. Per maggiori dettagli sulla natura del participio, nominale e verbale allo stesso tempo, la rimando a questo quesito dell’archivio.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi logica, Verbo
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Categorie: Morfologia

QUESITO:

Nella frase io ho finito..ho finito è un passato remoto oppure ho è un verbo e
finito un aggettivo? grazie

 

RISPOSTA:

“Ho finito” è un passato prossimo, ovvero un verbo composto dall’ausiliare (avere) più un participio passato. Naturalmente, in altri contesti, finito, che di per sé è participio passato del verbo finire, può anche valere come aggettivo, per es.: “un lavoro finito”, “essere un uomo finito” ecc.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo, Verbo
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QUESITO:

Possibile/Probabile

I due termini si possono usare indifferentemente, o vi sono differenze di
significato?
 
 
RISPOSTA:

I sinonimi perfetti non esistono, in nessuna lingua. E dunque, anche in questo caso, i due termini sono intercambiabili al 90% ma non al 100%. Probabile (dal lat. probare ‘provare’) è ciò che potrebbe avere argomenti a favore ma è privo di certezza assoluta. Possibile (dal lat. posse ‘potere’) è ciò che può esistere, ma non è detto che esista. Dunque, di un fatto si può dire tanto che sia probabile quanto che sia possibile, mentre per un’opinione è più appropriato probabile di possibile. Inoltre, probabile può essere graduato, mentre possibile tende a rifiutare le gradazioni: “è molto/poco probabile che io perda il treno” (ma non si può dire “è molto/poco possibile”, posso solo dire: “è possibile che io perda il treno”). La differenza tra i due aggettivi risulta più evidente dai loro contrari: improbabile e impossibile (e anche dalle espressioni “non è probabile”, “non è possibile”): il primo rende l’idea dell’eventualità che qualcosa accada oppure no (anche se propende per il no), mentre il secondo esclude assolutamente ogni eventualità che qualcosa possa accadere. Inoltre, possibile può essere usato come rafforzativo in espressioni come: “arriverò il prima possibile”, “il miglior prezzo possibile” ecc. (espressioni inesistenti, anzi impossibili… con probabile). In sostanza, possibile ha una gamma di significati e usi più estesa di quella di probabile.
La consultazione di un buon vocabolario (non dei sinonimi), con l’esame attento di tutti gli esempi riportati per entrambi gli aggettivi (probabile e possibile), fa comprendere meglio, significato per significato, tutte le sottili differenze tra i due termini, che sono più numerose di quelle che io ho cercato qui di riassumere e schematizzare. È molto importante leggere gli esempi dei vocabolari, e non limitarsi alle definizioni, perché spesso la differenza tra parole quasi-sinonime non risulta tanto dalla definizione, quanto dalle frasi e dai contesti d’uso in cui quella parola, ma non un’altra, può essere impiegata.

Fabio Rossi

Parole chiave: Aggettivo
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