Tutte le domande

QUESITO:

Ho trovato queste frasi nel libro Di chi è la colpa di Alessandro Piperno:

(1) “Io c’avevo guadagnato una Sakura acustica con la paletta in finta madreperla su cui spaccarmi i polpastrelli; lui un partner affidabile e diligente che accompagnasse i suoi assolo” (p. 33).

Il che _prima di accompagnasse è evidentemente un pronome relativo, che, a mio parere, introduce una proposizione dipendente impropria, cioè una proposizione consecutiva. Possiamo, quindi, sostituirlo con _tale che? L’uso dell’imperfetto congiuntivo accompagnasse per me dà una sfumatura di un’eventualità, e quindi la sfumatura per me si avvinca a quella di una proposizione finale con il verbo all’imperfetto del congiuntivo.
Se sostituissimo accompagnasse con avrebbe accompagnato sembrerebbe che l’evento successivo sia certo, non più un’eventualità; in quel caso, quindi, la proposizione relativa impropria non avrebbe più la sfumatura finale, ma avrebbe soltanto quella consecutiva: giusto?

Secondo esempio:

(2) “E dato che non c’è limite all’imprudenza, gli avevo lanciato un’occhiata che un ceffo di tale suscettibilità avrebbe di certo interpretato nel peggiore dei modi” (p. 14).

A mio parere, anche in questa frase il che è un pronome relativo, ma curiosamente Piperno ha usato avrebbe interpretato invece dell’imperfetto del congiuntivo. A mio parere qui il pronome relativo introduce ancora una proposizione relativa impropria con valore consecutivo. A differenza dell’esempio (1), però, mi dicono che interpretasse non sia ammesso. Quindi se fosse così concluderei che la proposizione impropria non può essere una finale dato che le proposizioni finali reggono sempre un verbo al congiuntivo: è giusto?

Terzo esempio:

(3) “Gli avevo lanciato un’occhiata che aprisse svariati scenari possibili (che avrebbe aperto svariati scenari possibili)”.

Mi dicono che così sia aprisse sia avrebbe aperto siano accettabili. È giusto? Se tutti e due i verbi sono corretti nell’esempio significa che la proposizione relativa potrebbe essere interpretata sia come finale sia come consecutiva?
Mi domando se sia necessario in una proposizione relativa impropria che l’oggetto a cui fa riferimento il pronome relativo sia il soggetto della dipendente per interpretare la dipendente impropria come una finale.

 

RISPOSTA:

La proposizione relativa nell’esempio 1 riceve effettivamente dal congiuntivo una sfumatura eventuale, che le fa prendere un significato consecutivo-finale. Quando nella reggente è descritta un’azione volontaria non è facile distinguere tra i due valori, perché l’evento descritto nella proposizione relativa può essere interpretato come la conseguenza o anche come il fine dell’azione della reggente; nella frase in questione, però, nella reggente è descritta una condizione (lui (ci aveva guadagnato) un partner), per cui si può scartare il valore finale, visto che una condizione è uno stato di fatto privo di finalità. La sostituzione di che con tale che in questo caso non è possibile, perché mentre il che da solo colloca la proposizione a metà tra la relativa e la consecutiva, permettendo la costruzione al congiuntivo, tale renderebbe, invece, che una congiunzione consecutiva, escludendo la costruzione al congiuntivo, modo non previsto da questa proposizione. Volendo inserire tale, la proposizione consecutiva dovrebbe essere costruita con l’infinito: , tale da accompagnare i suoi assolo.
Se sostituiamo il congiuntivo imperfetto con il condizionale passato la sfumatura eventuale viene meno e l’evento descritto nella relativa diviene fattuale: con che avrebbe accompagnato i suoi assolo, quindi, si intende descrivere quello che effettivamente sarebbe successo in seguito al verificarsi della condizione della reggente, non quello che sarebbe potuto succedere come conseguenza della condizione descritta nella reggente. Lo stesso avviene se sostituiamo che con tale che, tale che avrebbe accompagnato i suoi assolo.
Nella frase 2 il condizionale passato indica, come indicherebbe nella 1, che l’evento descritto è un fatto, non una possibilità. Va sottolineato che, trattandosi di un evento successivo, la fattualità non può che essere immaginata dal parlante, infatti nella frase si legge avrebbe di certo interpretato, cioè ‘avrebbe – io credevo in quel momento – interpretato’. Il congiuntivo imperfetto non è affatto impossibile, ma è strano: un’occhiata che un ceffo di tale suscettibilità interpretasse nel peggiore dei modi è un’occhiata lanciata con lo scopo di suscitare nel ceffo la reazione peggiore; la relativa, cioè, prende, per via del congiuntivo, il tipico significato consecutivo-finale. La stranezza dipende dal fatto che il bersaglio dell’azione (un ceffo di tale suscettibilità) è rappresentato come indeterminato, quindi l’azione sarebbe rappresentata come finalizzata a suscitare una certa reazione su un bersaglio indeterminato. La costruzione con il congiuntivo diviene del tutto regolare se si rappresenta il bersaglio come determinato; per esempio: avevo lanciato a quei due un’occhiata che interpretassero nel peggiore dei modi. L’esempio 3 funziona esattamente come il 2. Per quanto riguarda l’ultima osservazione, non è così: il relativo può avere varie funzioni nella proposizione che introduce anche quando questa ha un significato consecutivo-finale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

A) Se ci fosse un libro che mi intrattenesse, lo comprerei.
B) Se ci fosse un libro che mi intratterrebbe, lo comprerei.
C) Se ci fossero delle persone che mi aiutassero, sarei loro riconoscente a vita.
D) Se ci fossero delle persone che mi aiuterebbero, sarei loro riconoscente a vita.

Le frasi col congiuntivo (A e C) mi sembrano senza dubbio corrette.
Il mio dubbio riguarda le frasi B e D, cioè quelle al condizionale.
Secondo me, però, potrebbero avere una loro correttezza grammaticale, immaginando che quel condizionale abbia una protasi implicita:
B) Se ci fosse un libro che mi intratterrebbe (se lo leggessi), lo comprerei.
D) Se ci fossero delle persone che mi aiuterebbero (se mi trovassi in difficoltà), sarei loro riconoscente a vita.

 

RISPOSTA:

Le frasi B e D sono effettivamente scorrette: il condizionale, infatti, non si giustifica in nessun modo, mentre il congiuntivo delle frasi A e C è attratto dal congiuntivo delle proposizioni reggenti. Anche in presenza di protasi al congiuntivo imperfetto, le proposizioni relative, che sarebbero le apodosi di questi (arzigogolati) periodi ipotetici, sarebbero costruite comunque al congiuntivo. Possibile, invece, l’indicativo, che abbassa leggermente la formalità delle frasi: Se ci fosse un libro che mi intrattieneSe ci fossero delle persone che mi aiutano).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

La domanda diretta nella frase «Renata domandò a Luca: “Vuoi venire a teatro con me sabato prossimo?”» può essere trasformata in indiretta in modi diversi:
«Renata domandò a Luca se voleva / avesse voluto / avrebbe voluto / volesse andare a teatro con lei il sabato seguente».
Qual è l’alternativa migliore?

 

RISPOSTA:

L’alternativa migliore è volesse: il congiuntivo imperfetto nella proposizione interrogativa indiretta (e nelle altre completive) descrive, infatti, un evento contemporaneo o successivo a quello della reggente quando quest’ultimo è passato. Del tutto adeguato anche il condizionale passato avrebbe voluto, che descrive un evento successivo a quello della reggente quando questo è passato, ed è preferito al congiuntivo imperfetto in contesti di media formalità. Possibile anche l’indicativo imperfetto voleva, equivalente in questo caso al congiuntivo imperfetto, ma decisamente meno formale. Il congiuntivo trapassato avesse voluto, a rigore, descrive l’evento come precedente a quello della reggente quando questo è passato; non è adatto, quindi, a descrivere il rapporto tra la domanda e il volere di Luca. In alternativa, il trapassato potrebbe descrivere il volere come precedente a un altro evento, qui non nominato (per esempio “Renata domandò a Luca se avesse voluto andare a teatro con lei il sabato seguente, prima di rompersi la gamba”); nella frase in questione, però, non sembra esserci questa intenzione. Alcuni parlanti userebbero, comunque, il congiuntivo trapassato in questa frase, probabilmente come conseguenza della confusione tra la proposizione interrogativa indiretta e la condizionale, nella quale il congiuntivo trapassato è associato all’irrealtà. Con questa forma, quindi, tali parlanti intenderebbero presentare la domanda come non tendenziosa, ovvero cortese, aperta a ogni risposta. Che il congiuntivo trapassato avrebbe qui la funzione impropria di rendere la domanda più cortese è provato dall’impossibilità di usarlo con la stessa funzione nelle altre completive. Si prenda, ad esempio, la frase “Renata immaginò che Luca _________________ andare a teatro con lei il sabato seguente”: le soluzioni possibili sono volesseavrebbe volutovoleva. Il congiuntivo trapassato avesse voluto è possibile soltanto con la funzione propria di collocare il volere in un momento precedente a un altro, qui non nominato (per esempio “Renata immaginò che Luca avesse voluto andare a teatro con lei il sabato seguente, prima di rompersi la gamba”).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se nella frase che segue è consentito l’uso della virgola prima della preposizione “per”, e se non sia il caso di inserire una virgola prima del “che” (anche in relazione alla presenza o assenza del termine “altrettanto”): “Il prossimo anno segnerà l’inizio di altrettante collaborazioni che vedranno il nostro gruppo offrire servizi sempre migliori, per una crescita in linea con quelle che sono le richieste dei propri fornitori”.

 

RISPOSTA:

La virgola prima della subordinata introdotta da per è facoltativa; inserendola, poniamo la subordinata sullo stesso piano informativo della altre proposizioni. L’assenza o la presenza della virgola prima della proposizione relativa influisce sul significato della frase (nel primo caso si parla di relative limitative, nel secondo di relative esplicative: la rimando a quest’articolo per approfondire il tema). Nella frase esemplificata l’interpretazione più ovvia della relativa è quella limitativa perché l’informazione è determinante ai fini dell’identificazione di qualcosa.
In generale, però, l’intera frase risulta appesantita da costrutti ridondanti (quelle che sono le richieste) e da costruzioni sintattiche poco chiare (vedranno il nostro gruppo offrire servizi). Le suggerisco, quindi, una possibile riscrittura: “Il prossimo anno segnerà l’inizio di altrettante collaborazioni che permetteranno al nostro gruppo di offrire servizi migliori, per una crescita in linea con le richieste dei fornitori”.
Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se nello scritto è più corretta la forma con il congiuntivo o l’indicativo: “Se ciò non si verifica, i miei parenti sono tenuti a prendere provvedimenti” oppure “Se ciò non si dovesse verificare, i miei parenti saranno tenuti a prendere provvedimenti”?

 

RISPOSTA:

Le due frasi sono ugualmente corrette, ma diverse. La prima è un periodo ipotetico del primo tipo, o della realtà, con l’indicativo sia nell’apodosi (la proposizione principale), sia nella protasi (la proposizione ipotetica); la seconda è un periodo ipotetico misto, con un’apodosi della realtà e una protasi del secondo tipo, o della possibilità. La scelta tra le due frasi dipenderà dal significato ricercato: con la prima l’ipotesi è rappresentata come fattuale, con la seconda la stessa ipotesi è rappresentata come possibile, eventuale, incerta.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho trovato questa frase nel libro Di chi è la colpa di Alessandro Piperno:
“Potrà apparire strano che fin qui non avessi ancora messo a parte i miei dei pericoli che incombevano sul loro unico figlio”.
Nella completiva dipendente trovo curioso che il tempo verbale usato sia il trapassato del congiuntivo (avessi messo) invece del congiuntivo passato (abbia messo). So che la concordanza dei tempi è più rigida con le completive di questo tipo e volevo capire la ragione per cui il tempo verbale sia ammissibile in questa frase. È una scelta stilistica?
È possibile che Piperno voglia impartire una sfumatura di una cosa nel passato che è successo prima di un’altra cosa nel passato? È lecito sia nella lingua parlata sia nella lingua scritta?

 

RISPOSTA:

Il trapassato è la scelta più regolare in questo contesto; il tempo di riferimento, infatti, è il passato (lo si evince dall’imperfetto incombevano) e con il trapassato si intende, appunto, descrivere un evento avvenuto (o non avvenuto) precedentemente. Sorprendente, piuttosto, è l’avverbio fin qui usato per riferirsi a un momento passato, ovvero con il significato non di ‘fino ad adesso’ ma di ‘fino ad allora’. Si tratta di un uso molto comune nella lingua parlata, sfruttato in letteratura per confondere il piano della narrazione con quello dell’enunciazione (una tecnica nota come discorso indiretto libero). Il piano temporale su cui si colloca fin qui è ancora più ambiguo per via della presenza di potrà, futuro epistemico equivalente a ‘forse è’, riferito al momento dell’enunciazione. Nella frase, insomma, lo scrivente si rivolge al lettore dicendo che nel momento in cui quest’ultimo sta leggendo appare probabilmente strano che in quel momento del passato (identificato con fin qui) lo scrivente stesso non avesse ancora compiuto (evento descritto al trapassato) quell’azione.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Il mio quesito è duplice. Mi farebbe piacere sapere se nella frase “Non feci in tempo a scansarmi che l’uomo in bicicletta mi travolse” ci troviamo di fronte a un caso di che polivalente. Io lo percepisco come tale e mi sentirei di segnalarlo e correggerlo in un tema. Non trovo però una forma valida con cui sostituirlo senza intervenire su tutta la struttura della frase, ad esempio “L’uomo in bicicletta mi travolse senza che potessi fare in tempo a scansarmi”. Più in generale mi chiedo spesso se i tratti di italiano neo-standard vadano corretti o accettati in ambito scolastico.

 

RISPOSTA:

In frasi come la sua il connettivo che è usato con una funzione esplicativo-consecutiva, che rientra tra quelle raggruppate sotto l’etichetta di che polivalente. La stessa funzione può essere ravvisata in frasi come “Tu esercitati, che prima o poi avrai successo”, o “Vieni che ti spiego tutto”. Quest’uso è certamente tipico del parlato di formalità medio-bassa (come suggerisce il senso stesso delle frasi esempio); la sua accettabilità nello scritto di media formalità, invece, oscilla in relazione alla sensibilità dei parlanti e alla costruzione dell’intera frase. Nella sua frase, per esempio, l’uso ha un’accettabilità più alta che negli esempi fatti da me, perché non fare in tempo che è un costrutto quasi cristallizzato (un costrutto pienamente cristallizzato di questo tipo è fare in modo che). Per la verità, un’alternativa del tutto standard (e per questo meno espressiva) alla costruzione che non richieda lo stravolgimento della frase esiste: “Non feci in tempo a scansarmi: l’uomo in bicicletta mi travolse”. La variante sintattica, si noti, rivela che il che polivalente è spesso un “riempitivo” coesivo per un collegamento logico che altrimenti rimarrebbe implicito; anche nei miei esempi, infatti, il che si può semplicemente eliminare (con l’effetto secondario di elevare il registro).
Anche per altri tratti del neostandard l’accettabilità dipende oltre che, ovviamente, dal contesto, dalla sensibilità dei parlanti e dalla costruzione dell’intera frase. Per esempio, una dislocazione a sinistra come “Questo argomento lo tratteremo la prossima volta” è più accettabile di “Di questo argomento ne parleremo la prossima volta”, perché anche se in entrambe le frasi la tematizzazione del costituente rafforza il collegamento con la frase precedente, nella seconda la ripresa pronominale non è necessaria.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quale delle due frasi è corretta: “Sarà difficile che ti ricorderai di me” oppure “sarà difficile che ti ricordi di me”?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette. Un evento futuro espresso con una proposizione completiva dipendente da una reggente al futuro o al presente può essere descritto con il congiuntivo presente (qui ricordi) o con l’indicativo futuro (qui ricorderai). Il congiuntivo è la scelta più formale; l’indicativo quella più adatta al parlato e allo scritto medio-basso. Per un approfondimento della questione si veda questa risposta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle frasi che costituiscono l’elenco numerato è più appropriato utilizzare il congiuntivo o l’indicativo del verbo indicato tra parentesi?
Per l’analisi dei libri di testo è stato impiegato il modello di sviluppo dell’autonomia di Reinders, basato su 8 livelli, per ciascuno dei quali sono stati ricercati nei testi specifici elementi:
1. Per il livello della definizione dei bisogni sono stati ricercati elementi che (permettono o permettano?) al discente di riflettere sui propri punti di forza, di debolezza ed esigenza nell’utilizzo della LS.
3. Per la pianificazione dell’apprendimento è stato verificato se i libri (consentono o consentano?) al discente di definire i tempi, le modalità e gli obiettivi di apprendimento per ciascuna unità o alcune di esse.
5. Per la selezione delle strategie di apprendimento sono state ricercate sia attività che informazioni che (aiutano o aiutino?) il discente ad adottare consapevolmente una specifica strategia di apprendimento.
6. Per il livello delle esercitazioni è stata osservata la presenza di esercizi liberi, in cui lo studente (può o possa?) utilizzare la LS senza rigide linee guida ed esprimersi, quindi, in modo più autentico sia in classe che al di fuori.
7. Per il monitoraggio dei progressi sono state ricercate sezioni che (permettono o permettano?) al discente di registrare e riflettere su cosa e come ha imparato.
8. Infine, per il livello della valutazione sono state considerate attività di autovalutazione o di feedback tra pari che (consentono o consentano?) agli studenti di esprimere un giudizio su ciò che essi stessi o i propri pari hanno appreso.

 

RISPOSTA:

In tutti i casi meno uno il verbo si trova all’interno di proposizioni relative. Queste ultime, tipicamente costruite con l’indicativo, possono prendere il congiuntivo quando il pronome relativo ha un antecedente indeterminato; il congiuntivo invece dell’indicativo produce un innalzamento diafasico, mentre il significato, a seconda della frase, non cambia affatto oppure assume una sfumatura consecutivo-finale. Mentre, ad esempio, elementi che permettono indica che gli elementi ricercati posseggono la qualità descritta (cioè permettono al discente di riflettere), elementi che permettano indica che gli elementi sono ricercati perché posseggano quella stessa qualità, o, in altre parole, nel primo caso si cercano degli elementi con una certa qualità, nel secondo si cerca una certa qualità posseduta da alcuni elementi. Del tutto ininfluente sul significato è, invece, la scelta del modo verbale nella proposizione interrogativa indiretta nella frase 3: qui la scelta dipende soltanto da ragioni diafasiche, ovvero dall’intento di usare un registro medio-alto (con il congiuntivo) o medio-basso (con l’indicativo).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Espressioni come ne consegue ne deriva , o anche se ne desume, reggono il congiuntivo? Oppure l’Indicativo? O entrambi? In genere, quando scrivo preferisco, a livello di suono, il congiuntivo, non credo però ci sia una forma necessaria. Quale potrebbe essere più corretta?

 

RISPOSTA:

Queste espressioni impersonali reggono una proposizione soggettiva, che può essere costruita con l’indicativo o il congiuntivo. Il modo scelto non modifica il significato della frase, ma influisce sul registro: il congiuntivo è più formale e più adatto allo scritto medio-alto; l’indicativo è meno formale, quindi più adatto al parlato e allo scritto trascurato.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È corretto iniziare una frase, che non ne precede altre, con affinché?

 

RISPOSTA:

Sì, l’ordine delle proposizioni all’interno di una frase può variare, quindi una proposizione subordinata finale introdotta dalla congiunzione affinché può precedere la reggente, come nel seguente esempio: “Affinché la torta sia cotta [subordinata], il forno deve mantenere una temperatura di 150 gradi [reggente]”. Sarebbe sbagliato, invece, lasciare la subordinata sospesa, cioè senza la proposizione reggente; una frase come *Affinché la torta sia cotta risulterebbe priva di senso.
Raphael Merida

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Non mi è chiaro perché, in una precedente risposta del 2020, nella frase sembrano guidare l’infinito corrisponde ad una soggettiva. Vi chiedo altresì indicazione di una grammatica che possa fugare dubbi del genere.

 

RISPOSTA:

La proposizione retta da sembrare non può che essere di tipo completivo, perché il verbo sembrare, come gli altri verbi copulativi, collega il soggetto con un suo completamento o sintagmatico (“I cavalli sembrano stanchi“) o, per l’appunto, proposizionale (“I cavalli sembrano essere stanchi“). Nel primo caso il sintagma che completa il predicato (detto nominale) è un complemento predicativo del soggetto, nel secondo caso la proposizione è una soggettiva.

Una grammatica che tratta casi di questo tipo è la Grande grammatica italiana di consultazione, in tre volumi, a cura di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi e Anna Cardinaletti, Bologna, il Mulino (ultima edizione 2001).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella seguente frase il congiuntivo cerchino è preferibile rispetto all’indicativo cercano?
“Scelgo le forme che non cercano scopi per descrivere quello che sento per te”.

 

RISPOSTA:

No: l’indicativo è la forma migliore, perché l’antecedente del relativo, le forme, è determinato, quindi non si armonizza bene con il congiuntivo, che renderebbe la qualità del cercare scopi eventuale, quindi indeterminata. Diversamente, il congiuntivo sarebbe possibile, ma comunque non obbligatorio, se la frase fosse “Scelgo forme che non cerchino scopi…”. In questo caso cerchino sarebbe interpratato come un processo consecutivo-finale (come se le forme fossero scelte allo scopo di non cercare scopi), mentre cercano qualificherebbe in astratto le forme scelte.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

I verbi in maiuscolo nella seguente frase sono corretti?
“Se ci ferissimo in una zona remota dovremmo avere con noi un buon kit di primo soccorso, che CONTENGA quegli strumenti che ci CONSENTIREBBERO di fronteggiare anche gravi situazioni di urgenza”.

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo presente contenga è adatto a esprimere l’atemporalità (o meglio la pantemporalità, ovvero l’indipendenza da coordinate temporali particolari) del processo che qualifica il kit. Si noti che il conguntivo è preferibile all’indicativo in questo caso perché l’antecedente del relativo, un buon kit, è indeterminato; se al posto di un buon kit ci fosse, per esempio, il kit, l’indicativo presente contiene sarebbe preferibile (in quel caso, però, la proposizione relativa diventerebbe automaticamente limitativa, quindi si dovrebbe anche eliminare la virgola prima del pronome relativo).
La decisione riguardo a consentirebbero è più complicata: nella frase così costruita si può usare sia questa forma sia l’indicativo presente consentono. Nel primo caso il processo è rappresentato come conseguenza di una condizione sottintesa (per esempio se si presentassero); nel secondo caso il processo è presentato come pantemporale, al pari di contenga. Rispetto a contenga, qui l’indicativo è preferibile al congiuntivo perché l’antecedente del relativo, quegli strumenti, è determinato.
Va detto, comunque, che bisogna evitare di subordinare una relativa a un’altra relativa. A questo scopo si può sostituire, per esempio, che ci consentono o che ci consentirebbero con utili a.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Quando rientrerà la mamma, sarò libera dall’impegno di badare al mio fratellino” di badare al mio fratellino è da considerarsi una subordinata dichiarativa (in quanto specifica il significato di impegno nella principale) oppure una finale?

 

RISPOSTA:

L’aggettivo libero è uno di quelli che possono reggere un argomento (come adatto adegno dipronto a). Quando l’argomento prende la forma di una proposizione, questa non può che essere considerata argomentale, per l’appunto. Tra le argomentali, la dichiarativa è quella che corrisponde più da vicino alle caratteristiche della proposizione così formata.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

“Che ore sono?” è un’interrogativa diretta.
“Dimmi che ore sono” è un’interrogativa indiretta perché dipende da una principale.
Considerate queste premesse, la frase “Mi dici che ore sono?” Oppure “Puoi dirmi che ore sono?” ha il punto interrogativo e perciò non dovrebbe essere un’interrogativa indiretta, ma allo stesso tempo dipende da una reggente. Come la si può interpretare, dunque?
Stesso problema per: “Hai visto cosa ha fatto?”.

 

RISPOSTA:

Nella premessa c’è una imprecisione; una volta rettificata quella la risposta risulta subito evidente. Le frasi con la proposizione interrogativa indiretta non sono interrogative indirette, ma contengono una interrogativa indiretta. La proposizione che regge l’interrogativa indiretta può ben essere una interrogativa diretta, quindi richiedere il punto interrogativo alla fine; è quello che succede in “Mi dici che ore sono?”: Mi dici? è la proposizione principale, interrogativa diretta, che regge l’interrogativa indiretta che ore sono. Il punto interrogativo, in queste frasi, è legato alla principale, non alla subordinata. Lo stesso vale per “Puoi dirmi che ore sono?” e “Hai visto cosa ha fatto?”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nel periodo: “Avevo visto Mario e gli avevo chiesto di passare dal mio studio, ma non ha portato i documenti che avrei dovuto consultre” la coordinata avversativa ma non ha portato i documenti è da considerare legata alla coordinata copulativa e gli avevo chiesto oppure alla subordinata oggettiva di passare dal mio studio?

 

RISPOSTA:

La coordinata introdotta da ma è formalmente collegata alla coordinata alla principale e gli avevo chiesto; nessun elemento al suo interno, infatti, può collocarla su un piano della gerarchia sintattica diverso dal primo. Certo, se sottraessimo la subordinata oggettiva, il contenuto della seconda coordinata non sarebbe comprensibile (e gli avevo chiesto, ma non ha portato i documenti); questo, però, è un effetto della forza del legame di subordinazione completivo (quello che lega gli avevo chiesto e di passare dal mio studio), per il quale la reggente risulta incompleta senza la subordinata.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sulla corretta analisi del participio passato nella seguente frase: “Luigi è stato colpito da una tegola MOSSA dal vento”. il participio mossa lo considero come un predicato verbale che introduce un’altra proposizione di cui dal vento è una causa efficiente?
In altre parole, può un modo indefinito introdurre un predicato verbale? Ho consultato un paio di grammatiche ma ho sempre trovato esempi con modi finiti.

 

RISPOSTA:

Il participio passato e, in generale, una qualsiasi forma indefinita del verbo possono essere analizzati come predicato verbale (sebbene il participio possa fungere anche da sintagma nominale e aggettivale e l’infinito da sintagma nominale). Nel caso specifico, mossa equivale a che era (stata) mossa, quindi è il predicato verbale di una proposizione relativa implicita, completata dal complemento di causa efficiente dal vento.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Parlerò soltanto con chi conosca / conoscesse almeno i principi essenziali”.
“Non parlerò con chi non conosca / conoscesse almeno i principi essenziali”.
Con chi parlerò?

 

RISPOSTA:

La relativa introdotta da chi ha un valore consecutivo (chi (non) conosca = ‘le persone tali da (non) conoscere’), che giustifica l’uso del congiuntivo. Il tempo del congiuntivo nella relativa è deittico, cioè allineato con il tempo extralinguistico: se il conoscere è presente o futuro (quindi comunque presente ai fini della scelta del tempo del congiuntivo) si dovrà usare il presente; se, invece, il conoscere è passato (“parlerò ora o domani con chi conoscesse ieri i principi essenziali”), si userà l’imperfetto. L’imperfetto, per la verità, potrebbe essere usato anche per il presente, perché chi (non) conoscesse può essere interpretato come se qualcuno (non) conoscesse; si tratterebbe, però, di un uso ambiguo e, in più, la sfumatura ulteriore di eventualità aggiunta dall’imperfetto sarebbe superflua. In questa risposta può trovare la spiegazione di un caso analogo al suo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Si dice «ha constatato che il sig. X fosse presente» o «ha constatato che il sig. X era presente»?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette: quella al congiuntivo è più formale, ma quella all’indicativo è più comune. Nelle subordinate completive l’indicativo e il congiuntivo sono intercambiabili, sebbene con gradi di accettabilità differenti a seconda del verbo reggente e anche del fatto che vi sia o no la negazione, oltre che in base al grado di formalità. Con la negazione, per esempio, il congiuntivo è sempre preferibile: «Non ha constatato se X fosse presente». Con la negazione, tra l’altro, la completiva non è un’oggettiva, bensì una interrogativa indiretta, introdotta da se. Nelle frasi affermative, vi sono verbi che ammettono, e quasi prediligono, l’indicativo, quali constatare, appurare, dire, vedere, sentire (una frase come «sento che Luca sia affannato», ancorché non erronea, è al limite dell’inaccettabile, in un italiano comune); e verbi che invece preferiscono il congiuntivo (la maggior parte: volere, temere, credere, pensare, ritenere, dubitare, sognare…). In linea di massima, i verbi che esprimono una percezione diretta della realtà prediligono l’indicativo (tranne che con la negazione), mentre i verbi che esprimono un’ipotesi, un timore, una volontà e simili prediligono il congiuntivo. Oltre che dal grado di formalità, la presenza dell’indicativo o del congiuntivo nelle subordinate, dunque, non dipendono tanto dal grado di certezza (come erroneamente spesso si dice), quanto dalla percezione più o meno diretta. Se dipendesse dalla certezza, allora frasi come le seguenti sarebbero impossibili: «credo fermamente che Dio esista»; «ho sognato che volevi uccidermi», mentre invece sarebbero poco naturali «credo fermamente che Dio esiste» e «ho sognato che volessi uccidermi». Questo perché sognare si riferisce comunque al frutto di una percezione diretta, mentre il verbo credere (così come avere fede), pur non mettendo in dubbio il frutto di quanto viene creduto, lo esprime comunque con un verbo che indica una elaborazione del pensiero (come pensare).  

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Avrei bisogno di un chiarimento in seguito ad un diverbio per l’uso del verbo avere dopo la preposizione se.

Durante una conversazione riguardante una persona che dovrebbe unirsi a me e ad altre persone per un viaggio (persona con un atteggiamento poco incline al girare a piedi una città) è stata detta la seguente frase «certo, se avrebbe anche a Londra questa visione di visitare la città meglio che non venga», volevo sapere se «avrebbe» usato in questa maniera diciamo ipotetica può essere giusta o se si sarebbe dovuto usare «se avesse».

 

RISPOSTA:

La congiunzione (e non preposizione) se, in questo caso, introduce la protasi di un periodo ipotetico e dunque non può mai reggere un condizionale, ma soltanto un congiuntivo, oppure un indicativo: «se avesse… sarebbe meglio», «se ha… è meglio». Le ragioni dell’errore sono facilmente intuibili: il/la parlante coglie la dubitatività dell’evento e la esprime dunque la condizionale: «potrebbe avere anche a Londra questa visione… allora è meglio che non venga». Tuttavia, come ripeto, dato che il periodo è ipotetico, dopo se è ammissibile soltanto o l’indicativo o il congiuntivo, mai il condizionale. Peraltro, se si vuole rendere a pieno la modalità della protasi, in questo contesto, a metà tra il volitivo e l’epistemico, la soluzione migliore sarebbe la seguente: «Certo, se deve avere anche a Londra questa visione di visitare la città, è meglio che non venga per niente».

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

«Questa critica è rivolta a me, che non ho seguito i tuoi consigli».

Non so se la costruzione sia corretta. Non ravviso niente di illogico o di irregolare in essa; tuttavia non sono convinta che, dal punto di vista grammaticale, il riferimento del «che» sia valido.

La frase, parafrasata, sarebbe questa:

«Questa critica è rivolta a me. Io non ho seguito i tuoi consigli».

Ma nell’esempio, il «che», se non erro, si riferisce a un soggetto non espresso. Mi domando se la mia osservazione sia giusta.

 

RISPOSTA:

La frase è ben formata e il che non si riferisce a un soggetto non espresso, bensì a un complemento di termine (della reggente), svolgendo tuttavia la funzione di soggetto della subordinata relativa. Il fatto che l’antecedente del relativo (cioè il nome cui il relativo si riferisce) sia in un complemento indiretto non crea alcuna difficoltà; l’importante è che il pronome relativo, all’interno della proposizione relativa, svolga il ruolo o di soggetto o di oggetto, e nessun altro (salvo eccezioni d’ambito colloquiale e al limite dell’accettabilità). Dunque, sarebbe substandard un esempio del genere: «la critica è rivolta a me, che non me ne importa niente» (cioè «a cui non importa niente»). In questo caso, saremmo di fronte a una cosiddetta relativa debole, o che polivalente, da evitare nello stile formale o anche di media formalità.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nel linguaggio, spesso frettoloso e trascurato, della messaggistica, ho ravvisato esempi del genere:

1) Visto due film, stasera: spettacolari.

2) Fatto. Comprato pane e marmellate.

Si tratta evidentemente di due casi in cui si è scelto di omettere l’ausiliare coniugato.

(Ho) visto due film. (Ho) comprato pane e marmellate.

Innanzitutto, vi domando se le costruzioni così presentate sono corrette.

Se si volesse unire l’economicità della comunicazione, che sembra essere fondamentale in questo contesto, con il rispetto della sintassi, si potrebbe optare, secondo voi, per il compromesso di flettere il participio passato secondo il genere e il numero?

Dal punto di vista della brevità (e dell’immediatezza) non ci sarebbero differenze.

3) Visti due film, stasera: spettacolari.

4) Fatto. Comprati pane e marmellate.

 

RISPOSTA:

Entrambe le costruzioni (visto/visti, fatto/fatti) sono corrette, ma non v’è dubbio sulla maggiore formalità della seconda, che dunque è da preferire. Infatti, mentre nel primo caso («visto due film», «comprato pane e marmellate») l’unico modo per giustificare la presenza del participio passato è quello di ricorrere all’ellissi dell’ausiliare, col risultato di ottenere una frase telegrafica e, in quanto tale, traballante, assolutamente da evitare nello stile anche di media formalità, nel secondo caso, invece, il participio passato al plurale, e cioè accordato col soggetto di una frase passiva («sono stati visti due film», «sono stati comprati pane e marmellate»), è perfettamente standard e adatto a qualunque contesto, interpretabile come costrutto implicito, senza bisogno di invocare l’ellissi dell’ausiliare. Tant’è vero che le stesse proposizioni potrebbero trovarsi come subordinate implicite: «visti due film, sono poi andato a letto»; «comprati pane e marmellate, sono pronto per una bella colazione». La stessa possibilità è negata al participio singolare maschile, che in questo caso sarebbe agrammaticale: *«visto due film, sono poi andato a letto»; *«comprato pane e marmellate, sono pronto per una bella colazione»

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho una domanda riguardante la seguente frase, tratta da The Game di Alessandro Baricco:

L’istinto era quello di fermarli. Il pregiudizio, diffuso, quello che fossero dei distruttori punto e basta.

Nella frase, quello che fossero equivale a (l’istinto) era che fossero (l’uso del congiuntivo imperfetto è stilistico e non è semantico). La mia confusione riguarda il fatto che in quello che il che è un pronome relativo, mentre nella mia versione della frase il che è una congiunzione. Nella frase originale perché che è un pronome relativo? Non riesco a sostituirlo con il quale. A che cosa si referisce quello? Potrebbe farmi un altro esempio in cui quello che viene usato come nella frase di Baricco?

 

RISPOSTA:

Nella frase originale, quello serve a ripetere il sintagma l’istinto. Questa ripetizione è possibile (anche se appesantisce la sintassi) e può servire a far risaltare il sintagma ripreso. Essa, però, non è necessaria e non cambia la natura della proposizione introdotta da che; il che, infatti, non si riferisce a quello (infatti non può essere sostituito da il quale), ma è una congiunzione, proprio come nella versione modificata. La proposizione introdotta da che è una completiva: nella variante con quello è una dichiarativa; nella variante senza quello viene considerata soggettiva, anche se sostituisce una parte nominale (per un approfondimento si veda questa risposta). Frasi come quella da lei citata potrebbero essere “La paura era quella di non riuscire a vincere”; “La paura era quella che la mia squadra non avrebbe vinto”.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nel seguente esempio la proposizione che inizia con dovreste esprime una possibilità, giusto?

Non mi pare che dovreste avere troppa difficoltà a collocare una trama sopra delle note (M. Morazzoni).

È possibile formulare la proposizione senza dovere (“Non mi pare che avreste troppa difficoltà a collocare una trama sopra delle note”)?

Un altro esempio: “Penso che Mario potrebbe uscire stasera” (possibilità); se cambio la frase con “Penso che Mario uscirebbe stasera” dovrei esplicitare una condizione, ad esempio se avesse tempo?

Nella frase “Io penso che dovremmo tenerla unita, questa fortuna, tenere insieme i figli, e le donne e noi stessi, tutti insieme” (U. Riccarelli), mi sembra che dovremmo esprima in modo cordiale un consiglio invece che una possibilità. Per questo tipo di completiva penso che sia necessario usare dovere, potere, o volere e non sarebbe possibile scrivere la proposizione senza un verbo servile; giusto?

 

RISPOSTA:

I verbi servili aggiungono sempre una sfumatura di significato al verbo che reggono. Nella prima frase, dovreste rappresenta il non avere difficoltà come ipotizzato dall’emittente, quindi che il parlante è incerto se quello che sta dicendo si avvererà. Il condizionale, in questo caso, non è legato a una premessa, ma esprime il dubbio dell’emittente (come se nella frase fosse sottinteso se avessi ragione, se la mia idea fosse corretta o simili). Se eliminiamo il verbo servile, viene meno la sfumatura ipotetica; avreste indicherebbe che il non avere difficoltà è la conseguenza di una premessa. Tale premessa dovrebbe essere esplicitata, altrimenti la frase rimane in sospeso. Lo stesso vale per la seconda frase: come da lei proposto, il servile potere rappresenta l’uscire come potenziale; senza il servile, uscirebbe diviene la conseguenza di una premessa che deve essere esplicitata.

Nella terza frase, dovremmo esprime ancora un’ipotesi dell’emittente; visto il significato della frase, però, in questo caso l’ipotesi è interpretata automaticamente come un auspicio, quindi anche come un invito all’interlocutore a realizzare il contenuto della frase. Anche qui senza il verbo servile il tenerla unita e le altre azioni diventerebbero conseguenze di premesse che devono essere esplicitate. Ovviamente, se sostituiamo dovere con un altro verbo servile il significato della frase cambia: con potere l’invito si trasforma in una possibilità, con volere in un desiderio.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Se ho un discorso diretto interrotto da un inciso, come “Prendi il libro”, disse la mamma, “E mettiamoci al lavoro”, è necessario scrivere la e maiuscola anche se la frase è iniziata nel discorso diretto precedente?

 

RISPOSTA:

Non è necessario, proprio in considerazione del fatto che il discorso continua dal blocco precedente. Anche l’uso della maiuscola, del resto, non può dirsi scorretto, visto che si tratta comunque di un blocco di discorso diretto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio su due frasi:

1) per me hai ragione tu

2) si studia per sé e non per gli insegnanti

 

RISPOSTA:

L’analisi logica delle due frasi è la seguente: 1) hai ragione: predicato verbale; tu: soggetto; per me: complemento di limitazione. 2) Il periodo è composto da due proposizioni; una reggente e una coordinata. Analisi logica della reggente: si studia: predicato verbale; per sé: complemento di vantaggio; e non (si studia): predicato verbale sottinteso; per gli insegnanti: complemento di vantaggio.

Fabio Rossi

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QUESITO:

1. Seppur sbagliando, ho fatto tutto in buona fede.
Mi è capitato di sentire delle frasi del genere e mi chiedevo se fossero corrette.
Per me, le uniche due versioni corrette sono quelle formate da “seppure” + verbo di modo finito e “pur(e)” con gerundio:
2. Seppure io abbia sbagliato, ho fatto tutto in buona fede.
3. Pur sbagliando, ho fatto tutto in buona fede.

 

RISPOSTA:

La frase 1. è senza dubbio scorretta; la 2. e la 3., invece, sono ben formate. Le proposizioni concessive esplicite, come nel caso di 2., possono avere il verbo al congiuntivo o all’indicativo, a seconda delle congiunzioni dalle quali sono introdotte. Reggono il congiuntivo, per esempio, le congiunzioni seppure, sebbene, malgrado ecc.: “Seppure/Sebbene/Malgrado abbia sbagliato”; regge l’indicativo una locuzione congiuntiva come anche se: “Anche se ho sbagliato”. Le concessive implicite, come nel caso di 3., sono costruite invece con il gerundio (o con il participio e in rari casi con l’infinito) preceduto da un connettivo come pure: questa costruzione è possibile soltanto nel caso in cui il soggetto della concessiva coincida con quello della reggente.
Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È possibile dire «Vorrei che faccia» invece che «Vorrei che tu facessi»? È corretto pensare che il congiuntivo presente dia al mio desiderio una sfumatura di maggiore cogenza, un senso imperioso? Normalmente, da quello che trovo anche nelle grammatiche, si usa il congiuntivo imperfetto nella subordinata, poiché l’evento è dato come realizzabile solo se si attua il mio desiderio. Ma nel caso in cui io parlante intenda il mio vorrei come ‘obbligo’, e usi il condizionale solo in quanto formula di cortesia, è accettato il congiuntivo presente? In sintesi: è un vero e proprio errore usare il congiuntivo presente nella frase citata in apertura, o si tratta di una forma poco usuale, ma in alcuni casi prevista e possibile? Si tratta di un problema di grammatica o di semantica?

 

RISPOSTA:

Come spesso accade, di errori veri e propri nella lingua ve ne sono pochi; il più delle volte si tratta di varietà, improprietà, sfumature. In questo caso, se non errato, l’uso del presente congiuntivo in associazione col condizionale presente, possibile in astratto, è improprio e decisamente minoritario (nelle persone colte), sia per ragioni semantiche, sia per ragioni grammaticali, o per meglio dire di analogia con altri costrutti che associano congiuntivo a condizionale. Dal punto di vista semantico, come giustamente ricorda lei, la spiegazione che si dà al condizionale è che il parlante/scrivente «mostra di credere poco alla realizzabilità del proprio desiderio, lo dà quasi come fosse già alle spalle» (L. Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 63). Può trovare approfondimenti al riguardo in numerose altre domande di DICO, riassunte qui. Quel che più conta, però, è l’uso dei parlanti e degli scriventi, più che le loro eventuali intenzioni recondite. Nell’uso comune, quando compare il condizionale presente nella reggente, scatta quasi sempre l’uso combinato del congiuntivo imperfetto. Perché? Evidentemente per via del costrutto che più d’ogni altro (come frequenza d’uso) combina i due modi e tempi, vale a dire il periodo ipotetico del secondo tipo (il più frequente dei periodi ipotetici): «verrei se potessi» (e non «se possa»!). Per questa ragione, i parlanti e gli scriventi colti (e conseguentemente le grammatiche) associano all’uso combinato di condizionale presente più congiuntivo presente un valore di estrema trascuratezza, prossimo all’errore. La giustificazione che lei dà dell’opzione del congiuntivo presente è ineccepibile, ma logicistica: le lingue non funzionano con astratte logiche a posteriori, bensì in base a consuetudini consolidate.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se la costruzione implicita «Spero di incontrarci» possa essere giudicata, in astratto, corretta, o almeno accettabile, quale alternativa alla certamente più comune «spero che possiamo incontrarci». Considerando che i soggetti di principale e subordinata coincidono, non dovrebbe essere, a rigore, una soluzione valida?

 

RISPOSTA:

La costruzione implicita non è corretta perché non vi è identità di soggetto tra reggente e completiva: il soggetto della reggente, infatti, è io, mentre quello della completiva è noi.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho letto il contributo sulla vostra pagina sull’argomento «a condizione che» (qui) e mi sarei interessato perché non avete consigliato il congiuntivo trapassato nella terza frase: «casomai avesse studiato molto avrebbe superato l‘esame». Secondo me si tratta del 3. grado ipotetico.

 

RISPOSTA:

Se si vuole esprimere l’irrealtà, va usato certamente il periodo ipotetico del terzo tipo; si dà cioè per scontato (si presuppone) che non ha studiato molto: «Se avesse studiato molto avrebbe superato l’esame». Va precisato, però, che questo periodo ipotetico funziona perfettamente con se (che è la congiunzione ipotetica, o condizionale, per antonomasia), ma funziona meno bene con gli altri connettivi (dunque non del tutto sinonimici) quali a patto che, a condizione che, purché, caso mai (o casomai), i quali si conciliano meglio con il periodo ipotetico dei primi due tipi. Purché, per esempio, si adatta soprattutto a contesti al congiuntivo presente: «leggi i fumetti, purché tu legga»; casomai (quando è usato come congiunzione e non come avverbio) si usa quasi esclusivamente all’imperfetto congiuntivo: «casomai passassi da Messina, fammi uno squillo». Non a caso, se consulta la banca dati repubblica.it, scopre che la grande maggioranza dei casomai ha valore avverbiale («Più controlli (casomai armati) o più educazione»); nei rari casi di casomai congiunzione ipotetica, essa è costruita praticamente sempre soltanto con il congiuntivo imperfetto («Accetto suggerimenti, casomai mi ricapitasse»).

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “È meglio ridere che piangere” il soggetto è ridereè meglio è predicato nominale e che piangere è proposizione comparativa?

 

RISPOSTA:

Nella frase, o consideriamo entrambi gli infiniti sostantivati, quindi ridere è soggetto e che piangere è complemento comparativo (o secondo termine di paragone), oppure consideriamo entrambi verbi, quindi ridere è una proposizione soggettiva e che piangere è una proposizione comparativa.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sulla seguente frase: “Non vorrei che dopo siamo in troppi”. È preferibile usare il congiuntivo imperfetto, ma la frase è comunque corretta, oppure è sbagliata?

 

RISPOSTA:

In questa frase agiscono due ragioni contrarie: da una parte ci si aspetta “Non vorrei che dopo fossimo in troppi”, perché i verbi di desiderio al condizionale presente richiedono il congiuntivo imperfetto nella proposizione completiva (per un approfondimento su questa norma si veda qui); dall’altra l’avverbio dopo sottolinea la posteriorità dell’essere rispetto al volere, e questo rinforza la legittimità del congiuntivo presente con funzione di proiezione nel futuro. Da queste premesse si può ricavare, come soluzione ragionevole, che l’imperfetto è comunque la soluzione oggi considerata preferibile, ma il presente è giustificabile (anche se sarebbe visto con sospetto da molti parlanti, quindi dovrebbe essere riservato a contesti informali).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Se io chiedo “Non sei mai stato a Granada, vero?”, la risposta corretta, se l’interlocutore non c’è stato, è “No”. Secondo mio padre invece la risposta corretta è “Sì”, che sottintende “Sì, è vero che non ci sono mai stato”. Io ho cercato senza successo di spiegargli che vero? è una componente della frase necessaria a disambiguarla da quella che sarebbe una semplice affermazione quale “Non sei mai stato a Granada” e non una domanda. È diventato difficile fargli domande di questo tipo. Mi poteste fornire una regola rigorosa, chiara ed esaustiva per chiarire la questione?

 

RISPOSTA:

A rigore la risposta corretta è “Sì (, non sono mai stato a Granada)”, a prescindere dalla presenza di vero; l’interlocutore, infatti, dovrebbe confermare la negazione contenuta nella domanda per rispondere negativamente. Al contrario, per rispondere positivamente (nel caso in cui sia stato a Granada), l’interlocutore dovrebbe negare la negazione con un “No (, sono stato a Granada)”. Le risposte corrette a rigore, però, non sono gradite ai parlanti, perché è controintuitivo rispondere negativamente confermando e positivamente negando; da qui nasce l’abitudine a trascurare la forma della domanda e rispondere considerando soltanto la polarità della risposta. Nonostante questa abitudine, però, non si può dire che le risposte “rigorose” siano scorrette (per quanto, in un contesto informale, risultino un po’ pedanti).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se entrambe le soluzioni riportate di seguito sono corrette, oppure se ve ne sia una meno formale rispetto all’altra:
È una sfumatura semantica che risulta difficile cogliere.
È una sfumatura semantica che risulta difficile da cogliere.

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono possibili e praticamente equivalenti dal punto di vista semantico; la prima, però, ha una costruzione sintattica intricata, per quanto del tutto comprensibile e ammessa dalla grammatica.
L’intrico dipende dalla natura della proposizione che cogliere, contemporaneamente relativa e soggettiva; da una parte, infatti, che riprende il sintagma una sfumatura semantica (quindi introduce una relativa), dall’altra la proposizione funge da soggetto di risulta difficile (quindi è una soggettiva). Per evidenziare questa sovrapposizione di funzioni, potremmo parafrasare questa parte della frase con cogliere la quale risulta difficile.
La seconda frase è più lineare dal punto di vista sintattico: che è il soggetto della proposizione relativa che risulta difficileda cogliere è una proposizione completiva assimilabile a una oggettiva, retta dall’aggettivo difficile. Non è facile associare le due frasi a determinati registri: in linea generale, mentre la seconda è adatta a tutti i contesti, la prima è più adatta a contesti medio-alti, soprattutto scritti, per via della complessità della costruzione.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Incontro difficoltà nel collocare le virgole in questa costruzione:
“Marco accusa Paolo che accusa Luigi che fa finta di niente”.
Mi verrebbe spontaneo inserire soltanto una virgola, dopo Luigi: “Marco accusa Paolo che accusa Luigi, che fa finta di niente”, ma al tempo stesso mi domando se non servirebbe anche dopo Paolo: “Marco accusa Paolo, che accusa Luigi, che fa finta di niente”.

 

RISPOSTA:

La soluzione corretta è quella con due virgole: entrambe le relative, infatti, sono per forza esplicative, perché i nomi propri sono fortemente determinati e possono essere ulteriormente identificati con una relativa limitativa soltanto in condizioni speciali (per esempio “Ho incontrato quel Paolo che fa il barista a Modena”).
Maggiori informazioni sulle relative limitative ed esplicative possono essere ricavate qui.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Queste frasi possono essere scritte in tutti i modi proposti?
“Sarebbe bello se nella vita di tutti i giorni avessimo dei motori, come quelli scacchistici, che ci indicassero / indicano / indichino sempre la mossa migliore”.
“Da quando i Fenici hanno inventato / inventarono il denaro(,) il mondo va / sta andando a rotoli”.
È possibile inserire la virgola tra parentesi?

 

RISPOSTA:

Nella proposizione relativa della prima frase l’indicativo presente rappresenta l’azione dell’indicare come fattuale e atemporale; la relativa, così costruita, serve esclusivamente a identificare dei motori, come se fosse un aggettivo (dei motori che ci indicano la mossa migliore = dei motori indicanti la mossa migliore). Il congiuntivo imperfetto aggiunge una sfumatura di eventualità, che viene interpretata come desiderabilità, per via della doppia attrazione esercitata dalla reggente ipotetica (se avessimo dei motori) e dalla principale, perché la relativa viene facilmente scambiata per una completiva (sarebbe bello… che ci indicassero). Il congiuntivo presente nella relativa è in teoria possibile, con lo stesso valore del congiuntivo imperfetto, ma di fatto è poco accettabile proprio a causa dell’attrazione della struttura sarebbe bello… che ci indicassero: la completiva retta da verbi o espressioni di desiderio richiede, infatti, il congiuntivo imperfetto (si veda la discussione di questa norma qui).
Nella seconda frase nella temporale è preferibile il passato prossimo, perché l’evento dell’inventare è chiaramente ancora influente sul presente; nella principale si possono usare il passato prossimo è andato, per indicare che l’evento è iniziato nel passato ma è ancora attuale, il presente, per focalizzare l’attenzione sul presente, la perifrasi progressiva sta andando, per sottolineare ulteriormente la contemporaneità tra l’enunciazione e l’andare.
L’inserimento della virgola è possibile, ma non obbligatorio. La virgola tra una subordinata anteposta alla reggente e la reggente stessa è possibile, e persino consigliabile, nel caso in cui si vogliano separare le due informazioni in modo da far risaltare ciascuna. Questa separazione sarebbe più funzionale, per la verità, se la subordinata fosse posposta: “Il mondo è andato / va / sta andando a rotoli, da quando i Fenici hanno inventato il denaro” (= “Il mondo è andato / va / sta andando a rotoli; e questo sta succedendo da quando i Fenici hanno inventato il denaro”); nel caso specifico, invece, il collegamento logico tra le informazioni instaurato proprio dalla anteposizione della subordinata è talmente forte che il segno risulta controintuitivo. Esso, però, mantiene la sua utilità dal punto di vista sintattico, perché segmenta la frase in modo chiaro.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere a quale persona si riferisce il pronome _questi _nella seguente frase:
“Con l’acquisto operato dal donante, Caio trasferiva a Tizio lo stesso bene con i relativi confini e questi con atto del 2002 enunciava che il trasferimento avveniva nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava il cespite”.

 

RISPOSTA:

In base alle regole del riferimento anaforico questi riprende (o è coreferente con) Tizio, ovvero quello tra i due possibili antecedenti (Caio e Tizio) che non è il soggetto della proposizione reggente (Con l’acquisto Caio trasferiva lo stesso bene con i relativi confini). Per riprendere il soggetto di una proposizione reggente, infatti, bisogna usare l’ellissi del soggetto; per riprendere Caio nella coordinata, quindi, la frase avrebbe dovuto essere “… Caio trasferiva a Tizio lo stesso bene con i relativi confini e con atto del 2002 enunciava…”. Esiste un’alternativa all’ellissi per riprendere il soggetto della reggente, ma non è questi, bensì un pronome esplicito come lo stesso (preferibilmente completato dal nome): “… Caio trasferiva a Tizio lo stesso bene con i relativi confini e lo stesso Caio con atto del 2002 enunciava…”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Queste frasi sono tutte grammaticalmente corrette?
Non hai pensato all’eventualità che sia lui il colpevole?
Non hai pensato all’eventualità che sia stato lui il colpevole?
Non hai pensato all’eventualità che fosse lui il colpevole?
Non hai pensato all’eventualità che fosse stato lui il colpevole?

 

RISPOSTA:

Le frasi sono tutte corrette; il diverso tempo del congiuntivo nella subordinata dichiarativa instaura di volta in volta un rapporto temporale diverso tra lo stato descritto nella dichiarativa e l’evento della reggente. Nello stabilire quale sia tale rapposto bisogna considerare che nella reggente figura un passato prossimo, un tempo che si comporta a volte come storico, a volte come presente, perché indica un evento passato ancora valido nel presente. Nella prima frase, per esempio, il presente sia instaura un rapporto di contemporaneità nel presente con hai pensato, perché in questa frase hai pensato indica che il pensare iniziato nel passato è ancora in corso (deve essere così, altrimenti non avrebbe senso rappresentare l’essere colpevole come presente). Anche nella seconda frase hai pensato stabilisce un punto di vista presente, rispetto al quale l’essere colpevole è anteriore, quindi passato. Nella terza frase possiamo avere due interpretazioni: se hai pensato stabilisce un punto di vista presente fosse esprime uno stato anteriore (nonché continuato nel passato); se, però, hai pensato stabilisce un punto di vista passato (in questa frase ciò è possibile proprio perché questo verbo è messo in relazione con un imperfetto), fosse indica contemporaneità nel passato. Per vedere più chiaramente questa differenza si osservino le seguenti frasi:
1. Quando l’ho visto in manette, quel giorno, ho pensato che lui fosse colpevole;
2. Stamattina ho pensato che lui fosse colpevole.
Nella prima frase l’essere colpevole è contemporaneo nel passato rispetto a ho pensato; nella seconda è anteriore (e continuato) rispetto al presente, perché qui ho pensato stabilisce un punto di vista presente. Si noti, comunque, che nella frase 1 non è esclusa l’interpretazione anteriore (per esempio “Quando l’ho visto in manette, quel giorno, ho pensato che lui fosse colpevole anche le altre volte che l’avevano arrestato”) così come nella 2 non è esclusa quella contemporanea (per esempio “Stamattina ho pensato che proprio mentre lo guardavo lui fosse colpevole”).
Nella quarta frase, infine, il trapassato indica che lo stato dell’essere colpevole è anteriore a un altro evento, anch’esso passato; questo altro evento può coincidere con il pensare se hai pensato funziona da tempo storico, altrimenti deve essere un altro evento, non esplicitato. Anche in questo caso, per vedere meglio la differenza si osservino queste frasi:
3. Quando l’ho visto in manette, quel giorno, ho pensato che lui fosse stato colpevole;
4. Stamattina ho pensato che lui fosse stato colpevole.
Nella prima l’essere colpevole precede nel tempo il pensare, che è passato; nella seconda l’essere colpevole precede un altro evento (per esempio “Stamattina ho pensato che lui fosse stato colpevole anche di altri crimini prima di essere arrestato per rapina”), perché il pensare funziona da presente. La presenza di un terzo evento non è, comunque, esclusa dalla frase 3 (per esempio “Quando l’ho visto in manette, quel giorno, ho pensato che lui fosse stato colpevole anche di altri crimini prima di essere arrestato per rapina”).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È sbagliato far seguire il congiuntivo presente all’espressione come se, oppure è obbligatorio l’imperfetto?
“Ne parli come se sia colpa mia!”
“Apri le finestre come se faccia caldo”.
È possibile omettere se fosse senza alterare il significato della frase dal punto di vista temporale?
“Carlo cammina come se fosse un ubriaco che non riuscisse a reggersi in piedi”.
“Carlo cammina come un ubriaco che non riuscisse / riesca a reggersi in piedi”.
La seconda alternativa conserva la stessa sfumatura ipotetica oppure colloca l’azione nel passato?

 

RISPOSTA:

La proposizione comparativa ipotetica, introdotta da come se, presenta un evento ipotetico che somiglia a quello descritto nella reggente e che potrebbe, pertanto, spiegarlo. L’ipoteticità dell’evento presentato richiede una costruzione che ricalca quella della proposizione ipotetica, ovvero il congiuntivo imperfetto per la possibilità, il congiuntivo trapassato per l’irrealtà. L’irrealtà, si noti, corrisponde in questa proposizione all’atteggiamento di incertezza dell’emittente riguardo alla somiglianza tra gli eventi); ad esempio: “Rispose come se avesse paura” (l’avere paura è presentato come potenzialmente simile al modo di rispondere del soggetto e potrebbe, pertanto, spiegarlo), “Rispose come se avesse avuto paura” (l’avere paura è presentato come incertamente simile al modo di rispondere del soggetto e potrebbe, pertanto, essere preso in considerazione tra le spiegazioni possibili).
Per quanto riguarda le due frasi confrontate, la prima presenta una comparazione ipotetica, la seconda presenta una comparazione oggettiva; con la prima, pertanto, l’emittente è più cauto nell’accostare il modo di camminare di Carlo a quello di un ubriaco. In ogni caso, la rappresentazione della comparazione non condiziona la costruzione della proposizione relativa (che non riesca / riuscisse). Questa proposizione può essere costruita nella prima e nella seconda frase tanto con il presente quanto con l’imperfetto; nel primo caso il riuscire è semplicemente rappresentato come presente, nel secondo si aggiunge una sfumatura ipotetica, conferita dalla sovrapposizione tra che non riuscisse e se non riuscisse.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho un dubbio sull’uso del congiuntivo/condizionale avesse / avrebbe nella frase che segue.

L’ufficio ha quindi proceduto all’istruttoria ed all’esitazione delle istanze per impedire da un lato che il condono potesse agire da “scudo giudiziario” (in quanto la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative) e dall’altro per evitare all’ente eventuali richieste di risarcimento da chi avesse / avrebbe voluto avere ragione della propria istanza di sanatoria prima che l’AG procedesse, ad ogni modo, all’abbattimento dell’immobile abusivo.

 

RISPOSTA:

Il dubbio tra il condizionale passato e il congiuntivo trapassato dipende dalla presenza, nella frase, di due possibili momenti di riferimento, uno precedente al volere avere ragione (coincidente con il procedere all’istruttoria e all’esitazione delle istanze), uno successivo (coincidente con il procedere all’abbattimento). Il condizionale passato ha la funzione di esprimere la posteriorità rispetto a un punto prospettico collocato nel passato, quindi descrive il processo del volere avere ragione come posteriore all’evento, passato, del procedere all’istruttoria e all’esitazione delle istanze. Il congiuntivo trapassato, diversamente, descrive il volere avere ragione come precedente rispetto all’evento, pure passato (ma, attenzione, successivo al procedere all’istruttoria e all’esitazione delle istanze), del procedere all’abbattimento. Entrambe le scelte sono, pertanto, legittime in astratto; entrambe, però, presentano dei difetti: la prima non veicola alcuna sfumatura eventuale, che sarebbe, invece, utile; la seconda veicola sì un senso di eventualità (per via della sovrapposizione tra la proposizione relativa e la condizionale: da chi avesse voluto = se qualcuno avesse voluto), ma costringe a cambiare il momento di riferimento a metà frase, creando una certa ambiguità (il volere avere ragione precede il procedere all’abbattimento o il procedere all’istruttoria e all’esitazione delle istanze?). Consigliamo, allora, una terza soluzione: il congiuntivo imperfetto (da chi volesse avere ragione), che non cambia il momento di riferimento e veicola una sfumatura eventuale. Il congiuntivo imperfetto ha, inoltre, il vantaggio di essere percepito come più formale del condizionale passato, quindi più appropriato a un contesto come questo.
Fabio Ruggiano
Francesca Rodolico

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QUESITO:

Desidererei sottoporre alla vostra attenzione questa frase: “Oggi sono 70 anni che i miei nonni si sono sposati”. Se i nonni non ci sono più o anche uno solo di essi è mancato, è corretto esprimersi in questo modo o è necessario ricorrere ad un’altra espressione? Per esempio: “Oggi sono 70 anni che i miei nonni si erano sposati” oppure “I miei nonni si erano sposati, come oggi, 70 anni fa”.

 

RISPOSTA:

Il trapassato prossimo si usa per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un altro evento avvenuto nel passato. Nella frase in questione l’organizzazione sintattica mette l’accento sui 70 anni, per cui l’inserimento di un momento di riferimento passato (la morte di uno dei due coniugi o di entrambi), che giustificherebbe l’uso del trapassato, comporterebbe una contraddizione; il lettore, cioè, non saprebbe come armonizzare l’informazione che il calcolo degli anni ammonta a 70 con l’informazione che tale calcolo non ha valore, perché nel frattempo è successo un fatto che lo ha modificato. Inoltre, dal punto di vista semantico l’evento dello sposarsi è momentaneo: una volta avvenuto non può essere annullato da un altro evento successivo. Anche con la morte di uno dei coniugi, la circostanza del matrimonio rimane valida e legata a un preciso momento del passato. Diversamente, il processo dell’essere sposati può essere modificato dalla morte (o il divorzio). Il messaggio da lei richiesto, insomma, può essere espresso con un periodo ipotetico, per esempio: “Oggi i miei nonni festeggerebbero 70 anni di matrimonio (se uno dei due non fosse morto)”, oppure “Oggi i miei nonni sarebbero sposati da 70 anni (se uno dei due non fosse morto)”.

Fabio Ruggiano

Francesca Rodolico

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QUESITO:

Leggendo in rete questa frase: “Michelangelo disegnava la lista della spesa siccome la sua domestica era analfabeta”, mi sono imbattuto in un commento che criticava l’uso della congiunzione causale (siccome può essere usato soltanto a inizio frase). Dal momento che mi sembra una vera e propria regola fantasma, approfitto del portale per chiedere se ciò sia vero o meno.

 

RISPOSTA:

Possiamo definirla una regola fantasma per due ragioni: 1. non c’è una vera e propria restrizione dell’uso di siccome in tutte le posizioni, per quanto questa congiunzione in contesti formali preferisca una certa posizione; 2. la posizione preferita della congiunzione non è a inizio frase, cioè prima della principale, ma prima della reggente, anche quando quest’ultima segue la principale (si pensi a una frase come “Sono stanco di sentire che siccome sono basso non posso giocare a pallacanestro”).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

In una comunicazione e scritta e meglio usare il presente o il futuro per riferirsi al futuro? Ad es. “I genitori possono/potranno partecipare all’iniziativa organizzata per domani, recandosi… Se per esigenze particolari non si riesce/non si dovesse riuscire a rispettare l’orario indicato, si può/potrà avvisare telefonicamente….”.
Chiedo anche se la punteggiatura va bene.

 

RISPOSTA:

Per descrivere un evento futuro si può ovviamente usare l’indicativo futuro; si può, però, usare anche il presente, specie in contesti informali e, nel parlato, anche mediamente formali. Il presente al posto del futuro è accettabile soprattutto nei casi in cui la nozione di futuro è affidata ad elementi esterni al verbo, per esempio espressioni di tempo (come domani nella prima parte della sua frase). Nella proposizione ipotetica della stessa frase, l’alternativa dovrebbe essere tra si riesce e si riuscirà (si dovesse riuscire è ovviamente possibile, ma non è né presente né futuro, quindi non c’entra con la domanda). Anche in questo caso, come anche nella proposizione reggente che segue l’ipotetica, la scelta del presente è possibile ma abbassa il registro.
In quanto alla punteggiatura, l’unico suggerimento che si può fare è di eliminare la virgola prima della proposizione al gerundio (domani, recandosi); tale proposizione, infatti, dovrebbe essere interpretata come strettamente connessa alla reggente, visto che presenta lo strumento con cui può realizzarsi l’evento in essa descritto (partecipare all’iniziativa).
Francesca Rodolico
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In questa risposta si dice che “le completive subordinate di secondo grado preferiscono il congiuntivo“ e viene riportato, al riguardo, il seguente esempio:

“Non sapevo che tu sapessi che io sapessi“.

 Qui abbiamo una proposizione principale negativa che giustifica, secondo me, la subordinata di primo grado al congiuntivo e, sempre secondo me, in qualche modo condiziona tutto il periodo. Se avessimo però una principale affermativa, l’indicazione di massima sarebbe comunque valida (vedi soluzioni 1b e 1c), oppure l’indicativo sarebbe la soluzione più felice (1a)?

1a) Sapevo che tu sapevi che io sapevo.

1b) Sapevo che tu sapevi che io sapessi.

1c) Sapevo che tu sapessi che io sapessi.

 

RISPOSTA:

È vero che il congiuntivo nella completiva è preferibile quando la reggente è negativa (o ha un verbo impersonale). Anche con la principale affermativa e la subordinata di primo grado all’indicativo, comunque, la subordinata di secondo grado tende a preferire il congiuntivo. Nel caso specifico del verbo sapere affermativo, l’indicativo nella subordinata di primo grado è una scelta un po’ forzata (ma lo è meno se il verbo della principale è all’imperfetto); in quella di secondo grado è, invece, del tutto accettabile (come nella sua variante 1b).

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho notato che, in presenza di come e quanto, per ragioni a me ignote, il congiuntivo prevale sull’indicativo, che tuttavia non dovrebbe essere scorretto:

1) Ho visto quanto tu la amassi / amavi.

2) Mi aggiornò su come volesse / voleva intervenire.

 

RISPOSTA:

Nelle frasi da lei proposte le subordinate sono interrogative indirette, che sono il tipo di completiva più naturalmente costruito con il congiuntivo. Come può anche sostituire che in proposizioni soggettive e oggettive, come nella frase “So / È noto come tu ritenga la cosa sbagliata” (= “… che tu ritieni la cosa sbagliata”). Nelle proposizioni così costruite è decisamente preferibile il congiuntivo, probabilmente perché esse vengono associate alle interrogative indirette.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Quali delle seguenti costruzioni sarebbero da evitare perché troppo, o troppo poco, formali?

1) Lascio intendere che si vuole / voglia.

2) Con quelle parole gli fece capire che cosa stava / stesse succedendo.

3) Ho compreso perché tu lo hai / abbia fatto.

4) Constatò fino a che punto riuscivano / riuscissero a mentire i suoi colleghi.

5) Gli spiegò chi era /  fosse.

6) Ero a conoscenza di che cosa voleva / volesse.

7) Prendo atto che la mia scelta ha / abbia generato critiche.

8) Secondo te non mi sono accorto che lei è / sia bella?

9) Mi fece sapere che cosa era / fosse accaduto.

10) Mi basta capire che lei è / sia una brava dottoressa.

11) È questo il motivo per cui l’uomo lo aveva / avesse aggredito.

12) Ho specificato che cosa aveva / avesse detto.

13) Vorrebbe davvero affermare che sua moglie è / sia stata insultata?

14) Gradirei che mi confermaste che tutto è / sia a posto.

15) La tua affermazione mi fa capire che cosa è / sia accaduto.

16) Capivo dove voleva / volesse andare a parare.

17) Avete constatato che ogni oggetto era / fosse al proprio posto?

18) Rivelò a chi era / fosse rivolto il prodotto.

 

RISPOSTA:

Gli esempi da lei proposti sono ugualmente ben costruiti nelle due varianti (tranne il numero 11), con la precisazione che il congiuntivo è più formale dell’indicativo, quindi la scelta tra l’una e l’altra variante va fatta in base allo stile personale e al contesto comunicativo. Va, comunque, precisato che la proposizione interrogativa indiretta è, tra le completive, quella costruita più naturalmente con il congiuntivo. Nell’esempio 11 la proposizione subordinata non è una completiva, ma una relativa; questa proposizione si costruisce di norma con l’indicativo, ma può prendere il congiuntivo per assumere una sfumatura consecutivo-finale (che qui sarebbe fuori luogo).

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

All’interno di un opuscolo che annunciava una serie di eventi in pubblico, mi è capitato di leggere un’espressione simile a questa: “Ore 18.00 piazza Chiesa: Inizio della competizione (etc.)”.

Al riguardo, mi chiedo se siano corretti l’uso dei due punti (che, immagino, siano stati impiegati per separare la puntualizzazione del luogo da quella del rispettivo appuntamento) e l’uso del maiuscolo per la successiva parola “Inizio”.

 

RISPOSTA:

Di norma, i due punti separano due segmenti di testo dello stesso periodo; quel che viene dopo questo segno interpuntivo, dunque, non richiede la lettera maiuscola. Nell’esempio occorre separare non soltanto il luogo dalla descrizione dell’evento, ma anche l’ora dal luogo. Per scandire meglio le informazioni potremmo inserire un trattino (“Ore 18.00 – piazza Chiesa: inizio della competizione”) o una virgola (“Ore 18.00, piazza Chiesa: inizio della competizione”). Un altro espediente efficace consiste nell’inserimento del luogo tra parentesi tonde: “Ore 18.00 (piazza Chiesa): inizio della competizione”.
Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

“Pensavo che avesse detto qualcosa in più, che io non AVESSI afferrato”.

È corretto/accettabile l’uso del congiuntivo nella relativa qui proposta o sarebbe stato più corretto usare l’indicativo?
Credo che il congiuntivo dia una sfumatura di eventualità o si tratta di un ipercorrettismo o attrazione modale?

 

RISPOSTA:

La proposizione relativa si costruisce normalmente con l’indicativo. In questa proposizione il congiuntivo può essere utile a esprimere una sfumatura consecutivo-finale (“Cerco una persona che mi capisca”); quando, inoltre, essa è subordinata a un’altra proposizione al congiuntivo, può prendere il congiuntivo per quella che possiamo definire attrazione modale. Che il congiuntivo nel suo caso non sia richiesto per ragioni semantiche è dimostrato dal fatto che, sostituendolo con l’indicativo (che io non avevo afferrato), il risultato non solo è pienamente accettabile, ma mantiene lo stesso significato. Perdipiù, il congiuntivo è persino forzato nella relativa esplicativa (quale è quella della sua frase), che aggiunge informazioni accesorie all’antecedente (qualcosa); risulterebbe del tutto naturale, invece, nella relativa limitativa, che serve a identificare l’antecedente: “Pensavo che avesse detto qualcosa in più che io non AVESSI afferrato”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Mi aiutereste nell’analisi logica della seguente frase?
Non credo che mangiare questa pizza possa farti bene, ma decidi tu.

 

RISPOSTA:

L’analisi logica considera soltanto la frase semplice; la sua frase, pertanto, deve essere divisa in quattro parti, corrispondenti a quattro frasi semplici, per poter essere analizzata con questa procedura: non credo | mangi questa pizza | ciò non può farti bene | decidi tu. Nella prima frase il soggetto è io e il predicato verbale è non credo; nella seconda frase il soggetto è tu, il predicato verbale è mangi, che regge il complemento oggetto con attributo questa pizza; nella terza frase il soggetto è ciò, il predicato verbale è non può fare bene (considerando fare bene alla stregua di un’unità lessicale, equivalente a giovare), che regge il complemento di termine (o di vantaggio) ti; nella quarta frase il soggetto è tu e il predicato verbale è decidi.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se in un periodo come il seguente sia opzionale l’uso del che, e quali differenze ci sono.
“Non mi serve (che) tu venga”.

 

RISPOSTA:

Le proposizioni completive esplicite (come la soggettiva che tu venga nella sua frase) sono introdotte da che (e più raramente da come). La congiunzione introduttiva può essere omessa senza alcuna conseguenza semantica; la frase senza che è, però, percepita come più raffinata. L’omissione del che è favorita dalla presenza di un altro che nella frase, nella reggente (“Ho capito tardi che lei pensava (che) io non fossi quello giusto”) o in una subordinata (“Ritengo (che) non sia conveniente che tu partecipi alla riunione”). Si noti che nella completiva non introdotta da che è fortemente richiesto il modo congiuntivo: l’indicativo risulta quasi sempre molto trascurato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Leggo sulla Treccani che nella proposizione concessiva il verbo è al congiuntivo tranne quando introdotta da anche se. Dunque volevo la conferma che solo il primo di questi due periodi sia corretto, e perché:
“Anche se vai in Ferrari, non significa che tu debba andare sfrecciando”.
“Seppure vai in Ferrari, non significa che tu debba andare sfrecciando”.
Inoltre volevo sapere cosa ne dite della variante:
“Se anche vai in Ferrari, non significa che tu debba andare sfrecciando”.

 

RISPOSTA:

La prima frase è del tutto corretta; la seconda può essere considerata scorretta in qualsiasi contesto scritto, nonché in contesti parlati medi. Va detto, però, che esempi di seppure vaiseppure sei e simili non mancano in rete, per quanto siano di gran lunga minoritari rispetto alle varianti con il congiuntivo. Il modo congiuntivo ha un ambito d’uso variegato: in alcune proposizioni è obbligatorio, in altre è in alternanza con l’indicativo, in altre è richiesto da alcune congiunzioni e locuzioni congiuntive ma non da altre. Un esempio di quest’ultimo caso, oltre a quello discusso qui, è la proposizione temporale, che richiede il congiuntivo soltanto se è introdotta da prima che. L’associazione di anche se all’indicativo è probabilmente dovuta alla vicinanza di questa locuzione alla congiunzione ipotetica se, che al presente richiede l’indicativo (se vai in Ferrari…). Il parallelo tra se e anche se è confermato dal fatto che entrambe richiedono il congiuntivo all’imperfetto e al trapassato (anche se tu andassi / fossi andato). Proprio questa vicinanza semantica rende indistinguibile in molti casi anche se da se anche, sebbene la seconda sia una locuzione congiuntiva ipotetica, non concessiva, che equivale a se, eventualmente,. La differenza emerge chiaramente se l’ipotesi presenta una realtà certamente verificatasi o certamente non verificatasi; per esempio: “Anche se il computer si è rotto, non ne comprerò un altro” / *”Se anche il computer si è rotto…”. La seconda frase è impossibile, perché non presenta una concessione contrastata dal contenuto della proposizione reggente, ma presenta un fatto sicuramente avvenuto come un’ipotesi. Si noti, comunque, che in una comunicazione autentica il ricevente tenderebbe a interpretare anche nel secondo caso la proposizione ipotetica come una concessiva, vista la vicinanza tra le due costruzioni. Con l’imperfetto e il trapassato, per di più, le due locuzioni diventano praticamente equivalenti: “Anche se il computer si rompesse, non ne comprerei un altro” / “Se anche il computer si rompesse…”. In questi casi, sebbene la locuzione se anche sia sempre ipotetica, non concessiva, essa sarebbe interpretata dalla maggioranza dei parlanti come concessiva.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei esprimere un dubbio in merito all’uso del congiuntivo passato e trapassato con il pronome relativo misto chiunque. Nella frase “Chiunque abbia pronunciato un giudizio così avventato, avrebbe dovuto documentarsi più scrupolosamente”, dopo il pronome chiunque potrebbe andarci bene anche il trapassato congiuntivo avesse pronunciato? Se sì, perché?

 

RISPOSTA:

La frase chiunque avesse pronunciato… è corretta: il trapassato avesse pronunciato può servire a collocare l’evento prima di un altro evento passato, per esempio in una frase come “Luca pensò che chiunque avesse pronunciato…” (in questo caso il passato non sarebbe corretto: *”Luca pensò che chiunque abbia pronunciato…”). Il trapassato è anche comunemente usato in relazione al presente, non al passato; in questo caso la relazione temporale rimane identica a quella instaurata dal passato: (penso che) chiunque abbia pronunciato… = (penso che) chiunque avesse pronunciato…. Quest’uso deriva dalla sovrapposizione sulla proposizione relativa introdotta da chiunque del modello della proposizione ipotetica (chiunque avesse pronunciato = se qualcuno avesse pronunciato); a ben vedere, però, la sovrapposizione è indebita, perché la sostituzione del passato con il trapassato non modifica il senso generale della proposizione relativa. Proprio perché il trapassato in queste condizioni (nella proposizione relativa introdotta da chiunque senza un rapporto di anteriorità rispetto al passato) è di fatto equivalente al passato, se ne può sconsigliare l’uso.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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QUESITO:

Ho bisogno del vostro aiuto per capire come interpretare uno dei criteri previsti per l’authorship di un articolo su una rivista scientifica.
La frase, tradotta da me in italiano è la seguente:
“Contributi sostanziali all’ideazione o alla progettazione dell’opera; o all’acquisizione, analisi o interpretazione di dati per il lavoro”.
Dalla prima parte della frase mi è chiaro che è sufficiente avere contribuito in maniera sostanziale all’ideazione O alla progettazione dell’opera; ho però un dubbio su come interpretare la seconda parte della frase, laddove si tratta dell’analisi dei dati. Tra acquisizione e analisi è possibile che si intenda una E, oppure, visto che l’ultima congiunzione dell’elenco può essere solo sottintesa (senza alcun dubbio) una O?
Per completezza riporto anche la frase originale inglese:
“The ICMJE recommends that authorship be based on the following 4 criteria:
Substantial contributions to the conception or design of the work; or the acquisition, analysis, or interpretation of data for the work; AND (…)”.

 

RISPOSTA:

Si tratta di tre alternative; per attribuirsi il titolo di author, cioè, bisogna aver contribuito sostanzialmente almeno a una delle tre fasi di elaborazione del lavoro (oppure anche a nessuna delle tre, se si è contribuito alla ideazione o alla progettazione).
Ovviamente, bisogna considerare anche gli altri tre criteri (qui non riportati), che sono chiaramente indicati come aggiuntivi (non alternativi) tramite AND.
Sottolineo che in italiano bisogna ripetere la preposizione articolata o almeno l’articolo davanti a tutti i membri dell’elenco: oppure all’acquisizione, all’analisi o all’interpretazione / oppure all’acquisizione, l’analisi o l’interpretazione.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“Mi fai sentire come (ipotesi) un insegnante del dopoguerra che rimproverasse (presente o passato?) un alunno che si comporta / comporti / comportasse male”.
Con l’imperfetto ci si riferisce al passato?

“Che il castigo, se al giuramento vengo / venissi / venga meno, ricada sulla mia testa”.
Le varianti sono tutte legittime?

“Se ti portassi qui due scale e ti chiedessi quale delle due fosse / sia / è / sarebbe la più alta, tu che cosa risponderesti?”.
Di nuovo, con l’imperfetto ci si riferisce al passato?

 

RISPOSTA:

Nella prima frase il congiuntivo imperfetto rimproverasse rappresenta correttamente l’evento come passato. La proposizione costruita intorno a rimproverasse è una subordinata di tipo relativo, che si colorisce di una sfumatura eventuale per via del congiuntivo. Le forme si comporta / comporti / comportasse sono tutte possibili: con il congiuntivo imperfetto si rappresenta l’evento del comportarsi come passato, sullo stesso piano di rimproverare; con il presente si sposta il punto di vista al passato per rappresentare l’atto del comportarsi come fosse attuale. La scelta tra l’indicativo e il congiuntivo presente in questo caso dipende dal grado di formalità che si vuole conferire alla frase. Sarebbe possibile anche si era comportato / si fosse comportato, per collocare l’atto del comportarsi prima di quello del rimproverare.
Nella seconda frase la subordinata è ipotetica: in questa subordinata il tempo del verbo determina il grado di realtà dell’evento: l’indicativo presente rappresenta l’evento come fattuale, il congiuntivo imperfetto come possibile, il congiuntivo trapassato come controfattuale, ovvero non più realizzabile. In questa proposizione il congiuntivo presente non si usa.
Nella terza frase la parte su cui ci si concentra (Se ti portassi qui due scale e ti chiedessi) è una sequenza di due ipotetiche coordinate. Come detto sopra, in questa proposizione la forma del verbo esprime il grado di realtà dell’evento; questa funzione è indirettamente collegata al tempo, perché la fattualità (espressa dall’indicativo presente) è legata al presente o al massimo a un futuro già programmato; la possibilità è legata ugualmente al presente o al futuro; la controfattualità è legata al passato. Per quanto riguarda l’interrogativa diretta (quale delle due fosse / sia / è / sarebbe la più alta), la scelta tra l’indicativo e il congiuntivo presente dipende dal registro, come per si comporta / comporti. Il condizionale in questo caso non è giustificato, perché non è indicata nessuna ipotesi tale da condizionare la qualità dell’altezza.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei capire in quali situazioni è obbligatorio affiancare il congiuntivo imperfetto al condizionale presente, come nel caso di un periodo ipotetico.
Queste due frasi rischiano di essere avvertite come errate per il semplice fatto che si è abituati ad associare il condizionale al congiuntivo imperfetto, e ciò a volte manda in confusione anche me:
“Non potrei stabilire se l’abbia fatto un bambino o un adulto”.
“Vorrei che venga espulsa” (In questo caso il condizionale è una forma ingentilita del presente).

 

RISPOSTA:

Nel quadro della consecutio temporum, il condizionale presente richiede gli stessi tempi del congiuntivo richiesti dall’indicativo presente. Per esempio, quindi, immagino che venga = immaginerei che venga (contemporaneità); immagino che venisse / sia venuto / fosse venuto = immaginerei che lui venisse / sia venuto / fosse venuto (anteriorità). A questa regola si sottraggono i verbi di volontà, desiderio, opportunità (come voleredesiderarepretendereessere conveniente e simili), che instaurano il rapporto di contemporaneità con il congiuntivo non presente, ma imperfetto (probabilmente perché sono influenzati dal modello del periodo ipotetico del secondo tipo, in cui al condizionale presente corrisponde il congiuntivo imperfetto). A immaginerei che venga, quindi, corrisponde vorrei che venisse. La variante vorrei che venga in astratto è corretta, ma è di fatto giudicata decisamente trascurata. Coerentemente, per l’anteriorità alla costruzione immaginerei che lui venisse / sia venuto / fosse venuto corrisponde il solo vorrei che lui fosse venuto. La variante vorrei che lui venisse per esprimere l’anteriorità è sconsigliata perché sarebbe interpretata come esprimente la contemporaneità.
Per ulteriori informazioni sui tempi del congiuntivo dipendenti da vorrei è possibile consultare questa risposta e questa risposta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei farvi una domanda riguardo all’uso delle congiunzioni condizionali (escluso se).
Come sappiamo, nella parte condizionale va messo il congiuntivo, ma non sono certa se la scelta tra il presente e l’imperfetto dipenda soltanto dalla possibilità oppure anche dal tempo presente / passato?
A condizione che / purché / a patto che / casomai studi bene, supererai l’esame.
A condizione che / purché / a patto che / casomai studiassi bene, supererai l’esame.
A condizione che / purché / a patto che / casomai studiassi bene, avrai / avresti superato l’esame.
Ho anche un altro dubbio: dopo aver scelto il tempo della parte condizionale, cosa posso fare con quella reggente? Uso l’indicativo per esprimere una certezza e il condizionale per una possibilità?

 

RISPOSTA:

Le proposizioni introdotte da a patto chepurchéa condizione che e casomai (o caso mai) sono condizionali (nel periodo ipotetico sono chiamate protasi e contengono la descrizione della condizione) e richiedono il modo congiuntivo; il tempo dipende sia dal grado di possibilità dell’evento espresso sia dal rapporto temporale (la cosiddetta consecutio temporum) con il verbo della reggente (che nel periodo ipotetico è chiamata apodosi e contiene la conseguenza della condizione contenuta nella protasi). La sua prima frase è un caso canonico di periodo ipotetico della realtà. Questo costrutto serve a rappresentare l’evento della reggente come certo.
La seconda frase presenta un esempio di apodosi della realtà e protasi della possibilità: il costrutto, corretto, esprime un dubbio circa la possibilità della condizione (il parlante non è certo che l’interlocutore si metta a studiare bene) e la certezza riguardo alla conseguenza della condizione.
Il terzo e ultimo esempio presenta nuovamente nella subordinata il congiuntivo imperfetto, mentre nella reggente propone due opzioni diverse: un verbo all’indicativo (il futuro anteriore avrai superato) e un verbo al modo condizionale composto, o passato (avresti superato).
Il futuro anteriore si usa per indicare un evento che avverrà in un futuro più prossimo rispetto a un altro più lontano nel futuro. Si tratta di un tempo verbale usato raramente, perché il rapporto di successione tra gli eventi risulta quasi sempre chiarito dal contesto. In questo caso specifico non è presente un altro evento di riferimento successivo, di conseguenza il futuro anteriore non è giustificato. L’opzione diventerebbe possibile se si aggiungesse un evento di riferimento; per esempio: “A patto che studiassi bene avrai superato l’esame prima di accorgertene”. Bisogna, però, ammettere che la frase, corretta in astratto, difficilmente sarebbe prodotta da un parlante, per via della sua complessità.
L’ipotesi con avresti superato è impossibile se studiassi si riferisce al presente: presenta, infatti, la conseguenza come precedente rispetto alla condizione. La frase diviene corretta se il congiuntivo imperfetto è usato con valore astorico, legato non al presente, ma a un principio generale: “Se tu studiassi (= avessi l’abitudine di studiare) bene avresti superato l’esame”.
Prima di selezionare i tempi e modi verbali è opportuno valutare il grado di possibilità degli eventi selezionati a partire dalla reggente: è il verbo della reggente che governa quello della subordinata, in relazione al rapporto temporale e, nel caso del periodo ipotetico, al grado di possibilità che si vuole rappresentare.
Per ulteriori informazioni sull’uso di a patto che è possibile consultare questa risposta nell’archivio.
Fabio Ruggiano
Francesca Rodolico

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QUESITO:

Quale sarebbe la forma corretta?
“Le città presenti nel grafico sono molto popolate. Un esempio sono Milano e Roma”
“Le città presenti nel grafico sono molto popolate. Ne sono un esempio Milano e Roma”
“Le città presenti nel grafico sono molto popolate. Esempi sono Milano e Roma”

 

RISPOSTA:

Le frasi sono tutte corrette. I dubbi legati a questa frase riguardano da una parte la concordanza tra il soggetto e il verbo, dall’altra l’inserimento del pronome anaforico ne. Per quanto riguarda il primo dubbio, la regola richiede che il verbo di una frase concordi con il soggetto, ma nel caso in cui nella frase ci sia un predicato nominale con il nome del predicato rappresentato da un sintagma nominale o da un pronome di una persona diversa dal soggetto, la concordanza del verbo con il soggetto può risultare, per quanto in astratto corretta, innaturale. La soluzione spesso adottata, allora, è concordare il verbo essere con il nome del predicato, come nella prima variante della frase da lei proposta. La stessa cosa succederebbe, per esempio, in una frase come “Il problema siete voi” (non *”Il problema è voi”). Si noti che questa soluzione può essere considerata a tutti gli effetti regolare, visto che il ruolo della parte nominale e quello del soggetto sono intercambiabili (“Un esempio sono Milano e Roma” può essere riformulata come “Milano e Roma sono un esempio”). In alternativa, se la frase lo permette si può far coincidere il numero del soggetto e quello della parte nominale, come nella terza variante della sua frase.
Per quanto riguarda l’inserimento di ne, è una scelta possibile ma non necessaria: il pronome riprende come incapsulatore tutta la frase precedente, trasformando la frase in qualche modo in “Le città presenti nel grafico sono molto popolate. Del fatto che le città presenti nel grafico sono molto popolate sono un esempio Milano e Roma”. L’accostamento delle due frasi, però, è sufficiente a permettere al lettore di ricavare facilmente il collegamento logico; la coesione, pertanto, è garantita anche senza il pronome.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi permetto di dissentire da questa vostra risposta. Quel chiunque sia non può essere inteso come nel caso di qualora o nel caso in cui?: “Qualora qualcuno fosse interessato, mi contatti”.
Oppure come nel caso di un passato: “(…) la denuncia può essere fatta da chiunque sia stato presente ad un fatto punibile o ne abbia avuta cognizione in altro modo, senza essere stato offeso, né danneggiato (…)” (“Codice di procedura penale del Regno d’Italia”, 1871).
O come nel caso di una concessiva: “Chiunque sia stato, non la passerà liscia”.
O come la formulazione di una ipotesi: “Una macchina che sia rotta non potrebbe gareggiare”.

 

RISPOSTA:

Se assimiliamo la costruzione chi fosse a se qualcuno fosse, con riferimento al presente, la costruzione chi sia dovrebbe essere assimilata a se qualcuno sia, che non è prevista in italiano (e si sovrapporrebbe funzionalmente a se qualcuno fosse). Gli esempi che lei fa per contestare questa spiegazione riguardano non chi, ma chiunque: quest’ultimo pronome contiene un tratto di forte indeterminatezza che ne favorisce l’associazione al congiuntivo anche al presente a prescindere dalla sovrapposizione del costrutto ipotetico. Per la verità, chiunque è obbligatoriamente accompagnato dal congiuntivo, proprio in virtù del suo significato indeterminato, particolarmente coerente con la sfumatura non-fattuale attribuita al congiuntivo.
Chi può comportarsi come chiunque, quindi prendere il congiuntivo anche al presente, se nella relativa c’è il tempo passato, che accentua la non-fattualità dell’evento (chi sia stato interessato è del tutto legittima). Questa osservazione risponde alla sua seconda ipotesi: il passato cambia le condizioni d’uso del congiuntivo (e faccio comunque notare che nella citazione del Codice non c’è chi, ma chiunque). Un’altra circostanza che favorisce l’uso del congiuntivo nella relativa è l’indeterminatezza dell’antecedente. Questa non si applica a chi, che non ha un antecedente esplicito, ma a che; la cito qui perché spiega il suo ultimo esempio: “Una macchina che sia rotta…”.
Per quanto riguarda il terzo esempio, infine, non solo questo ripropone l’associazione tra chi sia e chiunque sia stato, doppiamente indebita perché chiunque sia stato è indeterminato e passato, ma viene definito “caso di una concessiva”, mentre nella frase non è presente alcun legame logico di concessione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se nell’esempio il presente indicativo del verbo potere è corretto: “Va in ospedale, dove incontra Virginia che gli chiede se può avere il fine settimana libero”.

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Se può avere è un proposizione interrogativa indiretta, che può essere costruita con l’indicativo, il congiuntivo o il condizionale, a seconda del significato e del registro.
Può approfondire l’argomento inserendo come parole chiave “interrogativa indiretta” all’interno dell’Archivio di DICO.
Raphael Merida

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella seguente frase è corretto l’uso del condizionale sarebbe?

E non so neanche se sarebbe stato in grado di leggerla.

 

RISPOSTA:

Il condizionale è corretto: la proposizione introdotta da se è una interrogativa indiretta, che ammette i modi indicativo, congiuntivo e, appunto, condizionale.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Chi fosse interessato mi contatti” o “chi sia interessato mi contatti”?
Con l’imperfetto ci si riferisce al passato? (Chi era interessato, tre giorni fa, mi contatti adesso).

 

RISPOSTA:

La variante con il congiuntivo presente è ingiustificata, quindi da considerare errata. Le alternative possibili sono chi fosse… e chi è... Lei ha ragione a rilevare nell’imperfetto un valore di passato: in effetti il significato della prima frase potrebbe essere quello da lei inteso; tale significato astratto, però, sarebbe senz’altro scartato dai parlanti per via dell’incoerenza tra un interesse passato e l’azione presente. In altre frasi potrebbe, comunque, essere attivo; per esempio “Chi fosse vivo nel 1910 oggi è certamente morto”. Rimane da spiegare quale sia la differenza tra chi è… e chi fosse…. Il congiuntivo imperfetto aggiunge alla proposizione relativa una sfumatura di ipoteticità (chi fosse = se qualcuno fosse) assente nell’indicativo presente. A ben vedere, tale sfumatura è superflua, visto che la situazione descritta è già ipotetica in sé (il parlante non sa se qualcuno lo contatterà e chi sia questo qualcuno); i parlanti, però, dimostrano di apprezzare l’enfatizzazione di questo tratto, ottenuta proprio con il congiuntivo imperfetto, che avvicina, come detto, chi fosse a se qualcuno fosse.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Le ricordo che, qualora ci fosse bisogno di contattarci in tempo reale, al momento della sottoscrizione del modulo le abbiamo indicato i nostri recapiti telefonici.”

Vorrei sapere se il periodo è sintatticamente corretto, oppure se sarebbe preferibile evitare di “spezzare” la proposizione principale con una subordinata (in questo caso, “qualora ci fosse…”).

 

RISPOSTA:

La frase è ben costruita e l’inciso, segnalato opportunamente dalle due virgole, non crea problemi alla comprensione del messaggio. Tuttavia, il testo, che sembra di natura amministrativa, può essere semplificato:

  1. spostando l’inciso all’inizio o alla fine del periodo, in modo tale da non spezzare la proposizione principale (“Qualora ci fosse bisogno di contattarci in tempo reale, le ricordo che al momento della sottoscrizione del modulo le abbiamo indicato i nostri recapiti telefonici.” / “Le ricordo che al momento della sottoscrizione del modulo le abbiamo indicato i nostri recapiti telefonici, qualora ci fosse bisogno di contattarci in tempo reale”);
  2. sostituendo la congiunzione composta qualora con quella semplice se (“Se ci fosse bisogno di contattarci in tempo reale, le ricordo che al momento della sottoscrizione del modulo le abbiamo indicato i nostri recapiti telefonici.”);
  3. riducendo le informazioni non necessarie o ridondanti (in tempo reale non si presta bene a designare un servizio telefonico; semmai, potrebbe essere attribuito a un servizio di messaggistica istantanea).

Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho dubbi sulla correttezza del condizionale in una frase indipendente come: “tranquillo: lui non si ALLONTANEREBBE” (senza il nostro consenso)

È corretto? Grazie

 

RISPOSTA:

Il condizionale nella dichiarativa (“lui non si allontanerebbe”) è ammesso e accentua la sfumatura semantica potenziale. Al posto del condizionale potremmo trovare anche un indicativo presente “lui non si allontana”, che sottolinea, invece, un’affermazione (“sono sicuro che lui non si allontana”).

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Non mi è molto chiara la differenza tra i verbi essere e esserci.
Ad esempio alla domanda “C’è Mario?”, possiamo rispondere “Sì, c’è /Sì, è qui”, ma non va bene “Sì, c’è qui”, ma non capisco perchè, invece, va bene dire “C’è un uomo qui”.

 

RISPOSTA:

Il verbo esserci significa proprio ‘essere in luogo’, quindi l’espressione c’è qui è inutilmente ripetitiva. La ripetizione, però, è ammessa, e in certi casi necessaria, se la frase è marcata, cioè è costruita per mettere in forte evidenza una certa informazione, per segnalare il collegamento tra la frase e il resto del testo o per precisare quale sia la rilevanza della frase nel contesto situazionale. Nella frase “C’è un uomo qui”, per esempio, il parlante precisa che l’uomo si trova nello stesso luogo in cui si svolge la conversazione, perché dal suo punto di vista la presenza dell’uomo è rilevante soltanto in relazione al luogo (per esempio perché è sorpreso di trovare un uomo in quel luogo). Va detto che tale frase sarà pronunciata con una pausa prima di qui, a dimostrazione del fatto che l’informazione qui è isolata rispetto a c’è un uomo, come se fosse un elemento aggiunto a parte. Nello scritto, tale pausa può essere rappresentata con una virgola, quindi “C’è un uomo, qui”. La stessa costruzione può adattarsi a “C’è Mario, qui” soltanto in assenza della domanda precedente (“C’è Mario?”): se il parlante risponde alla domanda, non ha motivo di precisare qui, perché la presenza nel luogo è presupposta proprio nella domanda. A sua volta, la domanda può essere costruita in modo marcato: “C’è Mario, qui”, per precisare che l’interesse per la presenza di Mario è legato proprio al luogo in cui si svolge la conversazione.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretta questa frase?

“Sta’ tranquillo: vedrai anche tu che coloro che anche ultimissimi saranno premiati”.

Il senso è che anche gli ultimi arrivati in una gara porteranno a casa qualcosa.

 

RISPOSTA:

La frase non è corretta dal punto di vista sintattico e necessita di essere riscritta. Suggerirei alcune riscritture semplificate:

  1. “Sta’ tranquillo: vedrai anche tu che anche gli ultimissimi saranno premiati”;
  2. “Sta’ tranquillo: vedrai anche tu che saranno premiati anche coloro che saranno arrivati ultimissimi”;
  3. “Sta’ tranquillo: vedrai anche tu coloro che saranno arrivati anche ultimissimi premiati”;
  4. “Sta’ tranquillo: vedrai anche tu premiati coloro che saranno arrivati anche ultimissimi”;
  5. “Sta’ tranquillo: vedrai anche tu premiati anche coloro che saranno arrivati ultimissimi”.

Raphael Merida

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QUESITO:

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli incondizionati di quando era giovane.”

Vi chiedo se è corretto l’uso dell’aggettivo (in questo caso “incondizionati”) dopo il dimostrativo “quelli”, che, in tale costruzione, se non vado errata assume la funzione di pronome.

Vi chiedo infine se sia possibile, per ottenere particolari effetti retorici, isolare l’aggettivo tra due virgole, creando così un inciso:

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli, incondizionati, di quando era giovane.”

“Era uno slancio limitato, che non era collegato a quelli incondizionati di quando era giovane.”

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Il referente slancio è singolare ma può capitare che un elemento anaforico (in questo caso il pronome quelli) rimandi a un referente con il quale non è grammaticalmente in accordo, senza che questo si configuri come un errore. L’aggettivo incondizionati deve accordarsi, naturalmente, con il pronome cui si riferisce, cioè quelli. Inoltre, l’aggettivo isolato tra due virgole crea una doppia focalizzazione nella sequenza narrativa. Dei due fuochi (“quelli” e “incondizionati”) il più marcato è il secondo grazie all’effetto dell’isolamento e del lavoro inferenziale a cui questo invita il lettore (gli slanci di una volta non erano semplici slanci; erano incondizionati).

Raphael Merida

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QUESITO:

In frasi come la seguente, il valore del costrutto mi sembra temporale o causale:

 

  1. Alla mia vista, è rimasto sorpreso = quando mi ha visto è rimasto sorpreso.

 

Nelle seguenti frasi mi sembra più vicino ad un complemento di luogo che temporale o causale:

  1. È davvero piacevole alla vista.
  2. Si trova tutto alla tua vista = si trova tutto davanti a te.
  3. È stato messo più alla vista di qualsiasi altra cosa.

 

Nella 4. si potrebbe utilizzare anche “in vista”, che infatti suona (quantomeno a me) più naturale.

In ogni caso, è un ragionamento corretto il mio o ci sono delle falle evidenti?

 

 

RISPOSTA:

  1. Alla vista assume un valore temporale-causale, perfettamente traducibile come ha fatto lei (“quando mi ha visto, è rimasto sorpreso”, oppure “a causa del fatto che mi ha visto, è rimasto sorpreso”).
  2. Si tratta di un complemento di vantaggio (“è piacevole [a vantaggio di che cosa?] alla vista”).
  3. Indica un complemento di stato in luogo (“si trova tutto [dove?] alla tua vista).
  4. Alla vista coincide con la locuzione in vista; tuttavia, riformulerei la frase 4 cambiando il verbo mettere, che richiama alla mente la locuzione cristallizzata mettere in (bella) vista ‘esporre qualcosa alla vista di tutti’. Sostituendo il verbo mettere con esporre possiamo scrivere la seguente frase senza alcuna ambiguità nell’uso delle locuzioni alla vista/in vista: “È stato esposto alla vista più di qualsiasi altra cosa”.

L’ultima frase, in cui alla vista o in vista rappresenterebbe comunque un complemento di stato in luogo, evidenzia bene un concetto già espresso più volte in molte risposte di DICO (può cercare le varie risposte scrivendo la parola chiave complementi): per comprendere le strutture sintattiche e lessicali di una lingua, alle volte, non è necessario applicare acriticamente la tassonomia dei complementi a tutti i sintagmi della frase, ma occorre proporre diversi tipi di analisi che tengano conto dei parametri sintattici e semantici della frase.

Raphael Merida

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QUESITO:

1) “Non riesco a crederci che sia andata così”. È corretto l’uso della particella ci oppure sarebbe più corretto usare solamente l’infinito “Non riesco a credere che …”. Perché?

2) “Se ne hai voglia, leggi questo libro”. È corretto l’uso di ne oppure sarebbe più corretto scrivere/dire “Se hai voglia…”. Qual è la differenza?

3) “In più, consiglio di dare un’occhiata, anche a questi libri”. È ammissibile la virgola dopo consiglio di dare un’occhiata oppure viola le norme della punteggiatura?

4) Dei clienti entrano in un ristorante; dovrebbero dire: “Buongiorno, siamo quattro” oppure “… siamo in quattro?” C’è una differenza?

 

RISPOSTA:

1) Il pronome atono ci in crederci serve ad anticipare il tema: “Non riesco a crederci che sia andata così”. La costruzione dell’enunciato con il tema isolato a destra (o a sinistra) è definita dislocazione e serve a ribadire il tema, per assicurarsi che l’interlocutore l’abbia identificato. Si tratta di un costrutto tipico del parlato o dello scritto informale.

2) Sì, è corretto. Il sostantivo voglia unito al verbo avere (“avere voglia”) richiede l’argomento di ciò di cui si ha voglia, per avere senso; deve essere seguito, quindi, dalla preposizione di (“ho voglia di”). La frase può essere infatti parafrasata come segue: “Se hai voglia di leggere, leggi questo libro”. Il ne sostituisce il complemento di tipo argomentale di leggere.

3) No, non è ammissibile. Non bisogna mai separare con una virgola il predicato dall’oggetto. In questo caso il predicato è formato dalla locuzione dare un’occhiata, facilmente parafrasabile con guardare. Questo tipo di costrutti è definito dai linguisti “a verbo supporto” (per questo argomento la rimando alla risposta Fare piacere, i verbi supporto e i verbi causativi).

4) In questo caso non esiste una regola precisa, ma potrebbe esserci una sottilissima sfumatura semantica tra le due varianti. La presenza della preposizione tra il verbo e il numerale (“siamo in quattro) sembra indicare un gruppo definito di persone, il cui numero non è casuale ma già stabilito; l’assenza della preposizione (“siamo quattro”), invece, dà l’idea di un gruppo il cui numero è variabile e in corso di definizione. La preposizione in è essenziale, infine, con i verbi diversi da essere: “Giocheremo in cinque”, “Abbiamo viaggiato in venti” ecc.  

Raphael Merida

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QUESITO:

 

“Mai che qualcuno dica” o “dicesse la verità”?

Quale delle due va bene? E di che tipo di costruzione si tratta?

 

RISPOSTA:

 

L’alternativa con il congiuntivo presente è certamente preferibile, quella con il congiuntivo imperfetto sarebbe corretta nell’italiano standard per riferirsi al passato: «mai che qualcuno dicesse la verità quando frequentavo quelle persone»; può, però, valere anche per riferirsi al presente: «mai che qualcuno dicesse la verità quando gli chiedi spiegazioni». Questo secondo uso è di provenienza regionale ed è substandard (cioè ancora non del tutto corretto), ma sempre più accettato e diffuso nella lingua parlata.  

Il costrutto mai che + congiuntivo, di recente diffusione, è sicuramente informale perché il che è polivalente (come nei costrutti, ugualmente di recente diffusione, mica che, solo che, certo che…). Sui vari usi di che la rimando alla risposta Un che, tante funzioni dell’Archivio di DICO.

Raphael Merida

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QUESITO:

Ho un dubbio sull’uso della virgola. Sono abituata a scrivere frasi del tipo “vi comunico, con grande piacere, che oggi pomeriggio…”. È corretto mettere “con grande piacere” tra le virgole? Io lo considero un inciso.

RISPOSTA:

Nel suo esempio le virgole sono corrette, così come sarebbe corretta la variante senza virgole. La scelta di separare dal nucleo della frase un complemento con funzione di espansione (con grande piacere, in questo caso) è arbitraria. Sarebbe indispensabile, invece, se l’inciso fosse composto da una subordinata che precede la proposizione principale: «Manifestando il mio grande piacere, vi comunico che…».

Raphael Merida

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QUESITO:

1) Sarebbe stato meglio che tu fossi andato via.

2) Sarebbe stato meglio che tu andassi via.

Parliamo di due frasi corrette, anche se credo sia preferibile la a.

Io ho sempre visto, in questi contesti, l’imperfetto congiuntivo e il congiuntivo trapassato come due opzioni altamente interscambiabili, ma forse è una mia percezione erronea.

C’è invece qualche differenza tra la prima e la seconda frase da un punto di vista semantico?

 

RISPOSTA:

Le due frasi hanno significato diverso. La frase 2 indica un rapporto di contemporaneità tra il momento di riferimento (quello dell’essere meglio) e il momento dell’azione (quello dell’andare); il momento dell’andare, cioè, era lo stesso in cui l’azione sarebbe stata preferibile. La frase 1, invece, esprime un rapporto di anteriorità del momento dell’azione rispetto a quello di riferimento. La differenza si capisce meglio se allarghiamo il contesto:

  1. Grazie per aver fatto la spesa, ma sarebbe stato meglio che ci fossi andato io.
  2. Sei stato imprudente: sarebbe stato meglio che tu non parlassi così apertamente durante l’intervista.

Anche se la 2 è legittima, essa viene sfavorita dalla sovrapposizione di questa costruzione con quella del periodo ipotetico, per cui a un condizionale passato nell’apodosi di solito corrisponde un congiuntivo trapassato nella protasi (sarebbe stato meglio che tu fossi andatosarebbe stato meglio se tu fossi andato). In seguito a questa confusione, la 1 viene usata sia nel suo valore proprio (anteriorità dell’azione rispetto a un momento di riferimento passato), sia in quello che sarebbe proprio della 2 (contemporaneità dell’azione con un momento di riferimento passato).

Raphael Merida

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Non mi è del tutto chiaro quando è considerato accettabile sostituire che con il quale/la quale/i quali/le quali.

Da quanto ho capito è frequente e accettata la sostituzione in una relativa esplicativa in cui il pronome è soggetto (es: «Più tardi verrà a trovarci il nuovo vicino, il quale si è trasferito qui da sole due settimane».)

Sono considerate accettabili le forme composte come oggetto nelle relative esplicative (es: Paola e Giovanna, le quali hai conosciuto l’altro giorno alla festa, mi hanno detto che hanno intenzione di trasferirsi a Parigi.)

Inoltre, sono ancora considerate accettabili le forme composte nelle relative restrittive, o è ormai percepita come “strana”, se non errata?

Ad esempio:

Mi piacciono i fumetti che/*i quali propongono avventure.

Mi porteresti la borsa che/*la quale ho dimenticato nel portabagagli?

Stavo alla finestra a osservare le persone che/*le quali passavano.

Stavo alla finestra a osservare le persone che/*le quali passavano.

Cerco un gatto che/il quale* ha il pelo nero e il muso bianco.

È raro incontrare una persona che/*la quale abbia dedicato tutta la vita allo studio.

 

RISPOSTA:

Le sue considerazioni sono tutte giuste. Nelle relative esplicative il quale è usato in modo intercambiabile con che, sebbene ne rappresenti la variante più formale. Nelle relative limitative il quale è ancora usato, sebbene in modo minoritario, quando l’antecedente è un numerale, un pronome indefinito o un sintagma indeterminato come nell’esempio «È raro incontrare una persona la quale abbia dedicato tutta la vita allo studio»; quando invece l’antecedente è un sintagma determinato è impossibile la sostituzione: «Il mio amico *il quale ti ho presentato l’altro anno è morto ieri». Sulle relative esplicative e limitative la rimando alla risposta Relative limitative o esplicative contenuta nell’archivio di DICO.

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

(1) Chiedo alle persone che conoscessero già la risposta di restare in silenzio.

(1a) Volevo confermare che nella proposizione relativa possiamo sostituire conoscessero sia al congiuntivo presente conoscano sia all’indicativo conoscono senza cambiare la semantica della proposizione.  In altre parole, il valore del congiuntivo (sia all’imperfetto sia al presente) è diafasico, giusto? La proposizione relativa è propria, giusto? È soltanto una questione del registro.

 

Prendiamo un’altra frase che mi sembra strutturalmente simile:

(2) Possono iscriversi al primo anno tutti coloro che abbiano passato l’esame di amissione.

(2a) La struttura della frase sembra uguale alla frase dell’esempio 1 nel senso che c’è un requisito o una limitazione, giusto?

(2b) Possiamo sostituire avessero passato e avevano passato per abbiano passato senza cambiare la semantica della frase? Anche qui i diversi modi dei verbi sono soltanto una cosa del registro e i valori sono diafasici?

(2c) Come possiamo capire che il pronome relativo che non può essere sostituto per esempio con “tale che” per darle una sfumatura di una proposizione consecutiva.

 

RISPOSTA:

Nelle frasi 1 e 2 si può sostituire il congiuntivo con l’indicativo senza alcun cambiamento di significato; la scelta tra i due modi è un fatto che determina il maggior o minor grado di formalità. Sulla scelta fra presente e imperfetto congiuntivo la rimando alle seguenti risposte nell’archivio di DICO: Congiuntivo e consecutio nella proposizione relativa e Relative improprie.

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Le due proposizioni introdotte dalla negazione “né” sono ben collegate al resto del periodo?

1) Ho effettuato due chiamate al vostro numero: non sono riuscita a parlare con un operatore, né sono stata richiamata, come (invece) promesso.

2) Ho effettuato due chiamate al vostro numero senza aver parlato con un operatore, né essere stata richiamata, come (invece) promesso.

Domando, a latere, se l’avverbio “invece” in questi casi sia consigliato, da evitare perché ridondante, oppure sbagliato.

 

RISPOSTA:

Nel primo periodo la congiunzione è usata del tutto correttamente, nel secondo no. vuol dire e non, quindi «e non sono stata richiamata» ecc. Invece è del tutto pleonastico in entrambi i periodi, quindi da evitare, anche se non è errato. Nel secondo periodo, non si può sostituire con e non: *«senza… e non…». Tuttavia, la coordinazione copulativa negativa correlata a senza è abbastanza diffusa (perché senza, sebbene non sia una negazione, esprime un concetto di negazione, cioè di privazione di qualcosa), nell’italiano colloquiale, quindi si può anche ammettere, nei registri meno sorvegliati. Ma è senza dubbio da evitare nello scritto più sorvegliato.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

  1. a) Forse ci sarebbe chi accetterebbe a occhi chiusi.
  2. b) Forse ci sarebbe chi accettasse a occhi chiusi.

Tra le due mi suona di più la frase “a”, dove peraltro penso si possa ipotizzare una protasi velata/sottintesa:

“Forse ci sarebbe chi (se ne avesse la possibilità) accetterebbe a occhi chiusi”.

Ecco, sempre in merito alla questione del congiuntivo, condizionale e un’eventuale protasi implicita, ho letto delle risposte recenti su “Dico”, formulazioni del tipo “Chiunque volesse/vorrebbe, farebbe…”

La mia personale proposta è:

  1. c) Chi parteciperebbe alla gara, forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte.
  2. d) Chi partecipasse alla gara, forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte.

La frase “d” ricalca ovviamente il periodo ipotetico:

“Se qualcuno partecipasse alla gara, forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte.”

Mentre la frase “c” ha un condizionale che è innescato e condizionato da una protasi che resta implicita:

“Chi parteciperebbe alla gara (se ne avesse la possibilità), forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte”.

Protasi, quest’ultima, che forse “potrebbe” (uso il condizionale) anche essere espressa per confermare la correttezza (?) del costrutto:

“Chi parteciperebbe alla gara se ne avesse la possibilità, forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte”.

Che ne pensa? Sono intuizioni corrette, le mie?

 

RISPOSTA:

Sì, le sue sono intuizioni sostanzialmente corrette. Con alcune precisazioni. Il fatto che le “suoni” meglio «Forse ci sarebbe chi accetterebbe a occhi chiusi» si spiega con la struttura della frase, cioè una frase scissa con c’è presentativo, che dunque è un po’ come una frase semplice anziché complessa, equivalente a «Forse qualcuno accetterebbe a occhi chiusi». La modalità epistemica della frase autorizza pienamente il condizionale (ma anche il congiuntivo) senza alcun bisogno di sottintendere una protasi. Il concetto di sottinteso, infatti, andrebbe invocato il meno possibile, per evitare di sostituire le nostre personali e opinabili intuizioni all’effettiva natura della frase. Motivo per cui «Chi parteciperebbe alla gara…» è decisamente da respingere, a meno che, come dice lei, la protasi non sia presente. Ma, ne converrà, la frase con protasi “suona” come del tutto innaturale, nella sua farraginosità: «Chi parteciperebbe alla gara se ne avesse la possibilità, forse si ritroverebbe davanti un avversario troppo forte». Eviterei dunque questi tentativi scolastici e alessandrini di far tornare a tutti i costi i conti di frasi che nessuno pronuncerebbe mai, in contesti naturali. Meglio, dunque, il piano e naturale «Chi partecipasse alla gara» ecc.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In questi giorni mi sono imbattuto in questa frase: «Il suo passatempo consiste nel coltivare i fiori». Mi chiedo cosa sia «consiste nel coltivare i fiori» in analisi del periodo.

 

RISPOSTA:

Il suo passatempo consiste: principale

nel coltivare i fiori: subordinata completiva (soggettiva) implicita.

Sebbene l’infinito sia sostantivato (nel coltivare), esso viene comunque analizzato come proposizione.

Sebbene la proposizione si comporti non come soggetto, bensì come parte nominale di un predicato nominale (consiste nel = essere: il passatempo è coltivare…), essa è comunque analizzabile come completiva soggettiva.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Possono gli indefiniti reggere il condizionale?

Ecco alcune frasi:

Chiunque vorrebbe partecipare, deve mettere il suo nome sulla lista.

Ecco una piccola guida per chi vorrebbe avere maggiori informazioni.

Quale tempo e modo regge, invece, dovunque?

-Ti seguirò, dovunque tu vai/vada/andrai/andresti/andassi.

E se nella principale c´é un condizionale?

-Ti seguirei, dovunque …

-Ti avrei seguito, dovunque…

 

RISPOSTA:

Gli indefiniti possono reggere il condizionale soltanto se si trovano nella proposizione reggente, non se si trovano in una proposizione relativa con sfumatura ipotetica come tutte quelle da lei indicate, nelle quali è ammesso soltanto il congiuntivo o l’indicativo. Vediamo caso per caso.

«Chiunque volesse/voglia partecipare, deve mettere il suo nome sulla lista»: la relativa retta da chiunque ha un evidente valore ipotetico, cioè è analoga alla protasi del periodo ipotetico: «se qualcuno volesse partecipare…». Quindi comprende bene come il condizionale sarebbe del tutto abnorme: *se qualcuno vorrebbe…

Identico discorso per le altre frasi:

«Ecco una piccola guida per chi volesse/voglia avere maggiori informazioni».

«Ti seguirà, dovunque tu vai/vada/andrai/ andassi» (ma non *andresti).

«Ti seguirei, dovunque tu andassi»: identico a sopra, con preferenza per andassi, sempre in parallelo con il periodo ipotetico: «se andassi in qualunque luogo, io ti seguirei».

«Ti avrei seguito, dovunque fossi andato».

Diverso il caso in cui l’indefinito si trovasse nella reggente, cioè con valore analogo a quello di una apodosi di un periodo ipotetico, cioè con valore condizionale, appunto: «chiunque potrebbe partecipare» (se volesse);

«Ti seguirei dovunque» (se partissi);

«Ti avrei seguito dovunque» (se fossi partito).

Molto interessanti le ultime frasi, perché, come vede, a seconda della pausa (o, per meglio dire, a seconda della relazione col verbo reggente), dovunque può avere funzione avverbiale («Ti seguirei/avrei seguito dovunque»), e in questo caso, come parte della reggente, può accompagnarsi a un condizionale, oppure funzione pronominale o di congiunzione relativa («Ti avrei seguito, dovunque fossi andato»), in cui il valore è di pronome doppio ‘in qualunque luogo in cui’, il quale, essendo alla testa di una subordinata relativa ipotetica, non può ammettere il condizionale.

Ecco un’altra coppia di esempi: «ti seguo/seguirei ovunque (tu) vada/andassi» DIVERSO DA «se io non ti seguissi tu andresti ovunque». Nel primo caso ovunque ha valore di congiunzione relativa (cioè di pronome relativo doppio: ‘in qualunque luogo in cui’), mentre nel secondo caso ha valore di avverbio (‘dappertutto, in qualunque luogo’).

Prevengo subito un’altra domanda possibile: allora non può esistere una subordinata relativa al condizionale? Sì, ma soltanto se ha valore condizionale, cioè come una sporta di apodosi di periodo ipotetico con protasi sottintesa: «questi sono i soldi che ti lascerei» (protasi sottintesa: «se io morissi/se dovessi averne bisogno» ecc.).

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“È arrivato il momento che il proprietario venga a ritirare la macchina”. La frase è corretta o si dovrebbe scrivere con in cui?
“È arrivato il momento in cui il proprietario venga a ritirare la macchina”.
Perché mi suona meglio la prima?

 

RISPOSTA:

Subordinate come quella da lei presentata si collocano a metà strada tra le relative, le temporali e le soggettive. Se la consideriamo una relativa dobbiamo costuirla con in cui, perché un evento succede in un momento; se la consideriamo temporale la costruiremo con quando; se la consideriamo soggettiva useremo la congiunzione che (in questo caso è il momento che viene assimilato a è il caso che o simili). I parlanti sfavoriscono decisamente l’opzione temporale e oscillano tra la relativa e la soggettiva, per via della somiglianza tra le due costruzioni (non a caso il che usato in casi come questi rientra nella casistica del cosiddetto che polivalente), preferendo, di solito, la seconda. Quest’ultima è da considerarsi del tutto regolare e utilizzabile in ogni contesto. A conferma della vicinanza di questa subordinata alle soggettive, se il soggetto della subordinata è impersonale essa si costruisce con di + infinito, proprio come le soggettive: “È arrivato il momento di andare”. Va detto, però, che la costruzione relativa diviene preferibile se il momento non è all’interno di un costrutto presentativo, per esempio “Nel momento stesso in cui l’ho visto ho provato una forte emozione”. In questo caso la costruzione con che è percepita come più trascurata.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In realtà non penso di aver trovato una risposta. Qualcuno (per es. nella voce «relative, congiunzioni», di Giuliana Fiorentino, nell’Enciclopedia dell’italiano Treccani) considera questi casi (Mi sembra ieri che/quando eri ancora piccolo tra le mie braccia e guardati adesso invece;

Mi sembra di essere ritornato piccolo che/quando la vita era più spensierata; Chiami proprio adesso che/quando sono così impegnato; L’informazione è arrivata proprio ieri che/quando è successo il casino) come introdotti da una congiunzione relativa. Ho semplicemente detto che sui dizionari si parla di congiunzione relativa assimilabile a “in cui” (“quell’estate quando lo incontrai”) o di congiunzione relativa doppia (“lo conobbi quando ero a Roma”). Tuttavia, nelle quattro frasi riportate (soprattutto la seconda), non mi sembra che la funzione di “quando” sia né quella di una congiunzione relativa né quella una congiunzione relativa doppia, visto che Lei stesso mi ha fatto notare che né “in cui” né “nel momento in cui” possono sostituire quel “quando” nelle frasi. Infatti, da lì è nato il mio dubbio, visto che ho chiesto quale valore avesse quel “quando” (vista la connessione che aveva con l’antecedente a mo’ di pronome relativo) e come lo si potesse eventualmente parafrasare.

 

RISPOSTA:

In effetti la classificazione di questi casi è problematica, né le grammatiche né i dizionari aiutano molto, dato che taluni classificano alcune subordinate introdotte da quando soltanto come temporali (escludendo dunque la possibilità di un quando congiunzione relativa), mentre altri pongono il caso. Ancora una volta, come ribadito più volte nelle nostre risposte di DICO, non esiste una risposta giusta e una sbagliata, ma è solo questione di diversi punti di vista da cui guardare al fenomeno. Chi classifica tutti i casi come temporali (Serianni), chi, invece, fa definizioni più sottili (come la voce «relative, congiunzioni», di Giuliana Fiorentino, nell’Enciclopedia dell’italiano Treccani. Certamente, però, il discrimine non può essere quello della parafrasi, perché, da questo punto di vista, anche una congiunzione temporale può essere parafrasata con ‘nel periodo/momento in cui’ o simili: «andrò al mare quando avrò finito gli esami». Allora forse sarebbe più prudente (ma, ripeto, è soltanto una delle tante soluzioni possibili) considerare quando come congiunzione relativa (o pronome relativo) soltanto nei casi di un antecedente chiaro: “quell’estate quando lo incontrai”. Per tutti gli altri casi, invece, ivi compresi quelli da lei segnalati in “Che temporale” (risposta di DICO), ritengo ancora più prudente la classificazione come temporale, senza dare rilievo alla parafrasi, che porta fuori strada per i motivi già detti. Infatti, in buona sostanza, in tutti e 4 i casi da lei segnalati la parafrasi possibile è uguale sia nel valore temporale, sia nel valore relativo. Ma allora che senso ha aggiungere quest’altra categoria? Entia multiplicanda non sunt praeter necessitatem. A meno che non si guardi alla struttura profonda della frase, sceverando di volta in volta se il valore sia più vicino all’amplificazione di un sintagma nominale (relativo), oppure a un valore avverbiale, cioè extranucleare (temporale). Per riprendere i suoi esempi:

  1. «Mi sembra ieri che/quando eri ancora piccolo tra le mie braccia e guardati adesso invece». Parafrasi: nel periodo/all’epoca in cui
  2. «Mi sembra di essere ritornato piccolo che/quando la vita era più spensierata». Parafrasi: nel periodo in cui.
  3. «Chiami proprio adesso che/quando sono così impegnato». Parafrasi: in un momento in cui.
  4. «L’informazione è arrivata proprio ieri che/quando è successo il casino». Parafrasi: nel momento in cui.

 

Come vede, in nessun caso c’è un antecedente (specifico) espresso, ma andrebbe ricostruito come se fosse inglobato nella congiunzione (o pronome) quando. Cosa che ho fatto nella parafrasi, che però, attenzione, è solo a scopo esplicativo. Se le frasi fossero davvero prodotte con la parafrasi da me proposta, sarebbero delle pessime frasi, cioè del tutto innaturali. In conclusione, come ripeto, ma che senso avrebbe addurre la parafrasi a riprova del valore relativo se quella stessa parafrasi spiegherebbe anche il valore temporale propriamente detto? «Rispondi quando ti chiamo», parafrasi: nel momento in cui.

Ovviamente, in altre frasi, quando può avere anche valori (interrogativo, ipotetico, avversativo), ma questa è un’altra storia.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio su una frase: “avrei bisogno di sapere se potessi sostenere l’esame (giorno x)”. Non mi suona male ma mi è stato fatto notare che non era così corretta e che dovrei dire invece “se sia possibile(…)”. Potreste aiutarmi? Vanno bene entrambe?

 

RISPOSTA:

In effetti, non si giustifica l’imperfetto, perché in questo caso il rapporto temporale tra le due proposizioni non è di contemporaneità nel passato, bensì di posteriorità o di contemporaneità nel presente, quindi la scelta migliore è il congiuntivo presente, oppure l’indicativo presente: «… se posso sostenere… / se è possibile sostenere…». Inoltre, è sbagliato (o quantomeno troppo informale e regionale) «giorno 12» (per es.), perché la forma dell’italiano standard prevede l’uso dell’articolo, cioè «il giorno 12».

Fabio Rossi

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QUESITO:

1.Probabilmente non ci sarebbe nessuno che mi desse/darebbe una mano.

2.Se avessi cercato aiuto, non avrei trovato qualcuno che mi desse/avrebbe dato una mano.

3.Se fosse il caso, te lo direi prima che tu te ne vada/andassi/andresti.

4.Se fosse stato il caso, te lo avrei detto prima che tu ne andassi/fossi andato/saresti andato.

Secondo me, nelle prime due frasi si può usare sia il congiuntivo imperfetto che il condizionale presente (1) e passato (2).

In merito alla terza, per una questione di orecchiabilità, direi corretto l’imperfetto e un po’ meno il congiuntivo presente, mentre “no” assoluto per il condizionale presente, che con “prima che” non penso sia compatibile.

In merito alla quarta, va bene l’imperfetto e congiuntivo trapassato, mentre, come dicevo prima, no per il condizionale passato in quanto incompatibile con “prima che”.

Cosa ne pensa? Sono considerazioni corrette oppure ravvisa degli errori di valutazione?

 

RISPOSTA:

Le sue interpretazioni mi sembrano ineccepibili.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

1a) Cosa è bastato a fargli cambiare idea?

1b) A fargli cambiare idea è bastato qualche esempio pratico.

2a) Cosa è bastato per fargli cambiare idea?

2b) Per fargli cambiare idea è bastato qualche esempio pratico.

Sono sicuro della correttezza grammaticale di 2a e 2b, mentre non saprei esprimermi sulla correttezza grammaticale di 1a e 1b?

Ho consultato vari dizionari, ma non ho trovato esempi di quello che intendo: Se all’interno della frase il complemento di fine (introdotto da “a”) è focalizzato/marcato(su cui cade la tonica), allora so per certo che tale preposizione si può utilizzare:

-Questo a cosa è bastato?

-Questo è bastato a chiarire.

Se invece è il soggetto quello ad essere focalizzato/marcato (ovvero sempre l’elemento su cui cade la tonica), allora su ciò non ho trovato esempi:

-Cosa è bastato a fargli cambiare idea?(???)

-A fargli cambiare idea è bastato qualche esempio pratico(???)

Lei cosa ne pensa?

 

RISPOSTA:

Tutte le frasi sono corrette. Non si tratta in nessuna di complemento di fine, né di soggetto, bensì di proposizioni subordinate finali. Inoltre, se la finale è anteposta alla reggente non è focalizzata, bensì topicalizzata, cioè in funzione di topic.

Diverso il caso di «Questo a cosa è bastato?», in cui il pronome interrogativo «a cosa» ha in effetti funzione di complemento di fine ed è sicuramente più comune di «per» (che comunque non sarebbe scorretto), in dipendenza da bastare. Tuttavia, nella frase successiva, in cui il complemento di fine diventa invece una subordinata finale, a e per sono intercambiabili: «Cosa è bastato a/per fagli cambiare idea?».

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

  1. Mi sembra ieri che/quando eri ancora piccolo tra le mie braccia e guardati adesso invece.
  2. Mi sembra di essere ritornato piccolo che/quando la vita era più spensierata.
  3. Chiami proprio adesso che/quando sono così impegnato.
  4. L’informazione è arrivata proprio ieri che/quando è successo il casino.

Il “che” in queste frasi che valore ha, di pronome relativo assimilabile a “in cui”?

“Quando” invece potrebbe essere una congiunzione relativa col valore di “in cui” oppure invece potrebbe essere una congiunzione relativa doppia, paragonabile a “il periodo in cui/nel periodo in cui”?

Fermo restando che tutti le alternative proposte in sostituzione di “che” o “quando” non mi suonerebbero nelle quattro frasi elencate.

 

RISPOSTA:

Il che in questione è un tipico «che temporale», vale a dire di valore intermedio tra il pronome relativo e la congiunzione, in alcuni casi; in altri con valore decisamente di congiunzione temporale. Quando è una congiunzione temporale e non un pronome relativo doppio, anche se la distinzione è di carattere più convenzionale-nomenclatorio che sostanziale: per esempio, è chiaro il parallelismo con dove pronome relativo doppio (‘nel luogo in cui’: «va’ dove di pare»); però, per convenzione, esistono le subordinate temporali, e non le “locali”, che vengono invece categorizzate come relative. In nessuna delle frasi proposte sarebbe possibile la sostituzione con “in cui”. Anche la sostituzione con “il periodo in cui” sarebbe del tutto innaturale.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Premetto che tendo a evitare di chiedere chiarimenti su argomenti ampiamente discussi, ma stavolta non posso rinunciarvi: si tratta di un dubbio che mi assilla da tempo (e, evidentemente, non assilla soltanto me). Confido sempre in voi quando mi trovo in tale condizione: siete un solido punto di riferimento.
Detto questo, vengo al dunque.
In vari articoli – alcuni dei quali sono piuttosto recenti – avete spiegato e ribadito che nelle completive, in particolare nelle oggettive, il condizionale è ammesso se la protasi è esplicita.
Mi riallaccio a un esempio già analizzato, introdotto da sarebbe possibile/è possibile.
La mia domanda è diretta: il condizionale nella proposizione oggettiva è ammesso come variante accettabile delle soluzioni con il congiuntivo, oppure è l’unica forma ammessa?
In altre parole, anche quando vi sia una protasi esplicita, o quando essa sia ricavabile dal contesto senza grossi sforzi logici, il parlante può comunque selezionare il congiuntivo?
Le varianti sintattiche (sono tutte corrette?) che un esempio come quello sopra citato potrebbe accogliere sarebbero le seguenti:
a) Sarebbe possibile che arriverebbe, se lo aspettassimo ancora.
b) Sarebbe possibile che arrivi, se lo aspettassimo ancora.
c) Sarebbe possibile che arrivasse, se lo aspettassimo ancora.
d) È possibile che arriverebbe, se lo aspettiamo/aspettassimo ancora.
e) È possibile che arrivi, se lo aspettiamo/aspettassimo ancora.

Ho sempre privilegiato il congiuntivo nelle oggettive affini a quella che è al centro del quesito (in questo caso, ad esempio, fra tutte le varianti, sceglierei la C e la E, indipendentemente dalla presenza della protasi). Ho inoltre notato, effettuando alcune ricerche su Google Libri, che molti autori, nelle loro opere, hanno seguito la stessa strada.
Chiedo aiuto a voi, come al solito, per dissipare la nebbia intorno a questo argomento.

 

RISPOSTA:

Nessuna delle cinque frasi può dirsi errata, anche se quelle meno felici sono proprio la a) e la d), perché da una completiva retta da “possibile” ci si aspetta in primo luogo il congiuntivo. Qui il condizionale ovviamente si giustifica perché la completiva è a sua volta apodosi di periodo ipotetico, però, come ripeto, il congiuntivo è comunque la scelta preferibile. Sulla consecutio temporum arrivi/arrivasse (entrambe forme corrette), può leggere la risposta di DICO Congiuntivo presente o imperfetto in dipendenza da vorrei e altre risposte connesse.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

1) Lo fai pentire delle sue azioni.

2) Lo fai pentirsi delle sue azioni

3) Lo lasci pentire delle sue azioni.

4) Lo lasci pentirsi delle sue azioni.

Per quanto mi riguarda, penso che con “fare” sia sbagliata l’inserzione del pronome riflessivo “si”, nonostante il verbo sia intransitivo pronominale e lo richiede.

Per quanto riguarda il verbo “lasciare” credo che si possa utilizzare il riflessivo, o almeno l’ho sempre fatto, ma non so se sia necessario al 100%.

Quindi significa che per me sono corrette la prima e la quarta, la terza potrebbe forse essere corretta, infine c’è la seconda che è errata.

Non ho i mezzi per stabilirlo, quindi chiedo a lei.

Magari saprebbe dirmi se ci sono delle regole e ragioni grammaticali ben precise in merito, con cui si può stabilire la correttezza o la non correttezza delle quattro frasi?

 

RISPOSTA:

Come si legge nella Grande grammatica italiana di consultazione, di Renzi, Salvi, Cardinaletti, il Mulino, 1991, vol. 2, p. 509, «I verbi riflessivi appaiono nella costruzione fattitiva senza il clitico riflessivo», pertanto le sole frasi corrette sono la 1 e la 3. In altri termini, quanto il verbo fattitivo o causativo (fare, lasciare) determina lo spostamento del soggetto della subordinata infinitiva, ingloba in sé anche il clitico riflessivo, che invece deve essere espresso se lo spostamento del soggetto (e l’infinitiva) manca, cioè: «Fai (o lasci) che si penta delle sue azioni». Lo stesso vale per soggetto/oggetto espresso in forma piena: «Fai/lasci pentire (e non pentirsi) Marco delle sue azioni», ma «fai/lasci che Marco si penta (e non penta) delle sue azioni.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

La ringrazio per aver chiarito il mio dubbio sulla questione delle proposizioni causali/finali.

Lei ha però sollevato la questione del tema del controllo, su cui non avevo mai fatto più di tanto caso.

Nella frase “spero di redimermi” vi è una oggettiva implicita, che si lega al verbo sperare, il cui soggetto è “controllato” dal soggetto della reggente.

Ci sono casi in cui, però, la subordinata implicita più che essere legata direttamente al verbo, fa da modificatore di un sintagma nominale, quest’ultimo legato direttamente al verbo:

  1. a) Non dimenticherò mai il fatto di essere sempre stato leale con tutti voi.
  2. b) Pensavo che questa fosse l’occasione per potermi pentire.

Queste due frasi sono molto idiomatiche, ma da un punto di vista puramente grammaticale (sempre riallacciandoci alla questione che la subordinata implicita non ha un contatto diretto col soggetto della reggente, ma piuttosto tale subordinata è parte del sintagma nominale) possono essere viste come corrette?

In queste due frasi, può effettivamente il soggetto della reggente (io) essere il controllore della subordinata implicita?

C’è poi un ulteriore costrutto grammaticale, a mio modo di vedere molto idiomatico e utilizzato:

  1. c) Questa è la vostra occasione di/per accorgervi delle qualità di questo giocatore, molto spesso sottovalutate.

In questa frase, abbiamo nuovamente una subordinata implicita (introdotta da “per” o “di”) e che si lega al sintagma nominale, come nei due casi precedenti.

La vera differenza la fa lo stesso sintagma nominale, che è il soggetto grammaticale della reggente.

Quindi ci sarebbe da chiedersi: Perché si lega il soggetto della implicita alla seconda plurale “voi”?

Forse l’aggettivo “vostro” controlla il soggetto della subordinata implicita? Secondo lei, potremmo quindi vedere tale aggettivo come soggetto logico della reggente? Il soggetto logico, secondo le grammatiche, può controllare il soggetto della subordinata implicita, in quanto è colui che materialmente fa qualcosa:

“Mi sembra di aver capito”.

“Mi” equivale a “io”, che sarebbe riformulabile in tal modo:

“Io penso di aver capito”.

Cosa ne pensa lei di questi particolari casi?

 

RISPOSTA:

Certamente le frasi da lei riportate sono corrette (e non sono idiomatiche, né colloquiali, ma del tutto normali in qualunque registro dell’italiano standard). Anche quando le subordinate espandono un sintagma nominale, cioè dipendono da un nome, un aggettivo o un pronome anziché da un verbo (e troverà numerosi esempi di questo sempre nella solita Grande grammatica italiana di consultazione), il soggetto è controllato da un elemento della reggente. Nelle prime due frasi da lei citate, infatti, il soggetto della subordinata è controllato dal soggetto della reggente (io).

Molto giusta la sua intuizione sulle altre frasi: il soggetto della subordinata può essere controllato anche da altri elementi della reggente, ivi compreso un soggetto logico, a senso, generico ecc.:

  1. c) «Questa è la vostra occasione di/per accorgervi delle qualità di questo giocatore»: il controllore è sicuramente vostra.
  2. d) «Mi sembra di aver capito»: il controllore è mi (cioè il benefattivo o esperiente, chi prova una determinata esperienza, ovvero il soggetto logico, in questo caso).

Ma ci possono essere anche casi più complessi sintatticamente, per esempio:

«Ti ho dato la scusa per/di andartene»: il soggetto della subordinata (tu) è controllato dal complemento di termine della reggente (ti).

Fabio Rossi

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QUESITO:

Il condizionale passato può essere impiegato – come spiegato a più riprese – per indicare il futuro nel passato; può, però, esprimere anche anteriorità rispetto a un dato momento di riferimento e, nel contempo, mantenere la sua funzione di eventualità?

In un periodo come quello riportato più sotto, l’azione descritta con il condizionale passato sarebbe interpretata come anteriore, posteriore (rispetto a quella della subordinata) o sarebbero possibili entrambe le soluzioni?

1. Laura sapeva che nel momento in cui (valore ipotetico-temporale) avesse raggiunto lo stabilimento balneare, i suoi amici avrebbero lasciato la spiaggia.

In assenza di altri elementi, la semantica mi porterebbe a optare per l’interpretazione posteriore; ma, in astratto, potrebbe anche essere vero il contrario.

Con verbi differenti, ad esempio, non avrei alcuna esitazione a stabilire il rapporto tra le due proposizioni.

2. Laura sapeva che nel momento in cui (valore ipotetico-temporale) avesse raggiunto lo stabilimento balneare, i suoi amici sarebbero andati a casa (condizionale passato = posteriorità rispetto al congiuntivo trapassato: Laura raggiunge lo stabilimento e i suoi amici, dopo, vanno a casa).

3. Laura sapeva che nel momento in cui (valore ipotetico-temporale) avesse raggiunto lo stabilimento balneare, i suoi amici sarebbero stati a casa (condizionale passato = anteriorità rispetto al congiuntivo trapassato. Laura raggiunge lo stabilimento, ma i suoi amici se ne sono andati a casa).

In sintesi, il condizionale passato, a seconda dei casi, può esprimere anteriorità o posteriorità rispetto a un momento di riferimento (anche tralasciando l’enunciazione), come negli esempi sopra indicati?

Riguardo al periodo 1, l’inserimento di un avverbio come già potrebbe fugare ogni dubbio circa la collocazione temporale dell’azione, spingendo a considerare la proposizione espressa con il condizionale passato nel passato rispetto alla subordinata? (“Laura sapeva che nel momento in cui avesse raggiunto lo stabilimento balneare, i suoi amici avrebbero già lasciato la spiaggia” = Gli amici di Laura hanno lasciato la spiaggia prima che lei abbia raggiunto lo stabilimento).

 

RISPOSTA:

Il condizionale descrive un evento condizionato rispetto a un altro condizionante (tipicamente costruito con una proposizione ipotetica); il rapporto tra la condizione e la conseguenza attiva automaticamente un rispecchiamento temporale in cui la condizione precede la conseguenza. Questa funzione modale e temporale che lega la proposizione con il condizionale alla proposizione con il congiuntivo (o l’indicativo) da essa dipendente si intreccia con quella relativamente temporale che lega la stessa proposizione con il condizionale a quella che la regge (se la frase la prevede). In questa seconda relazione entra in gioco il valore di futuro nel passato.

In particolare, quando la reggente è al presente, quindi il momento dell’enunciazione è presente, il condizionale passato descrive un evento anteriore, quindi passato: “Penso [adesso] che lui avrebbe agito diversamente [nel passato] se le condizioni lo avessero consentito”. Lo stesso vale se il momento dell’enunciazione è futuro: “Ti renderai conto che lui avrebbe agito diversamente…”. Se il momento dell’enunciazione è passato, la funzione relativamente temporale del condizionale passato diviene di posteriorità (è il cosiddetto futuro nel passato). Per questo, nelle sue tre frasi, gli eventi al condizionale passato sono sempre successivi a quello del sapere espresso nella proposizione principale Laura sapeva. Per quanto riguarda la relazione tra la proposizione con il  condizionale e la subordinata al congiuntivo nelle sue frasi, bisogna considerare l’ambiguità provocata dalla semantica dei verbi e dalla congiunzione che introduce la subordinata stessa. Nella frase 1 non c’è dubbio che l’evento del lasciare sia conseguente, quindi anche successivo, a quello del raggiungere;  nella frase 2 l’evento dell’andare potrebbe essere avvenuto precedentemente a quello del raggiungere, quindi potrebbe non esserne la conseguenza. Questa possibilità vale perché la locuzione congiuntiva nel momento in cui ammette un’interpretazione temporale, quindi è possibile che l’andare segua il sapere ma preceda il raggiungere. Questa interpretazione non sarebbe possibile se al posto di nel momento in cui ci fosse se (“Se avesse raggiunto lo stabilimento balneare, i suoi amici sarebbero andati a casa” = gli amici vanno certamente via come conseguenza dell’arrivo di Laura, quindi dopo). Lo stesso vale a maggior ragione per la frase 3, in cui il verbo essere costringe a un’interpretazione anteriore rispetto a raggiungere (ma comunque sempre successiva a sapere), perché indica uno stato e non un’azione (diversamente da lasciare e andare). Nella frase, infatti, la congiunzione se sarebbe ammessa soltanto con una sfumatura concessiva (se = anche se), perché rappresentare un evento precedente a un altro come la conseguenza di quest’ultimo sarebbe incoerente. Ovviamente, l’aggiunta di già enfatizza la precedenza dell’essere rispetto al raggiungere.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Stavo pensando a qualche frase:

1) Lo ringrazio per avermi aiutato

2) Lo rispetto per avermi aiutato

3) Questo lo dico al di là del rispetto che io ho per lui per avermi aiutato.

Partiamo dalle prime 2:

Qui abbiamo una proposizione causale, il cui soggetto rimanda all’oggetto diretta della reggente.

Ora, esistono numerosi verbi che si comportano in questo modo, ma che solitamente reggono la preposizione di, (come anche lo stesso verbo “ringraziare”), per esempio:

– lo supplico di andarsene (finale).

– ti ringrazio di avermi dato ascolto (causale).

Quella di far concordare oggetto diretto della reggente e soggetto della finale o causale introdotta da “per” può ritenersi un grossolano errore, se non un colloquialismo, in quanto sarebbe meglio una proposizione esplicita come “perché, “poiché”, “affinché” ecc…?

La terza frase è quella che mi desta più dubbi, in quanto non c’è un oggetto diretto (lui) che possa concordare col soggetto della proposizione implicita causale, ma il soggetto della causale sembra comunque essere lo stesso del pronome del sintagma preposizionale “per lui”.

Forse, è proprio a causa di quel “per” che il tutto mi suona scorretto, forse cambierebbe qualcosa se in questa frase dicessimo “di lui” al posto di “per lui”.

Rimetto a lei l’ultima parola, quella che possa far luce sull’intrigo.

 

RISPOSTA:

Come già osservato in altre risposte, il tema del “controllo” (come si definisce in sintassi, o se preferisce dell’identità del soggetto con altro elemento della frase) del soggetto delle subordinate implicite, ora da parte del soggetto della reggente, ora da parte di altri complementi (non solo l’oggetto) è ricco e complesso. Non c’entra nulla la colloquialità, nei casi specifici da lei sottoposti. Può avere una prima panoramica della ricchissima casistica del controllo del soggetto delle subordinate all’infinito nella Grande grammatica di consultazione di Renzi, Salvi, Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1991, vol. 2, pp. 483-569.

Come ripeto, la frase 3 va benissimo, il soggetto della subordinata implicita infinitiva causale («per avermi aiutato») è controllato da «per lui», non è colloquiale e non cambierebbe nulla rispetto a «di lui» (per es.: «…considerazione che ho di lui…»).

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

1.Mario era abbastanza tranquillo per poterlo sopportare:

Interpretazione a): Mario era abbastanza tranquillo perché lui stesso potesse sopportare ciò.

Interpretazione b): Mario era abbastanza tranquillo perché qualcuno lo potesse sopportare.

2.Mario era abbastanza tranquillo da poter sopportare:

Interpretazione b): Mario era abbastanza tranquillo perché qualcuno lo potesse sopportare.

3.Mario era abbastanza tranquillo da poterlo sopportare:

Interpretazione a): Mario era abbastanza tranquillo perché lui stesso potesse sopportare ciò.

Quello che penso è che nel caso della preposizione “per” sia necessario il complemento oggetto, a quel punto avremmo due interpretazioni differenti:

a = soggetto coreferente

b = soggetto generico introdotto nella subordinata.

Con la preposizione da è diverso, perché se si inserisce il complemento oggetto, l’interpretazione (a) diventa quella che vede due soggetti coreferenti, mentre se non si usa alcun complemento oggetto, parliamo di un interpretazione (b) che ha un valore passivo/impersonale.

Seguendo questa logica se io dicessi:

4.Il dolore era troppo grande per poterlo sopportare”, potrei voler dire:

Interpretazione a = il dolore era troppo grande perché il dolore potesse sopportare qualcosa o qualcuno.

(Frase decisamente irrealistica, in quanto è impensabile come frase, ma è giusto per far capire la differenza)

Interpretazione b) il dolore era troppo grande perché qualcuno lo potesse sopportare.

  1. Il dolore era troppo grande da poter sopportare:

Interpretazione b) il dolore era troppo grande perché qualcuno lo potesse sopportare.

  1. Il dolore era troppo grande da poterlo sopportare:

Interpretazione a) il dolore era troppo grande perché il dolore potesse sopportare qualcosa o qualcuno.

(Come la quarta nella interpretazione “a”)

Sono corretti il mio ragionamento e le mie interpretazioni?

Cioè che la preposizione “per” richiede il complemento oggetto e può avere doppia interpretazione, a e b, generando magari ambiguità.

Mentre la preposizione “da”, in dipendenza dalla presenza o assenza del complemento oggetto, può avere una sola delle due interpretazioni.

 

RISPOSTA:

No, la sua interpretazione non è corretta. È vero che da + infinito di un verbo transitivo indica un valore passivo, cioè qualcosa che deve essere fatto: da fare, da comprare, da vedere ecc. In quanto tale, il clitico è pleonastico e comunque, sia che ci sia, sia che manchi, non muta il significato della frase: «il dolore è troppo forte da sopportare/sopportarlo» può voler dire soltanto ‘…troppo forte per essere sopportato’. La versione col clitico è decisamente informale e da evitarsi in uno stile sorvegliato.

La finale implicita con per + infinito, così come da + infinito, impone l’obbligo dell’identità del soggetto della subordinata e di quello della reggente. Quindi:

  1. «Mario era abbastanza tranquillo per poterlo sopportare». L’unica interpretazione possibile è: ‘Mario era abbastanza tranquillo perché lui stesso potesse sopportare ciò’. Se invece si vuole esprimere che Mario viene sopportato allora bisogna rendere esplicita la subordinata ed esprimere il soggetto: «Mario era abbastanza tranquillo perché qualcuno lo potesse sopportare».
  2. «Mario era abbastanza tranquillo da (poter) sopportare». Benché sia possibile l’interpretazione ‘da essere sopportato’, la frase suscita comunque ambiguità, pertanto sarebbe meglio renderla esplicita: «Mario era abbastanza tranquillo perché qualcuno lo potesse sopportare». Al limite, informalmente, si potrebbe usare il si passivante: «Mario era abbastanza tranquillo da sopportarsi/potersi sopportare», cioè «essere/poter essere sopportato».
  3. «Mario era abbastanza tranquillo da poterlo sopportare»: è possibile soltanto l’interpretazione ‘Mario era abbastanza tranquillo da poter sopportare qualcosa’.

Quindi: se non c’è identità di soggetto chiara tra reggente e subordinata implicita, è sempre meglio trasformare la subordinata in esplicita ed esprimere il nuovo soggetto.

  1. «Il dolore era troppo grande per poterlo sopportare»: soltanto il senso consente di evitare l’interpretazione assurda ‘il dolore era troppo grande perché il dolore potesse sopportare qualcosa o qualcuno’. La frase è comunque imperfettamente formata e dunque sarebbe meglio cambiarla in: «il dolore era troppo grande per essere sopportato».
  2. «Il dolore era troppo grande da poter sopportare»: la frase è mal formata per le stesse ragioni della precedente e della n. 2; pertanto è meglio cambiarla in «il dolore era troppo grande per essere sopportato», oppure, informalmente, «da sopportarsi».

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Mi potete verificare se l’analisi del periodo sotto è corretta?

“Perché il suo discorso mi aveva entusiasmato, mi parve giusto dirgli quel che ne pensavo”

Mi parve giusto=principale

Perché il suo discorso mi aveva entusiasmato=sub. causale implicita

Dirgli=sub. soggettiva implicita

Quel che ne pensavo=sub. oggettiva esplicita

 

RISPOSTA:

No, è sbagliata. Ecco l’analisi corretta:

mi parve giusto: principale

dirgli quello: sub. soggettiva implicita di primo grado

che ne pensavo: sub. relativa esplicita di secondo grado

perché il suo discorso mi aveva entusiasmato: sub. causale esplicita di secondo grado.

Inoltre, quando la causale è anteposta alla reggente, perché è sconsigliato; meglio poiché, siccome, dato che, dal momento che.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

1) Ti darò qualunque/qualsiasi cosa tu voglia o che tu voglia?

2) Si fa suggestionare da qualsiasi/qualunque rumore potrebbe sentire o che potrebbe sentire durante la notte?

3) Chiamami, di qualunque/qualsiasi cosa tu abbia bisogno o di cui tu abbia bisogno?

4) Ci sarà sempre da ridire, in qualunque/qualsiasi modo tu lo faccia o in cui tu lo faccia?

5) Mi troverai in qualsiasi/qualunque luogo si mangi bene o in cui si mangia?

Vanno bene sempre bene entrambe le soluzioni?

La mia impressione è che quando la preposizione che si usa nella frase principale è la stessa della relativa, allora il pronome relativo + preposizione si può anche omettere.

Diverso, penso, sia il caso in cui non ci sia questo combaciamento, dove bisogna inserirlo:

6a) Parliamo di qualsiasi/qualunque luogo in cui si mangi bene

6b)Parliamo di qualsiasi/qualunque si mangi bene*

A pensarci  bene, neanche nella frase 2 c’è una corrispondenza tra preposizioni, ma è anche vero che la relativa non ne ha nessuna.

È solo una mia impressione, sbagliata o giusta che sia, o c’è una spiegazione grammaticale dietro?

 

RISPOSTA:

La sua domanda contiene già la risposta (quasi del tutto) corretta e denota un’eccellente capacità di ragionamento induttivo sulla lingua: cioè, lei ha ricavato la regola sulla base di un’analisi attenta degli esempi. I pronomi relativi doppi (chi, chiunque: alcuni funzionano sia come indefiniti sia come relativi), cioè quelli che sottintendono, o per meglio dire inglobano, l’antecedente (chi/chiunque = la persona/qualunque persona la quale; con gli aggettivi qualunque e qualsiasi l’antecedente va invece espresso: cosa, persona ecc.) e alcuni aggettivi relativi indefiniti (qualunque, qualsiasi) possono omettere la preposizione nella proposizione relativa soltanto a condizione che l’elemento pronominalizzato della relativa sia un complemento diretto oppure un soggetto, con qualche eccezione se le due preposizioni, quella della reggente e quella della relativa, sono uguali. Se dunque il complemento pronominalizzato nella subordinata relativa richiede una preposizione, essa di norma non può essere omessa. Se il pronome è doppio, nel caso di reggenza preposizionale esso va sciolto in due elementi (cioè antecedente + pronome):

– «vai con chiunque ami» ma «vai con qualunque persona alla quale/a cui vuoi bene» e non «vai con chiunque vuoi bene». È possibile l’omissione della preposizione se è uguale alla preposizione della reggente: «vai con chi vuoi stare» = «vai con la persona con quale vuoi stare» (la prima frase è più informale).

Commentiamo di seguito uno a uno tutti i suoi esempi:

1) «Ti darò qualunque/qualsiasi cosa tu voglia» o «che tu voglia»? Il che è pleonastico, e dunque da eliminare, perché qualunque ha già valore di aggettivo relativo/indefinito e dunque non richiede un ulteriore pronome relativo: «qualunque cosa tu voglia».

2) «Si fa suggestionare da qualsiasi/qualunque rumore potrebbe sentire» o «che potrebbe sentire durante la notte»? Come sopra: il che va eliminato.

3) «Chiamami, di qualunque/qualsiasi cosa tu abbia bisogno» o «di cui tu abbia bisogno»? In teoria bisognerebbe dire e scrivere «di cui tu abbia bisogno», perché «avere bisogno di qualcosa» richiede la preposizione di; tuttavia nell’italiano comune è altrettanto corretta l’omissione del secondo di, attratto dal primo.

4) «Ci sarà sempre da ridire, in qualunque/qualsiasi modo tu lo faccia» o «in cui tu lo faccia»? Come sopra: vanno bene entrambi, e anzi il secondo (ancorché più corretto grammaticalmente) è decisamente innaturale.

5) «Mi troverai in qualsiasi/qualunque luogo si mangi bene» o «in cui si mangia»? La preposizione in è necessaria: «in qualunque luogo in cui si mangi», anche se nell’italiano comunque è possibile anche l’omissione del secondo in, attratto, per così dire, dal primo.

6a) «Parliamo di qualsiasi/qualunque luogo in cui si mangi bene»: giusto, ci vogliono entrambe le preposizioni.

6b) «Parliamo di qualsiasi/qualunque si mangi bene»: è errata; la versione corretta è: «Parliamo di qualsiasi/qualunque luogo in cui si mangi bene».

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

“Le parole scritte restano”. In analisi grammaticale qual è la funzione di “scritte”?

 

RISPOSTA:

Aggettivo qualificativo, femminile, plurale. Naturalmente, trattasi di participio passato del verbo scrivere usato, nella frase in questione, con funzione aggettivale. Dato che le parole non funzionano in isolamento, in nessuna lingua, bensì inserite in un contesto (frase), è bene analizzarle nella funzione (non a caso, lei nella sua domanda utilizza la parola funzione) che svolgono all’interno della frase. In questo caso non v’è alcun dubbio che la funzione di scritte sia aggettivale (ovvero attributo in analisi logica). Vi sono peraltro dei casi limite: «Le parole scritte da te restano». In questo caso la presenza del complemento d’agente lascerebbe propendere per l’analisi come verbo, cioè participio passato. Tuttavia, dato che anche gli aggettivi (e i nomi) possono reggere argomenti («sensibile ai complimenti», «utile a/per scopi diversi» ecc.), non è questo un discrimine per stabilire se un participio sia verbale o aggettivale. Ancora una volta, come spesso accade nelle lingue, non si tratta di bianco o nero ma di come si decide di ritagliare la realtà linguistica: chi opta per valorizzare sempre la natura verbale del participio (che, per inciso, si chiama così proprio perché partecipa della doppia natura di verbo e di nome, ovvero aggettivo), chi invece (e io mi colloco tra questi ultimi) pensa che si debba valutare caso per caso a seconda del contesto sintattico. Non vi sarebbe alcun dubbio, per esempio, nel considerare verbale il participio della frase seguente: «Scritte, le parole restano», nella quale «scritte», isolato dal resto della frase, non può che assumere la funzione di subordinata (ipotetica implicita: «se scritte…»). Anche nella sua frase si potrebbe sostenere che «scritte» sia una relativa implicita: «Le parole che sono scritte restano», ma sarebbe una spiegazione antieconomica: perché mai scomodare una struttura sottintesa quando la linearità della frase è chiarissima? Come vede, la distinzione tra analisi grammaticale e analisi logica, necessaria in teoria per tener distinti i piani dell’analisi linguistica, è meno netta nella realtà dei fatti: per stabilire se analizzare «scritte» come aggettivo o come verbo è prima necessario comprendere la sintassi della frase. In conclusione, ribadisco la mia opinione: «scritte», nella frase in questione, va analizzato come aggettivo e non come participio passato.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Le soluzioni sotto indicate sono sintatticamente possibili?

In caso di risposta affermativa, tra esse ce ne sono alcune che potrebbero essere giudicate illogiche?

(Personalmente, mi sentirei di scartare soltanto la numero 4; mentre la numero 1, con i due congiuntivi invertiti, mi pare tutto sommato coerente.)

1) Mettiamo che il giornalista che si interessasse al caso ci faccia domande scomode…

2) Mettiamo che il giornalista che si interessasse al caso ci facesse domande scomode…

3) Mettiamo che il giornalista che si interessi al caso ci faccia domande scomode…

4) Mettiamo che il giornalista che si interessi al caso ci facesse domande scomode…

 

RISPOSTA:

Sì, vanno tutte bene: la relativa impropria (con valore epistemico-eventuale) può essere espressa sia con il congiuntivo presente (a rigore il tempo più adatto, trattandosi di contemporaneità al presente: si suppone infatti che il giornalista se ne interessi adesso e ci faccia delle domande adesso), sia all’imperfetto (adatto proprio per il valore eventuale: se si interessasse, ci farebbe… se ci facesse delle domande…).

lo stesso vale per «ci faccia / ci facesse delle domande».

Come giustamente osserva lei, la 4 sembra non funzionare, perché presenta uno scollamento tra il presente (il giornalista se ne interessa ora) e l’imperfetto; anche se, in teoria, sarebbe sempre possibile che ci si riferisse a un evento passato: il giornalista al caso si interessa tuttora e ieri, mentre ci intervistava, ci faceva delle domande scomode. Al di fuori di quest’eventualità (comunque equivoca, se non vengono fornite esplicite coordinate temporali), il numero 4 risulterebbe mal formato.

La frase migliore, comunque, e dunque più adatta a uno stile formale, proprio perché non suscita alcun equivoco, è la n. 3; sarebbe altrettanto corretta e formale con una relativa propria: «Mettiamo che il giornalista che si interessa al caso ci faccia domande scomode».

Fabio Rossi

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QUESITO:

Tre esempi da <> Elisa Morante

(1) (p234 ): Fin dalla mattina presto, io li udivo dalla mia stanza CHE subito appena svegli incominciavano a mischiarsi fra loro due in giochi e risate……

Il che mi pare una congiunzione.   Quale tipo di proposizione èa la subordinata? Una dichiarativa?

Possiamo trasformare la frase cosi:

Fin dalla mattina presto, io li udivo dalla mia stanza INCOMINCIARE subito appena svegli a mischiarsi far loro due in giochi e risate…

(2) p227   e mentr’esse, in coro, gli magnificavano quel nuovo figlio, lui gli accordò solo un’attenzione opaca distratta, con l’aria di un ragazzo forastico, e cresciuto fuori della famiglia, A CUI LE SORELLE MINORI MOSTRASSERO la propria bambola.

La subordinata dopo a cui è una proposizione relativa impropria consecutiva?   Possiamo scriverla cosi:

in modo tale che le sorelle minori mostrassero la propria bambola?

L’indicativo e’ anche accettabile?

(3) p. 264  Intanto SI SAPPIA …che il fatale bacio, nella mia memoria capricciosa, s’era fatto più ingenuo del vero (come una musica di cui SI RAMMENTI solo il semplice tema).

Si sappia viene considerata l’imperativo o l’esortativo?

Possiamo anche usare Si RAMMENTA senza cambiare il significato della subordinata?  (non mi sembra ne’ una proposizione finale ne’ consecutiva).

 

RISPOSTA:

1) Il primo caso è una relativa dipendente da verbi di percezione, che può essere trasformata in una completiva. Pertanto: in «li udivo che incominciavano» il che è relativo, ma se trasformiamo la frase in una completiva (con il medesimo significato) il che diventa completivo: «udivo che loro incominciavano». È, come dice lei, possibile anche la trasformazione in relativa/completiva implicita: «li udivo incominciare».

2) Sì, può sostituire l’indicativo al congiuntivo senza alcun cambiamento di significato. Il congiuntivo si spiega non tanto per la sfumatura consecutiva (pure possibile) quanto per la sfumatura comparativo-ipotetica di tutta la frase: aveva l’aria come uno che…, come se…

3) «Si sappia» è congiuntivo esortativo impersonale. Anche in «ri rammenti/a» la sostituzione dell’indicativo al congiuntivo non cambia in nulla il significato della frase. Non occorre ipotizzare, ancora una volta, una sfumatura consecutiva (pure possibile, mentre è del tutto sbagliata la sfumatura finale), perché, ancora una volta, il congiuntivo si giustifica con la sfumatura eventuale.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1a)Il segreto per il successo, te lo potranno svelare quanti sono arrivati al successo.

2a)Tendo ad apprezzare quanti hanno il coraggio di rischiare la vita.

1b)Questo lo sanno quanti ne sono arrivati l’anno scorso.

2b)Prendo quanti ne restano sul vassoio.

1c)Questo tragico evento te lo potranno raccontare (in?) quanti sono sopravvissuti alla strage.

2c)Ho salutato (in?) quanti hanno partecipato alla riunione.

1d)Questo tragico evento te lo potranno raccontare (in?) quanti ne sono arrivati l’anno scorso.

2d)Ho salutato (in?) quanti ne sono arrivati oggi.

È giusto usare quanti / in quanti come soggetto nelle varianti 1 e come complemento oggetto nelle varianti 2?

In linea di massima, le frasi sono ben costruite?

Sui vari dizionari quanti viene classificato anche come pronome, quindi pensavo che potesse avere la funzione di soggetto o di oggetto in base al contesto.

 

RISPOSTA:

 

Alcuni pronomi indefiniti (molti, pochi, tanti) e il pronome quanti sia come relativo sia come interrogativo possono essere costruiti con la preposizione in quando hanno la funzione di soggetto e si riferiscono a un gruppo di persone. In particolare, il pronome quanti ammette la costruzione con in quando è soggetto o della reggente, o della subordinata o di entrambe le proposizioni. In tutte le frasi proposte è possibile sostituire quanti con in quanti tranne che nella 2b, in cui quanti non si riferisce a un gruppo di persone ma agli oggetti rimasti sul vassoio.

Raphael Merida

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho la necessità di esprimere un concetto che potrei sintetizzare così: prima arriveranno, prima se ne andranno.
Per ragioni più narrative che prettamente linguistiche, ho dovuto scartare la suddetta soluzione, a favore di un’altra che sposasse un modello sintattico affine a quello del periodo ipotetico con la coppia di correlativi quanto più/tanto più.
Il risultato è stato questo: “Quanto prima fossero arrivati, tanto prima se ne sarebbero andati”.
La frase in questione è corretta dal punto di vista della scelta dei modi (congiuntivo/condizionale), oppure sarebbe stato preferibile adottare il condizionale per entrambi i predicati?
Se i suddetti correlativi non fossero adattabili a questa costruzione, e si scegliesse dunque di limitarsi alla forma prima… prima, il modello ipotetico “congiuntivo-condizionale” sarebbe comunque possibile? “Prima fossero arrivati, prima se ne sarebbero andati”.

 

RISPOSTA:

I due avverbi correlativi prima… prima introducono una sfumatura ipotetica nel periodo, tanto che questo viene assoggettato alla costruzione tipica con l’indicativo (“Prima arriveranno, prima se ne andranno”) o il congiuntivo nella proposizione che contiene la condizione, ed è quindi assimilabile alla protasi, e il condizionale in quella che contiene la conseguenza, ed è quindi assimilabile all’apodosi (“Prima fossero arrivati, prima se ne sarebbero andati”). Si noti che, diversamente dal periodo ipotetico, in questo caso il congiuntivo imperfetto nella proposizione dipendente è molto innaturale (?“Prima arrivassero, prima se ne andrebbero”, ma “Se arrivassero prima, se ne andrebbero prima”). L’aggiunta di quanto / tanto non cambia niente nella costruzione (né, per la verità, aggiunge alcunché al significato della frase): i modi e i tempi richiesti rimangono quelli indicati per prima… prima.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Sarebbe sbagliato dire “Speravo che sarebbe venuto” e “Avrei sperato che sarebbe venuto”?

 

RISPOSTA:

Le frasi sono corrette: al loro interno il condizionale passato serve a descrivere un evento futuro rispetto a un altro passato. Questa funzione del condizionale passato, nota come futuro nel passato, è descritta in molte altre risposte dell’archivio di DICO, tra cui questa.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nel periodo “Se non vuoi soccombere, devi reagire”, la proposizione Se non vuoi soccombere è una subordinata condizionale, causale o finale?

 

RISPOSTA:

La proposizione è condizionale, e con la reggente devi reagire forma un periodo ipotetico del primo tipo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

A) Spererei che venisse.

B) Spererei che venga.

C) Spererei che verrebbe.

Sono tutte accettabili? Il mio dubbio riguarda l’ultima opzione.

Dopo i verbi di volontà e desiderio solitamente non si può utilizzare il condizionale, e il verbo sperare mi sembra che ne faccia parte, come volere, preferire e simili.

È anche vero che la frase C potrebbe sottintendere una protasi dipendente dall’oggettiva e una dipendente dal verbo principale:

“[Se fossi lì] spererei che [se ci fosse la possibilità] verrebbe”.

 

RISPOSTA:

La soluzione preferibile è la A; la B è accettabile, anche se il verbo sperare rientra tra quelli di desiderio, che preferiscono il congiuntivo imperfetto nell’oggettiva per esprimere contemporaneità (si veda questa risposta). La C è la più sospetta: per quanto non ci siano ostacoli grammaticali alla costruzione di questa oggettiva con il condizionale (un caso simile è la soggettiva sarebbe impensabile che rimarrei a casa commentata nella stessa risposta a cui si è rimandato sopra), tale costruzione è sicuramente sconsigliabile, perché la sfumatura semantica aggiunta dal condizionale è appena percepibile, vista la presenza del condizionale nella proposizione reggente, ed è ottenuta al costo di appesantire notevolmente la costruzione. Anche se l’oggettiva reggesse a sua volta una proposizione condizionale, come nella sua riformulazione della frase, il condizionale non sarebbe comunque necessario (anzi, risulterebbe ancora più innaturale), e il congiuntivo imperfetto rimarrebbe la soluzione migliore: “Spererei che se ci fosse la possibilità venisse”.

Raphael Merida

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

 

Vorrei sapere se in queste due frasi è possibile inserire (oppure omettere) la virgola:

 

  1. «Questo inoppugnabile assioma, proprio di ogni cittadino di un Paese sviluppato(,) e costato all’umanità sangue, lotte e sofferenze, […]».

C’è il rischio che “costato” venga inteso per il Paese e non per l’umanità?

 

  1. «È esattamente nelle questioni forse “banali” e riguardanti la scelta da parte dell’individuo (,) che raggiunge la sua massima potenza giuridica.»

C’è il rischio che senza la virgola si confonda il senso della frase (“riguardanti la scelta da parte dell’individuo che raggiunge”), che insomma sia l’individuo a raggiungere la sua massima potenza giuridica e non l’assioma (come invece vorrei fare intendere)?

Inoltre, vorrei sapere se, quando la virgola viene aggiunta prima di e in frasi che hanno il soggetto diverso e sono distanti per contenuto e grammatica («eravamo arrivati puntuali, e Maria avrebbe voluto essere con i suoi amici al bar»), possa essere anche omessa: «eravamo arrivati puntuali e Maria avrebbe voluto essere con i suoi amici al bar».

 

RISPOSTA:

 

Suppongo che le due frasi da lei esemplificate facciano parte di un unico periodo, cioè: «Questo inoppugnabile assioma, proprio di ogni cittadino di un Paese sviluppato (,) e costato all’umanità sangue, lotte e sofferenze, è esattamente nelle questioni forse “banali” (,) e riguardanti la scelta da parte dell’individuo che raggiunge la sua massima potenza giuridica».

La presenza della virgola prima di e costato non è indispensabile ma produce una sfumatura di significato diversa perché mette sullo stesso livello entrambe le unità informative («proprio di ogni cittadino di un Paese sviluppato» e «costato all’umanità sangue, lotte e sofferenze»); anche senza la virgola però non c’è il pericolo di confondersi perché il participiocostato fa riferimento ad assioma e poi ad umanità mentre sviluppato è soltanto l’aggettivo di Paese. La verifica è semplice perché basta aggiungere il verbo per capire che si tratta di due subordinate alla principale: «Questo inoppugnabile assioma, che [l’assioma] è proprio…, e che [l’assioma] è costato…».

Nel secondo caso non va inserita la virgola perché la proposizione introdotta da che («che raggiunge la sua massima potenza giuridica») è una completiva e si riferisce naturalmente alla reggente («Questo inoppugnabile assioma è nelle questioni banali»); si può inserire la virgola soltanto se si mette per inciso (quindi fra due virgole) la proposizione «…, riguardanti la scelta da parte dell’individuo, …».

Sull’uso della virgola prima della congiunzione e, e in generale sugli usi della punteggiatura, non esistono delle regole ferree. Nel caso di «Eravamo arrivati puntuali e Maria avrebbe voluto essere con i suoi amici al bar» il soggetto della coordinata diverso rispetto a quello della reggente rappresenta un segnale di autonomia. La frase, quindi, può ammettere anche la virgola.

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

1a. C’è la possibilità che arrivi qualcuno.

2a. Ci sarebbe la possibilità che arrivasse qualcuno.

3a. C’è la possibilità che arriverebbe qualcuno.

4a. Ci sarebbe la possibilità che arriverebbe qualcuno.

2b È possibile che arrivi qualcuno.

2b. Sarebbe possibile che arrivasse qualcuno.

3b. È possibile che arriverebbe qualcuno

4b. Sarebbe possibile che arriverebbe qualcuno.

Avrebbe senso il condizionale delle frasi 3a, 3b, 4a e 4b, secondo lei, magari se la soggettiva esplicita introdotta da “possibile/ possibilità” racchiudesse al suo interno una protasi implicita / sottintesa?

Immagino uno schema di questo tipo:

Sarebbe possibile = complemento predicativo del soggetto.

Che arriverebbe qualcuno (se ci fossero i presupposti) = soggettiva implicita che introduce una apodosi e una protasi “nascosta”.

Cosa ne pensa lei? Boccerebbe le 4 frasi in questione o sono grammaticalmente corrette?

 

RISPOSTA:

Sì, le boccerei per evitare costrutti astratti e pesanti come quelli proposti. Perché mai ipotizzare una protasi sottintesa? Limitiamoci a ciò che è espresso negli enunciati, senza creare astrusi e farraginosi esempi inventati a tavolino e che nessuno direbbe o scriverebbe mai (senza commettere errori), e usiamo i modi e i tempi verbali nel modo più chiaro possibile. Quindi: «che arrivi», oppure «che arrivasse». Vi sono peraltro casi, per esempio in dipendenza da verba putandi, in cui è possibile il condizionale anche in assenza di protasi: «credo (che) faresti meglio ad andartene»; ma sono casi limite e comunque, anche in quel caso, la forma più attesa è «credo che tu faccia meglio ad andartene».

Concludo con due correzioni alla sua analisi del periodo indebitamente combinata con l’analisi logica:

Sarebbe possibile: proposizione principale (costituita da un predicato nominale con soggetto sottinteso). È meglio classificare, secondo l’analisi logica tradizionale, «possibile» come nome del predicato (nominale), piuttosto che come predicativo del soggetto, sebbene tra le due classificazioni di fatto non vi sia alcuna differenza.

Che arrivi (e non arriverebbe) ecc.: soggettiva esplicita (e non implicita).

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase «sembrava loro che fosse il più adatto» ho individuato in «il più adatto» un complemento predicativo del soggetto, però mi è stato corretto…

 

RISPOSTA:

Le è stato giustamente corretto perché nel periodo in questione, che è costituito da due proposizioni, deve prima procedere all’analisi del periodo e poi all’analisi logica proposizione per proposizione.

Analisi del periodo: sembrava loro: proposizione principale; che fosse il più adatto: proposizione soggettiva esplicita di primo grado.

Analisi logica della principale: soggetto sottinteso; sembrava: predicato verbale; loro: complemento di termine. Analisi logica della subordinata: fosse il più adatto: predicato nominale (fosse: copula + il più adatto: parte nominale).

Se invece il periodo fosse stato costituito da un’unica proposizione, per esempio: «sembra il più adatto», l’analisi logica sarebbe stata la seguente: soggetto sottinteso; sembrava il più adatto: predicato nominale. Oppure (soluzione alternativa e altrettanto corretta) sembrava: predicato verbale con verbo copulativo; il più adatto: complemento predicativo del soggetto.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Scritta così, questa frase «Dovresti aiutarmi, non chiudermi la porta in faccia», vuol dire: «Dovresti aiutarmi, non, invece chiudermi la porta in faccia» (insomma, esprimere un giudizio), oppure può essere interpretata come una frase esortativa: «Non chiudermi la porta in faccia! Devi aiutarmi»? C’è il rischio di fare confusione?

 

RISPOSTA:

Non c’è il rischio di confondersi perché, come nota lei, per avere la sfumatura esortativa dovremmo scrivere la frase in un altro modo. Tra le due proposizioni “Dovresti aiutarmi” e “non chiudermi la porta in faccia”, unite per asindeto dalla virgola, c’è una relazione di opposizione (o di sostituzione) interpretabile come: “Dovresti aiutarmi, non, invece, chiudermi la porta in faccia”.

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Avverbio
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Analisi del periodo: «credo che Luca sia inadatto a fare il falegname».

 

RISPOSTA:

Credo: principale.

Che Luca sia inadatto: subordinata oggettiva esplicita di 1° grado.

A fare il falegname: subordinata consecutiva implicita (o per taluni, meno correttamente, finale) di 2° grado.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi posso chiedere l’analisi del periodo di questa breve espressione? «Neanche se me lo chiede in turco gli dirò che credo sia il migliore di noi». Io l’ho svolta così:

Gli dirò: principale

Neanche se me lo chiede in turco: concessiva esplicita

Che credo: oggettiva esplicita

Sia il migliore di noi: oggettiva esplicita

 

RISPOSTA:

L’analisi è corretta. Se vuole, può aggiungere il grado di subordinazione, ovvero:

Neanche se me lo chiede in turco: concessiva esplicita di 1° grado.

Che credo: oggettiva esplicita di 1° grado.

Sia il migliore di noi: oggettiva esplicita di 2° grado.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle frasi indicate, l’uso del gerundio è appropriato?

1a) Non immaginava che avesse perso la prima battaglia, vincendo però la guerra.

1b) Chi non avesse la possibilità di presenziare alla cerimonia di premiazione [domanda un candidato, nda] perderebbe esclusivamente il diritto al ritiro del premio, mantenendo quindi il piazzamento ottenuto, oppure no?

 

RISPOSTA:

Sì, il modo gerundio è appropriato in entrambe le frasi, dal momento che esprime una subordinata implicita (in entrambi i casi di tipo avversativo, con le precisazioni fatte sotto) con identità di soggetto rispetto alla reggente. Per quanto riguarda la consecutio temporum, è perfetta nella seconda frase (perderebbe il diritto ma manterrebbe il piazzamento), mentre nella prima sarebbe in realtà preferibile usare il gerundio passato, se davvero si vuole mantenere un rapporto di parallelismo con l’aver perso la prima battaglia (anteriore rispetto a immaginava) e l’aver vinto la guerra. Dunque una versione più corretta della frase sarebbe: «Non immaginava che avesse perso la prima battaglia, avendo però vinto la guerra». Se invece si volesse intendere che la vittoria della guerra è causa della sconfitta della prima battaglia, allora andrebbe bene il gerundio presente; ma quest’ultima interpretazione sarebbe incoerente: semmai, dovrebbe essere ribaltata (per quanto anche in questo caso la coerenza sarebbe labile): «Non immaginava che avesse vinto la guerra perdendo la prima battaglia». Per evitare equivoci sull’esatto significato della frase, sarebbe meglio trasformare la gerundiva in una subordinata esplicita, oppure utilizzando comunque un connettivo che ne chiarisca il rapporto logico tra gli elementi. Per es. «Non immaginava di aver vinto la guerra pur avendo perso la prima battaglia»; oppure (visto che il verbo immaginare, a differenza di sapere, fa ipotizzare che ancora non si sapesse l’esito della guerra, che dunque non era ancora finita all’epoca dell’immaginava; pertanto bisognerebbe ipotizzare una subordinata posteriore, e non anteriore, alla reggente): «Non immaginava che avrebbe vinto la guerra, dato che aveva perso la prima battaglia». Quest’ultima mi sembra la versione più coerente della frase 1a, e dunque forse la più fedele all’intento dell’emittente.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Queste due alternative sono corrette?

1. Sei cieca se pensi che sia inutile.

2. Sei cieca se pensi che è inutile.

 

RISPOSTA:

Sì, sono corrette entrambe le frasi. La prima è formata con il congiuntivo presente e rappresenta l’opzione più formale, in una subordinata completiva; la seconda è all’indicativo e costituisce l’opzione meno formale ma comunque corretta.

Per approfondire l’argomento, molto presente all’interno del nostro Archivio, la rimando a questa risposta: Indicativo o congiuntivo nelle completive.

Raphael Merida

 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei chiedervi una consulenza sintattica sulla frase “questo quadro è stato comprato da qualcuno che se ne intende”. In particolare, mi interessava capire il valore sintattico della particella se. Ne è complemento di specificazione (o forse di argomento), m non riesco a comprendere la funzione di se.

 

RISPOSTA:

Se ne intende equivale a intendersene ‘essere competente in qualcosa’, che rientra nella categoria dei verbi procomplementari, cioè verbi in cui i pronomi (in questo caso si, nella forma se, e ne) non svolgono una funzione propria ma modificano il significato del verbo. L’appendice pronominale –sene, quindi, non ha un significato autonomo ma arricchisce il verbo base attraverso una sfumatura emotiva; nel caso da lei proposto, intendersene (o il corrispettivo intendersi), a differenza del transitivo intendere, richiede un complemento di specificazione: “se ne intende di arte” / “si intende di arte”.
Può approfondire questo argomento consultando l’archivio di DICO con la parola chiave procomplementar*.

Raphael Merida

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QUESITO:

Queste due frasi, nonostante contengano il non, hanno lo stesso significato?
“Incapacità di fare silenzio”
“Incapacità di non fare silenzio”
Io le interpreto entrambe con il significato di ‘urlare’.

 

RISPOSTA:

Nelle espressioni (più che frasi sono parti di frasi) il non è determinante: se parafrasiamo non frase silenzio con parlare (non è necessario ricorrere al verbo urlare), la seconda espressione significa ‘incapacità di parlare’, che è, come ci si aspetta, data la presenza della negazione, il contrario del significato della prima espressione, in cui non non c’è.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Avverbio
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho udito in TV il seguente passaggio giornalistico:
1a) Una malattia da cui si è scoperto che xxx è affetto da tempo.
La frase, francamente, mi lascia molto perplessa. Forse sbaglio nella ricostruzione sintattica; ma, tradotta, la frase a mio avviso suonerebbe più o meno così: “Dalla malattia [da cui xxx è affetto] si è scoperto che…”, e non è certamente questo il significato che il giornalista voleva trasmettere ai telespettatori. Mi sono così applicata per provare a elaborare delle alternative, che vorrei sottoporvi, partendo da quello che dovrebbe essere il messaggio di base della frase.
1b) Una malattia da cui – si è scoperto – xxx è affetto da tempo.
Ho introdotto un inciso per non eliminare il si impersonale.
1c) Una malattia da cui xxx ha scoperto di essere affetto.
(Ho eliminato il si impersonale.)
Che cosa ne pensate?

 

RISPOSTA:

Ha ragione a considerare la frase mal costruita: il pronome da cui difficilmente può essere collegato a essere affetto, visto che il primo si trova nella proposizione relativa da cui si è scoperto, il secondo nella soggettiva esplicita che xxx è affetto da tempo, retta dalla relativa. Il pronome viene, invece, naturalmente collegato a scoprire, venendo a costituire un significato chiaramente impossibile per la frase, perché essere affetto rimane senza un argomento, quindi incompleto. La sua ricostruzione 1b è efficace, perché restaura il significato inteso mantenendo quasi la stessa forma della frase; la 1c, invece, pur essendo formalmente corretta, tradisce il significato inteso, perché attribuisce indebitamente la scoperta alla persona affetta dalla malattia. Si noti che la frase 1c riutilizza quasi la stessa struttura della 1a, con, però, la differenza determinante che la soggettiva esplicita è stata trasformata in una oggettiva implicita. Se l’oggettiva fosse esplicita la frase tornerebbe a essere mal costruita (per esempio “Una malattia da cui Luca ha scoperto che Andrea è affetto da tempo”, oppure “Una malattia da cui ho scoperto che sono affetto da tempo”), perché il che che introduce l’oggettiva (e la soggettiva nella frase 1a) interferisce con da cui.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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QUESITO:

Le proposizioni relative nelle frasi di seguito sono limitative o esplicative? La virgola serve oppure no? In certi casi potrebbe essere utile un “rinforzo” pronominale per il che?
1a) Queste sono le sue parole(,) su cui vorrei soffermarmi.
1b) Queste sono le sue parole, quelle su cui vorrei soffermarmi.
2a) Ho dovuto accettare le sue ragioni(,) che non condivido.
2b) Ho dovuto accettare le sue ragioni, quelle che non condivido.
3a) Ero attratta dal suo ragionamento(,) che mi trasportava nei luoghi in cui amavo perdermi.
3b) Ero attratta dal suo ragionamento, quello che mi trasportava nei luoghi in cui amavo perdermi.

 

RISPOSTA:

Tutte le frasi proposte sono possibili; in esse le relative sono costruite prima come limitative (che non richiedono la virgola), poi come esplicative, e questo cambiamento influisce sul significato della frase. Nella prima coppia, per esempio, la variante a indica che il soggetto vuole soffermarsi su alcune parole proferite da qualcuno; la variante b prima presenta le parole, poi indica che il soggetto vuole soffermarsi sulle parole presentate. L’inserimento del pronome dimostrativo nelle relative esplicative, possibile ma non necessario, ha l’effetto di separare ancora più nettamente le subordinate dalle reggenti.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quali sono i tempi e i modi verbali piú adatti nelle proposizioni comparative? Il modo condizionale é corretto?
È piú stupido di quanto tu pensi (indicativo o congiuntivo?) / pensassi / abbia pensato / avessi pensato.
È stato piú semplice di quanto tu creda / credessi / abbia creduto / avessi creduto.

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti da lei ipotizzate sono corrette, e le possibilità sono ancora di più. Al variare del modo cambia il grado di formalità (il congiuntivo è più formale dell’indicativo) o si aggiunge una sfumatura semantica (il condizionale presenta l’evento della subordinata come condizionato da un altro evento o come eventuale); al variare del tempo cambia la collocazione dell’evento descritto dalla subordinata sulla linea temporale (e solo secondariamente il rapporto temporale tra questo e l’evento della reggente). Si noti che le possibilità prescindono dal tempo della reggente, perché i due eventi rappresentati nella reggente e nella subordinata sono reciprocamente autonomi dal punto di vista temporale. Possiamo, dunque, avere in entrambe le frasi:
“… di quanto tu credi / creda” (indicativo e congiuntivo presente), senza differenza di significato, per indicare che il credere avviene nel presente;
“… di quanto tu credevi / credessi” (indicativo e congiuntivo imperfetto), senza differenza di significato, per indicare che il credere avviene nel passato per un certo tempo;
“… di quanto tu hai creduto / abbia creduto” (indicativo passato prossimo e congiuntivo passato), senza differenza di significato, per indicare che il credere avviene nel passato in un momento definito ed è ancora ben presente nella mente del parlante;
“… di quanto tu credesti” (indicativo passato remoto), per indicare che il credere avviene nel passato in un momento definito lontano dalla percezione del parlante;
“… di quanto tu avevi / avessi creduto” (indicativo e congiuntivo trapassato), senza differenza di significato, per indicare che il credere avviene in un momento del passato precedente a un altro momento (per esempio “È più stupido di quanto tu avevi / avessi creduto prima che succedesse quell’incidente”;
“… di quanto tu crederai” (indicativo futuro), per indicare che il credere avviene nel futuro;
“… di quanto tu crederesti” (condizionale presente), per indicare che il credere è condizionato (per esempio “È più stupido di quanto tu crederesti se lo guardassi in faccia”) o semplicemente eventuale, e avviene nel presente;
“… di quanto tu avresti creduto” (condizionale passato), per indicare che il credere è condizionato o semplicemente eventuale, e avviene nel passato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Visto che sapere regge l’indicativo, ma in frase negativa anche il congiuntivo, queste alternative sono tutte corrette?
“So che è possibile che sia sia rotto”
“So che è possibile che si è rotto”

“Non so se sia possibile che si sia rotto”
“Non so se è possibile che si è rotto”
“Non so se sia possibile che si è rotto”
“Non so se è possibile che si sia rotto”

 

RISPOSTA:

Le alternative sono tutte corrette. Si consideri che nel secondo gruppo le varianti con il congiuntivo sia nella subordinata di primo grado (se sia possibile) sia in quella di secondo grado (che si sia rotto) sono le più formali.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Se leggerò un’ora tutti i giorni, quando arriverò al 31 di dicembre avrò letto almeno una decina di libri”.

Il periodo dovrebbe essere corretto. Se volessimo accentuare la componente ipotetica, potremmo introdurre il congiuntivo imperfetto al posto dei due futuri semplici e, in relazione al futuro anteriore, il condizionale passato?

Mi spiego meglio con un esempio:

“Se leggessi un’ora tutti giorni, quando arrivassi al 31 di dicembre, avrei letto almeno dieci libri”.

 

RISPOSTA:

La trasformazione del futuro semplice in congiuntivo imperfetto e del futuro anteriore in condizionale passato è corretta, ma non è l’unica possibile. Nel periodo ipotetico del secondo tipo si usa il congiuntivo imperfetto per esprimere la condizione possibile e il condizionale presente per esprimere la conseguenza (quindi nel suo caso avremmo “Se leggessi un’ora tutti giorni, al 31 di dicembre leggerei almeno dieci libri”). Se, però, vogliamo sottolineare che la conseguenza è collocata nel futuro rispetto a una condizione che è collocata nel passato, possiamo optare per il condizionale passato, che assommerà in sé le due funzioni di condizionale e di forma verbale della posteriorità rispetto al passato. Si potrebbe osservare che se leggessi è collocato nel presente, non nel passato, ma bisogna considerare che questa azione entra in relazione con la data futura, per cui finisce con l’essere considerata da una prospettiva futura.

A margine faccio notare che il secondo futuro (arriverò) non può diventare condizionale nella trasformazione della frase, ma deve rimanere futuro, perché altrimenti il parlante rappresenterebbe l’evento dell’arrivare come possibile, come se avesse qualche ragione per credere che non arriverà al 31 dicembre.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vi propongo un dubbio di punteggiatura riguardante il titolo di un libro: “Ultima fermata Parma”. Mi chiedo se fra fermata e Parma sia preferibile collocare due punti oppure una virgola.

 

RISPOSTA:

I titoli come quello da lei proposto sono frasi nominali; l’assenza di un verbo rende difficilmente applicabili le comuni regole sintattiche, comprese quelle sulla punteggiatura, e configura la frase come un enunciato, unità comunicativa in cui emergono le esigenze testuali, legate alla segnalazione del ruolo informativo dei costituenti. Nel caso specifico Ultima fermata rappresenta il tema, o topic, dell’enunciato, mentre Parma ne è il rema, o comment; in altre parole, nell’enunciato viene introdotto un elemento, il topic, intorno al quale viene aggiunta un’informazione, il comment. La distinzione tra topic e comment nel parlato è affidata a una pausa, tipicamente accompagnata da un’intonazione specifica per l’uno e l’altro costituente: il topic sarà pronunciato con un andamento prosodico verso l’acuto sulla sillaba tonica, subito prima della pausa, quindi il rema avrà un’intonazione conclusiva. In questo quadro le soluzioni interpuntive sono varie: è possibile non inserire alcun segno, lasciando che la distinzione emerga da sé nella lettura, oppure si possono inserire una virgola o i due punti. Con la virgola si segnala soltanto la separazione, presentando il comment come aggiunto al topic; con i due punti si suggerisce un dettaglio in più (che tutto sommato è ricavabile anche con la virgola, ma con un piccolo sforzo interpretativo del lettore), cioè che il comment veicola una spiegazione, una chiave di lettura del valore del topic. Ovviamente con questa soluzione lo scrivente sottolinea che il lettore abbia bisogno di questo tipo di istruzione, quindi lo invita apertamente a riconoscere il rapporto tra i costituenti come carico di un implicito da scoprire.

Si può, infine, usare anche il punto fermo, con la conseguenza di creare due enunciati, quindi di dare la funzione di comment a entrambi i costituenti.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Il soggetto della proposizione implicita può avere due interpretazioni: impersonale oppure coreferente col soggetto della reggente, e spesso, ma non sempre, c’è la doppia possibilità. Avrei da proporre alcune frasi che secondo possono essere da esempio:

1) Mario era  troppo grande per capirlo = doppia interpretazione: “Mario era troppo grande affinché lui stesso potesse capire ciò / Mario era troppo grande affinché si potesse capire Mario”.

2) Mario era  troppo grande da capirlo = interpretazione che ha un soggetto coreferente con quello della reggente: “Mario era troppo grande affinché lui stesso potesse capire ciò”.

3) Mario era troppo grande da capire = interpretazione con soggetto impersonale/ generico: “Mario era troppo grande affinché soggetto generico potesse capire Mario”.

Le interpretazioni che ho dato alle precedenti frasi sono corrette o c’è qualcosa da rivedere?

 

RISPOSTA:

Le proposizioni implicite richiedono identità di soggetto con la reggente, tranne casi specifici (come quelle all’infinito rette da verbi di comando e il gerundio e il participio assoluti), che, però, sono a loro volta regolati. Nei suoi esempi l’interpretazione con il soggetto non coreferenziale è favorita dalla presenza del pronome atono diretto, che l’interlocutore è tentato di riferire al soggetto della reggente, escludendo di conseguenza quest’ultimo dal ruolo di soggetto della subordinata. Tale interpretazione “logica” è possibile in contesti parlati informali, ma sarebbe ovviamente sconveniente anche in questi contesti se facesse sorgere ambiguità. Nello scritto e anche nel parlato mediamente formale, le varianti con soggetto non coreferenziale vanno costruite con il verbo esplicito, per esempio “Mario era  troppo grande perché lo si capisse”.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

A) Ci sono degli studenti, molti dei quali non si impegnano abbastanza.
B) Ci sono degli studenti, di cui molti non si impegnano abbastanza.

La A ha un complemento partitivo che funge da modificatore del sintagma nominale, come per esempio:
‘Molti di quelli che vedi non si impegnano abbastanza’.
La B invece ha un complemento partitivo che funge da modificatore del sintagma verbale, come per esempio:
‘Di quelli che vedi molti non si impegnano abbastanza’.
È un’analisi corretta la mia? Se così fosse, non ci sarebbe nessuna differenza d’uso tra A e B?

 

RISPOSTA:

L’unica differenza tra A e B è la forma del pronome relativo (di cui / dei quali). A prescindere dalla forma, la funzione del relativo è sempre quella di introdurre una proposizione relativa, che è un modificatore di un sintagma nominale (in questo caso gli studenti). Per quanto le due varianti del relativo siano funzionalmente identiche, quella analitica, formata dall’articolo determinativo e quale, è meno comune e più formale di quella sintetica, formata dal solo cui. Va aggiunto che la proposizione relativa richiesta qui è certamente limitativa, cioè contenente informazioni che identificano l’antecedente; questo tipo di proposizione relativa non va separato dalla reggente con alcun segno di punteggiatura e preferisce senz’altro la forma sintetica del relativo. Diversamente, la relativa esplicativa, che contiene informazioni aggiuntive sull’antecedente, va separata e può essere costruita con entrambe le forme (per esempio: “Quest’anno ho una classe con molti studenti, molti dei quali / di cui molti non si impegnano abbastanza”).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nel mio lavoro di rilevazione degli incidenti stradali, quando si raccoglie la dichiarazione è prassi scrivere: “proveniente da Via X percorrevo Via Y in direzione di Piazza Z …”. Io però preferisco cominciare usando il gerundio: “Provenendo da …”. L’inizio con il participio presente in funzione verbale è da ritenersi errato, tollerato o corretto? Se corretto non è comunque preferibile il gerundio?

 

RISPOSTA:

Il participio presente con funzione verbale è raro e solitamente sgradito dai parlanti (anche se non può essere definito scorretto). Si usa quasi esclusivamente in ambito burocratico, da cui proviene, non a caso, il suo esempio; anche in questo contesto, però, può essere sostituito da altre forme, come il gerundio, nell’ottica di un salutare avvicinamento del burocratese alla lingua comune.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo questa frase: “Se io, in caso accadesse una disgrazia, mi comportassi come se nulla fosse accaduto, trasparirebbe la mia recita e si capirebbe comunque quel che è accaduto”. Ragionandoci sopra, mi pare che sarebbe più logico dire quel che sarebbe accaduto (cioè sarebbe accaduto se tutto ciò fosse avvenuto davvero): quale delle due versioni è la più corretta?

 

RISPOSTA:

Non è necessario usare il condizionale (per quanto si possa comunque scegliere di farlo), perché l’ipoteticità dell’evento è resa chiarissima dai due periodi ipotetici precedenti e non c’è bisogno di ribadirla.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Era uno dei miei pregi, o almeno credevo che fosse tale.”

Tale dovrebbe equivalere a un pregio. Dal punto di vista logico, non mi pare che la costruzione presenti grandi difficoltà interpretative; ma, dal punto di vista sintattico, _tale_ si riferisce a un termine che nel testo non compare, se non nella forma plurale (uno dei miei pregi).

Considerando ciò, il periodo è corretto?

 

RISPOSTA:

Il periodo è corretto. Bisogna precisare intanto che il referente uno dei miei pregi è singolare (appunto uno), non plurale. Può, comunque, capitare che un elemento anaforico rimandi a un referente con il quale non è grammaticalmente in accordo, senza che questo si configuri come un errore, ma semmai come una costruzione tipica del parlato; per esempio “Non c’è neanche uno yogurt in frigo? Ma se ne ho presi sei l’altro giorno!” (ovvero ho preso sei yougurt).

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho preparato questo quesito perché, talvolta, ho difficoltà a capire su chi ricada l’azione della subordinata. La regola secondo cui, se non vado errata, è consigliata (tranne alcuni casi) la forma implicita, laddove vi sia identità di soggetto tra la reggente e appunto la subordinata, non so se possa essere applicata agli esempi proposti:

1) Stefano ha chiesto ad Alessia di uscire.

2) Stefano ha detto quella bugia ad Alessia per illuderla di aver ragione.

Riguardo al primo esempio: Stefano ha chiesto ad Alessia che fosse lei ad uscire, oppure Stefano ha chiesto il permesso per uscire ad Alessia?

Riguardo al secondo esempio: la bugia è stata detta ad Alessia per illuderla che Stefano avesse ragione, oppure Stefano, con quella bugia, ha voluto illudere Alessia?

Vorrei infine aggiungere un terzo esempio. Stavolta si tratta di un’interrogativa indiretta; ma l’incertezza sui rapporti semantici tra le parti permangono:

3) Stefano ha chiesto ad Alessia se poteva/potesse uscire.

Stessa criticità: chi “poteva (o potesse) uscire” tra i due?

 

RISPOSTA:

La regola generale dice che la subordinata completiva implicita presuppone che il soggetto sia lo stesso della reggente; ci sono, però, dei casi in cui questa regola entra in competizione con altre regole, oppure con la logica ingenua del parlante, con l’effetto di creare confusione nel parlante stesso. Nella frase 1) il problema è causato dalla polisemia del verbo chiedere: se lo intendiamo come ‘chiedere il permesso’ allora la subordinata rientra nella regola dell’identità di soggetto, per cui è Luca che vuole uscire; se, invece, lo intendiamo come ‘richiedere’, la subordinata rientra nella regola della costruzione con i verbi di comando, che prevede l’identità tra il soggetto della subordinata e l’oggetto del comando. In questo secondo caso, quindi, è Alessia che deve uscire. C’è anche una terza possibilità, attivata dal verbo chiedere in combinazione con uscire, e cioè che Luca abbia invitato Alessia a un appuntamento romantico. In questo caso la subordinata ha come soggetto loro, che non coincide né con Luca né con Alessia: la soluzione regolare sarebbe, quindi, “Luca ha chiesto ad Alessia che uscissero”, che, però, sarebbe interpretata piuttosto come ‘… ha richiesto ad Alessia di far uscire altre persone’. Con questo terzo significato, la costruzione più comune sarebbe ancora “Luca ha chiesto ad Alessia di uscire”, a rigore non corretta. La disambiguazione tra le tre possibilità sarà garantita dal contesto; la soluzione 3), invece (pure possibile), non aiuta completamente, perché l’inserimento di potere esclude la terza interpretazione, ma lascia aperte le prime due (anche se la seconda sarebbe molto favorita): nel primo caso potere sarà interpretato propriamente come ‘avere il permesso’; nel secondo sarà interpretato come segnale di cortesia, quindi la frase sarebbe la variante indiretta di “Alessia, puoi uscire, per favore?”.

Per quanto riguarda la frase 2), l’identificazione del soggetto di aver ragione è problematica perché l’oggetto pronominale della proposizione reggente (la) è sentito come un possibile candidato, anche se a rigore non lo è: il soggetto di aver è Stefano, ovvero il soggetto della proposizione reggente; se, invece, si vuole che il soggetto sia Alessia, bisognerà costruire la subordinata in modo esplicito: “…illuderla che avesse ragione”.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se le due soluzioni indicate più sotto sono, per motivi di registro, ammissibili.

1) Esserci impegnate / 2) Essersi impegnate.

Cerco di contestualizzare.

Un gruppo di studentesse contesta una valutazione da parte di un’insegnante. Una di esse, a nome del gruppo, si pronuncia in questi termini:

“Prendiamo atto che (l’)esserci/essersi impegnate al massimo e (l’)aver applicato, laddove possibile, gli insegnamenti ricevuti nel corso del tempo, non è bastato per ottenere una valutazione almeno sufficiente” (ho incluso l’articolo determinativo tra parentesi perché credo che il parlante possa liberamente decidere se esplicitarlo od ometterlo).

Vorrei inoltre domandarvi se, modificando dati elementi della costruzione ed esulando dal caso specifico, si possa “spersonalizzare” il concetto, creando così una sorta di “causa-effetto” generale:

“Prendiamo atto che (l’)essersi impegnati [non più femminile plurale, ma maschile] al massimo e (l’) aver applicato gli insegnamenti ricevuti negli anni, potrebbe non bastare per ottenere una valutazione sufficiente”.

 

RISPOSTA:

L’espressione da lei evidenziata si trova all’interno di una proposizione subordinata soggettiva retta dall’oggettiva non è bastato, che è impersonale; se la soggettiva condivide lo stesso soggetto della reggente essa deve essere ugualmente impersonale, quindi deve prendere la forma essersi impegnato, con il pronome si e il participio al singolare maschile. Tale soluzione risulta doppiamente controintuitiva, perché il soggetto logico è plurale e di sesso femminile (anche se il costrutto è grammaticalmente impersonale) e perché la proposizione che regge l’oggettiva è a sua volta dipendente dalla principale (per giunta collocata subito alla sinistra della soggettiva) costruita con il soggetto noi. Ne deriva un comprensibile rifiuto della forma che sarebbe corretta. Le alternative a questa soluzione sono: 1. la forma essersi impegnate, che a rigore è scorretta, perché è per metà impersonale (l’infinito essersi) e per metà personale (il participio concordato con il soggetto logico plurale femminile); 2. la forma esserci impegnate, che è internamente ben formata, ma sintatticamente scorretta perché costruisce la proposizione dipendente da una proposizione impersonale con un soggetto logico personale; 3. la costruzione personale, ma esplicita, della soggettiva: che ci siamo impegnate, corretta da tutti i punti di vista ma resa impossibile dalla coincidenza della presenza di un altro che subito prima (“Prendiamo atto che che ci siamo impegnate al massimo…”). Insomma, presupponendo di voler scartare la costruzione impersonale essersi impegnato e l’alternativa 3, bisogna ammettere che scegliere una delle altre due comporta una scorrettezza tutto sommato veniale; in particolare la soluzione 2 sarebbe la più facilmente giustificabile, vista la costruzione personale della proposizione principale. Una soluzione del tutto corretta e priva di controindicazioni è ovviamente possibile, ma comporta una riorganizzazione sintattica della frase; per esempio: “Prendiamo atto che non è bastato che ci siamo impegnate al massimo e abbiamo applicato, laddove possibile, gli insegnamenti ricevuti nel corso del tempo per ottenere una valutazione almeno sufficiente”, oppure “Prendiamo atto che non è bastato il nostro massimo impegno e l’applicazione, laddove sia stata possibile, degli insegnamenti ricevuti nel corso del tempo per ottenere una valutazione almeno sufficiente” (che ha il vantaggio di evitare la sgradevole ripetizione di che a breve distanza).

A margine aggiungo che la virgola tra tempo e non non è richiesta, e anzi è al limite dell’errore, perché separa due parti non separabili della frase (prendiamo atto che… non è bastato) per il solo fatto che si trovano collocate a distanza.

In ultimo, la sua ipotesi di “spersonalizzazione” è valida, purché la forma sia quella corretta, ovvero essersi impegnato.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Traggo questa frase dall’esordio di Sosia di Dostoevskij.

“Come se non fosse ancora pienamente certo di essersi già svegliato o di non stare ancora dormendo.”

Non mi è sembrato molto chiaro il significato della frase (non stare ancora dormendo vuol dire ‘essere sveglio’, quindi non avrebbe senso). Presuppongo dunque che quel non non abbia valore e la frase corrisponda a: “Come se non fosse certo di essersi già svegliato o come se non fosse certo di stare ancora dormendo”, ma vorrei sapere se questo uso di offrire un’alternativa che è quasi una supposizione sia corretto.

Un’altra edizione dello stesso romanzo: “Come una persona che non è ancora pienamente sicura se sia desta o se dorma tuttora.”

In questo caso il significato mi è sembrato subito chiaro, ma non credo che la frase sia corretta, avendo lo stesso soggetto in forma esplicita. Vorrei capire quale delle due è la più corretta. Da qui è scaturita tutta una serie di dubbi:

“Ti giuro che sto piangendo / di stare ancora piangendo”?

“Mi rinfacciavi di stare male / che stavo male”?

 

RISPOSTA:

Riguardo al dubbio sul valore di non, effettivamente qui l’avverbio deve avere valore espletivo (sul quale può leggere questa risposta dell’archivio di DICO: https://dico.unime.it/ufaq/non-proprio-una-negazione/), altrimenti la frase ripeterebbe due volte lo stesso concetto con parole diverse (non era certo di essere sveglio o di essere sveglio). Il non espletivo è una forma legittima e tutto sommato la logica consente di attribuirgli il valore corretto; in un contesto letterario, del resto, la precisione descrittiva e l’assenza di ambiguità non sono necessariamente obiettivi ricercati dall’emittente.

La costruzione implicita della subordinata oggettiva che condivide il soggetto della reggente non è quasi mai obbligatoria, ma è una scelta stilistica. L’obbligo scatta quando nella reggente c’è un verbo di comando o consiglio e il soggetto della completiva è la persona comandata (“Ti ordino di venire”). Nel suo primo esempio, la variante implicita (di stare ancora piangendo) è chiaramente una scelta formale, che risulterebbe inconsueta in un contesto colloquiale. Nel secondo esempio, addirittura, la variante implicita non segnala automaticamente l’identità di soggetto, perché l’identità confligge con la logica dell’intera frase (rinfacciare a qualcuno il proprio malessere è possibile soltanto all’interno di un contesto che deve essere chiarito); la costruzione, quindi, è più facilmente interpretata come se il soggetto della completiva fosse l’oggetto del verbo della reggente, ovvero come se fosse esplicita (assimilando, un po’ forzatamente, rinfacciare ai verbi di comando o consiglio).

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho dei dubbi riguardo alla possibile collocazione dei modificatori nominali in diversi contesti e situazioni.

Modificatori del nome preceduti da un modificatore verbale:

1a. Ho messo una cosa qui bellissima / di marmo / che potrebbe aiutarmi.

Modificatori del nome dopo il verbo dell’interrogativa:

2a. Quale cosa hai venduto di plastica / plasticosa / che non andava venduta?

3a. Quante ne hai dezuccherate / senza zucchero / che non fanno male alla salute?

4a. Cosa hai osato toccare di colore giallo / di legno / che non andava toccato?

5a. Di quale parte sei della Svezia?

Questione ancora più complicata:

Modificatori del nome, preceduti da un modificatore verbale, collocati dopo il verbo di un’interrogativa:

6a. Quale cosa hai messo qui di colore rosso / rossa / che non apprezzi più di tanto?

7a. Quale cosa hai comprato senza nemmeno avvisarmi di colore rosso / rossa / che ti piace?

Chiaramente tutte le frasi possono essere riformulate in questo modo:

1b. Ho messo qui una cosa bellissima / di vetro / che potrebbe aiutarmi.

2b. Quale cosa di plastica / plasticosa / che non andava venduta hai venduto?

3b. Quante dezuccherate / senza zucchero / che fanno male ne hai?

4b. Cosa di colore giallo / di legno / che non andava toccato hai osato toccare?

5b. Di quale parte della Svezia sei?

6b. Quale cosa di colore rosso / rossa / che non apprezzi hai messo qui?

7b. Quale cosa di colore rosso / rossa / che ti piace hai comprato senza avvisarmi?

La questione potrebbe farsi più intricata se si pensa che in alcune di queste frasi il complemento preposizionale / aggettivo potrebbe essere interpretato come modificatore verbale, più precisamente come complemento predicativo del soggetto / oggetto, non come modificatore nominale, vista la sua posizione postverbale, per la precisione negli esempi da 2 e 4.

Inoltre, l’esempio 7 potrebbe essere ambiguo, in quanto che ti piace potrebbe essere anche inteso come subordinata esplicita del verbo avvisare, dando il senso che qualcuno compra un qualcosa che gli piace, senza però avvisare qualcun altro.

Chiaramente queste situazioni di ambiguità si possono creare, ma quello che mi chiedo è questo: sintatticamente e grammaticalmente parlando, possiamo parlare di frasi corrette in questi significati e nel senso che vorrei dare? Cioè, i vari modificatori nominali (di legno, che non andava toccato, della Svezia, bellissima ecc.) delle frasi b si possono considerare dei modificatori nominali tanto nelle varianti a quanto nelle varianti b?

 

RISPOSTA:

Qualunque sia la posizione del modificatore, esso sarà sempre ricondotto al sintagma modificato; anche se interpretiamo i modificatori come complementi predicativi (o predicazioni supplementari), dal punto di vista sintattico e semantico essi modificano ancora i sintagmi nominali a cui si riferiscono. Va, però, detto, che il modificatore è tipicamente adiacente al modificato, tranne che non ci siano ragioni per allontanarlo (per esempio l’inserimento di un altro modificatore più strettamente legato al modificatore o la funzione predicativa del modificatore): alcune frasi a, pertanto, risultano innaturali e al limite dell’accettabilità (per esempio “Ho messo una cosa qui bellissima”, perché difficilmente si può accettare che l’aggettivo qualificativo sia legato al sintagma nominale qualificato meno strettamente di un’indicazione di luogo). La proposizione esclusiva nella frase 7 non è in nessun caso un modificatore del nome (infatti non può essere in alcun modo trasformata in una relativa il cui pronome introduttore riprenda il sintagma nominale o in un aggettivo); modificatori di sintagmi nominali introdotti da senza sarebbero, ad esempio, borsa senza manici (ovvero che non ha i manici), oppure maglietta senza maniche (smanicata).

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella seguente frase, leggere è un verbo o un sostantivo, e ha funzione di complemento oggetto?

“Amo tanto leggere, in particolare mi piacciono i libri fantasy”.

 

RISPOSTA:

Nella frase non è possibile decidere se l’infinito abbia valore di verbo o di nome: entrambe le analisi sono, pertanto, legittime. Il fatto che la parola non sia preceduta dall’articolo, comunque, fa propendere per l’analisi come verbo; diversamente, in una frase come “Amo tanto il leggere” la parola sarebbe certamente da analizzare come nome. Al contrario, se leggere fosse seguito da un complemento oggetto (per esempio “Amo tanto leggere romanzi d’avventura”) emergerebbe più chiaramente la funzione verbale.

Se leggere è un nome, esso rappresenta il complemento oggetto del verbo amo; se, invece, è un verbo, allora rappresenta una proposizione oggettiva subordinata alla reggente amo tanto.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Tutte queste frasi e alternative sono corrette?

“Mi ha chiesto che cosa significasse quel gesto”

“Mi ha chiesto che cosa significhi quel gesto”

“Mi ha chiesto che cosa significherebbe quel gesto”

“Mi ha chiesto che cosa significa quel gesto”

 

“Un bambino che legga / leggesse / legge per bene una enciclopedia(,) imparerebbe tutto ciò che una scuola può / potesse / possa / potrebbe offrirgli”.

 

“Un amico che diffami / diffama / diffamasse non è / sarebbe un buon amico”.

 

Attenendomi, per esempio, a queste tabelle della “Treccani”, una frase del genere sarebbe agrammaticale: “Credo che l’avesse visto”?

A che attenersi per sapere se si sta (o stia?) costruendo una frase che rispetta (o rispetti?) la concordanza dei tempi verbali?

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti dei tre gruppi sono corrette. Nel primo gruppo la subordinata è una interrogativa indiretta, che è strettamente vincolata alla consecutio temporum; non tutte le varianti presentate, però, hanno a che fare direttamente con il sistema della consecutio. Le varianti con significa / significhi sono semanticamente equivalenti; in questo caso la differenza tra l’indicativo e il congiuntivo è di tipo diafasico, cioè di registro (lo stesso vale per sta / stia e rispetta / rispetti della frase finale della sua domanda). Quella con il condizionale contiene, ovviamente, una sfumatura di condizionalità; presuppone, cioè, che ci sia una condizione (espressa altrove o implicita) per l’avverarsi dell’evento del significare (per esempio “…che cosa significherebbe quel gesto se lui lo facesse“). In alternativa (ma la corretta interpretazione dipende dal contesto), il condizionale può essere interpretato come un segnale di cortesia, ovvero come una variante indiretta di significa. Per quanto riguarda la consecutio temporum, queste tre varianti esprimono tutte la contemporaneità con il presente; il passato prossimo (qui ha chiesto), infatti, può funzionare da passato ma anche da presente, se descrive un evento che è ancora in corso (ha chiesto comporta che la domanda è ancora valida nel momento in cui l’emittente parla). Diversamente da queste tre, la variante all’imperfetto esprime (anche qui l’interpretazione dipende dal contesto) la contemporaneità con il passato, l’anteriorità rispetto al presente o anche l’anteriorità rispetto al passato; per esempio “L’ho incontrato ieri e mi ha chiesto (passato) che cosa significasse (contemporaneità con il passato) il nostro incontro”; “L’ho appena incontrato e mi ha chiesto (domanda ancora valida = presente) che cosa significasse il mio discorso di ieri (anteriorità rispetto al presente)”; “L’ho incontrato ieri e mi ha chiesto (passato) che cosa significasse (anteriorità rispetto al passato) il mio discorso del giorno prima”.

La seconda e la terza frase contengono subordinate relative, che non sono strettamente legate alla consecutio temporum; le varianti legge / legga funzionano come significa / significhi del gruppo precedente; leggesse qui non è interpretabile come passato, per via del verbo della reggente (imparerebbe), che è presente; esso va, quindi, interpretato come una variante di legga favorita dalla sovrapposizione del modello del periodo ipotetico: che leggesse …imparerebbe = se leggesse …imparerebbe. Si noti che se il verbo della reggente fosse passato, leggesse sarebbe interpretato come passato (per esempio “Un bambino che cinquant’anni fa leggesse per bene una enciclopedia avrebbe imparato…”).

Per “…tutto ciò che una scuola può / potesse / possa / potrebbe offrirgli” vale quanto appena detto, tranne che qui è ammesso sia il congiuntivo imperfetto, con la stessa sfumatura ipotetica della prima relativa, sia il condizionale presente (non ammesso nella prima relativa per via della sovrapposizione del modello del periodo ipotetico), attratto dal condizionale della proposizione reggente. A margine sottolineo che la virgola tra enciclopedia e imparerebbe non va inserita, perché si configurerebbe come virgola tra il soggetto (Un bambino che legga / leggesse / legge per bene una enciclopedia) e il verbo.

Per la relativa della terza frase vale tutto quello che è stato detto per la prima relativa della seconda. Chiaramente, se si opta per diffamasse la reggente prenderà il condizionale sarebbe per via della sovrapposizione del modello del periodo ipotetico.

La frase “Credo che l’avesse visto” non è affatto agrammaticale, ma descrive una situazione in cui un parlante riferisce di un evento passato precedente un altro; per esempio “Luca ieri è rimasto a guardare il film per pura gentilezza; credo che l’avesse già visto”. Lo schema presentato nella pagina a cui lei rimanda contiene soltanto i casi più comuni di relazione temporale tra reggente e subordinata completiva; i tanti casi non contemplati non sono esclusi, ma solo tralasciati per brevità. Sulla consecutio temporum in generale rimando alle tante risposte dell’Archivio di DICO che contengono la parola consecutio; in particolare la scelta dei tempi nelle relative è al centro di questa.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In una frase come: “Vuoi partire o rimanere?” La coordinazione è tra due subordinate?

Vuoi: principale;

partire: subordinata;

o rimanere: coordinata alla subordinata.

Oppure si tratta di una coordinata alla principale?

Vuoi partire: principale;

o (vuoi) rimanere: coordinata alla principale.

 

RISPOSTA:

Il verbo servile forma una unità con l’infinito che lo segue, quindi la seconda analisi è quella corretta. 

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho dei dubbi sulle frasi seguenti.

1a. È la prima volta che vedo questo film.

1b. È la prima volta che ho visto questo film.

1c. È stata la prima volta che ho visto questo film.

 

2a. Visto/viste tutte le poesie, abbiamo deciso che…

2b. Dato/dati i risultati, abbiamo deciso che…

 

RISPOSTA:

Nel primo gruppo di frasi la proposizione subordinata è di fatto una relativa (il che che la introduce è detto polivalente, ma la proposizione si comporta comunque come una relativa), quindi ha ampia libertà nella scelta del tempo verbale. La logica esclude la 1b, perché se la prima volta è presente anche la visione del film deve essere presente. Le altre due sono corrette. Nel secondo gruppo i participi passati concordano con i soggetti delle subordinate implicite (le poesie e i risultati): le proposizioni, infatti, sono equivalenti a “Essendo state viste tutte le poesie” e “Essendo stati dati tutti i risultati”.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In rete si trovano liste di alcuni verbi che reggono l´indicativo e liste di altri che vogliono il congiuntivo. Come ci si deve comportare qualora il verbo che si vuole adoperare non rientrasse in queste liste? Per quale modo dobbiamo propendere? I verbi che reggono l´indicativo vogliono il congiuntivo in domande e frasi negative? Ad es.

Non sapevo che tu sapessi che io sapessi.

Scrivi che cosa farai per garantire che la sicurezza rimanga un valore (è una domanda indiretta?)

Deve dirmi quale sia la versione migliore.

Deve decidere chi abbia ragione.

Mi pare di aver capito che voglia venire

Mi pare di aver capito che non voglia venire.

 

RISPOSTA:

Le risposte dell’archivio di DICO che contengono la parola congiuntivo sono più di 320: da questo numero si capisce che la scelta del modo verbale nelle proposizioni subordinate completive (come quelle dei suoi esempi) è un problema aperto per i parlanti, nativi e, ovviamente, non nativi. Per orientare questa scelta possiamo dire che:

1. l’alternanza è possibile per quasi tutti i verbi. In questo caso il congiuntivo è la scelta più formale; l’indicativo quella più informale;

2. alcuni verbi richiedono l’indicativo: dire, sapere, scrivere, leggerevederesentire (ma non è possibile fare una lista completa);

3. i verbi di pensare (pensare, ritenere, immaginare) preferiscono il congiuntivo. Con questi verbi, l’indicativo nella subordinata risulta una scelta trascurata;

4. le soggettive rette da verbi di sembrare (sembrare, apparire + aggettivo, parere) preferiscono decisamente il congiuntivo. Con questi verbi l’indicativo nella subordinata risulta una scelta molto trascurata;

5. quando il verbo è negativo o inserito in una espressione impersonale (quindi la subordinata è soggettiva) il congiuntivo è quasi sempre preferibile;

5a. alcuni verbi che richiedono l’indicativo, come diresapere, ammettono, come scelta più formale, il congiuntivo nel caso descritto al punto 5: “Non dico che Luca sia un ritardatario”; “Si dice che Luca sia un ritardatario”, “Non so se Luca è / sia un ritardatario”, “Si sa che Luca è / sia un ritardatario”;

5c. in generale, le soggettive ammettono (e talvolta preferiscono) il congiuntivo più delle oggettive;

6. le interrogative indirette ammettono (e talvolta preferiscono) il congiuntivo più delle oggettive: “So che Luca è un ritardatario” / “Sai se Luca è / sia un ritardatario?”, “Deve dirmi quale sia la versione migliore”, “Deve decidere chi abbia ragione”;

7. le completive subordinate di secondo grado preferiscono il congiuntivo: “Non sapevo che tu sapessi che io sapessi“, “Scrivi che cosa farai per garantire che la sicurezza rimanga un valore” (la proposizione sottolineata è una oggettiva), “Mi pare di aver capito che voglia venire“, “Mi pare di aver capito che non voglia venire“.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Leggo su un libro di Grammatica la suddivisione che riporto: è possibile che sia un errore di battitura o qualcosa de genere?

Frase: “Dice / che le sente frullare / come se fossero uccellini in gabbia.”

Mi aspettavo anche la suddivisione di “… le sente / frullare…”

 

RISPOSTA:

Ha ragione: bisogna distinguere tra reggente e subordinata anche nei casi di infinitiva retta da un verbo di percezione (vedere, sentire ecc.). Probabilmente le peculiarità del costrutto avranno indotto l’errore. In effetti i verbi di percezione reggono un’infinitiva peculiare, sia perché è molto prossima a una relativa («sente loro che frullano»), sia perché il soggetto dell’infinitiva diventa oggetto della reggente (le).

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nel verso della canzone “Dammi solo un’ora baby / e un po’ di coca-cola che mi graffi la gola”, la relativa è consecutivo-finale, ma se al posto del congiuntivo graffi usassimo l’indicativo graffia la semantica della frase cambierebbe?

 

RISPOSTA:

Nel verso la relativa con che e il congiuntivo ha un valore a metà strada tra il consecutivo e il finale; il modo migliore per trasformarla è tale che + congiuntivo. La trasformazione con tale che + indicativo non sarebbe equivalente; tale costruzione sarebbe, anzi, molto strana, perché il graffiare è qui rappresentato non come una qualità della Coca-Cola (come sarebbe in una frase come “La Coca-Cola contiene una tale quantità di anidride carbonica che graffia la gola”), ma come lo scopo per cui il parlante chiede la Coca-Cola.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase (1) “Possono candidarsi al concorso solo persone che abbiano compiuto i 18 anni di età”, la relativa è definita da alcune fonti condizionale-restrittiva. L’uso del congiuntivo in questo tipo di proposizione relativa è diafasico?

Mi domando se sia anche possibile considerarla una proposizione relativa impropria consecutiva? Volevo provare a modellare altre frasi di questo genere:

(2) Gli anziani che abitino nella zona 5 possono vaccinarsi domani.

(3) Le persone che abbiano paura dei vaccini possono parlare con il rappresentante regionale della sanità. 

(4) Gli anziani che abbiano paura del covid dovrebbero vaccinarsi.

Non sono sicuro se le frase 3 e 4 funzionino con il congiuntivo e sembrano un po’ diverse dalla prima, ma non riesco a descrivere come mai.

 

RISPOSTA:

La proposizione relativa in 1 non è di tipo consecutivo; il congiuntivo al suo interno ha un valore diafasico, ovvero innalza lo stile rispetto all’indicativo. Se sostituiamo abbiano con hanno il significato complessivo non cambia. Bisogna, ovviamente, considerare che i parlanti associano al congiuntivo una sfumatura di eventualità; a ben vedere, però, persone che abbiano compiuto e persone che hanno compiuto descrive esattamente la stessa circostanza. Lo stesso vale per le proposizioni relative nelle altre frasi; queste frasi, però, risultano più forzate perché l’antecedente del relativo è determinato, quindi in contrasto con la sfumatura eventuale associata al congiuntivo.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se le proposizioni completive introdotte dalla locuzione “il fatto che” (ma anche da “la notizia che”, “la circostanza che”, “la teoria che” e simili) possano essere costruite tanto con il congiuntivo quanto con l’indicativo, riconducendo la scelta alle preferenze del parlante o al livello di formalità che lo stesso voglia ascrivere all’espressione.

Domando questo perché, effettuando alcune ricerche su internet – anche all’interno di siti attendibili –, mi sono imbattuto in una “indicazione d’uso” secondo la quale tale scelta debba invece essere legata non già alle motivazioni sopra segnalate, bensì al predicato della reggente.

Nel tempo, lo ammetto, non mi sono mai posto questo problema, e il predicato della reggente non mi ha mai condizionato circa il modo da impiegare per costruire la subordinata: ho sempre, e sottolineo sempre, optato per il congiuntivo; ma a questo punto mi chiedo se, talvolta, con questa tendenza possa aver sbagliato.

Negli esempi che mi sono permesso di raccogliere più sotto entrambi i modi sono ammissibili?

1)        Il fatto che in Italia si legga/legge poco, è un dato allarmante che si conferma da anni.

2)        Non ho dubbi sul fatto che tu ti sia/ti sei impegnato.

3)        Il fatto che la squadra sia riuscita/è riuscita a vincere la gara, ci dimostra che l’allenatore sa fare il proprio lavoro.

4)        Non le sfuggì il fatto che anche questa volta fosse stata/era stata la sorella a ingannarla.

5)        Ho compreso il fatto che lui voglia/vuole più tempo per sé.

6)        Il fatto che tu ti sia/ti sei preparato per il colloquio, ti dà maggiori probabilità di ottenere il posto.

 

RISPOSTA:

In tutti gli esempi da lei riportati entrambi i modi sono ammissibili e la differenza tra il congiuntivo e l’indicativo è solo diafasica, ovvero il congiuntivo è più formale, senza alcuna influenza del verbo reggente. Il verbo reggente può spiegare la preferenza per l’indicativo o il congiuntivo, ma in altre completive, non in quelle (dichiarative) da lei segnalate, anche perché le dichiarative dipendono da un sostantivo (fatto, notizia ecc.) non da un verbo. In altre subordinate, come per es. le oggettive, le soggettive e le interrogative indirette, il verbo reggente può determinare la preferenza per il congiuntivo (per es. spero, temo, mi auguro) oppure per l’indicativo (so, si sa). Frasi come «spero che tu vieni» o «so che oggi tu vada al cinema» sono al limite dell’inaccettabile, proprio a causa della violazione del modo atteso dal verbo reggente. A volte addirittura basta una negazione a far scattare la scelta di un modo diverso: «sapevo che eri uscito» / «non sapevo che fossi uscito»; «si sa chi è stato» / «non si sa chi sia stato».

Fabio Rossi

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QUESITO:

Vorrei sapere se le due frasi sono entrambe corrette

1) pensa i sacrifici che ha fatto tuo padre

2) pensa ai sacrifici che ha fatto tuo padre

 

RISPOSTA:

Sì, le due frasi sono entrambe corrette, lievemente più formale la seconda. Il verbo pensare può essere usato sia come transitivo sia come intransitivo. Inoltre, la sintassi dei due periodi è differente, tanto da rendere più efficace la prima, della seconda frase, in determinati contesti, poiché focalizza «i sacrifici». «Che ha fatto tuo padre» è una proposizione relativa nel secondo caso; mentre nel primo caso può essere interpretato sia come una relativa, sia come una completiva con sollevamento dell’oggetto: Pensa che tuo padre ha fatto dei sacrifici. Per questo, benché meno formale, è comunque più efficace a sottolineare il valore di quei sacrifici.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Mi sono reso conto che a livello molto colloquiale molte persone (anch’io faccio parte di questa cerchia) fanno uso di una strana dislocazione a sinistra di vari elementi grammaticali: soggetto, periodo ipotetico e complementi di ogni tipo.

Le pongo qualche esempio:

  1. a) A me se piace qualcuno, mi faccio avanti = se a me piace qualcuno, mi faccio avanti.
  2. b) Non so lui ciò che ha fatto/ lui non so ciò che ha fatto= non so ciò che lui ha fatto.
  3. c) Lui non so chi pensavi che fosse/ non so lui chi pensavi che fosse? = non so chi pensavi che lui fosse/ non so chi pensavi che fosse, lui?
  4. d) Lui non so cosa vorrebbe che noi dicessimo/ non so lui cosa vorrebbe che noi dicessimo = non so cosa lui vorrebbe che noi dicessimo/ non so cosa lui vorrebbe che dicessimo.
  5. e) Lui noi non so cosa vorrebbe che pensassimo/ non so lui noi cosa vorrebbe che pensassimo = non so cosa lui vorrebbe che noi pensassimo/ non so cosa vorrebbe che pensassimo, lui, noi.
  6. f) Se fosse rimasta non penso che sarebbe cambiato qualcosa= non penso che se fosse rimasta sarebbe cambiato qualcosa.
  7. g) Se fosse rimasta non so cosa sarebbe cambiato/ non so se fosse rimasta cosa sarebbe cambiato= non so cosa sarebbe cambiato se fosse rimasta.
  8. h) Io quando/nel momento in cui entravo, la gente non mi salutava = quando io / nel momento in cui io entravo, la gente non mi salutava.
  9. i) Questo penso/ sembra che sia ottimo = penso/ sembra che questo sia ottimo.

In tutte queste frasi c’è una dislocazione a sinistra di qualche elemento, ad esempio:

Nella prima abbiamo la dislocazione di un complemento dipendente dalla protasi.

Nella seconda la dislocazione del soggetto della relativa.

Nella terza la dislocazione del soggetto di una oggettiva esplicita la quale è dipendente da una proposizione interrogativa.

Nella quarta c’è la dislocazione del soggetto della proposizione interrogativa.

Nella quinta c’è una doppia dislocazione, cioè degli elementi dislocati rispettivamente nella terza e nella quarta.

Nella sesta, per esempio, la protasi è contenuta nell’oggettiva ed è dipendente dalla stessa oggettiva (“che sarebbe cambiato qualcosa”) non dalla proposizione principale (“non penso”) eppure nonostante la protasi faccia parte dell’oggettiva viene occasionalmente dislocata a sinistra.

Nella settima abbiamo qualcosa di simile, ovvero la dislocazione della protasi dipendente da una proposizione interrogativa.

Possiamo parlare di dislocazioni grammaticalmente corrette oppure di colloquialismi impropri?

 

RISPOSTA:

L’italiano ammette molto spesso lo spostamento di un sintagma, o di una proposizione, rispetto alla sua posizione canonica in un ordine non marcato. Lo spostamento (che è una potente risorsa sintattica) è dovuto a esigenze informativo-pragmatiche, cioè per portare in prima posizione il tema dell’enunciato, cioè la parte su cui verte l’informazione. Talora questi spostamenti non hanno alcuna ricaduta sul registro, talaltra invece rendono l’enunciato meno formale, ma comunque corretto. Nessuno degli esempi da lei addotti è scorretto e soltanto alcuni rendono l’enunciato meno formale. Nessuno, inoltre, è configurabile come dislocazione tecnicamente intesa, ma soltanto come spostamento. In taluni casi, si parla anche di anacoluto o tema sospeso, in altri di sollevamento, ma, in buona sostanza, sempre di spostamento si tratta, ma non di dislocazione. Perché vi sia una dislocazione, oltre allo spostamento deve esservi anche una ripresa pronominale dell’elemento spostato, come in «il panino lo mangio», «che cosa vuoi non lo so» (dislocazioni a sinistra), oppure «lo mangio il panino», «non lo so che cosa vuoi» (dislocazioni a destra). Vediamo ora caso per caso.

  1. a) A me se piace qualcuno, mi faccio avanti: non è meno formale della versione senza spostamento.
  2. b) Non so lui ciò che ha fatto/ lui non so ciò che ha fatto: meno formali.
  3. c) Lui non so chi pensavi che fosse/ non so lui chi pensavi che fosse?: meno formali.
  4. d) Lui non so cosa vorrebbe che noi dicessimo/ non so lui cosa vorrebbe che noi dicessimo: lievemente meno formali.
  5. e) Lui noi non so cosa vorrebbe che pensassimo/ non so lui noi cosa vorrebbe che pensassimo: lievemente meno formali. In tutti i casi b-e, come vede, non soltanto la frase è perfettamente corretta, ma, in certi contesti, è anche migliore della frase non marcata, dal momento che valorizza il ruolo tematico di lui, che dunque può agevolare la coesione con quanto precede.
  6. f) Se fosse rimasta non penso che sarebbe cambiato qualcosa: non è meno formale della versione senza spostamento.
  7. g) Se fosse rimasta non so cosa sarebbe cambiato/ non so se fosse rimasta cosa sarebbe cambiato: non è meno formale della versione senza spostamento.
  8. h) Io quando/nel momento in cui entravo, la gente non mi salutava: tema sospeso o anacoluto, meno formale della frase non marcata.
  9. i) Questo penso/ sembra che sia ottimo: normalissimo caso di sollevamento del soggetto, non meno formale.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Ho sempre visto come corrette delle frasi come «sarebbe impossibile / difficile che tu ce la faresti» o «sarebbe stato impossibile / difficile che tu ce l’avresti fatta».

In particolare la prima venne posta come quesito sul Treccani e tale frase venne giudicata scorretta: https://eur01.safelinks.protection.outlook.com/?url=https%3A%2F%2Ft.ly%2FcAH1&data=05%7C01%7Cdico%40unimeit.onmicrosoft.com%7C6e16b9f793c349bff4b108db1c545e1f%7C84679d4583464e238c84a7304edba77f%7C0%7C0%7C638134920903056748%7CUnknown%7CTWFpbGZsb3d8eyJWIjoiMC4wLjAwMDAiLCJQIjoiV2luMzIiLCJBTiI6Ik1haWwiLCJXVCI6Mn0%3D%7C3000%7C%7C%7C&sdata=ksgYbWZ1G3CzalQb%2FG%2BomQ7%2Fa%2BcHdSo%2Fl88W%2F%2BRGhhU%3D&reserved=0.

Sinceramente, pensandoci e ripensandoci, non ne capisco il motivo, perché:

-Penso che lui non ce la farebbe (protasi implicita nell’oggettiva).

-Penserei che lui non ce la farebbe (protasi implicita nell’oggettiva).

-Pensavo che lui non ce l’avrebbe fatta (protasi implicita nell’oggettiva).

-Avrei pensato che lui non ce l’avrebbe fatta (protasi implicita nell’oggettiva).

Per lo stesso motivo riterrei corrette anche:

-È impossibile / difficile che tu ce la faresti (protasi implicita nella soggettiva).

-Era impossibile / difficile che tu ce la avresti fatta (protasi implicita nella soggettiva).

Seguendo la stessa logica, anche le due frasi iniziali mi sembrano corrette.

Lei cosa ne pensa?

 

RISPOSTA:

Come giustamente spiegato nella risposta del sito Treccani, la protasi implicita («se ci provassi» o «se ci avessi provato») è dipendente dall’apodosi «sarebbe (stato) impossibile / difficile», non certo da «che tu ce la facessi», che dipende, come completiva soggettiva, dall’apodosi stessa. Quindi la frase da lei proposta, al condizionale, è sbagliata, poiché in dipendenza da «è difficile / impossibile» le uniche alternative possibili sono il congiuntivo o, informalmente, l’indicativo: «sarebbe (stato) impossibile / difficile che tu ce la facevi».

In tutti gli altri casi, in cui la completiva è oggettiva e non soggettiva, la protasi sottintesa («se ci provasse / avesse provato») dipende dall’oggettiva stessa, e non dalla proposizione da cui l’oggettiva dipende («penso» ecc.), ecco perché, in questi ultimi casi, il condizionale è ammesso, mentre nei casi da lei proposti no, perché, come ripeto, l’apodosi non è rappresentata dalla soggettiva bensì dal verbo da cui la soggettiva dipende, cioè «sarebbe impossibile / difficile», che infatti è regolarmente al condizionale. Il suo errore è pertanto duplice: 1) nel credere che l’apodosi sia costituita dalla soggettiva (anziché dalla proposizione che regge la soggettiva) e 2) nell’estendere indebitamente il condizionale (già esistente) nell’apodosi alla completiva che ne dipende.

Dunque il condizionale in dipendenza da una soggettiva è sempre impossibile? No, è raro, ma non impossibile. Per es. in dipendenza da verbi che indicano certezza o conoscenza: «È certo / noto che tu potresti farcela», perché in questo caso, effettivamente, la protasi sottintesa dipende dalla completiva: «se ci provassi [è certo che] ce la faresti / potresti farcela». Perché? La risposta, non semplicissima, risiede nel differente statuto semantico-strutturale di verbi impersonali come è noto, è sicuro ecc. rispetto a verbi (con un diverso grado di impersonalità) quali è difficile e simili. Infatti posso trasformare in personale «è noto» con «qualcuno sa» (trasformando dunque la soggettiva in oggettiva), mentre l’unico soggetto possibile di «è difficile» è la stessa cosa che è difficile. Tant’è vero che «è difficile» (e simili) ammette una dipendente implicita («È difficile riuscirci»), mentre «è noto» (e simili) no (*«È noto riuscirci» è inammissibile in italiano).

Fabio Rossi

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QUESITO:

Trattandosi di una interrogativa indiretta, la correttezza circa gli usi del condizionale e dell’indicativo è fuori discussione: «Vorrei sapere se sarebbe […]».

Il congiuntivo imperfetto è possibile soltanto nel caso in cui si voglia riferirsi al passato, e non esprime quindi contemporaneità: «Vorrei sapere se fosse – tempo addietro, anni prima – […]». Mentre il congiuntivo presente attenua il tono diretto della richiesta espressa tramite l’indicativo.

Ma, se sapere non regge il congiuntivo, come fanno questi ultimi modi a essere leciti?

 

RISPOSTA:

L’interrogativa indiretta implica comunque una non certezza (cioè una modalità epistemica), che autorizza quindi sempre il congiuntivo. Anzi, le grammatiche più tradizionaliste suggeriscono di utilizzare sempre il congiuntivo in tutte le interrogative indirette. Ecco spiegato come mai sapere, che pure di solito regge l’indicativo, nelle interrogative indirette possa reggere (o regga preferibilmente) il congiuntivo. Come al solito, inoltre, il congiuntivo ha comunque un grado di formalità superiore rispetto all’indicativo. Inoltre, non è vero che il congiuntivo imperfetto si possa usare soltanto al passato (o meglio, per la contemporaneità nel passato), perché, nel caso del verbo volere, come spiegato più volte da Luca Serianni e anche nelle nostre risposte di DICO, l’imperfetto congiuntivo è preferibile per via del fatto che l’oggetto del volere subisce una sorta di proiezione al passato (tanto lo vorrei che lo considero già come avvenuto). Tant’è vero che si dice, come nella traduzione italiana del capolavoro dei Pink Floyd, «Vorrei che tu fossi qui» e non «Vorrei che tu sia qui». È vero che ciò accade perlopiù quando volere è usato come verbo autonomo, e non come servile. Tuttavia anche come servile il congiuntivo imperfetto è ammissibile, se non preferibile, con volere. Come opportunamente osserva lei, inoltre, il congiuntivo (e spesso ancor più il congiuntivo imperfetto, con una carica di potenzialità maggiore rispetto al presente, dovuta all’uso nel periodo ipotetico della possibilità) attenua il tono diretto della richiesta, rispetto all’indicativo. Quindi: «Vorrei sapere se fosse disposto ad aiutarmi» oppure «se sia disposto ad aiutarmi», oppure «se sarebbe disposto ad aiutarmi», oppure (più informalmente e un po’ troppo direttamente) «se è disposto ad aiutarmi» o «se era disposto ad aiutarmi». Come vede in quest’ultimo caso, informale, comunque l’imperfetto (sebbene stavolta all’indicativo) serve ad attenuare l’azione proiettandola nel passato.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Vorrei sottoporre due quesiti che mi attanagliano:

«È/è stata la cosa migliore che avremmo/avessimo potuto fare»?

«Mi sembra tutto/tutta una follia»

Credo siano tutte forme corrette, ma vorrei capire nello specifico che cosa cambi.

 

RISPOSTA:

Sì, in entrambi i casi entrambe le varianti sono corrette, senza alcun cambiamento semantico rilevante.

Nella prima variante della prima frase, la prospettiva è quella di considerare la cosa da fare come un futuro nel passato: io adesso racconto che nel passato avremmo potuto fare una cosa (cioè nel futuro rispetto al passato, ma comunque nel passato rispetto a ora) che effettivamente poi abbiamo fatto (nel passato). Nel secondo caso, invece, prevale il punto di vista di considerare la cosa come semplicemente passata. Esiste inoltre una terza possibilità, cioè quella dell’imperfetto congiuntivo: «È/è stata la cosa migliore che potessimo fare». Quest’ultima variante, che indica contemporaneità (e/o possibilità) nel passato, funziona meglio con la reggenza al passato («È stata la cosa»), tuttavia funziona anche in dipendenza dal presente («È la cosa»), in quanto rimane tuttora, a ripensarci, la cosa migliore (che potessimo/avremmo potuto/avessimo potuto fare). Tra tutte le soluzioni, quella che mi pare più naturale è «È [perché lo è tuttora] la cosa migliore che potessimo fare», oppure, in modo ancora più semplice e chiaro (e dunque sempre preferibile: perché complicare e complicarci la vita?), «Abbiamo fatto la cosa migliore».

Nella seconda frase, l’accordo può avere come testa sia il soggetto ([Ciò] mi sembra tutto una follia»), sia il predicativo del soggetto («una follia»). Nel primo caso, inoltre, si può anche sostenere che «tutto» sia un soggetto posposto e comunque il significato della frase non cambierebbe.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se la seguente costruzione possa essere giudicata corretta (in particolare l’attacco, per così dire, della coordinata, con il pronome relativo che si riallaccia alla proposizione precedente).

«Spero che la poesia sia icastica e che le cui metafore traggano origine dal mondo della natura».

 

RISPOSTA:

No, la frase non è corretta, in quanto il pronome relativo, che introduce una subordinata relativa, risulta qui privo di verbo; il verbo in questione, traggano, è infatti in questo caso il verbo della subordinata completiva (che traggano) e non della relativa, che rimane dunque appesa, cioè senza un verbo. Quindi la versione corretta della sua frase è «Spero che la poesia sia icastica e che le sue metafore traggano origine dal mondo della natura». L’unico modo per inserire una relativa in dipendenza da un’altra subordinata è quello di far sì che entrambe le subordinate abbiano un verbo. Per esempio: «Apprezzo che tu abbia scritto una poesia icastica, le cui metafore traggono origine dal mondo della natura».

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Vorrei porre un quesito: in frasi come “non sentirsela di …”, qual è il tipo di subordinata così introdotta?

 

RISPOSTA:

È una subordinata completiva, per la precisione oggettiva; infatti il verbo pronominale (o più precisamente procomplementare) sentirsela per essere completato ha bisogno di un argomento (che funge da complemento oggetto) rappresentato dalla subordinata oggettiva implicita introdotta da di, come se fosse sento di…: «Non me la sento di uscire» = «Non mi sento di uscire» (analogamente a «Non sento la voglia di uscire»).

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Quale delle seguenti affermazioni è corretta?

1) penso che loro stanno bene

2) penso che loro stiano bene

Sono più propenso nel linguaggio formale a ritenere corretta la seconda frase, tuttavia la prima può essere usata nel parlato informale confidenziale.

 

RISPOSTA:

È esattamente come osserva lei: nelle completive dipendenti da pensare il congiuntivo è la scelta preferenziale, in quanto più formale, ma l’indicativo non è scorretto, bensì più informale, pertanto possibile in situazioni, come il parlato o lo scritto che si avvicina al parlato, meno sorvegliate.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Il quesito di cui vorrei parlare in questo filone è la questione della protasi e apodosi del periodo ipotetico dell’irrealtà all’interno di un’oggettiva / una soggettiva.

Ciò che penso per quanto riguarda le seguenti 3 frasi è che l’unica soluzione corretta è col condizionale, ma a me è capitato di sentire soluzioni differenti dal condizionale:

A-Non pensavo di pentirmi se tu lo facevi / se tu lo avessi fatto.

B-Non pensavo che ti desse fastidio se lo facevo / se lo avessi fatto.

C-Ti ho detto che non dovevi rimanere da sola se ti succedeva qualcosa / se ti fosse successo qualcosa.

Sono soluzioni con l’imperfetto indicativo, l’imperfetto congiuntivo e l’infinito.

Io, per logica, come già detto, direi che l’unica possibilità sia quella del condizionale, visto che si parla di una situazione non realizzata (periodo ipotetico dell’irrealtà), ma a pensarci bene, ragionando sui tempi presenti, le possibilità mi sembrano molte di più e tutte (più o meno) accettabili:

-Non penso di pentirmi se lo facessi.

-Non penso di pentirmi se lo faccio.

-Non penso che Mario si arrabbi se passassi.

-Non penso che Mario si arrabbi se passo.

-So che lui arriva se ci fosse pure gli altri.

-So che lui arriva se ci sono pure gli altri.

Che ne pensa delle tre frasi in questione?

Quella che mi lascia più perplesso è la B, che ho sentito in televisione, di sfuggita, in una serie americana doppiata in italiano.

La frase era “non pensavo ti desse fastidio se lo facevo”.

 

RISPOSTA:

Cercando di semplificare il più possibile la casistica da lei presentata, diciamo subito che anche nel periodo ipotetico dipendente vale il divieto di utilizzare il condizionale nella protasi, possibile (ma non obbligatorio) soltanto nell’apodosi. Vediamo ora di commentare alla svelta tutte le frasi.

  1. A) Non pensavo di pentirmi se tu lo facevi / se tu lo avessi fatto: come al solito, l’indicativo è possibile, ma più informale del congiuntivo.
  2. B) Non pensavo che ti desse fastidio se lo facevo / se lo avessi fatto: come sopra. Entrambe le completive di A e B sono possibili anche con il condizionale in quella che di fatto è l’apodosi del periodo ipotetico: «Non pensavo che mi sarei pentito…»; «Non pensavo che ti avrebbe dato fastidio…».
  3. C) Ti ho detto che non dovevi rimanere da sola se ti succedeva qualcosa / se ti fosse successo qualcosa: come sopra: indicativo possibile ma meno formale del congiuntivo. Anche qui è possibile il condizionale in apodosi: «… che non saresti dovuta rimanere da sola…».

– Non penso di pentirmi se lo facessi: va bene.

– Non penso di pentirmi se lo faccio: non solo è meno formale, ma implica anche una probabilità maggiore di farlo: se lo faccio non mi pento.

– Non penso che Mario si arrabbi se passassi: non funziona. O si mette il condizionale in apodosi («Non penso che Mario si arrabbierebbe se passassi») o il presente in protasi («se passo»), come nella frase successiva.

– Non penso che Mario si arrabbi se passo: va bene, come pure «…si arrabbierebbe…».

– So che lui arriva se ci fossero pure gli altri: non funziona. O si usa il condizionale in apodosi («…lui arriverebbe…») o si usa il presente in protasi come nella frase successiva.

-So che lui arriva se ci sono pure gli altri: va bene.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Sono corrette frasi come: «Penso che io sia sordo» oppure «penso che io sia chiaro»?

 

RISPOSTA:

Non sono scorrette ma sarebbe bene evitarle, dal momento che una completiva con lo stesso soggetto della reggente si esprime di norma in forma implicita, anziché esplicita: «Penso di essere sordo» e «penso di essere chiaro».

Fabio Rossi

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QUESITO:

All’epoca, dopo che era avvenuta quella disgrazia, eravamo come foglie che il vento…

  1. a) portasse via
  2. b) portava via.

Suppongo che entrambe le soluzioni siano valide.

Mi chiedo però se la differenza tra l’una e l’altra sia di tipo (come insegnate voi) diafasico, oppure se essa sia di tipo semantico.

 

RISPOSTA:

Come al solito, la differenza è essenzialmente di tipo diafasico (più formale il congiuntivo, meno formale l’indicativo), ma, come spesso avviene, le ragioni diafasiche non escludono quelle sintattiche e/o semantiche. In questo caso, in virtù della frequente associazione del congiuntivo (soprattutto imperfetto) a contesti ipotetici quali la protasi del periodo ipotetico, la versione al congiuntivo conferisce al periodo da lei segnalato una sfumatura epistemica (cioè di probabilità o possibilità), quasi a sottolineare che il vento può portare via (o anche non portarle) quelle foglie. Ricordo che le relative al congiuntivo possono assumere sfumature varie (finali, consecutive, epistemiche ecc.). Nel caso specifico, però, c’è davvero bisogno di indicare che il vento può portare o non portare via le voglie? Non è in certo qual modo ovvio dal contesto semantico complessivo? Occorre sempre chiedersi se il congiuntivo sia necessario o no, magari se sia un mero sfoggio di “bello stile” (in realtà retaggio di certe malintese pseudonorme scolastiche). Inoltre, sempre a proposito di stile, non sarebbe molto meno faticoso il periodo senza proposizione relativa? Cioè così: «…eravamo come foglie al vento».

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi chiedo di propormi la vostra analisi del periodo di questo breve testo.

“Carlo gli aveva detto che, nell’ora in cui la nave doveva salpare, sarebbe salito sull’abbaino della soffitta per guardare, nella sera che si spegneva, in direzione di Trieste, là dove lui, Enrico, partiva, quasi i suoi occhi potessero frugare nei buio e salvare le cose dall’oscurità, lui che aveva insegnato che filosofia, amore della sapienza indivisa, vuol dire vedere le cose lontane come fossero vicine, abolire la brama di afferrarle, perché esse semplicemente sono, nella grande quiete dell’essere” (Claudio Magris, Un altro mare).

 

RISPOSTA:

Di seguito l’analisi del periodo; in coda si forniranno alcune note.

Carlo gli aveva detto, lui = principale

che, nell’ora sarebbe salito sull’abbaino della soffitta = sub. oggettiva di I grado;

in cui la nave doveva salpare, = sub. relativa di II grado;

per guardare, nella sera in direzione di Trieste, là = sub. finale di II grado;

che si spegneva, = sub. relativa di III grado;

dove lui, Enrico, partiva, = sub. relativa di III grado;

quasi i suoi occhi potessero frugare nel buio = sub. comparativa ipotetica di III grado;

e salvare le cose dall’oscurità = coord. alla sub. comparativa ipotetica di III grado;

che aveva insegnato = sub. relativa di I grado;

che filosofia, amore della sapienza indivisa, vuol dire = sub. oggettiva di II grado;

vedere le cose lontane = sub. oggettiva di III grado;

come fossero vicine, = sub. comparativa ipotetica di IV grado;

abolire la brama = coord. alla sub. oggettiva di III grado;

di afferrarle, = sub. dichiarativa di IV grado;

perché esse semplicemente sono, nella grande quiete dell’essere = sub. causale di V grado.

 

La proposizione principale nel testo è divisa in due parti, che si trovano a grande distanza l’una dall’altra; la prima parte (Carlo gli aveva detto) è continuata da una serie di subordinate contenenti descrizioni di luoghi e azioni, la seconda (il pronome lui) prolunga a distanza la principale per aggiungere alla frase un’informazione astratta (nella quale, però, si rispecchia il soggetto). Il sintagma complesso in direzione di Trieste, là è quasi certamente aggiunto al verbo guardare, ma non è escluso che ruoti intorno al verbo spegnere. Se si segue questa seconda interpretazione l’analisi di quella parte diventa:

per guardare, nella sera = sub. finale di II grado;

che si spegneva, in direzione di Trieste, là = sub. relativa di III grado.

Ancora, la relativa dove lui, Enrico, partiva può essere interpretata come dipendente da quest’ultima proposizione, per cui avremmo:

dove lui, Enrico, partiva, = sub. relativa di IV grado.

In questo caso guardare cambia valenza e significato; non è più bivalente con il significato di ‘osservare un oggetto o un processo’, ma monovalente con il significato di ‘soffermarsi a contemplare’.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho diverse domande sull’uso dei modi nelle subordinate.

1. L’alternanza tra l’indicativo e il congiuntivo ha una valore diafasico nelle completive?

2. Per quanto riguarda la proposizione relativa, nelle frasi seguenti il congiuntivo può essere sostituito dall’indicativo senza cambiamento di significato?

a. E poiché il denaro, in America come altrove, si guadagna in mille modi ma difficilmente con lo studio delle lettere e delle arti e alle lettere si dedicano volentieri soprattutto i facoltosi che vi siano inclinati (Soldati, America primo amore).

b. La stazione della vecchia Delhi di notte è uno di quei posti dove un viaggiatore che non abbia fatto l’abitudine all’India può essere preso dal panico (Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra).

c. Per un professionista sessantenne, che a suo tempo abbia fatto buoni studi superiori ma poi si sia occupato di altro – poniamo di import-export o di ortopedia –, la storia sarà probabilmente la disciplina che si interessa di guerre… (Serianni, Prima lezione di grammatica, p. 3).

d. Ho sentito storie da favola su tante notti passate all’aperto, non un problema che sia uno, tutto liscio come nei film (Daniele Mencarelli, Sempre tornare, p. 34).

e. Chi parla di un’intelligenza artificiale che possa prendere il potere o quantomeno surrogare l’intelligenza naturale non ha mai visto un bambino davanti a una pasticceria o un adulto o un’adulta disposti a giocarsi per amore, o per qualcosa che ne ha una vaga parvenza, la fama, la rispettabilità, la grandezza (Corriere della Sera, 31 gennaio 2023, A chi fa davvero paura l’intelligenza artificiale?).

f. Era l’unico che avesse la qualità per farlo.

3. Nella frase “Ho trovato qualcuno che potrebbe / può aiutarci” il congiuntivo possa non va bene. È vero?

4. Nei prossimi esempi la scelta tra il congiuntivo e l’indicativo è libera?

I ragazzi che non studino / studiano bene la lingua italiana non riusciranno a lavorare come giornalisti.

Un ragazzo che non studi bene….

5. Nella seguente frase è possibile sostituire pigliassero con pigliavano senza cambiare la semantica?

Proprio per questo avevo fatto l’attendente, per non avere sempre intorno i sergenti che mi pigliassero in giro quando parlavo (Pavese, La luna e il falò, p. 109).

6. In questi esempi la relativa è investita di un senso ipotetico di improbabilità?

Un viaggiatore armato di binocolo che si trovasse a bordo di una mongolfiera potrebbe vedere meglio di chiunque altro lo scenario della nostra storia.  (Ammaniti, Ti prendo e ti porto via, p. 46).

Un viaggiatore armato di binocolo che si trova / si trovi a bordo di una mongolfiera potrebbe vedere meglio di chiunque altro lo scenario della nostra storia (frase da Ammaniti modificata).

 

RISPOSTA:

1. Nei casi in cui l’alternanza è possibile (quindi esclusi i casi in cui è obbligatorio usare o l’indicativo o il congiuntivo) essa ha valore diafasico: la variante con il congiuntivo è più formale di quella con l’indicativo.

2. Nelle proposizioni relative a-d il congiuntivo ha ancora valore diafasico. Nell’esempio e la relativa è consecutivo-finale (un’intelligenza artificiale che possa prendere = un’intelligenza artificiale tale da poter prendere); la variante all’indicativo presenterebbe il poter prendere come fattuale. L’esempio f presenta una relativa apparentemente consecutiva, ma in cui, invece, il congiuntivo ha valore diafasico (avesse = aveva). Consecutivo-finale sarebbe una frase come “Era l’unico che avesse la possibilità di farlo; mentre, infatti, la qualità è certamente posseduta dal soggetto, e non può essere rappresentata come un’acquisizione possibile, la possibilità è per definizione un’acquisizione possibile.

3. Nella frase l’uso del congiuntivo è impedito dal verbo trovare al passato, che presenta l’antecedente qualcuno come certamente reale. Si noti che la relativa consecutivo-finale al congiuntivo sarebbe possibile se al posto di trovare ci fosse, per esempio, pensare (“Ho pensato a qualcuno che possa aiutarci”) e anche se il verbo trovare fosse presente (“Trova qualcuno che possa aiutarci”), perché in quel caso qualcuno non sarebbe certamente reale, ma sarebbe ipotetico.

4. Nella frase con l’antecedente i ragazzi la relativa al congiuntivo è molto innaturale, perché l’antecedente è determinato e complessivamente la frase è di formalità media. In quella con l’antecedente singolare si possono usare entrambi i modi, perché l’antecedente è indeterminato; in questo caso non sarebbe facile stabilire se il congiuntivo avrebbe valore diafasico o la funzione di rendere la relativa consecutiva: le due funzioni si sovrapporrebbero.

5. L’indicativo si può sostituire al congiuntivo, ma cambia il significato della frase. Il congiuntivo, infatti, è attratto dalla proposizione finale reggente (per non avere i sergenti che mi pigliassero in giro = affinché i sergenti non mi pigliassero in giro); l’indicativo darebbe, invece, alla relativa la funzione di qualificare fattualmente l’antecedente.

6. Nella frase originale che si trovasse = se si trovasse; nella frase modificata l’alternanza ha un valore simile a quello della seconda frase dell’esempio 4.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi sto occupando dello studio delle temporali. Vorrei cercare di capire quali tempi verbali possono essere usati in queste proposizioni al fine di poter esprimere sfumature di significato.

– Compro la pizza quando lui arriva / arrivi / arrivasse / arriverà / è arrivato / sia arrivato / fosse arrivato / sarà arrivato.

– Non compro la pizza finché lui non torna, torni, tornasse, tornerà (tempi composti?)

– Gli ho promesso un lavoro non appena sarà / sia / fosse / sarebbe / sarebbe stato / fosse stato possibile

– Lavorerai non appena è / sarà / sia / fosse possibile.

– A lui non importava fintantoché c’era / ci sarebbe stata / ci fosse stata Dorothy insieme a lui.

– Il direttore gli aveva promesso un posto di lavoro non appena fosse possibile, fosse stato possibile, sarebbe stato possibile.

– Pare che facesse suonare la campana ogni volta che trovava / trovasse / avrebbe trovato / avesse trovato un nome per il suo personaggio.

– Glielo dirò non appena tu lo vuoi / vorrai / voglia / volessi.

– Parliamo fino a quando non ci stanchiamo (indicativo e congiuntivo) / ci stancheremo / ci stancassimo / stancheremmo (tempi composti?).

– Rifiutò di andarsene finché non avesse finito il pasto, avrebbe finito.

– Lo temeva ma pensava di temerlo solo finché non aveva accettato / avesse accettato / avrebbe accettato / ebbe accettato di completare l´opera.

– Stavo bene attento a muovermi ogniqualvolta ne avessi avuto bisogno / ne avessi bisogno / ne avrei avuto bisogno / ne avrei bisogno / ne avevo bisogno.

– Dobbiamo proseguire finché non avremo / abbiamo (indicativo e congiuntivo) / avessimo ritrovato la strada dei mattoni gialli.

 

RISPOSTA:

Sulla scelta della forma verbale nelle frasi dell’elenco agiscono diversi fattori che si influenzano a vicenda (tra cui la semantica della frase), producendo restrizioni non sempre riconducibili a una regola generale. Di seguito le varianti più accettabili, con qualche nota illustrativa:

– Compro la pizza quando lui arriva / arriverà / sarà arrivato.

Il futuro anteriore è un po’ spiazzante in relazione al presente usato come futuro (meglio sarebbe “Comprerò… quando sarà arrivato”); possibile – ma forzato – è arrivato, che, però, funziona meglio con congiunzioni come una volta che e appena. Sono esclusi i tempi passati del congiuntivo sia arrivato e fosse arrivato. Non è escluso il congiuntivo presente, se si attribuisce a quando il senso di qualora. Molto forzato è arrivasse, che mette l’evento fattuale al presente della reggente in relazione con un’ipotesi possibile.

 

– Non compro la pizza finché lui non torna / torni / tornerà (tempi composti?).

In questa frase la congiunzione finché non ammette l’indicativo e il congiuntivo come variante formale (non con slittamento di significato verso la non fattualità). Per questo è impossibile tornasse. Possibili sono, invece, l’indicativo futuro anteriore e il congiuntivo passato, perché finché non permette di considerare il processo del non comprare o come contemporaneo all’attesa, o come successivo, quindi con una prospettiva dal futuro al passato sull’evento del tornare.

 

– Gli ho promesso un lavoro non appena sarà / sia / fosse / sarebbe stato / fosse stato possibile.

L’unica forma esclusa è sarebbe, perché l’evento della subordinata non può essere considerato condizionato da quello della reggente. Il condizionale passato, invece, può avere la funzione di futuro nel passato.

 

– Lavorerai non appena è / sarà / sia possibile.

Esclusa fosse.

 

– A lui non importava fintantoché c’era / ci sarebbe stata / ci fosse stata Dorothy insieme a lui.

Tutte le forme sono possibili.

 

– Il direttore gli aveva promesso un posto di lavoro non appena fosse / fosse stato / sarebbe stato possibile.

Tutte le forme sono possibili.

 

– Pare che facesse suonare la campana ogni volta che trovava / trovasse un nome per il suo personaggio.

Esclusa avrebbe trovato, perché l’evento del trovare non può essere successivo a quello del suonare; avesse trovato potrebbe essere usata come variante formale di aveva trovato (forma a sua volta del tutto possibile), ma risulterebbe forzata, perché suggerirebbe che l’evento è non fattuale, quando non può esserlo.

 

– Glielo dirò non appena tu lo vuoi / vorrai / voglia / volessi.

Tutte le forme sono possibili.

 

– Parliamo fino a quando non ci stanchiamo (indicativo e congiuntivo) / stancheremo / stancheremmo (tempi composti?).

Le forme escluse sono ci stancheremmo, perché l’evento della subordinata non può essere considerato condizionato da quello della reggente, e ci fossimo stancati; ci stancassimo è al limite dell’accettabilità (rispetto a finché non la presenza di quando la rende leggermente più accettabile, ma sarebbe difficilmente selezionata dai parlanti).

 

– Rifiutò di andarsene finché non avesse finito il pasto.

Impossibile avrebbe finito, perché l’evento del finire non può essere né condizionato né successivo a quello dell’andarsene.

 

– Lo temeva ma pensava di temerlo solo finché non avesse accettato / avrebbe accettato di completare l’opera.

In questa frase la reggente della temporale di temerlo è equivalente a che lo avrebbe temuto, quindi la temporale introdotta da finché non non ammette il congiuntivo ebbe accettato. Potrebbe ammettere aveva accettato, che, però, è sfavorito dalla sovrapposizione sulla frase dello schema del periodo ipotetico del terzo tipo (condizionale passato-congiuntivo trapassato).

 

– Stavo bene attento a muovermi ogniqualvolta ne avessi avuto bisogno / avessi bisogno / avevo bisogno.

La reggente della temporale qui equivale a mi muovevo: nella temporale sono impossibili avrei bisogno e avrei avuto bisogno, perché l’avere bisogno deve precedere e non può essere condizionato dal muoversi.

 

– Dobbiamo proseguire finché non avremo / abbiamo (indicativo e congiuntivo) la strada dei mattoni gialli.

Impossibile avessimo trovato.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Il testo che segue è la parte di una favola. Vorrei sapere se la punteggiatura e i verbi sono corretti:
«In una grande prateria ci vivevano bufali, cavalli e insetti. Tra questi un bellissimo bufalo: forte, bello, veloce… Però con tutte queste qualità era diventato superbo, si credeva chissà chi è proprio per questo non gli parlava più nessuno.
Un giorno un insetto decise di sfidare il bufalo e gli disse: “Sei così lento che non riesci a prendermi!”. Perciò il bufalo si arrabbiò, prese una rincorsa molto lunga e fece uno scatto che però finì male, infatti, il piccolo insetto si era messo davanti a un albero che così appena gli sarebbe venuto incontro, sarebbe bastato spostarsi e si sarebbe preso una botta/crapata e così andò».

 

RISPOSTA:

In brano presenta svariate inesattezze, che commenterò sotto.

«In una grande prateria ci vivevano [il ci è pleonastico: indica infatti il complemento di luogo già espresso da in una grande prateria; ci va dunque eliminato] bufali, cavalli e insetti. Tra questi un bellissimo bufalo: forte, bello, veloce… [eviterei i due punti che spezzano inutilmente il discorso; li sostituirei con una virgola] Però con tutte queste qualità era diventato superbo, si credeva chissà chi è [refuso per e congiunzione] proprio per questo non gli parlava più nessuno.
Un giorno un insetto decise di sfidare il bufalo e gli disse: “Sei così lento che non riesci a prendermi!”. Perciò il bufalo si arrabbiò, prese una rincorsa molto lunga e fece uno scatto che però finì male, [prima di infatti va un segno di punteggiatura forte, come un punto e virgola] infatti, il piccolo insetto si era messo davanti a un albero che [eliminare il che e aggiungere due punti] così [virgola] appena gli sarebbe [fosse: qui il condizionale è sbagliato perché è come se fosse un periodo ipotetico: se gli fosse venuto incontro, sarebbe bastato…] venuto incontro, sarebbe bastato spostarsi e [manca il soggetto, altrimenti il lettore crede che si tratti sempre dell’insetto, mentre invece qui il soggetto cambia ed è il bufalo] si sarebbe preso una botta/crapata [crapata è troppo informale/regionale e stona in un racconto; anche il generico botta non è il massimo; meglio testata, o gran testata, seguito da un punto] e così andò».

Quindi il brano corretto sarebbe come segue:

«In una grande prateria vivevano bufali, cavalli e insetti. Tra questi un bellissimo bufalo, forte, bello, veloce… Però con tutte queste qualità era diventato superbo, si credeva chissà chi e proprio per questo non gli parlava più nessuno.
Un giorno un insetto decise di sfidare il bufalo e gli disse: “Sei così lento che non riesci a prendermi!”. Perciò il bufalo si arrabbiò, prese una rincorsa molto lunga e fece uno scatto che però finì male; infatti, il piccolo insetto si era messo davanti a un albero: così, appena gli fosse venuto incontro, sarebbe bastato spostarsi e il bufalo si sarebbe preso una gran testata. E così andò». Oppure: «così, appena il bufalo gli fosse venuto incontro, sarebbe bastato spostarsi e quello si sarebbe preso una gran testata».

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sull’analisi logica di questa frase, potreste aiutarmi?

«Il gatto è capace di scendere».

 È corretto dire che di scendere è un complemento indiretto? 

 

RISPOSTA:

Cominciamo dall’analisi del periodo: il gatto è capace: proposizione principale; di scendere: subordinata completiva (detta anche argomentale) indiretta (ovvero è come se fosse un’oggettiva, pur non dipendendo da un verbo transitivo). Dunque di scendere non è un complemento bensì una proposizione subordinata.

Analisi logica della principale: il gatto: soggetto; è capace: predicato nominale, analizzabile in è: copula + capace: parte nominale (o nome del predicato).

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio riguardo l’utilizzo del congiuntivo nella frase che riporto qui sotto:

«ci vediamo domenica per chi ci fosse».

In un gruppo di persone che si ritrovano ogni fine settimana per delle gare sportive c’è una di queste che, dando appuntamento per la domenica successiva, dice «ci vediamo domenica per chi ci fosse».

Non è più corretto «per chi ci sarà»?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette, quella al congiuntivo è più formale. Trattandosi di una relativa con sfumatura potenziale/ipotetica (alcune persone possono esserci oppure non esserci) il congiuntivo sottolinea proprio questa eventualità, che però è lievemente ridondante, visto che la semantica della frase esprime già di per sé (visto che nessuno può prevedere il futuro e che non ci si può vedere con chi non c’è) il fatto che le persone possono esserci o no. Alla base della scelta del congiuntivo imperfetto è il seguente periodo ipotetico soggiacente alla semantica dell’intera frase: se ci foste (domenica prossima), ci vedremmo, altrimenti non ci vedremmo. Che però, in uno stile lievemente meno formale, può essere espresso anche così: se ci siete (o sarete) ci vediamo (o vedremo).

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Molti amici italiani mi dicono che non devo dire frase (1) quando fissiamo un appuntamento per fare un’altra chiacchierata nella settimana prossima.

(1)     Se non riuscissi a parlare (nella data fissata) ti scriverei.

Volevo usare questo tipo di ipotesi per indicare che è improbabile che non ci sia. è sbagliato?

So che posso esprimere (1) come

(1a) Nel caso in cui non riuscissi a parlare ti scriverò.

Domanda 1: Quale potrebbe essere il problema con il mio uso della frase (1)?

Nel Corriere della Sera (29/10/22), ho trovato questo esempio che sembra non seguire le regole del periodo ipotetico:

(2) Se anche i dati del COVID dovessero tornare a peggiorare il nuovo governo non limiterà la liberta delle persone……

Capisco che vuol dire

(2a) Nel caso in cui i dati  del COVID dovessero tornare a peggiorare il nuovo governo non limiterà la liberta delle persone……

Domanda 2:  l’uso del l’imperfetto del congiuntivo in (2) permette il futuro nella frase conseguenza?  Non trovo nessun esempio nei miei libri.

Domanda 3 Se (2) viene scritta come (2b) cambia il significato?

(2b) Se anche i dati del COVID dovessero tornare a peggiorare il nuovo governo non limiterebbe la liberta delle persone……

 

RISPOSTA:

 

1) La frase va bene. Anche 1a va bene: la 1 è leggermente più formale ed entrambe lasciano aperta la possibilità che lei non possa riuscire a parlare nella data stabilita, oppure che possa.

2) Stessa cosa: le frasi vanno tutte bene sia col condizionale (che è la scelta più canonica per il periodo ipotetico della possibilità), sia col futuro, che contamina la possibilità con la realtà (è cioè un periodo ipotetico misto). Le sfumature sono molto sottili e non da tutti percepite allo stesso modo. Diciamo che, in linea di massima,  in entrambi i casi del gruppo 1 e del gruppo 2, la scelta del futuro sembra rendere più probabile il verificarsi dell’ipotesi e quindi della conseguenza, mentre viceversa il condizionale sembra rendere molto più improbabile sia l’eventualità del non riuscire a parlare, sia quella del peggioramento dei dati del Covid. La presenza di anche (anche se), inoltre, esclude in ogni caso che il governo limiti la libertà, sia col futuro sia col condizionale.

Rilegga bene Serianni e gli altri libri di grammatica: casi di periodo ipotetico misti sono sempre ammessi, in italiano.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Vorrei sapere se sia sempre errato inserire una virgola prima o dopo un complemento («Hai lasciato altre cose in macchina», «Qui, nevica», «Parte anche lui dall’Australia, per poi arrivare in Cambogia», «Con il vocativo, ci va la virgola», «Andrò in Svizzera, partendo dalla Germania, ecc.), oppure prima del che («L’automobile di Luca è un vecchio catorcio, che quindi a volte può avere dei problemi»).

Mentre sono certo che una frase del genere è agrammaticale: «Il gatto di Luca, è un persiano.», «È un persiano, il gatto di Luca.»

 

RISPOSTA:

L’uso della punteggiatura, poco sistematico nelle trattazioni grammaticali, risponde a una molteplicità di funzioni, almeno sintattiche, pragmatiche, testuali, espressive, stilistiche, mimetiche dell’intonazione.

Quindi in molti degli esempi da lei riportati la virgola può esserci, oppure no, a seconda del contesto e della sfumatura pragmatico-semantica da dare al testo. Vediamoli in dettaglio.

1) «Hai lasciato altre cose, in macchina»: la presenza della virgola prima di in macchina attribuisce al sintagma il valore di informazione condivisa, per esempio perché è stata già introdotta: so che sai di aver lasciato alcune cose in macchina, ma ti faccio notare che ne hai lasciato anche altre (in macchina).

2) «Qui, nevica»: efficace nei casi di contrasto: qui, nevica, mentre da te in Sicilia immagino ci sia un sole che spacca, beato te!

3) «Parte anche lui dall’Australia, per poi arrivare in Cambogia»: la virgola prima di dall’Australia mette lui in relazione con qualcun altro che parte dall’Australia (per es. “Non saremo gli unici australiani alla riunione; domani parte anche lui, dall’Australia”).

4) «Con il vocativo, ci va la virgola»… mentre col soggetto no.

5) «Andrò in Svizzera, partendo dalla Germania»: la virgola attribuisce pari importanza a entrambe le proposizioni.

6) «L’automobile di Luca è un vecchio catorcio, che quindi a volte può avere dei problemi»: con le relative la virgola ne segnala la natura esplicativa, anziché limitativa. Cioè, se c’è la virgola la relativa aggiunge un particolare accessorio, non determinante ai fini dell’identificazione di qualcosa, come in: «La macchina, che può avere dei problemi, è di Luca»: c’è solo una macchina, che è di Luca e che può avere dei problemi; «La macchina che può avere dei problemi è di Luca»: ci sono almeno due macchine, una con problemi (e di Luca) e l’altra no.

7) «Il gatto di Luca, è un persiano»: mai separare il soggetto dal predicato con una virgola, a meno che non si voglia mettere in evidenza il soggetto, come in «È un persiano, il gatto di Luca», che va benissimo.

Fabio Rossi

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sulla coniugazione del verbo mangiare.

Se dico parlando di me stesso: se pensi che (io) non mangi il dolce ti sbagli…

È corretto riferendomi a me stesso dire “non mangi” o bisogna dire “non mangio”?

 

RISPOSTA:

Sono corrette entrambe le forme. Non mangi è congiuntivo e costituisce dunque l’opzione più formale, in una subordinata completiva; non mangio è indicativo e costituisce dunque l’opzione meno formale ma comunque corretta.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quando il verbo essere viene usato in una costruzione tipo il fatto è che, dato che essere è un verbo copulativo, non è possibile che la proposizione introdotta dal pronome che sia un’oggettiva, è vero? Il fatto diventa il predicato nominale? 
Prendiamo questo esempio: “Sono contento che sia andata così”. Qui abbiamo il verbo copulativo essereIo è il soggetto, giusto? Contento sembra un predicato nominale, giusto? La proposizione dopo il che non può essere una soggettiva anche se il verbo nella prima frase è essere: come mai? È a causa del predicato nomiale contento o a causa del soggetto io? O è qualcos’altro? 
Prendiamo questo esempio dal libro Il francese di Massimo Carlotto:

Si era convinto che quella bella ragazza non POSSEDESSE altro che il suo corpo (p. 9-10).
 
Sembra un’altra proposizione oggettiva (dopo che). Non riesco a capire come mai non è scritto “Si era convinto del fatto che quella bella ragazza non possedesse altro che il suo corpo”. Quale tipo di proposizione segue il che nella frase scritta da Carlotto?

 

RISPOSTA:

La copula non può reggere il complemento oggetto, quindi se la reggente è il fatto è o espressioni simili la subordinata è soggettiva. In effetti questa subordinata potrebbe rappresentare sia il soggetto del verbo essere (per esempio “Il fatto è che non voglio venire” = “Che non voglio venire è il fatto”), sia il completamento del predicato di cui fa parte il verbo essere (che non potremmo chiamare predicato nominale, visto che sarebbe formato dalla copula più un’intera proposizione); per semplicità, comunque, la consideriamo soggettiva (e in nessun caso oggettiva). Nella frase “Sono contento che sia andata così” la proposizione subordinata non può fare da soggetto del verbo essere: in questo caso il soggetto della reggente non può che essere io e il predicato nominale è sono contento. L’aggettivo contento può essere completato da un argomento preposizionale (che prende il nome di oggetto obliquo), per esempio sono contento del risultato, oppure da una proposizione argomentale (ovvero completiva) oggettiva. L’aggettivo convinto ha la stessa costruzione di contento: può reggere un argomento preposizionale (per esempio sono convinto della mia opinione) o una proposizione oggettiva, come nel suo esempio. Nella variante della frase sono convinto del fatto che… l’aggettivo convinto è completato dall’argomento preposizionale del fatto, il quale, a sua volta, regge una proposizione argomentale. Questa proposizione può essere classificata ancora come oggettiva, se consideriamo convinto che equivalente a convinto del fatto che, oppure (come farei io) dichiarativa, visto che è retta non da un verbo, ma dall’argomento di un verbo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei proporvi una frase la cui correttezza mi è stata contestata a torto, secondo il mio parere: “Che sia la prima e l’ultima volta che vi permettete di agire in questo modo”. La frase corretta sarebbe: “Che
sia la prima e l’ultima volta che vi permettiate di agire in questo modo”.
Quest’ultima formulazione a me pare inaccettabile, comunque ci terrei molto a conoscere il vostro parere a riguardo.

 

RISPOSTA:

Come giustamente dice lei, la sua frase è corretta e non richiede affatto la sostituzione dell’indicativo col congiuntivo, che è tuttavia possibile. Essa, oltre, come la solito, a innalzare il livello diafasico della frase, le conferisce un valore potenziale: “che vi permettiate”, nel senso di ‘qualora pensaste di potervelo permettere un’altra volta’… Dato il senso della frase, tuttavia, questa sfumatura potenziale è del tutto superflua, perché di fatto “ve lo siete già permesso”.
Insomma: la sua è la versione migliore della frase e chi gliel’ha corretta mostra di non avere le idee chiarissime sul funzionamento dell’indicativo e del congiuntivo in italiano.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se i verbi fraseologici e modali adottati negli esempi sotto indicati confliggano con le costruzioni nelle quali sono stati inseriti.

1.L’idea di dover affrontare la platea mi spaventa.
2.Il dono di saper dipingere viene concesso a pochi eletti.
3.La capacità di riuscire a trasformare un’idea in un’opera compiuta è merce rara.
4.L’opportunità di poter parlare in pubblico costituisce una grande ricchezza per me.
5.Il pensiero di dover lasciar perdere mi affligge.

 

RISPOSTA:

Non c’è un conflitto sintattico, bensì una ridondanza semantica, che invita a eliminare i modali e i fraseologici, in quanto il loro valore è già implicito nel sintagma reggente o nel contesto generale della frase:
1.L’idea di dover affrontare la platea mi spaventa: è chiaro che lo spavento sia legato a qualcosa che viene vissuto come un obbligo. Quindi meglio: L’idea di affrontare la platea mi spaventa.
2.Il dono di saper dipingere viene concesso a pochi eletti: è chiaro che il dono riguarda una abilità, una capacità, cioè il saper fare qualcosa. Quindi meglio: Il dono di dipingere [meglio ancora: il dono della pittura] viene concesso a pochi eletti.
3.La capacità di riuscire a trasformare un’idea in un’opera compiuta è merce rara: se è una capacità, il senso del riuscire è implicito. Quindi meglio: La capacità di trasformare un’idea in un’opera compiuta è merce rara.
4.L’opportunità di poter parlare in pubblico costituisce una grande ricchezza per me: opportunità è sinonimo di possibilità, quindi poter è del tutto pleonastico. Meglio: L’opportunità di parlare in pubblico costituisce una grande ricchezza per me.
5.Il pensiero di dover lasciar perdere mi affligge: il pensiero, cioè la preoccupazione, è legato proprio alla necessità, quindi dover è del tutto pleonastico. Meglio: Il pensiero di lasciar perdere mi affligge.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Leggendo una raccolta di indovinelli per adolescenti ho trovato questa frase:
Un re decide di offrire una grande somma di denaro al suddito che gli racconti una bugia “intelligente”.
Mi potreste spiegare il perché è stato usato il congiuntivo con il verbo raccontare?
 

RISPOSTA:

Il congiuntivo è qui necessario perché conferisce alla relativa una sfumatura ipotetica che altrimenti, con l’indicativo, si perderebbe. Il congiuntivo non ha a che vedere con il verbo raccontare, bensì, per l’appunto, con la relativa. Se il verbo fosse al modo indicativo (che gli racconta una
bugia “intelligente”
), vorrebbe dire che il suddito effettivamente gli racconta una storia intelligente e il re lo paga. Invece il re ancora non ha pagato il suddito, perché ancora non sa se ne troverà uno in grado di raccontargli una storia da lui ritenuta “intelligente”. Ed è proprio questa incertezza (troverà un suddito? Saprà raccontargli una storia? Sarà la storia ritenuta intelligente dal re oppure no?) che viene espressa solo grazie al modo congiuntivo.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Di che tipo sono le seguenti proposizioni introdotte da che, e come mai la prima è costruita con l’indicativo e la seconda con il congiuntivo?
(1) Il lato positivo è che è andata bene
(2) Ciò che conta è che io riesca a uscire di casa.  

 

RISPOSTA:

Le due proposizioni sono soggettive; possono essere interpretate, infatti, come il soggetto del verbo essere della reggente. La scelta del modo verbale in queste proposizioni, come anche nelle altre completive, è legata a ragioni prima di tutto stilistiche: il congiuntivo è più formale dell’indicativo. Entrambe le proposizioni possono, infatti, essere costruite con l’indicativo e il congiuntivo: “Il lato positivo è che sia andata bene”; “Ciò che conta è che io riesco a uscire di casa”. Oltre alla ragione stilistica, altri fattori possono spingere a usare l’indicativo o il congiuntivo. Primo fra tutti è la cristallizzazione dell’uso, cioè l’abitudine dei parlanti di costruire una certa costruzione tipica sempre allo stesso modo: nella prima frase, per esempio, il lato positivo è che somiglia alla costruzione tipica è che o il fatto è che, che normalmente sono seguite dall’indicativo. Il congiuntivo, inoltre, può veicolare, in alcuni casi, una sfumatura di non fattualità, ovvero di eventualità, possibilità, incertezza: nella seconda frase, per esempio, che io riesco a uscire sarebbe facilmente interpretato come la constatazione del fatto che il parlante può effettivamente uscire; che io riesca a uscire, invece, sarebbe interpretato come la proiezione della possibilità nel futuro.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

a) I negozi che sono vicino/vicini a casa mia praticano dei prezzi competitivi.

Credo che entrambe le soluzioni siano corrette.

Vorrei sapere se rendendo la frase ellittica del primo predicato il parlante possa
comunque decidere quale soluzione adottare.

b) I negozi vicino/vicini a casa mia praticano dei prezzi competitivi.

 

RISPOSTA:

Entrambe le soluzioni vanno bene, e sono chiare, sia nella versione con verbo espresso, sia nella versione nominale, cioè priva di verbo.
Vicino a è locuzione preposizionale costruita con l’avverbio (come tale invariabile) vicino + la preposizione a.
Vicini è invece l’aggettivo (e come tale flesso) costruito con la preposizione a (ovvero un aggettivo che richiede un argomento preposizionale). Non c’è alcun motivo per preferire l’una costruzione all’altra.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Da giorni mi tormenta l’analisi di questo periodo:
“Quanto più egli ha fatto al di là del proprio merito, tanto più è ritenuto degno
di ammirazione”.
È corretto dire che si tratta di due principale legati dalla correlazione “quanto
più… tanto più “?
 

 

RISPOSTA:

Sì, sono due proposizioni coordinate dalla coppia di congiunzioni correlative quantotanto.

Fabio Rossi 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se la seguente frase è corretta: “Io penso che, in quel caso, lui lo aspetterebbe fintantoché non fosse ritornato”. Mi riferisco in particolare a quel “fosse ritornato”.

 

RISPOSTA:

Sì, è corretta, ma sono possibili anche altre alternative, tutte parimenti corrette: “fintantochè non ritornasse”; “fintantochè non sarebbe ritornato”. 

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

il mio dubbio riguarda una frase del tipo: “Tutti quelli che si fossero schierati
dalla sua parte, sarebbero andati incontro a terribili conseguenze”. Potrebbe
essere riscritta utilizzando il condizionale anche nel gruppo del soggetto?
(“Tutti quelli che si sarebbero schierati dalla sua parte, sarebbero andati
incontro a terribili conseguenze”)
Se sì, sarebbero entrambe valide e corrette? Una sarebbe preferibile all’altra?

 

RISPOSTA:

Il condizionale da lei proposto è al limite dell’inaccettabilità in quanto la frase è come se fosse un periodo ipotetico: Se si fossero (e non sarebbero!) schierati dalla sua parte, sarebbero andati incontro a terribili conseguenze. Diverso il caso di una frase costituita da un’unica proposizione: Si sarebbero schierati dalla sua parte. In quest’ultima caso, infatti, il condizionale passato indica il valore potenziale o di futuro nel passato (sappiamo che sarebbe successo questo). Questa carica potenziale, però, non può occultare la sintassi che, in caso di periodo ipotetico (o di strutture analoghe, come quella da lei proposta), impone il congiuntivo, e non il condizionale, in protasi.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

a) “Bisogna sempre impegnarsi, sia che si tratti di lavoro, sia che si tratti di
occupazioni extralavorative.“

Per snellire la parte correlativa della frase, mi sono venute in mente alcune
soluzioni, che vorrei proporvi per una valutazione.

b) “Bisogna sempre impegnarsi, che si tratti di lavoro o di occupazioni
extralavorative.“
c) “Bisogna sempre impegnarsi, che si tratti (o) di lavoro o di occupazioni
extralavorative.“
d) “Bisogna sempre impegnarsi, sia che si tratti di lavoro o di occupazioni
extralavorative.“

Le soluzioni sono tutte accettabili, considerando anche quella originaria? Quale
consigliereste per uno scritto formale? E infine, a proposito dell’esempio numero
due, la prima congiunzione è preferibile specificarla oppure ometterla?

 

RISPOSTA:

Le soluzioni vanno tutte bene, tranne la d): è sconsigliabile alterare la serie correlativa sia… sia… o sia… che… utilizzando un’atra congiunzione (o).
Per quanto riguarda la c), essa è preferibile nella versione senza la prima o, perché la o è in certo qual modo pleonastica, visto che il senso della correlazione è introdotto già da “che si tratti”.
In conclusione, in uno scritto formale vanno bene la a), la b), la c1, senza particolari predilezioni. 

Fabio Rossi

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QUESITO:

vorrei riallacciarmi a una frase inviata qualche settimana fa ´´L’otto febbraio
era prevedibile da chiunque aveva assistito alla seduta del ventitré gennaio”.
Come mi avete spiegato, il contesto è passato.
Ma se invece le due riunioni non fossero ancora avvenute e se fossimo ad esempio
ai primi di gennaio, il pensiero generale sarebbe: ´´chiunque parteciperà
(partecipi/partecipasse) alla riunione del 23 gennaio, sa che ci sarà anche quella
dell´otto febbraio´´
Sarebbe allora possibile scrivere così:
La riunione dell’otto febbraio è(sará/sarebbe) prevedibile da chiunque
assisterà(assisti/assista/assistesse/assisterebbe) alla seduta del ventitré
gennaio.
Per esprimere, invece, il futuro nel passato andrebbe bene la seguente frase?
´´La riunione dell’otto febbraio sarebbe stata prevedibile da chiunque avrebbe
(avesse) assistito alla seduta del ventitré gennaio´´.

 

RISPOSTA:

Cominciamo dalle prime alternative proposte nella domanda. L’unica versione totalmente corretta, rispettosa cioè delle regole della consecutio temporum, è la seguente: La riunione … è prevedibile da chiunque assista (oppure assisterà) …
Sulle altre si può osservare: assisti non è italiano (è cioè un errore di italiano popolare). Sará prevedibile può andare ma è inutile (se è prevedibile è ovvio che è un evento non ancora avvenuto).  Sarebbe prevedibile è inutile (sempre perché la carica eventuale è già inclusa nell’aggettivo prevedibile).
Assistesse non va bene perché non è un rapporto di contemporaneità nel passato. Assisterebbe è scorretto perché la frase dipendente qui richiede il congiuntivo, come se fosse un periodo ipotetico: se assistesse all’incontro…
Passiamo all’ultima frase. Visto che il 23 gennaio è prima dell’8 febbraio, in questo caso si tratta di anteriorità, non di posteriorità, quindi la scelta corretta è: La riunione dell’otto febbraio sarebbe stata prevedibile [solo questo è il futuro nel passato] da chiunque avesse assistito alla seduta del ventitré gennaio.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Gradirei sapere se l’espressione “credo che Dio esiste” in sostituzione di “credo che Dio esista” (che ritengo esatta) è corretta o meno. Nel primo caso (“credo che Dio esiste”)quel “credo” non ha il significato di “suppongo”, ma quello di “sono fermamente convinto” e quindi mi sembrerebbe che anche questa via espressiva possa essere accettata.

 

RISPOSTA:

Su questo problema del congiuntivo/indicativo in dipendenza da credo, e anche sull’esempio specifico, può leggere un libro che dirime la questione in modo chiaro: S. C. Sgroi, Dove va il congiuntivo? Ovvero il congiuntivo da nove punti di vista, Torino, Utet, 2013. In breve: l’indicativo può sempre sostituirsi al congiuntivo, in italiano. La differenza non risiede nel valore di dubitatività del congiuntivo, rispetto a quello di certezza dell’indicativo, bensì nel maggior grado di formalità del congiuntivo rispetto all’indicativo.
Quindi credo che Dio esiste/a sono entrambe frasi corrette e non hanno nulla a che vedere con l’ipotesi o la certezza. Nel senso che il verbo credere può valere tanto ‘essere sicuri’, quanto ‘ipotizzare’ indipendentemente dal modo verbale che segue, ma solo in base al contesto.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Le frasi introdotte da “non è un caso che“ si possono costruire anche con il modo indicativo? Personalmente, ho sempre e soltanto adoperato il congiuntivo, ma effettuando una consultazione in rete, ho riscontrato che l’indicativo spopola, anche in seno ad autori di indubbia fama.

Vorrei inoltre domandarvi se questo sintagma accetta tutti i tempi del congiuntivo, oppure se sussistano delle limitazioni d’uso.

  • Non è un caso che la maggioranza dei tifosi romanisti risieda nella capitale stessa.

  • Non è un caso che all’epoca il nostro insegnante di spagnolo parlasse correntemente anche il catalano.

  • Non è un caso che nel lontano 1984 il presidente del consiglio avesse sconfessato/abbia sconfessato pubblicamente il suo partito.

A proposito di quest’ultimo esempio, quale dei due tempi è da preferire? Potrebbero essere ammessi entrambi?

 

RISPOSTA:

Come quasi sempre accade in italiano, le ragioni per preferire il congiuntivo all’indicativo solo esclusivamente di tipo diafasico, non sintattico. Detto in parole più semplici: l’indicativo al posto del congiuntivo va quasi sempre bene, fin dalle origini dell’italiano, solo che conferisce al testo un livello di formalità più basso rispetto al congiuntivo. Pertanto, in tutti i suoi esempi retti da non è un caso che (o se) va bene anche l’indicativo, che è però più informale.
Le regole della consecutio temporum sono sempre le stesse: presente per contemporaneità nel presente tra le due proposizioni, imperfetto per contemporaneità nel passato, passato per anteriorità dipendente dal presente, trapassato per anteriorità dipendente dal passato. Questo a rigore, anche se poi in questo come in altri casi è ammessa una certa flessibilità, data anche dalla reggente che di fatto si comporta quasi come un avverbio o un complemento (si è cioè quasi grammaticalizzata: non è un caso che/se = non a caso).
Veniamo ora al commento dei suoi casi specifici uno per uno.

  • Non è un caso che la maggioranza dei tifosi romanisti risieda nella capitale stessa.

    Come già detto, risieda rappresenta la scelta più formale, risiede quella meno formale ma altrettanto corretta.

  • Non è un caso che all’epoca il nostro insegnante di spagnolo parlasse correntemente anche il catalano.

    parlasse formale, parlava informale. Per quanto riguarda il tempo verbale, l’imperfetto in questo caso non si motiva per la contemporaneità nel passato, visto che siamo qui in regime di anteriorità in dipendenza dal presente, bensì dalla natura continuativa, e non puntuale dell’azione: lo parlava abitualmente, non una volta soltanto. Infatti se usassimo il passato (abbia parlato / ha parlato) il senso della frase cambierebbe: lo ha parlato una sola volta, in un momento specifico.

  • Non è un caso che nel lontano 1984 il presidente del consiglio avesse sconfessato/abbia sconfessato pubblicamente il suo partito.

    Meglio abbia sconfessato (anteriorità, in dipendenza dal presente: non è un caso), ma avesse sconfessato non può dirsi scorretto. Il trapassato (sia indicativo sia congiuntivo) oggi sempre più spesso può sostituirsi al passato, per motivi non semplicissimi da individuare.

    Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Sei talmente ingenuo che non ti accorgeresti di essere in una dittatura, nemmeno quando, appeso a testa in giù, CREDERESTI di avere il cielo sotto i tuoi piedi” quando può reggere il condizionale o era indispensabile CREDESSI?

 

RISPOSTA:

Nella sua frase quando equivale a se, quindi introduce una proposizione ipotetica. Tale proposizione rifiuta il condizionale, in quanto esprime la condizione al cui avverarsi un altro evento avviene, mentre il condizionale esprime proprio l’evento condizionato.
Fabio Ruggiano 

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QUESITO:

Vorrei sapere quale fra queste due espressioni è quella corretta (oppure se lo sono entrambe): “Se io volessi (adesso) che tu lo facessi (adesso)” oppure “Se io volessi che tu lo faccia”.

 

RISPOSTA:

Sono corrette entrambe. A rigore, secondo la consecutio temporum, sarebbe migliore “Se io volessi che tu lo faccia”, dal momento che si suppone che il rapporto tra l’azione del volere e quella del fare sia di contemporaneità nel presente. Il fatto che ci sia l’imperfetto congiuntivo in volessi non ha a che vedere col tempo dell’azione bensì con la sua eventualità.
Tuttavia anche “Se io volessi (adesso) che tu lo facessi (adesso)” non può dirsi scorretto. Infatti, benché l’imperfetto congiuntivo serva di norma a indicare la contemporaneità nel passato, in dipendenza dal verbo volere (se quest’ultimo è usato al condizionale) si preferisce di solito l’imperfetto, piuttosto che il presente, congiuntivo: “vorrei che tu lo facessi”, meglio di “vorrei che tu lo faccia”. Ne ha parlato Luca Serianni e più di un quesito di DICO è dedicato a questo fenomeno. Dato che nel suo caso l’eventualità del verbo volere non può essere resa dal condizionale (perché ci troviamo in protasi di periodo ipotetico), essa si esplica comunque col congiuntivo, dal quale dunque, trattandosi del verbo volere, può in questo caso dipendere l’imperfetto, anziché il presente, benché ci si stia riferendo al presente.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Ha tanta generosità il padre, quanto attaccamento al denaro (hanno) i figli.”
La costruzione è ben impostata? Il secondo verbo (hanno) è facoltativo, quindi a discrezione dello scrivente, è suggerito specificarlo, o è addirittura preferibile ometterlo?
 

 

RISPOSTA:

L’ellissi verbale è sempre ammessa, in italiano, quando la costruzione non generi alcun equivoco, e in questo caso (reggente + subordinata comparativa di uguaglianza) non ne genera.
Non vi sono motivi evidenti, in questo caso, per preferire la forma con ellissi a quella con verbo espresso, o viceversa, se non il gusto personale.
Senza dubbio, però, la frase potrebbe essere espressa anche in molti altri modi, qualcuno dei quali anche più lineare, come per esempio: “La generosità del padre è pari all’attaccamento al denaro dei (o da parte dei) figli”. Oppure: “Il padre è tanto generoso quanto i figli sono attaccati al denaro”.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

In quali casi è corretto il SE con il condizionale?
Es. ‘Se potremmo resistere due giorni senza mangiare, non potremmo fare lo stesso senza bere’ è corretta?
Come si chiama, in questo periodo, la subordinata introdotta dal SE?

 

RISPOSTA:

Di norma, se + condizionale si usa nelle interrogative indirette per esprimere un rapporto di posteriorità, cioè quando l’oggetto della domanda è futuro rispetto alla richiesta. Per es.: “Mi chiedo se mi daresti una mano”; Mi chiedevo se mi avresti dato una mano”.
In rari casi il condizionale dopo se si può usare anche nelle ipotetiche, come quella da lei segnalata, che però, di fatto, sembra un’ipotetica ma in realtà è un avversativa:
“Se potremmo resistere due giorni senza mangiare, non potremmo fare lo stesso senza bere”, che in uno stile più formale sarebbe espressa con mentre: “Mentre potremmo resistere due giorni senza mangiare, non potremmo fare lo stesso senza bere”.
In questo caso (cioè in una ipotetica con valore di avversativa), l’imperfetto congiuntivo (cioè il tempo e il modo corretti se fosse stata un’ipotetica pura) sarebbe scorretto:
*”Se potessimo resistere due giorni senza mangiare, non potremmo fare lo stesso senza bere”.
Se fosse un’ipotetica pura sarebbe per es. così:
“Se potessimo resistere due giorni senza mangiare, probabilmente lo faremmo”.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Volevo sapere se la frase che segue è corretta. Se solo saprei farlo!!!

 

RISPOSTA:

No. L’espressione del desiderio (cioè il valore ottativo) in questo caso si esprime con Se + l’imperfetto congiuntivo: “Se solo sapessi farlo!”.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Propongo questa frase: “Qualora ciò dovesse accadere, per la presenza di un fanatico che agisce (o agisse?) in modo sconsiderato, sarebbero guai”. A me sembra più corretto dire agisse perché, nell’ambito dell’ipotesi (l’esistenza del fanatico), l’azione sconsiderata non è del tutto scontata. Comunque, non essendo certo di ciò, ci terrei a conoscere il suo parere al riguardo.
 

 

RISPOSTA:

Sono possibili sia agisce sia agisse. Il presente indica semplicemente che il fanatico agisce nel presente (con una proiezione nel futuro). Si può anche sostituire l’indicativo con il congiuntivo agisca, che eleva il registro. L’imperfetto agisse ha un significato ambiguo: può avere valore temporale o può dipendere dall’attrazione dell’imperfetto dovesse della proposizione reggente. Nel primo caso esso indica che il fanatico agiva nel passato; nel secondo caso si riferisce al presente e assume la stessa sfumatura ipotetica di dovesse. La prima interpretazione è un po’ forzata, considerando la costruzione di tutta la frase: se il fanatico agiva nel passato, è preferibile descrivere questa situazione con l’indicativo imperfetto (… per la presenza di un fanatico che agiva in modo sconsiderato…).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretta la frase “non so se sarei capace di farlo”?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta: la proposizione se sarei capace di farlo è una interrogativa indiretta, che può essere costruita con l’indicativo, il congiuntivo o il condizionale, a seconda del significato e del registro richiesto dall’occasione comunicativa.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretta la frase “Temo che per le 20 di oggi non abbiano ancora finito i lavori”, oppure dovrei dire “temo che per le 20 di oggi non FINIRANNO / FINISCANO i lavori”?

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti vanno bene: finiscano è quella più formale. Il congiuntivo passato può essere usato per descrivere un evento futuro perché il momento evocato per il termine dei lavori (le 20 di oggi) viene considerato il punto rispetto al quale i lavori sono o non sono finiti come se il parlante immaginasse di osservare la fine dei lavori da quel momento. Con l’indicativo futuro anteriore, pure possibile (“Temo che per le 20 di oggi non avranno ancora finito i lavori”), il parlante osserverebbe la fine dei lavori dal momento in cui parla (quindi la considererebbe futura), ma rispetto al momento evocato (quindi anteriore).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Avrei paura che tu lo liquidi con poche, asciutte parole”, “Non te lo confesserei, perché avrei paura che tu ne risentissi”.
In questi due passaggi narrativi, i relativi autori hanno compiuto scelte diverse. Muovendo dall’articolo 2800821 dell’archivio delle domande incluso nel vostro sito, deduco che entrambi i tempi siano ammessi.
Una volta mi pare di aver letto – non ricordo se in rete o in una pubblicazione cartacea – un passaggio costruito invece con il condizionale del verbo potere.
È possibile che per una frase iniziante per avrei paura che, o per predicati ascrivibili al medesimo concetto, la scelta sintattica abbracci in linea teorica tre soluzioni?
1. Avrei paura che tu possa fallire.
2. Avrei paura che tu potessi fallire.
3. Avrei paura che tu potresti fallire.
È inoltre possibile – domando ancora – che i servili, in particolare potere, facilitino l’introduzione del modo condizionale in una subordinata normalmente incline al congiuntivo?
Al mio orecchio, linguisticamente imperfetto, la frase numero 3 suona meglio rispetto a un’ipotetica
4. Avrei paura che tu falliresti.

 

RISPOSTA:

Le frasi con la completiva al condizionale sono ugualmente problematiche: non ci sono regole che vietino questa costruzione (e comunque la presenza del verbo servile non è rilevante), ma essa è comunque sfavorita, probabilmente perché la coppia formata dalla reggente al condizionale presente e dalla completiva al congiuntivo è assimilata al periodo ipotetico con apodosi al condizionale presente e protasi al congiuntivo quasi sempre imperfetto. Lo stesso motivo potrebbe essere alla base della preferenza del congiuntivo imperfetto nella completiva retta da una proposizione al condizionale presente, laddove la consecutio temporum richiede il congiuntivo presente. Eviterei la costruzione della completiva al condizionale, tranne nel caso in cui quest’ultima è a sua volta l’apodosi di un periodo ipotetico; per esempio: “Avrei paura che tu falliresti / potresti fallire se ci provassi”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

(1) C’è un modo per controllare se le informazioni scritte sul sito per i DVD sono siano sbagliate?
Il congiuntivo presente viene anche accettato? Qual è la ragione grammaticale se siano viene accettato?

(2) E come spiegare che un Nero su cinque abbia votato Trump? (Rampini, Fermare Pechino, p. 269).
È una proposta soggettiva e questa è la ragione per cui il congiuntivo va bene nella proposizione principale? È uguale a E come si spiega che

 

RISPOSTA:

Nella prima frase vanno bene sia l’indicativo sia il congiuntivo; il secondo è la soluzione più formale. Nella seconda frase nella principale non c’è un congiuntivo ma un infinito (spiegare). La presenza dell’infinito si spiega con l’omissione del verbo servile potereE come si può spiegare…
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho ascoltato in TV la seguente frase:
“Se il partito XXX vincesse le elezioni, si alleerebbe con il partito YYY, dieci minuti dopo che sarà stato comunicato l’esito del voto”.
La frase è corretta?
Il congiuntivo passato non sarebbe stato più indicato? E inoltre, il congiuntivo imperfetto avrebbe potuto essere parimenti ammesso?
 

 

RISPOSTA:

Nella frase si scontrano due prospettive diverse, quella ipotetica della vittoria e quella fattuale della comunicazione dell’esito; da qui la doppia costruzione, con il congiuntivo e l’indicativo, che non è sbagliata, per quanto risulti sgradevole. Addirittura, è possibile anche sostituire il futuro anteriore con il passato prossimo: “Se il partito XXX vincesse le elezioni, si alleerebbe con il partito YYY, dieci minuti dopo che è stato comunicato l’esito del voto”. Il passato prossimo, infatti, può indicare un momento precedente a un altro momento futuro. In alternativa, si può costruire anche la temporale con il congiuntivo imperfetto (non trapassato), attratto nella sfera della proposizione ipotetica: “Se il partito XXX vincesse le elezioni, si alleerebbe con il partito YYY, dieci minuti dopo che fosse comunicato l’esito del voto”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho letto questa frase e vorrei approfondire l´uso dei verbi in presenza di un pronome indefinito.
“L’otto febbraio era prevedibile da chiunque avesse assistito alla seduta del ventitré gennaio”.
Mi stavo chiedendo quale sarebbe il significato assunto dal congiuntivo trapassato, forse di evento passato ipotetico ed eventuale?
Se invece dicessi da chiunque aveva assistito, l´evento é passato è avvenuto?
Potrei anche usare il condizionale passato (da chiunque avrebbe assistito) per esprimere il futuro nel passato? Sarebbero possibili altri tempi?

 

RISPOSTA:

Le proposizioni relative introdotte da pronomi indefiniti reggono preferibilmente il congiuntivo; l’indicativo, però, è corretto: “L’otto febbraio era prevedibile da chiunque aveva assistito alla seduta del ventitré gennaio”. La differenza tra le due forme è che l’indicativo è meno formale: il significato delle frasi rimane uguale. Il condizionale passato non può essere usato in questa relativa, perché il ventitré gennaio precede l’otto febbraio, quindi non si giustifica la posteriorità rispetto al passato. La struttura standard della proposizione non ammette altre forme verbali.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Secondo gli schemi della consecutio, una proposizione (oggettiva) introdotta dal condizionale presente ammette, sulla scorta della sfera di certezza o di incertezza-soggettività del verbo introduttore, tanto l’indicativo quanto il congiuntivo quanto il condizionale: “Crederei che potrebbe farcela”.
Eccettuati tutti quei predicati indicanti volontà, desiderio e simili che, come tutti sappiamo, richiedono il congiuntivo imperfetto nella subordinata (“Vorrei che fosse già inverno”); negli altri casi, la scelta tra il congiuntivo e il condizionale è libera dal punto di vista sintattico, oppure il modo che introduce la subordinata alle volte “condiziona“ quello di quest’ultima?
Anche se lui provasse, penso che non ce la farebbe.
Anche se lui provasse, penserei che non ce la faccia.
Parto da tali esempi perché, per risalire una volta per tutte dal particolare al generale e cogliere la regola, se esistente, ero giunto alla conclusione che, al di là delle differenze semantiche, entrambi i modi fossero ammessi dalla sintassi. Ma poi mi sono imbattuto nella frase, contenuta nel vostro archivio, “Penso che
non ce la faccia, anche se provasse”, giudicata scorretta, e sono di nuovo sprofondato nel caos. La proposizione che non ce la faccia non dipende direttamente dalla principale penso, a prescindere dalla concessiva? Secondo la consecutio, una subordinata dipendente da un indicativo presente non può essere costruita con un congiuntivo presente, oltreché con un altro indicativo?
In presenza di una ipotetica e di una concessiva, anche sottintese, il condizionale è l’unico modo possibile, come spiegato a proposito dell’ultimo vostro esempio? Quando il verbo della reggente indica volontà o desiderio questo non avviene:
Anche se non potessimo andare in ferie, vorrei che la prossima settimana splendesse il sole.
Per concludere, al solo scopo di sgomberare il campo dai dubbi sopraccitati, apprezzerei se poteste cortesemente indicarmi, tra gli esempi riepilogati in elenco (in parte già segnalati), quelli scorretti.
1) Se ballassimo di notte, avrei paura che i vicini possano protestare.
2) Se ballassimo di notte, avrei paura che i vicini potrebbero protestare.
3) Anche se provassi, penserei che non ce la faccia.
4) Anche se provassi, penserei che non ce la farebbe.
5) Anche se provassi, penso che non ce la faccia.
6) Anche se provassi, penso che non ce la farebbe.

 

RISPOSTA:

Tanto nella frase “Penso che non ce la faccia” quanto in “Penserei che non ce la faccia” la subordinata oggettiva che non ce la faccia è legittima, quindi il suo ragionamento tiene: in dipendenza da un indicativo e da un condizionale è ammesso il congiuntivo. Se, però, l’oggettiva diviene la reggente di una proposizione condizionale o concessiva costruita con il congiuntivo (come nel caso della frase “Penso che non ce la faccia anche se provasse”) la situazione cambia e ci aspettiamo che sia costruita al condizionale. In una frase con più subordinate, insomma, la costruzione delle singole proposizioni può dipendere dall’incrocio di più reggenze. Si noti che nella risposta “Penso che userei il condizionale se…” dell’archivio (a cui lei fa riferimento) la frase è etichettata come ingiustificata, non scorretta: in ragione della presenza della proposizione concessiva al congiuntivo imperfetto “ci si aspetta” il condizionale presente. 
Tra tutte le frasi che porta come esempi e controesempi (sia “Anche se non potessimo andare in ferie, vorrei che la prossima settimana splendesse il sole” sia quelle numerate da 1 a 6) non sono pertinenti, perché in esse la conseguenza della condizione concessiva è descritta nella proposizione che regge l’oggettiva, non dall’oggettiva. In “Anche se non potessimo andare in ferie, vorrei che la prossima settimana splendesse il sole”, per esempio, la conseguenza dell’eventualità che non andiamo in ferie è che vorrei (che succedesse qualcosa); allo stesso modo, se ballassimo tutta la notte avrei paura (l’oggetto della paura è indipendente dalla condizione) ecc. Nella frase “Penso che non ce la farebbe anche se provasse”, invece, la condizione eventuale anche se provasse origina la conseguenza non ce la farebbe, descritta nell’oggettiva.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Due amiche si incontrano di domenica. Una vuole organizzare una festa per il sabato seguente e l’altra le confermerà la sua partecipazione o meno il giorno dopo, dicendole: “Te lo dirò domani, se verrò o meno alla tua festa”. Purtroppo non dice nulla il lunedì. Si incontrano poi il martedì e viene pronunciata questa frase: “Domenica mi hai detto che lunedì me lo avresti fatto sapere ieri se saresti venuta sabato alla festa”.   

Potrebbe essere corretta? Oppure sarebbero preferibili altri tempi verbali? Per esempio “Mi hai detto che me lo avresti fatto sapere ieri se vieni / venivi / verrai / fossi venuta sabato alla festa”.

In aggiunta, sono corrette queste altre frasi?

Te lo avrei detto, se sarei venuta o meno.

Te lo avrei detto, se fossi venuta o meno

 

RISPOSTA:

La frase “Domenica mi hai detto che lunedì me lo avresti fatto sapere, se sabato saresti venuta alla festa” è corretta (anche se un po’ complicata). In questa frase la proposizione se sabato saresti venuta alla festa è una interrogativa indiretta; questo tipo di proposizione richiede il condizionale passato se descrive un evento successivo a un altro evento passato, proprio come in questa frase. Anche la proposizione che lunedì me lo avresti fatto sapere ha la stessa caratteristica, e infatti è correttamente costruita con il condizionale passato. Quindi: Domenica mi hai detto [= dire è un evento passato] che lunedì me lo avresti fatto sapere [= fare sapere è un evento successivo a dire, ma è comunque passato] se sabato saresti venuta alla festa [= venire è un evento successivo a fare sapere]. Il condizionale passato può essere sostituito dall’indicativo imperfetto (non dal futuro verrai né dal congiuntivo trapassato fossi venuta): “Domenica mi hai detto che lunedì me lo avresti fatto sapere, se sabato venivi alla festa”; e persino “Domenica mi hai detto che lunedì me lo facevi sapere, se sabato venivi alla festa”. Per scegliere se usare l’indicativo imperfetto o il condizionale passato bisogna considerare che il significato della frase rimane uguale con entrambe le forme verbali, ma l’indicativo imperfetto è più informale, cioè adatto a contesti privati. Aggiungo che la frase così costruita indica che se saresti venuta alla festa è un argomento già toccato in precedenza nella conversazione, perché è anticipato dal pronome lo. Se, invece, le due amiche si sono appena incontrate, quindi non hanno ancora parlato dell’argomento, la frase sarà costruita così: “Domenica mi hai detto che lunedì mi [non me lo] avresti fatto sapere se sabato saresti venuta alla festa”.

Per quanto riguarda le ultime due frasi, la prima è analoga a quella che abbiamo commentato adesso, quindi è corretta alle stesse condizioni. La seconda è anche corretta, ma ha un significato diverso: in questo caso la proposizione introdotta da se non è una interrogativa indiretta, ma una ipotetica e indica che la persona non è andata alla festa (che è già passata) e che, se fosse andata, avrebbe avvisato.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho letto il periodo sotto indicato e vorrei sapere se l’uso del trapassato nella frase introdotta da da quando è corretto.
“Da quando il quartiere era finito sotto il controllo della microcriminalità, i residenti si erano organizzati in un comitato a favore della legalità urbana”.
Non potendo, per ragioni pratiche, riportare altri elementi del contesto, segnalo, a margine, che ho estrapolato il passaggio da un testo scritto prevalentemente al passato remoto. L’autore, per indicare anteriorità, ha costruito vari periodi al trapassato.
Fino ad oggi mi sono sempre imbattuta nel passato prossimo dopo il sintagma da quando.

 

RISPOSTA:

La scelta del tempo verbale dipende in pochissimi casi dalla congiunzione che introduce la subordinata. Per esempio, una proposizione introdotta da da quando può difficilmente avere l’indicativo presente. Per il resto, la scelta del tempo dipende da due coordinate testuali: il collocamente dell’evento sull’asse del tempo (passato, presente, futuro) e il rapporto tra il tempo dell’evento descritto e quello dell’evento della proposizione reggente (precedenza, contemporaneità, posteriorità). Queste due coordinate si intrecciano in vario modo, producendo di volta in volta risultati diversi (per un approfondimento può fare una ricerca nell’archivio di DICO con le chiavi consecutio temporum e tempo verbale). Nel caso specifico, l’evento del finire non solo è passato, ma è anche precedente rispetto a un altro evento, quello dell’organizzarsi, a sua volta passato (più precisamente trapassato, ma ai fini di questa analisi questo dettaglio non importa). Per descrivere un evento precedente a un altro evento passato si usa (tranne che in casi speciali) proprio il trapassato. Per quanto riguarda la scelta tra il trapassato prossimo e il remoto va ricordato che quest’ultimo è divenuto raro nell’italiano contemporaneo e viene quasi sempre sostituito dal primo. Il trapassato remoto, inoltre, veicola una sfumatura di momentaneità, per via della costruzione con il passato remoto dell’ausiliare, non adatta a questa frase, nella quale l’evento del finire sotto il controllo è percepito come un processo svoltosi in un certo lasso di tempo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Mi sarebbe gradito sapere se queste due frasi possono essere considerate corrette dal punto di vista sintattico:1)”Se io credessi che tu fossi pazzo,non ti assumerei”; 2)”Se tu facessi questo, crederei che
tu fossi pazzo”. Ovviamente il problema che mi interessa riguarda il “se io credessi che tu fossi” e “crederei che tu fossi”.

 

RISPOSTA:

Secondo la consecutio temporum, dal presente (indicativo o condizionale che sia) dipende un tempo presente e non l’imperfetto (che indica invece più spesso la contemporaneità nel passato, meno spesso l’anteriorità). Quindi: credo/crederei che sia; credevo che fosse. La deroga è con il verbo volere, che proietta l’aspettativa al passato e dunque richiede preferibilmente l’imperfetto congiuntivo piuttosto che il presente: “vorrei che fosse”, piuttosto che “vorrei che sia”. In base a questa regola, le sue frasi vanno riformulate col presente congiuntivo piuttosto che con l’imperfetto: 1)”Se io
credessi che tu sia pazzo,non ti assumerei”; 2)”Se tu facessi questo, crederei che
tu sia pazzo”. Infatti, lo crederei adesso, e non nel passato. Certamente, per il passato sarebbe più opportuno fossi stato sia stato, ma anche fossi sarebbe possibile, pertanto, a scanso di equivoci, per fare capire che l’importante per me è che tu non sia pazzo adesso, e non che lo fossi, poniamo, anni fa, è meglio usare il congiuntivo presente.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Gradirei un chiarimento circa un tema che avete già discusso. Spero di non indurvi
a spiegazioni che io non abbia assimilato a dovere.
Si tratta di come esprimere l’anteriorità rispetto a un’azione costruita con il
condizionale presente.
Prendiamo ad esempio il periodo “Se l’interrogato confermasse questa versione,
vorrebbe dire che, nel marzo dell’anno scorso, quando ha parlato per la prima
volta, ti…“

Secondo me le scelte possibili sono tre (più una sulla quale si concentrano i
dubbi maggiori):
1. Ha mentito
2. Mentì
3. Aveva mentito

Suppongo che la numero tre sarebbe corretta se ci fosse un momento temporale
intermedio; il trapassato “aveva mentito“ sarebbe così anteriore non soltanto al
condizionale della principale, ma anche a tale riferimento.

L’ultima soluzione è quella costruita con il condizionale composto. Se non
sbaglio, in almeno uno dei vostri articoli si segnala che questo tempo può essere
considerato corretto, dal punto di vista sintattico.
Mi domando se la sua correttezza sia comunque connessa con la dipendenza da una
proposizione – ipotetica o concessiva – anche sottintesa.
4.1 (anche se non avesse voluto/voleva), ti avrebbe mentito
4.2 (se ne avesse avuto modo), ti avrebbe mentito.
Oppure il tempo resterebbe valido a prescindere, senza nessuna protasi di sorta,
indicando semplicemente un passato rispetto al condizionale presente?

 

RISPOSTA:

Si tratta di sfumature sottili, spesso tutte corrette, come le tre che elenca lei, tutte possibili, dal momento che esprimono l’anteriorità. Poco conta che vi sia il condizionale, e che sia una apodosi di periodo ipotetico. Quel che conta è il rapporto di anteriorità, qui reso più complicato dalla “proiezione” del verbo di dire (“vuol dire che”…) e dallo stesso periodo ipotetico.
Va meno bene il passato remoto (che poco si presta a contesti di dipendenza da altri verbi che non siano il presente o lo stesso passato remoto), mentre vanno molto bene sia il passato prossimo, sia il trapassato prossimo. Quest’ultimo, come lei intuisce, è reso possibile dalla presenza di un contesto all’imperfetto (“se confermasse”), che però è prodotto dal periodo ipotetico e non tanto dal riferimento al passato. Comunque, ripeto, sia il passato prossimo sia il trapassato vanno bene in questo caso.
Più complesso il suo secondo quesito, per mancanza di un contesto più ampio. In generale, si può quasi sempre, in contesti ipotetici con il condizionale passato (a meno che il condizionale passato non serva a esprimere un futuro nel passato: “mi aveva promesso che mi avrebbe aiutato”), ricavare una protasi sottintesa, anche se non occorre farlo per forza:
– (anche se non avesse voluto/voleva), ti avrebbe mentito
– (se ne avesse avuto modo), ti avrebbe mentito.
La ricostruzione da lei proposta va bene, ma sono possibili anche altri contesti quali: “è stato sempre sincero con te ma poi, dopo due anni, ti avrebbe mentito”. Certo, volendo anche qui è possibile una protasi sottintesa (per esempio: “se non vi foste lasciati”), ma non necessariamente. Qui infatti il contesto è a metà strada tra l’ipotetico e il futuro nel passato: stiamo parlando di eventi accaduti nel passato, in cui sia l’essere stato sincero, sia l’aver poi mentito si sono verificati nel passato rispetto al momento in cui vengono riportati. E posso, per l’appunto, dire, in quel contesto. “Poi dopo due anni ti avrebbe comunque mentito”.
Però, se il contesto è quello di sopra, cioè delle prime tre frasi, allora sì, in quel caso (assai faticoso, e dubito che nessuno formulerebbe mai un periodo così artificioso), soltanto se fi fosse una protasi sarebbe ammissibile il condizionale passato, altrimenti impossibile.
In linea di massima, il giochino del “è possibile o no?” è poco produttivo, nelle lingue, perché la risposta è quasi sempre “certo che è possibile”, data l’infinita duttilità di lingue altamente strutturate come l’italiano. Più produttivo, piuttosto che questo ozioso gioco di ipotesi più o meno peregrine e innaturali, è invece commentare casi reali, effettivamente raccolti nell’uso vivo, meglio orale che scritto. Raramente ciò che si coglie nell’uso vivo dei parlanti nativi può dirsi “sbagliato”, nel senso di “non previsto dal sistema linguistico di riferimento”.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei esporvi queste frasi :1) Secondo me avrebbe atteso fintanto che non fosse stato già tardi 2) Secondo me attenderebbe fintanto che non fosse ( o sia? ) già tardi. Sono corrette queste frasi? È possibile anche dire: (nella prima) fintanto che non sarebbe stato già tardi e (nella seconda ) fintanto che non sarebbe già tardi?
 

RISPOSTA:

La 1 è corretta: “Secondo me avrebbe atteso fintanto che non fosse stato già tardi”. Funzionerebbe anche, sebbene meno, con “non fosse già tardi”. La 2 (“Secondo me attenderebbe fintanto che non fosse ( o sia? ) già tardi”) va abbastanza bene, ma pare funzionare meglio nella versione con “sia”, in quanto “fosse” potrebbe lasciar supporre che tutta l’azione fosse al passato (come la 1). “Fintanto che non sarebbe stato già tardi” funziona (visto che tutto è proiettato nel futuro), anche se il giro sintattico è talmente involuto da risultare al limite dell’accettabilità. Anche “fintanto che non sarebbe già tardi” non può dirsi scorretta, dal momento che è sempre in gioco l’elemento della probabilità (espresso dal condizionale), ma vale l’osservazione appena fatta: per quale gusto perverso bisognerebbe comporre un enunciato così involuto e innaturale? Soltanto per mettere alla prova i limiti della consecutio temporum et modorum? La quantità di sfumature possibili in questi esempi è dovuta al fatto che si incrociano due diverse sfumature sintattiche e semantiche: quella espressa dalla temporale (fintanto che) e quella del periodo ipotetico sotteso all’espressione: “può anche attendere ma se attendesse sarebbe già tardi” e simili.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle due costruzioni riportate, è preferibile il congiuntivo o l’indicativo, oppure, anche in questi casi, la scelta è libera?
– Le confermo che le cose sono/siano andate così.
– Lei davvero mi conferma che le cose sono/siano andate così?

 

RISPOSTA:

Ancorché tendenzialmente più formale, come al solito, la scelta del congiuntivo, in questi casi, è al limite dell’inaccettabile, dal momento che un verbo come confermo, soprattutto nella prima frase, preferisce di gran lunga l’indicativo (la seconda, essendo interrogativa, mette in dubbio la certezza della conferma): “Ti confermo che hanno vinto la partita”. Sarebbe davvero strano “Ti confermo che abbiano vinto la partita”, anche se non scorretto.

Fabio Rossi 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi capita spesso  di sentire espressioni tipo “Mi devo andare a preparare per l’esame” al posto di “Devo preparami/mi devo preparare per l’esame”. La prima forma è ugualmente accettabile?

 

RISPOSTA:

Colloquiale ma accettabile senza dubbio. Si tratta di verbi fraseologici, o aspettuali, che accompagnano il verbo principale per qualificare meglio il tipo di azione (tecnicamente, l’aspetto), e, come in questo caso, quasi per attenuarne un po’ il senso generale: sono in procinto di prepararmimi sto preparandomi metto a preparare e simili.
In certi contesti, l’uso di andare può essere anche richiesto per esprimere un significato diverso: “ora torno a casa perché devo andare a prepararmi per l’esame”, che aggiunge l’idea di andarsene da un posto verso un altro al fine di prepararsi all’esame.
Altre volte ancora, ma non è questo il caso, il verbo andare ha altri usi fraseologici sempre colloquiali e attenuativi, quasi a prendere tempo mentre si pensa a che cosa dire: “Andiamo ora a spiegare il teorema di Pitagora”: che non aggiunge nulla rispetto a “Ora spiegheremo/spieghiamo il teorema di Pitagora”.
Quanto alla posizione del clitico o particella pronominale atona (mi), essa è libera, in casi simili, e dunque vanno bene sia “mi devo/debbo andare a preparare”, sia “devo/debbo andare a prepararmi”, sia “devo/debbo andarmi a preparare”.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Chiedo, cortesemente, se il seguente testo va bene: “Gent.mo Dirigente F,
sono con la presente per comunicarLe che nel mese di giugno mi ha contattato/sono
stata contattata il Dirigente S. e mi ha comunicato/ che mi ha comunicato  che il
prossimo anno scolastico mi verranno assegnate due classi seconde. Ha individuato
anche le docenti che mi dovrebbero sostituire in terza. Spero tanto che Lei tenga
conto di questa disposizione, voluta per tutelare le classi, visto che… “
 

 

RISPOSTA:

Diciamo che lo stile burocratico come al solito è sgradevolmente quanto inutilmente pomposo, e la sintassi delle alternative che propone non sempre è corretta. Ecco una possibile riscrittura, con le relative varianti.
“Gent.mo dirigente F.,

nel mese di giugno mi ha contattato il dirigente S. [oppure: sono stata contattata dal dirigente S.] e mi ha comunicato che [oppure: il quale mi ha comunicato che; oppure: comunicandomi che] il prossimo anno scolastico mi verranno assegnate due classi seconde. Ha individuato anche le docenti che mi dovrebbero sostituire in terza. Spero tanto che Lei tenga conto di questa disposizione, voluta per tutelare le classi, visto che… “

Fabio Rossi

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QUESITO:

Grazie. Questo uso dell’imperfetto nella lingua parlata per attenuare una cosa –
in quale parte della grammatica viene specificata?  Ho una ventina di libri i
grammatica e non l’avevo mai visto.  C’e’ una citazione da Serianni o
qualcun’altro?
Dice che e’ simile a una cosa che ho trovato anni fa quando un amico mi ha
scritto.
“Avrei gia’ preso un appuntamento a quell’ora  per attenuare l’atto di dirmi che
non e’ stato possibile parlarmi e soddisfare la mia richiesta?”   L’esempio non e’
lo stesso, ma l’uso qui dell condizionale composto viene usato per attenuare una
cosa di questo tipo (l’ho trovato nella grammatica di Serianni).
 

 

RISPOSTA:

Si tratta di valore modale (o più specificamente epistemico, o attenuativo) dell’imperfetto, studiato da decenni da numerosissimi linguisti quali Carla Bazzanella, Le facce del parlare (La Nuova Italia), oppure alle pp. 82-83 della Grande grammatica italiana di consultazione di Renzi, Salvi e Cardinaletti, volume secondo (il Mulino), oppure anche nei nostri volumi Rossi-Ruggiano, Scrivere in italiano, oppure L’italiano scritto (Carocci). E moltissimi altri autori che non sto qui a elencarle. Per usi del genere, le consiglio di rivolgersi a studi più specialistici piuttosto che alla pur ottima (ma tradizionale, scolastica e generale) Grammatica del mio maestro Luca Serianni.
Sì, ha ragione, gli usi modali ed epistemici, o semplicemente attenuativi (come definiti a p. 82 del secondo volume del Renzi-Salvi-Cardinaletti) dell’imperfetto sono simili a quelli del condizionale, in certi contesti.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi propongo questa costruzione:
“Il messaggio a cui hai allegato il documento di cui abbiamo già discusso è datato 4 giugno”.
Ho un dubbio su questa – passatemi l’espressione – “relativizzazione doppia”: si può inserire, all’interno del medesimo periodo, un rimando al soggetto (a cui) e uno al complemento (di cui)?
 

 

RISPOSTA:

Sì, si può, è un po’ pesante ma non c’è nessuna regola che lo vieti. Due pronomi relativi possono tranquillamente riferirsi a elementi diversi ed essere in casi diversi.
Per semplificare il testo si potrebbe scrivere così, trasformando una relativa in un complemento:
“Il messaggio con allegato il documento di cui abbiamo già discusso è datato 4 giugno”.
Oppure ancora (con un che al posto di a cui):
“Il messaggio che allegava il documento di cui abbiamo già discusso è datato 4 giugno”.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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QUESITO:

Vorrei esporvi queste frasi:
1)Roma,  che è capitale d’Italia, è una città vicina al mare.
2)Le rendo noto che, se non salderà il suo debito,  passerò a vie legali.
Sia il primo inciso (che è capitale d’Italia) che il secondo (se non salderà il suo debito), qualora vengano sottratti, permettono alla frase di avere un senso compiuto (Roma è una citta vicina al mare / le rendo noto che passerò a vie legali).
Nella prima frase, però, l’inciso dà informazioni irrilevanti rispetto al senso della frase, nella  seconda, invece, l’inciso fornisce informazioni sostanziali (io passerò a vie legali solo se si realizzerà una ben precisa condizione: il suo mancato pagamento).
Mentre il primo inciso va posto sicuramente fra le virgole, il secondo non lo porrei fra di esse, perché le virgole farebbero risultare l’affermazione ” se non salderà il suo debito” come marginale, anziché di centrale importanza.

 

RISPOSTA:

Va distinta la funzione di inciso da quella di parentetica. Una parentetica contiene di solito, come dice lei, un’informazione marginale (“che è la capitale d’Italia”). Per inciso, invece, si intende semplicemente la collocazione dell’informazione tra due pause, o virgole, ma non la sua marginalità. Le virgole che isolano la protasi del periodo ipotetico nell’esempio “Le rendo noto che, se non salderà il suo debito,  passerò a vie legali” sono necessarie (e dunque se le eliminasse commetterebbe un errore!), perché indicano la spezzatura del rapporto assai vincolante tra reggente e completiva (…rendo noto che passerò…) mediante l’intromissione della protasi del periodo ipotetico. La posizione di inciso, cioè la segnalazione di tale intromissione, non implica in alcun modo la minore importanza della protasi. Aggiungo che, qualora non vi fosse stata intromissione, e vi fosse dunque stato soltanto il periodo ipotetico, si sarebbe potuta usare la virgola oppure no (“se non salderà il suo debito[,]  passerò a vie legali”) senza alcun cambiamento di significato. La virgola, infatti, in questo caso è un semplice retaggio del passato, quando si soleva separare quasi sistematicamente la premessa dalla conseguenza.
In generale, faccia attenzione a non caricare la punteggiatura di valori logicistici che le sono estranei: la virgola non indica quasi mai una riduzione di importanza (tranne, e non sempre, nel caso delle parentetiche di cui sopra), bensì denota una frattura sintattica (in molti casi), una transizione di piano testuale o informativo (cioè il passaggio da un’informazione all’altra, in molti altri casi), la riproduzione di una piccola pausa o curva intonativa (più raramente e soltanto nei testi mimetici del parlato), la messa in evidenza di un’informazione (e dunque l’esatto contrario di quel che dice lei, cioè conferisce maggiore importanza a qualcosa: “Mario, ho incontrato, non Luca”, con focalizzazione di Mario), oppure uno stilema (stile di un certo autore, consuetudine scrittoria ecc.).

Fabio Rossi
 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Siamo studenti di italiano e ci stiamo imbattendo in una questione riguardante l’evoluzione dei dialetti italiani. Sappiamo che l’italiano standard evolve quotidianamente mentre ci chiediamo se anche i dialetti subiscano influenze. Dunque, vorremmo sapere se e come i diletti possono essere influenzati.
Inoltre ci stiamo chiedendo se nella frase sopra sia corretto usare o meno il congiuntivo: subiscono o subiscano.

 

RISPOSTA:

I dialetti sono lingue come l’italiano, il francese o il cinese. La differenza tra una lingua e un dialetto non è nel funzionamento, ma nell’ampiezza d’uso: i dialetti sono usati da comunità ristrette che hanno anche un’altra lingua, l’italiano, con la quale comunicano a un livello più ampio e in contesti ufficiali.
Anche i dialetti evolvono, quindi, e subiscono l’influenza dell’italiano e delle altre lingue (e in misura ridotta influenzano l’italiano e persino le altre lingue). 
I rapporti tra l’italiano e i dialetti sono molto complessi, tanto che vengono scritti diversi libri ogni anno su questo argomento: non è possibile, quindi, sintetizzare la questione in una breve risposta. In generale possiamo dire che l’italiano si è diffuso tra tutta la popolazione, anche come lingua del parlato informale, non solo per lo scritto ufficiale e letterario, a partire dalla seconda metà del Novecento. Da allora i dialetti hanno cominciato a perdere funzionalità, ovvero a essere usati sempre meno anche in famiglia e tra amici. Questo processo ha rallentato l’evoluzione dei dialetti, impoverendone il lessico e riducendo il numero dei parlanti nativi di queste lingue, ovvero delle persone che nascono in famiglie in cui queste lingue si parlano spontaneamente (anche se la situazione è diversa da regione a regione e tra le città e le zone rurali). Da qualche decennio si nota un nuovo interesse per i dialetti: sono nati movimenti e associazioni che vogliono salvare queste lingue dalla morte. Queste iniziative potrebbero portare, in futuro, a recuperare non solo la conoscenza dei dialetti, ma anche l’uso.
Per quanto riguarda la seconda domanda, nella vostra frase vanno bene sia subiscono sia subiscano. Il congiuntivo è più formale dell’indicativo, ovvero più adatto a contesti ufficiali, specialmente scritti: in questo contesto, quindi, è preferibile.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

A proposito della frase

“La lingua italiana è più complessa di quanto DEBBA / DOVREBBE essere”,

qual è la forma più diffusa, debba o dovrebbe? Dipende dalla regione? C’è una differenza nella semantica tra l’una e l’altra? C’è una condizione non espressa quando si usa dovrebbe? Possiamo esplicitarla?

 

RISPOSTA:

L’alternanza tra congiuntivo e condizionale nella proposizione comparativa non dipende dalla regione di provenienza del parlante, ma dal registro e dalla semantica. Da una parte, infatti, il congiuntivo è la scelta più formale, dall’altra il condizionale veicola l’idea che il parlante si aspetterebbe una situazione diversa, quindi rimarca la sua posizione di contrarietà. Potremmo esplicitare la condizione sottintesa così: “La lingua italiana è più complessa di quanto dovrebbe essere (se le cose andassero come mi aspetto / in un mondo ideale)”. La capacità del condizionale di far risaltare l’atteggiamento emotivo del parlante favorisce ulteriormente l’uso di questo modo rispetto al congiuntivo in contesti colloquiali; è ragionevole, pertanto, supporre che il condizionale sia più comune del congiuntivo, almeno in contesti informali. Per esserne certi, però, si dovrebbe fare uno studio statistico sulla base di un grande corpus.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Secondo diverse fonti l’uso del congiuntivo in una proposizione comparativa è normale. Volevo confermare come cambi la semantica nelle frasi:
(1a) La lingua italiana è più complessa di quanto si possa pensare (congiuntivo presente).
(1b) La lingua italiana è più complessa di quanto si può pensare (indicativo presente).
(2a) La lingua italiana è più complessa di quanto mi aspettassi.
(2b) La lingua italiana è più complessa di quanto mi aspettavo.
Molte fonti non distinguono tra il congiuntivo e l’indicativo, ma secondo Treccani “è di regola il congiuntivo, che serve proprio a segnalare la frustrazione dell’attesa; l’indicativo è tuttavia attestato nei registri di media e bassa formalità; il condizionale può comparire occasionalmente con valore ipotetico”.
Per quel che sappia, un verbo al condizionale è anche ammesso per dare una sfumatura ipotetica alla frase. Volevo sapere se le mie interpretazioni sono corrette:
(3a) La metro funziona peggio di come avrei potuto immaginare.
Per me vuol dire che non ci ho pensato prima, cioè con la condizione se ci avessi pensato sottintesa.
(3b) La metro funziona peggio di come avessi potuto immaginare
funziona anche ma non è ipotetica. Stavo pensando a quello prima di averla presa.
Siamo arrivati al mio domandone:
Come mai gli italiani con cui parlo dicono che queste frasi siano sbagliate:
(4a) La lingua italiana è più complessa di quanto DEBBA essere.
(4b) La lingua italiana è più complessa di quanto POSSA essere.
Molti mi dicono che devo usare dovrebbe potrebbe. Non riesco a capire quali siano  la condizioni. Per me (4a e b) esprimono la mia opinione… ma ovviamente se DEBBA non è ammesso sbaglio io. Sono quasi sicuro che abbia a che fare con il verbo dovere (e anche con potere).

 

RISPOSTA:

Comincio dalla fine, confermando che le frasi 4a e 4b sono corrette nella forma da lei usata, e sarebbero corrette anche con il condizionale e con l’indicativo. Non so perché i suoi amici le abbiano definite sbagliate, ma è piuttosto comune che i parlanti confondano il proprio uso e il proprio stile con le regole della lingua. Allo stesso modo, sono corrette tutte le altre frasi che lei porta come esempi, come già confermato dalla citazione del sito Treccani. Rispetto a quest’ultima, sottolineo soltanto che il senso di frustrazione associato al congiuntivo è soggettivo: la frase “La lingua italiana è più complessa di quanto si possa pensare” non comunica necessariamente maggiore frustrazione di “La lingua italiana è più complessa di quanto si può pensare”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho una domanda sull’uso del periodo ipotetico nei discorsi indiretti.
Discorso Diretto:
(1a) La commessa mi ha detto: “Se prenderò altri quattro foglietti, riceverò uno sconto del 25%”.

Discorso Indiretto:
(1b) “La commessa mi ha detto che avrei ricevuto uno sconto del 25% se avessi preso altri quattro foglietti”.

(A) 1b è l’unico modo per riportare (1a)? È possibile scriverla anche così?
“La commessa mi ha detto che avrei ricevuto uno sconto del 25% se AVREI PRESO altri quattro foglietti” (qui volevo sapere se è possibile usare il condizionale composto per esprimere un futuro nel passato dopo se).

(B) La semantica della frase (1b) non indica una cosa irreale? In altre parole la frase 1b non ti dà nessuna indicazione se li ho presi o non li ho presi. È giusto?

 

RISPOSTA:

Innanzitutto una precisazione: nella frase 1a i verbi all’interno del discorso diretto devono andare alla terza persona, non alla prima (quindi prenderà e riceverà). Riguardo alla domanda A, secondo la consecutio temporum si potrebbe usare il condizionale passato nella proposizione ipotetica per esprimere il futuro nel passato; la proposizione ipotetica introdotta da se, però, rifiuta il condizionale, perché il condizionale è il modo degli eventi condizionati, non di quelli condizionanti. In conclusione, in questo caso bisogna usare comunque il congiuntivo.
Per quanto riguarda la semantica della frase, dal momento che l’evento del prendere è collocato nel passato, deve essere espresso con il tempo trapassato, anche se l’evento non è irreale, bensì potenziale. Il soggetto, infatti, potrebbe aver preso o no i foglietti.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Gradirei cortesemente  un chiarimento sull’uso di nel caso in cui. L’espressione va fatta seguire da un congiuntivo o è ammesso anche  il condizionale?
Es. “Ho preferito scrivere un elenco dei partecipanti, nel caso in cui ci sarebbero / sarebbero stati assenti”.
“Ho preferito scrivere un elenco dei partecipanti, nel caso in cui ci fossero / fossero stati assenti”.

 

RISPOSTA:

La locuzione congiuntiva nel caso in cui introduce una proposizione ipotetica; questo tipo di proposizione ammette l’indicativo e il congiuntivo, ma non il condizionale, perché quest’ultimo è il modo degli eventi condizionati da altri eventi, quindi non può essere usato per descrivere gli eventi condizionanti (cioè quelli ipotetici). La variante *”Ho preferito scrivere un elenco dei partecipanti, nel caso in cui ci sarebbero assenti”, pertanto, è scorretta. Lo stesso non vale per la variante “Ho preferito scrivere un elenco dei partecipanti, nel caso in cui ci sarebbero stati assenti”, che è ammissibile perché qui il condizionale passato serve a esprimere non un evento condizionato, ma un evento futuro rispetto a un altro passato (ho scritto); una funzione nota come futuro nel passato. Per quanto, però, il condizionale passato con funzione di futuro nel passato all’interno di proposizioni ipotetiche sia giustificabile sul piano logico, esso è comunque percepito come stridente, quindi in un contesto formale è preferibile sostituirlo con il congiuntivo imperfetto, che può avere la stessa funzione, indicando un evento contemporaneo a quello, passato, della reggente, ma proiettato nella posteriorità.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho comprato il libro scritto da Professor Ruggiano, Uno sguardo sul verbo: forme, usi, varietà, e non trovo un esempio dell’uso dell’infinito come viene usato in esempio (a).
(a) E’ vero che nei giorni di pioggia la strada si allargava – e io immaginavo il fiume là sotto RUGGIRE al buio, GONFIARSI fino a ESODARE dai tombini.  (Le Otto Montagne scritto da Paolo Cognetti)
(1) Posso trasformare la frase in modo esplicito cosi’ (almeno lo penso):
(a1) E’ vero che nei giorni di pioggia la strada si allargava — e io immaginavo il fiume là sotto CHE RUGGIVA al buio, SI GONFIAVA FINCHE (NON) FOSSE ESONDATO dai tombini.
(2) L’uso dell’infinito nella prima frase (a) è “standard”?   (a1) e’ corretta?
Ho trovato in altri siti esempi dell’uso dell’infinito (non trovato nel libro di Prof Ruggiano)  con i pronomi relativi preceduti con una preposizione:  
(b) Cerco una ragazza A CUI regalare la mia vecchia moto.  
(2) Come posso trasformare la frase (b) in una frase esplicita.
 

 

RISPOSTA:

Il primo caso da lei sottoposto è quello, molto comune e del tutto corretto in ogni livello di italiano, dell’infinito retto da verbi di percezione, che può essere reso con due strutture equivalenti: 1) una relativa, 2) una completiva:
1)  immaginavo il fiume là sotto CHE RUGGIVA al buio, SI GONFIAVA FINCHE (NON) FOSSE ESONDATO dai tombini.
2) Immaginavo […] che il fiume là sotto ruggisse […].
Anche l’altro uso dell’infinito da lei segnalato è del tutto comune e corretto in ogni livello di italiano. Si tratta di un uso ellittico:
“Cerco una ragazza A CUI regalare la mia vecchia moto”
Sta per:
“Cerco una ragazza a cui possa regalare la mia vecchia moto”, che è ovviamente una subordinata relativa esplicita. Nel primo caso, il verbo servile è sottinteso, o ellittico.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei chiedervi se nel testo che allego, al quartultimo verso è corretto usare il congiuntivo imperfetto “servissero” o bisogna usare il condizionale presente “servirebbero”?

Quanti desideri
sono caduti dal cielo
per vestirsi
di carne e pelle,
nel bene e nel male?
Forse tanti quanti
servissero
a farci credere
di essere
pezzi di Dio
 

 

RISPOSTA:

L’unica forma che ha senso nel contesto è servirebbero, che esprime il valore modale epistemico (potenziale) dell’eventuale utilità dei desideri caduti.
Il congiuntivo imperfetto andrebbe bene in altri contesti: o in protasi di periodo ipotetico: per es. “se servissero, cadrebbero dal cielo”. oppure in una relativa con valore ipotetico: per es.: “puoi prendere tutti i pezzi che ti servissero per fare il puzzle”.
A meno che lei non voglia intendere che i desideri caduti non servano più: allora andrebbe bene anche servissero, con valore di relativa ipotetica: “quanti servissero allora, ma che ora non servono più”.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi permetto di proporLe questa frase:” Se sapessi che tu, intraprendendo quella attività, potresti essere felice, ti consiglierei di svolgerla”. Il mio dubbio si riferisce a quel “potresti essere” (le alternative
che mi sembrano degne di considerazione sono: possa essere e potrai essere).
 

 

RISPOSTA:

Considerando il valore modale epistemico (cioè di probabilità) del poter essere felice (espresso peraltro già dal verbo modale potere), vanno bene tutte e tre le soluzioni, anche se la migliore, in quanto meno pesante sintatticamente, è quella del congiuntivo presente, che si limita a segnalare il valore completivo della frase: “che tu possa essere felice”.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quale delle seguenti frasi è corretta e perché l’altra non lo potrebbe essere? E se fossero entrambe corrette, che diverso significato acquisirebbero nel relativo contesto?

1) se fossi certo che (così facendo) tutto finirebbe allora approverei senza dubbio.
2) se fossi certo che tutto finisse allora approverei senza dubbio.

 

RISPOSTA:

La proposizione oggettiva che tutto finirebbe / finisse ammette entrambe le costruzioni, senza una percepibile variazione di significato. L’unica differenza è di registro: la variante con il congiuntivo è più formale. Al limite della trascuratezza, sebbene possibile, sarebbe la costruzione se fossi certo che tutto finisce…
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Il c’è presentativo, come nella frase “c’è da fare”, si può ritenere proposizione principale?
 

 

RISPOSTA:

A rigore le proposizioni sono due, come due sono i verbi. Pendiamo una frase un po’ più credibile: non c’è niente da fare. Da analizzarsi come segue:
Non c’è niente: principale
da fare: subordinata soggettiva.
In altri termini, la struttura è del tutto omologa a: non bisogna fare niente. Non bisogna: principale; fare niente: soggettiva.
Da un punto di vista più elastico, però, essendo il costrutto col c’è presentativo del tutto cristallizzato in italiano, possiamo anche considerare l’intera espressione come un’unica proposizione.
Oltretutto, a favore di quest’ultima interpretazione, remano anche frasi con verbi modali che costituiscono un’unica proposizione: non è da fare (= non deve essere fatto), non va fatto (= non deve essere fatto), non ho da fare (non devo farlo) ecc., in cui il primo verbo funziona come modale o servile e dunque non costituisce proposizione autonoma bensì parte del predicato di un’unica proposizione.

Fabio Rossi
 

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QUESITO:

È normale che alcuni verbi come constatareverificareaccertareappurare reggano ora il congiuntivo ora l’indicativo in funzione dell’azione che veicolano?

a) Ho verificato che la casa fosse vuota.
(Qui il verbo starebbe a indicare un’azione che non ha ancora portato esito: non si sa se la casa sia effettivamente vuota, e determinate operazioni di controllo disposte all’interno sono finalizzate a questo obiettivo).

b) Ho verificato che la casa era vuota.
(Qui il verbo starebbe invece a indicare un’azione dall’esito definitivo: le operazioni di controllo si sono concluse, e la casa è certamente vuota).

Augurandomi di essere stata chiara nell’enunciazione del mio dubbio, vorrei sapere se la mia osservazione sia giusta, oppure se con i verbi summenzionati si possa impiegare o l’uno o l’altro modo a prescindere dalla semantica.

 

RISPOSTA:

La sua osservazione è sostanzialmente corretta: i verbi da lei citati reggono una proposizione completiva (preferenzialmente) al congiuntivo se prendono il significato di ‘controllare che uno stato di cose corrisponda a quello atteso o previsto’; reggono, invece, l’indicativo se prendono il significato di ‘attestare che lo stato di cose corrisponde a quello atteso o previsto’. Si noti che nel primo caso la proposizione retta è una interrogativa indiretta (infatti la congiunzione che può essere sostituita da se); nel secondo è una oggettiva. Si noti anche che se l’interrogativa indiretta è introdotta da se può essere costruita anche all’indicativo: “Va accertato se la malattia di massa costituisce un reato” (da sanita24.ilsole24ore.com, 2015).
Preciso che tra i verbi da lei elencati, che possiamo considerare sinonimi, constatare è quello che più forzatamente ammette il significato di ‘controllare…’, e più forzatamente, quindi, regge l’interrogativa indiretta. Una frase come “Ho constatato che la casa fosse vuota” potrebbe essere facilmente interpretata come una variante più formale, ma del tutto equivalente in quanto al significato, di “Ho constatato che la casa era vuota”. Anche “Ho constatato se la casa fosse vuota”, del resto, mi sembra meno naturale di “Ho verificato / accertato / appurato se la casa fosse vuota”. La ricerca di constatato se in Internet, non a caso, restituisce soltanto esempi proiettati nel futuro, come “La problematica in discussione non può essere analizzata e risolta senza aver preliminarmente constatato se alla base del comportamento posto in essere dall’azienda ricorrente vi sia stato un comportamento…” (fiscooggi.it, 2007), in cui è proprio la proiezione nel futuro a giustificare il significato e la reggenza.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Ammetto che fino a pochi minuti fa non conoscevo il suo nome.”
Le due proposizioni hanno il solito soggetto; la regola generale, se non vado
errata, imporrebbe, o comunque consiglierebbe, l’impiego della costruzione
implicita.
In un caso come questo, in che modo si potrebbe procedere con la trasformazione
della subordinata esplicita?
 

 

RISPOSTA:

Vanno benissimo sia la frase esplicita sia quella implicita, non c’è alcuna imposizione al riguardo.
“Ammetto che fino a pochi minuti fa non conoscevo il suo nome” va addirittura meglio, in questo caso, rispetto a ““Ammetto di non aver conosciuto il suo nome / di non conoscere il suo nome fino a pochi minuti fa”, in quanto l’ancoramento temporale “fino a pochi minuti fa” rende l’infinito meno duttile dell’imperfetto nell’esprimere la sfumatura temporale/aspettuale: prima non lo conoscevo, ma ora, da pochi minuti, lo conosco.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle seguenti frasi ci sono proposizioni relative; in tutte e tre le frasi c’è la sfumatura di eventualità (e forse ipotetica nella prima):
“Si può dire che cosa rischiano i lavoratori che dovessero portare avanti la mobilitazione nonostante questo avviso?”.
“Chiedo alle persone che conoscessero (anche conoscano) già la risposta di restare in silenzio”.
“Non mi piacerebbe un cagnolino che non mi venisse incontro quando rientro a casa”.
Le mie domande:
1. il pronome relativo che in tutte e tre le frasi è improprio?
2. Quando troviamo una proposizione relativa che con un verbo al congiuntivo, il relativo è sempre considerato improprio?
3. Se la risposta è sì, penso che ci siano soltanto due possibilità: valore finale o valore consecutivo. Giusto?
Ho delle difficoltà a individuare una che improrio con valore consecutivo: è più facile per me individuare un valore finale. Quindi mi domando:
1. quando c’è un congiuntivo nella proposizione relativa, non è possibile considerare il che un relativo proprio? 
2. Quando una proposizione con un che relativo ha il verbo al congiuntivo e sicuramente non ha valore finale, posso concludere che è una consecutiva?
3. Se la risposta è sì, possiamo concludere che le relative in queste due frasi hanno valore consecutivo?
“Non c’è niente che tu possa fare”.
“Marco è il ragazzo più simpatico che io conosca”.

 

RISPOSTA:

Innanzitutto bisogna ricordare che il pronome che non è mai detto improprio. In tutte le frasi da lei proposte (tranne l’ultima, come vedremo alla fine) ha sempre la funzione di pronome relativo, e tale funzione non può che essere propria. Sono, piuttosto, le proposizioni relative nel loro complesso a essere definite da alcuni improprie quando assumono un significato non esattamente relativo, ma assimilabile a quello di altre proposizioni. L’etichetta improprio, si noti, non è precisa, perché fa pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nella costruzione di queste proposizioni, che invece sono del tutto regolari. Le proposizioni relative con un significato vicino ad altre proposizioni possono essere:
consecutive (cerco un centro di gravità permanente che [= tale che] non mi faccia mai cambiare idea, cantava Franco Battiato nella canzone Centro di gravità permanente);
causali (ho prestato a Luca il libro che mi [= perché me loaveva richiesto con insistenza);
concessive (Luca, che [= anche se] non voleva venire, alla fine si è divertito.
Per quanto riguarda il significato finale, esso è di solito contemplato nelle grammatiche, ma, come dice lei, è quasi indistinguibile da quello consecutivo. Per semplicità, si può parlare di significato consecutivo-finale.
Come si può vedere, l’interpretazione speciale della proposizione relativa non è collegata al modo congiuntivo: le relative con significato causale e consecutivo, infatti, richiedono l’indicativo. Inoltre, l’uso del congiuntivo nella proposizione relativa non produce necessariamente un significato speciale, ma a volte serve soltanto a elevare il registro della frase. È il caso della prima delle sue ultime frasi, nella quale il significato non cambia se sostituiamo il congiuntivo con l’indicativo (“Non c’è niente che puoi fare”), anche se l’antecedente indefinito niente fa propendere senz’altro per il congiuntivo nella relativa. L’ultima frase, invece, contiene non una proposizione relativa, ma una comparativa, che serve a esprimere il secondo termine di un paragone ed è introdotta dalla congiunzione (non dal pronome) che. Per la precisione, anche nella proposizione comparativa il congiuntivo serve a elevare il registro; se lo sostituiamo con l’indicativo il significato non cambia: “Marco è il ragazzo più simpatico che conosco”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei porvi un interrogativo composito di natura prevalentemente sintattica.
Prima metà del periodo:
1A) Se un domani tornassi in Italia, sospetterei che…
1B) Se un domani tornerai / sarai tornato in Italia, sospetterò che…
Le due costruzioni, seppur con difformità semantiche, sono valide?
Seconda metà del periodo:
[…] sospetterò / sospetterei che…
2A) tu possa non esserti trovato bene all’estero.
2B) tu potresti non esserti trovato bene all’estero.
2C) tu non ti sia trovato bene all’estero.
A condizione che le tre soluzioni completive siano accettabili, quale suggerireste?

 

RISPOSTA:

Per quanto riguarda la prima parte del periodo le forme verbali di entrambe le varianti vanno bene; nella prima, però, bisogna esplicitare il soggetto di tornassi, altrimenti il ricevente penserà che sia io. Anche le tre varianti della seconda parte sono tutte legittime: la 2A e la 2C sono equivalenti dal punto di vista della forma verbale, visto che possa e sia sono entrambi congiuntivi presenti; potresti aggiunge una sfumatura di condizionalità, ovvero di incertezza. Tra le 3 oggettive la 2A esprime, con il verbo potere, una certa cautela da parte del parlante rispetto all’eventualità descritta; la 2C è più diretta; la 2B è estremamente cauta, perché unisce il verbo potere al condizionale di incertezza.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Gradirei sapere se queste due frasi sono corrette: 1) Non sapevo che quella era l’ultima volta che l’avrei visto; 2) Non sapevo che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto. “A orecchio” queste frasi mi suonano bene, però mi lascia perplesso quel sarebbe stata e quel l’avrei visto, che dovrebbero proiettare l’azione al futuro rispetto al sapevo, mentre non mi pare che sia cosi’.

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette: nella prima era situa l’ultima volta nel passato, quindi automaticamente nello stesso momento di sapevo; nella seconda sarebbe stata proietta l’ultima volta nel futuro rispetto a sapevo, sottolineando che la qualità di volta di essere l’ultima avrebbe continuato a valere in futuro.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho trovato nel Corriere della Sera questa frase con il verbo nella principale all’indicativo e il congiuntivo imperfetto nella subordinata relativa: “Si può dire che cosa rischiano i lavoratori che dovessero portare avanti la mobilitazione nonostante questo avviso?”.
– Ho interpretato dovessero come un’azione che si svolge possibilmente nel futuro (un’eventualità) e non un’azione al passato (semanticamente simile alla frase “Vorrei che tu venissi con me”, in cui venissi non si riferisce al passato anche se il congiuntivo è imperfetto).  
Le mie domande:
1. Il meccanismo che funziona nelle frasi come “Guarderei volentieri un film che abbia come protagonista Al Pacino” non c’entra in questa frase dato che il verbo rischiano è all’indicativo? In altre parole, non c’è la possibilità che dovessero venga interpretato come dovevano (indicativo imperfetto)?
2. Mettiamo il verbo della principale al condizionale: “Si può dire che cosa rischierebbero i lavoratori che dovessero portare avanti la mobilitazione…”. Questa forma con il condizionale nella prima parte potrebbe indicare che dovessero vale sia come un’eventualità che un imperfetto (una cosa conclusa) come ha scritto nel blog?
3a. Come mai per molti amici italiani, la frase cambiata senza il verbo servile dovere (“Si può dire che cosa rischiano i lavoratori che portassero avanti la mobilitazione”) non sembra corretta al presente?
3b. Come mai per gli stessi amici italiani in questo esempio va bene il congiuntivo imperfetto senza il verbo servile? “Chiedo alle persone che conoscessero (anche conoscano) già la risposta di restare in silenzio”.
Mi domando se la ragione per cui la frase 3b va bene sia perché c’è la sfumatura di un valore limitativo insieme con un desiderio (un altro esempio: “Voglio comprare una camicia che sia blu”… “Non so se esista”). Questa sfumatura non esiste nella frase 3a: che ne dite?
4. Anche se ho una ventina di libri di grammatica italiana (scritti dal prof. Serianni e altri grandi professori) non riesco a trovare una spiegazione della consecutio nelle proposizioni relative. Per le completive tipo soggettiva, oggettiva, dichiarativa, interrogativa indiretta, in cui il che è una congiunzione, viene spiegata. La consecutio funziona anche nelle proposizioni relative?

 

RISPOSTA:

Bisogna chiarire innanzitutto che il verbo servile dovere nella frase indica non un obbligo, ma una incertezza dell’emittente o l’eventualità dell’evento (dovessero portare = ‘forse, eventualmente portassero’). Questo significato è sfruttato soprattutto al presente e all’imperfetto, non con i tempi perfettivi (quelli che rappresentano l’evento come concluso); anche al presente e all’imperfetto, però, in alcune frasi risulta impossibile usare dovere con il significato di incertezza, soprattutto se esso si trova in una proposizione subordinata. Per non confondere il problema dei tempi verbali con quello dell’uso del verbo dovere, quindi, eliminerò quest’ultimo nelle riformulazioni della frase che farò. 
Nella frase del Corriere della Sera dovessero portare si comporta come avesse nella frase “Guarderei volentieri un film che avesse come protagonista Al Pacino” (su cui verte la risposta  “Il congiuntivo imperfetto nella proposizione relativa”  dell’archivio di DICO). La costruzione non cambia se la reggente è all’indicativo presente (rischiano) o al condizionale presente (guarderei). La differenza tra le due frasi è, piuttosto, nel diverso comportamento di avesse e dovessero portare avanti: quest’ultimo verbo, infatti, si lascia interpretare con maggiore difficoltà come passato rispetto ad avesse, sebbene già in quel caso l’interpretazione passata della relativa fosse piuttosto forzata. L’interpretazione passata è più plausibile eliminando dovere… che cosa rischiano i lavoratori che portassero (= portavano) avanti la mobilitazione, ma la costruzione e il significato della frase richiederebbero, per riferirsi al passato, un tempo perfettivo: … che cosa rischiano i lavoratori che hanno / abbiano portato avanti la mobilitazione
Se, quindi, interpretiamo la frase così com’è come riferita al presente con una proiezione nel futuro il congiuntivo imperfetto ha la stessa funzione che avrebbe il presente: … che cosa rischiano i lavoratori che portino avanti la mobilitazione. Le due versioni della frase, con il congiuntivo presente e imperfetto (ovviamente senza dovere) sono equivalenti; molti parlanti preferiscono, però, la versione con l’imperfetto perché le relative al congiuntivo esprimono sfumature ipotetiche, normalmente associate al congiuntivo imperfetto, tipico della proposizione ipotetica (che portassero avanti = se portassero avanti). 
Questa risposta riguarda direttamente le domande 1 e 2. Per quanto riguarda le domande 3a e 3b si noti che la frase “Si può dire che cosa rischiano i lavoratori che portino avanti la mobilitazione” è corretta, ma, come detto sopra, i parlanti preferiscono usare il congiuntivo imperfetto nelle proposizioni relative (non cercherei altre ragioni semantiche troppo sottili per spiegare questa preferenza).
Infine, le grammatiche descrivono la consecutio temporum soltanto per le proposizioni completive perché soltanto con queste proposizioni il sistema funziona in modo regolare; nelle altre proposizioni, invece, i modi e i tempi tendono a mantenere la loro funzione propria, indipendente dal rapporto con il verbo della proposizione reggente. Tra tutte, la proposizione relativa ha il comportamento più indipendente di tutte.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Il giorno in cui un’altra civiltà mondiale dovesse sostituirsi con prepotenza a quella occidentale, ci faranno pagare anche i crimini di Scipione in Africa e di Alessandro in Persia…”.
Chiedo un parere professionale su quel futuro dopo il congiuntivo. È giusto ci faranno pagare per intendere un evento futuro che può accadere da quel momento, o sarebbe più corretto il condizionale: ci farebbero pagare? Sono entrambe accettabili?

 

RISPOSTA:

Entrambe le soluzioni sono possibili e corrette. Con il condizionale l’evento è rappresentato come direttamente condizionato dall’evento del sostituirsi, quindi dipendente da esso; con l’indicativo esso è sganciato dalla relazione di condizione-conseguenza, quindi è rappresentato come più concreto.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Scrivo per chiedere se, secondo voi, nel contesto della frase sotto riportata la congiunzione ebbene ha più valore avversativo o conclusivo. 
“Gli avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene ha rifiutato”.
Io ritengo che abbia più un senso avversativo, è più facile sostituirla con maperòtuttavia rispetto che con quindi o pertanto, ma mi interessa capire anche il vostro punto di vista.
Ho consultato il dizionario Sabatini-Coletti in cui, a proposito di ebbene si legge che tale congiunzione può essere utilizzata “con valore anche avversativo, per segnalare una decisione o una circostanza contrarie all’aspettativa”. Vi è inoltre la seguente frase a mo’ di esempio: “la sua proposta è che io mi dimetta; ebbene, non ci sto”. Mi sembra molto simile a quella da me proposta: in entrambi i casi, infatti, vi sono sottese un’aspettativa (la proposta di una persona che io mi dimetta; la mia richiesta di farmi un favore) e una decisione o una circostanza contraria all’aspettativa (io non voglio dimettermi; una persona ha rifiutato la mia richiesta di favore). 

 

RISPOSTA:

La domanda è più insidiosa di quanto sembri a prima vista. Innanzitutto escludo che ebbene sia sostituibile con tuttavia o simili, perché tale sostituzione (per quanto grammaticalmente possibile) modificherebbe il significato della frase. La frase, infatti, non mette in contrapposizione due eventi, ma presenta prima un evento e poi un altro che ne rappresenta l’esito. Il significato che tale esito sia contrario alle speranze dell’emittente non è contenuto in ebbene, ma è inferito dal ricevente sulla base della sua conoscenza del mondo: la frase “Gli avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene ha accettato” sarebbe ugualmente coerente nel contesto adeguato. Dal punto di vista testuale, ebbene ha la funzione di segnale discorsivo metatestuale che serve a introdurre la conclusione di un racconto; il valore che meglio lo descrive, anche se in termini non tecnici, è pertanto quello conclusivo (ebbene si avvicina qui a insomma: “Gli avevo chiesto se poteva farmi un favore, insomma ha rifiutato”).
Possiamo considerare l’esempio del Sabatini-Coletti analogo alla sua frase; non condivido, però, l’interpretazione data dal dizionario. Aggiungo che il valore avversativo per ebbene non è menzionato né dal Sabatini-Coletti on line, né dal GRADIT, né dallo Zanichelli, né dal Devoto-Oli, né dal Dizionario Garzanti. 
Sulla base dell’analisi condotta – si noti – la frase risulta formata da due enunciati giustapposti, tant’è che richiederebbe un segno di interpunzione forte prima di ebbene (… se poteva farmi un favore; ebbene, ha rifiutato o anche … se poteva farmi un favore. Ebbene, ha rifiutato), proprio come nell’esempio del Sabatini-Coletti.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

In un post di un’economista ho trovato questa frase che mi ha creato molti dubbi.
“Nonostante tutto quello che si scriva e che si dica, sono orgogliosa di come l’Italia e gli italiani abbiano reagito”.
Questa frase è corretta?
Si possono sostituire tutti i congiuntivi con l’indicativo? Per me è più naturale dire sono orgogliosa di come hai risolto la situazione o hai reagito, perché è un dato oggettivo. Avrei usato l’indicativo anche dopo nonostante tutto quello che, anche se so che dopo nonostante ci vuole il congiuntivo.

 

RISPOSTA:

Nella frase che lei ha letto i congiuntivi si scriva e si dica sono effettivamente al limite dell’accettabilità; sarebbe meglio sostituirli con le forme equivalenti dell’indicativo. Questi verbi non sono, infatti, inseriti in proposizioni concessive introdotte da nonostante (nonostante tutto quello è un sintagma nominale che fa parte della reggente), ma si trovano all’interno di proposizioni relative (che si scrive e (che) si dice), che qui, come nella maggioranza dei casi, richiedono l’indicativo. Al contrario, il congiuntivo abbiano reagito all’interno della proposizione interrogativa indiretta è del tutto corretto; l’indicativo hanno reagito sarebbe una variante ugualmente legittima, ma meno formale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

vorrei farvi una domanda relativa al congiuntivo trapassato e al trapassato prossimo dell’indicativo.
Se non sbaglio, questi tempi necessitano di un altro passato al quale agganciarsi per essere giustificati (a meno di non essere usati in frasi autonome, nel caso esclusivo del congiuntivo).
La domanda è questa: annullando lo stacco temporale che stabilisce cosa è avvenuto prima di cosa, sarebbe possibile sostituire il congiuntivo trapassato con il passato e il trapassato prossimo con il passato prossimo, oppure queste sostituzioni confliggerebbero con la sintassi?

1) Sono convinta che lei
a) fosse uscita
b) sia uscita,
prima che lui arrivasse.

2) Penso che lei
a) avesse sbagliato
b) abbia sbagliato
a tacere, quando lui le chiese di parlare.

3) Prima di uscire,
a) aveva salutato
b) ha salutato
tutti gli amici.

 

RISPOSTA:

Innanzitutto bisogna ricordare che il trapassato si può usare anche se non c’è nella frase un altro tempo passato, perché quest’ultimo può essere sottinteso. Una frase come “Sono convinta che lei fosse uscita”, per esempio, sarebbe del tutto corretta. 
Fatta questa premessa, la risposta alla sua domanda è sì: il trapassato può essere sostituito con il passato senza provocare un errore sintattico. Il significato della frase in alcuni casi rimane sostanzialmente uguale con entrambi i tempi, in altri cambia. Nella sua frase 1, fosse uscita chiarisce che l’evento precede un altro evento passato, identificabile con arrivassesia uscita, dal canto suo, pone l’evento genericamente nel passato, non esplicitamente in un momento del passato che precede un altro evento. La proposizione temporale introdotta da prima che, però, è sufficiente a recuperare questa informazione: in questo caso, quindi, le due frasi hanno lo stesso significato, per quanto quella con il trapassato sia più precisa.
Nella sua frase 2 la situazione è completamente diversa: qui il rapporto nel passato è tra avesse / abbia sbagliato e chiese. Se volessimo sottolineare il rapporto temporale tra i due eventi dovremmo rappresentare il tacere, quindi lo sbagliare a tacere, non come precedente, ma come successivo al chiedere, quindi scriveremmo “Penso che lei avrebbe sbagliato a tacere, quando lui le chiese di parlare”. Possiamo, però, rappresentare i due eventi come contemporanei, collegati da un rapporto non temporale, ma consequenziale (e solo implicitamente anche temporale): per far questo useremo il passato: abbia sbagliato. In entrambi i casi il trapassato non è un’opzione corretta.
Nella frase 3 la scelta del tempo del verbo della reggente dipende da quale sia il momento di riferimento. Se esso è il momento dell’uscire allora l’evento del salutare può essere rappresentato come semplicemente passato, ma ovviamente precedente all’evento dell’uscire per via della congiunzione prima di, oppure come esplicitamente precedente a quello dell’uscire. La differenza sta nel grado di precisione. Se, però, viene introdotto un diverso momento di riferimento passato, ha salutato diviene impossibile (o almeno molto trascurato); per esempio: “Mi dissero che aveva salutato (non ha salutato) prima di uscire”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Trovandomi al supermercato, ho deciso di fare la spesa per tutta la settimana”. Quale delle affermazioni seguenti è corretta relativamente all’uso del gerundio in questo periodo?
– È corretta perché il gerundio è usato in modo impersonale
– È corretta perché esprime contemporaneità tra la proposizione reggente e la subordinata
– È corretta perché il soggetto della proposizione reggente coincide con quello della subordinata

 

RISPOSTA:

Prima di entrare nel merito della risposta sottolineo che le tre opzioni dovrebbero cominciare con è corretto, non con è corretta, visto che si riferiscono all’uso del gerundio, non all’affermazione.
Per quanto riguarda il gerundio, l’unica opzione sicuramente sbagliata è la prima, perché il gerundio non è impersonale. Tra la seconda e la terza preferisco la terza, perché la seconda afferma che il rapporto di contemporaneità rende il gerundio corretto, mentre il gerundio sarebbe corretto anche se il rapporto con la reggente fosse di anteriorità: essendomi trovato / trovata al supermercato, ho deciso…
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Rileggendo un vecchio testo a mia disposizione, ho notato un periodo particolarmente complesso sotto il profilo sintattico. Mi piacerebbe apprendere la vostra visione circa gli intrecci temporali e i rapporti tra le proposizioni: «Avevo saputo che un mio caro amico d’infanzia lamentava molti dolori e una forte stanchezza. Temevo che in futuro avrei dovuto mettere in conto che potesse essersi ammalato».
Per prima cosa vi domando se l’autore ha ben impostato il periodo; mi permetto poi di chiedere che cosa cambierebbe a livello di contenuto se avesse scritto: «Avevo saputo che un mio caro amico d’infanzia lamentava molti dolori e una forte stanchezza. Temevo che in futuro avrei dovuto mettere in conto che si fosse ammalato».

 

RISPOSTA:

La frase è ben formata solo se la seconda frase intende riferire l’essersi ammalato alla situazione descritta nella prima frase, quindi se lo scrivente intenda dire che sospetta, ma non accettare, che l’amico si sia ammalato, e prevede, temendolo, che solo in futuro potrà accettare questa possibilità. Se lo scrivente, invece, nel momento in cui sta scrivendo pensa semplicemente che il suo amico si sia ammalato, la frase dovrà essere temevo che in futuro avrei dovuto mettere in conto che potesse essersi ammalato. Ancora, se lo scrivente pensa che i sintomi accusati dall’amico siano anticipatori di una possibile malattia futura, non rivelatori di una malattia presente, la frase dovrà essere temevo che in futuro avrei dovuto mettere in conto che potesse ammalarsi.
La sua riscrittura è equivalente alla frase originale, tranne che per la mancanza della sfumatura potenziale. In essa, quindi, l’annalarsi dell’amico è dato come un’eventualità più concreta.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

n

RISPOSTA:

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho dei dubbi relativi all’analisi del periodo.

1. “Ho bisogno di mangiare”  e “Bisogna mangiare”
È giusto dire che nel primo caso “di mangiare” è una proposizione dichiarativa e  che nel secondo caso “mangiare” è una proposizione soggettiva?
2. “Sa sempre cosa dire”
Non capisco se “sa” introduce una proposizione oggettiva o un’interrogativa indiretta.
Come faccio a distinguere le proposizioni in dipendenza dal verbo ‘sapere’?

 

RISPOSTA:

1. “Ho bisogno di mangiare”: proposizione oggettiva. Capisco che bisogno, essendo un sostantivo, possa indurre l’interpretazione come dichiarativa, però l’espressione avere bisogno di è davvero avvertita come unitaria, cioè come se fosse un verbo (necessitare di). Comunque son minuzie, tanto più che le dichiarative, le oggettive, le soggettive e le interrogative indirette possono essere analizzate in un’unica categoria, cioè quella delle completive, il che risponde anche alla domanda successiva.

2. Sapere introduce una interrogativa indiretta se il che successivo è interpretabile come che cosa: “Sa sempre che dire” = che cosa / cosa. Nel suo esempio, essendoci addirittura il solo cosa, l’interpretazione è inequivocabilmente quella di completiva interrogativa indiretta. In casi come, per esempio, “So che stai male”, l’interpretazione non può essere ‘so che cosa stai male” e quindi non si tratta di interrogativa bensì di completiva oggettiva.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

La frase “Non avevo visto che STESSE piovendo” è corretta o si dovrebbe dire “Non avevo visto che STAVA piovendo”? Quale è la differenza?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette; in questo caso la differenza tra congiuntivo e indicativo non è semantica (il significato non cambia), ma solo di registro: l’indicativo è più adatto al parlato, ma anche allo scritto di bassa e media formalità; il congiuntivo è adatto allo scritto di media e alta formalità
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei porvi due domande circa il seguente periodo:
“Ti girerò prossimamente tutte le informazioni che entro la mattinata di domani dovrei ricevere / aver ricevuto”.
Prima domanda: è corretto l’uso del verbo modale? (Nell’esempio è stato inserito dovere, ma si sarebbe potuto scegliere anche volere o potere: “…entro la mattinata di domani potrei ricevere / aver ricevuto”; “…entro la mattinata di domani vorrei ricevere / aver ricevuto”).
Seconda domanda: sono giustificabili sia l’infinito presente sia quello passato in funzione di dove il parlante decida di collocare il cosiddetto centro deittico? In altre parole, se si situa il punto di vista alla fine della mattinata del giorno successivo, l’azione del ricevere potrebbe essere espressa
con l’infinito passato?

 

RISPOSTA:

Il verbo modale è corretto: dovere assume qui valore epistemico, ovvero esprime l’incertezza dell’emittente circa l’effettivo verificarsi dell’evento del ricevere. L’unico verbo modale un po’ forzato è volere, ma soltanto per ragioni semantiche: difficilmente si troverebbe un contesto in cui la frase con il verbo volere sia coerente. Per quanto riguarda il tempo dell’infinito, le cose stanno come ipotizza lei: il presente presenta l’evento del ricevere come futuro, quindi assume come centro deittico il momento dell’enunciazione; il passato lo presenta come già avvenuto, quindi assume come centro deittico quello del girare, che funge da momento di riferimento.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho bisogno di un chiarimento circa l’uso dei due punti e le congiunzioni. Ho letto che i due punti possono svolgere la funzione di connettivo e possono essere usati al posto di congiunzioni dichiarative (infatti, tant’è vero che) oppure al posto di quelle conclusive (perciò, quindi, dunque, pertanto) o quelle esplicative (cioè, vale a dire, in altre parole). È corretto ciò che ho letto?
Alcune fonti dicono che nulla esclude la possibilità di usare contemporaneamente i due punti e la congiunzione. Secondo questi ultimi usarli entrambi renderebbe più particolarmente evidente il nesso logico. Altre, invece, asseriscono che l’uso di entrambi non sia giusto dal punto di vista stilistico, poiché la congiunzione finisce per smorzare l’effetto di immediatezza perseguito con i due punti.
Volevo un vostro parere al riguardo. 
Oltre a ciò, volevo chiedere se i due punti possono precedere il ma. Su questo non ho trovato niente in rete, però nella scrittura giornalistica è abbastanza usato. Voi che ne pensate? In quali casi è possibile farlo? 

 

RISPOSTA:

I due punti possono fare le veci di un connettivo: è tardi, quindi sbrigati = è tardi: sbrigati. Si può dire, pertanto, che possono avere la funzione di un connettivo. L’uso dei due punti insieme a un connettivo è un fatto, come lei stesso scrive, di stile: in questo ambito ogni scelta è ammissibile e deve essere commisurata al gusto personale. I due punti inseriti prima di ma sono insoliti; questo segno, infatti, introduce una spiegazione, un’informazione aggiuntiva, una conseguenza, mentre ma stabilisce un’opposizione. Non si può escludere che ci siano contesti in cui l’accostamento sia sensato, ma in generale può essere considerato una forzatura.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi pare che, al di là di può darsi potrebbe darsi, siano numerosi i sintagmi che, pur introducendo una soggettiva, sono incompatibili con il condizionale. Mi vengono in mente è / sarebbe impossibile opportuno inaccettabile che ecc. Vorrei a questo punto formulare un paio di domande al riguardo.
Quando le soggettive ammettono il condizionale e quando invece questo modo originerebbe una costruzione scorretta? Se, ad esempio, la frase posta dall’utente fosse stata costruita diversamente, quale sarebbe stato il risultato a livello sintattico?
Se fosse organizzato uno sciopero, è / sarebbe impossibile che [rimanere] a casa.
Se fosse organizzato uno sciopero, è / sarebbe impensabile che [rimanere] a casa.
Un’ultima domanda, il tempo del congiuntivo in una soggettiva cambia o può cambiare in base a quello con cui è costruita la reggente. Come riportato sopra, la scelta tra è e sarebbe è condizionante?
È probabile che venga / Sarebbe probabile che venisse?

 

RISPOSTA:

Non ci sono restrizioni sintattiche all’uso del condizionale nella soggettiva; semplicemente è incoerente descrivere un evento come condizionato (quindi possibile, aleatorio) nella soggettiva quando nella reggente si dichiara che quell’evento è vietato oppure necessario. Di conseguenza, le espressioni che esprimono divieto o necessità e reggono una soggettiva rifiutano il condizionale. Al contrario, le espressioni che esprimono dubbio (con le mille sfumature possibili) lo ammettono; è il caso della seconda frase: è / sarebbe impensabile che rimarrei a casa.
Alle espressioni che esprimono divieto può essere assimilata anche è impossibile, che, però, esercita un rifiuto meno netto del condizionale (rispetto, per esempio, a è vietato). Il condizionale, per esempio, sarebbe accettabile nella prima delle due frasi: è / sarebbe impossibile che rimarrei a casa.
Per quanto riguarda la seconda domanda, lei confonde il tempo con il modo, se capisco bene: si chiede, infatti, se l’alternanza di è (indicativo presente) e sarebbe (condizionale presente) nella reggente provochi conseguenze nella scelta del tempo della subordinata soggettiva. La risposta è che in generale il presente nella reggente funziona allo stesso modo ai fini della consecutio a prescindere dal modo. C’è, però, un’eccezione, che riguarda i verbi che esprimono desiderio, necessità, opportunità: questi verbi al condizionale presente nella reggente si comportano come tempi del passato. Per questo motivo abbiamo:
È / Sarebbe probabile che venga.
Ma:
È meglio che venga / Sarebbe meglio che venisse.
Un approfondimento di questa particolarità della reggenza si può leggere nella risposta “Vorrei” usare il tempo giusto del congiuntivo dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Stando alla consecutio, una subordinata anteriore a una reggente al condizionale presente può essere costruita con il trapassato prossimo, il passato remoto e l’imperfetto dell’indicativo. Vi chiederei se, in una frase come la seguente, siano possibili anche altri tempi verbali:

(Se Caio mi parlasse in presenza di Sempronio), non saprei mai se…
a. abbia detto la verità.
b. avrebbe detto la verità.

La soluzione b non dovrebbe essere intesa come futuro nel passato, ma come anteriorità rispetto al condizionale presente.
Trattandosi inoltre di una proposizione negativa, il passato prossimo previsto dalla consecutio può essere trasformato (soluzione a) in congiuntivo passato?

 

RISPOSTA:

La soluzione a è corretta. Nella frase è possibile usare anche il presente: non saprei mai se dica / dice la verità e l’imperfetto: non saprei mai se dicesse / diceva la verità. In alcuni contesti sarebbe possibile anche il trapassato: non saprei mai se avesse detto / aveva detto la verità (prima di essere accusato). Il passato remoto è, per la verità, l’unico tempo non coinvolto nella consecutio: per esprimere l’anteriorità rispetto al presente si usa il passato prossimo (o il congiuntivo passato), l’imperfetto o, se c’è un evento intermedio, il trapassato.
Per valutare la funzione del condizionale passato ci sarebbe bisogno di un contesto più ampio: sarebbe di condizionale in una frase come non saprei mai se avrebbe detto la verità (se fosse stato costretto); sarebbe, invece, di futuro nel passato in una frase come non saprei mai se avrebbe detto la verità (dopo quello che era successo).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Traducevo una frase di un libro in lingua inglese.
Questa è la frase originale: “Cheng tried to hide overt function. So one sees that inhaling on posture and exhaling on transition seems to preclude application: this conforms to Cheng’s concealing use so that one remained relaxed throughout the form”.
Io l’ho tradotta in questo modo: “Cheng ha cercato di nascondere la funzione palese. Quindi si vede che l’inalazione sulla postura e l’espirazione durante la transizione sembrano precludere l’applicazione: questo è conforme all’uso occultante di Cheng in modo che si rimanga rilassati per tutta la forma.
In base a quello che si potrà interpretare, le mie domande sono queste: funzione palese si riferisce alla respirazione? Il verbo use si riferisce all’uso del respiro? 
Mi rendo conto sempre più spesso che in tante occasioni per capire quello che una persona scrive si dovrebbe parlare direttamente con l’interessato. A volte tante frasi suonano molto ambigue.

 

RISPOSTA:

L’impossibilità di chiedere spiegazioni allo scrivente è uno dei “difetti” dello scritto. Da questo deriva la necessità di cercare la massima chiarezza nello scritto, per prevenire l’ambiguità.
Nel suo caso, l’espressione overt function sembra riferirsi al meccanismo della respirazione descritto, come da lei ipotizzato. Use, invece, non è un verbo, ma un nome (infatti lei l’ha tradotto l’uso) e va considerato insieme all’aggettivo concealingconcealing use sembra definire un sistema generale all’interno del quale si inserisce anche la tecnica di respirazione descritta (che infatti si conforma a quest’uso, o sistema).
Un piccolo avvertimento sulla traduzione: so that one remained sarebbe ‘così che si rimanesse’ (non rimanga).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Nome, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

n

RISPOSTA:

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per chiedervi un parere circa la correttezza di questa frase letta su un sito dedicato al gioco del Fantacalcio: “se svincolandolo (il giocatore x) POTRESTE puntare a centrocampisti migliori, allora potreste pensare seriamente di svincolarlo”.
Ho dei dubbi sulla correttezza del primo potreste: è un errore dettato magari dal gerundio precedente?
Sciogliendo il gerundio, la frase si potrebbe trasformare in “(Mi chiedo) se, qualora lo svincolaste; potreste puntare a centrocampisti migliori: allora potreste seriamente…”?
A dire il vero mi sembra, quest’ultima, un’operazione un po’ farraginosa.
Cioè, quali sono le possibili forme corrette di questa frase? E’ possibile giustificare questo condizionale leggendovi una interrogativa? O si tratta semplicemente di un errore?

 

RISPOSTA:

Si tratta di un errore: la sua riformulazione in realtà  crea una frase diversa, che non si può confrontare con quella iniziale. Il verbo potreste si trova all’interno di una proposizione ipotetica (se potreste puntare a centrocampisti migliori), quindi non è corretto, perchè le ipotetiche non ammettono il condizionale. La frase deve essere modificata così: se poteste puntare a centrocampisti migliori.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Leggo e sento spesso frasi del tipo “Mi manca NON poterti abbracciare”, “Mi manca NON poterti sentire”…
A mio avviso il NON non è necessario perché il senso di queste frasi è “vorrei tanto poterti abbracciare/sentire, peccato che non sia possibile!”.
Perché allora c’è chi sbaglia? Come può essere spiegato questo errore?

 

RISPOSTA:

La sua osservazione è corretta: a rigore, le frasi da lei riportate significano il contrario di quello che certamente intendono comunicare. Questa contraddizione, però, è quasi giustificabile, tanto che la considererei un errore veniale (almeno in contesti informali). Il verbo mancare, infatti, contiene due significati combinati: ‘non avere qualcosa’ e ‘soffrire (per la condizione del non avere qualcosa)’. Nelle frasi che lei riporta emerge chiaramente il tratto del soffrire, mentre quello del non avere si ricava per deduzione. L’emittente, evidentemente, sente l’esigenza di esplicitare questo tratto, cioè che allo stato attuale l’evento (dell’abbracciare, del sentire o altro) non si sta verificando attraverso l’avverbio non.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Volevo chiedervi se questo testo è ben scritto: 

“La ladra conosce bene la vittima, le sue abitudini e progetta di fare il furto da diverso tempo. Ha pianificato tutto nei minimi dettagli, con tanto di lunghi sopralluoghi volti a individuare il momento giusto per entrare in azione. In breve, lei è già pronta per entrare in azione”.

Volevo sapere se la seconda frase è scritta in maniera comprensibile o se ci fosse un altro per formularla, magari anche con altri termini. Ho usato il tempo presente e anche il passato. Volevo sapere se è corretta l’espressione “sopralluoghi volti a individuare” oppure se era meglio un altra locuzione, come “sopralluoghi per individuare”. Io ho omesso quest’ultima per evitare di ripetere la parola “per”, perché da quanto so le ripetizioni possono stonare o risultare sgradevoli al lettore. Un’altra cosa che volevo domandarvi è se l’ultima frase ci sta e si collega bene al resto del discorso.

 

RISPOSTA:

Dal punto di vista grammaticale, il testo non contiene errori; anche se due punti sono migliorabili. Si tratta della finta elencazione della prima frase (conosce bene la vittima, le sue abitudini e progetta di fare il furto) e del soggetto dell’ultima frase (lei).
Per quanto riguarda l’elencazione, le sue abitudini è un secondo complemento oggetto retto da conosce, mentre progetta… è una seconda proposizione giustapposta alla prima. I tre elementi, quindi, devono essere sistemati in modo da distinguere il diverso rapporto reciproco; per esempio così: conosce bene la vittima e le sue abitudini, e progetta di fare il furto.
Il soggetto pronominale dell’ultima frase dovrebbe essere omesso, perché coincide con quello della frase precedente (quindi In breve, è già pronta…). Se lo si esprime, sembra che rimandi a qualcun altro.
Per il resto, i sui dubbi riguardano scelte stilistiche che dipendono dal gusto personale e dal registro scelto. Per esempio, volti a è più formale di per, mentre l’espressione entrare in azione è un po’ trita.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo in merito all’analisi del seguente periodo:

“Jacopo aveva l’intenzione di confessare ai suoi genitori di essere uscito prima da scuola senza permesso, ma poi non l’ha fatto, perché temeva una possibile punizione”.

– Jacopo aveva l’intenzione = prop. principale;
– di confessare ai suoi genitori = sub. dichiarativa di 1° grado implicita;
– di essere uscito prima da scuola senza permesso = sub. oggettiva di 2° grado implicita;
– ma poi non l’ha fatto = coord. avversativa alla principale;
– perché temeva una possibile punizione = sub. causale alla coord. avvers. (1° gr.) espl.

Il mio dubbio riguarda la proposizione ma poi non l’ha fatto, che io considererei coordinata alla principale, anche se il pronome lo in funzione anaforica si riferisce alla subordinata di 1° grado.

 

RISPOSTA:

La proposizione è coordinata alla principale. Se fosse coordinata alla subordinata di primo grado sarebbe anche subordinata alla principale, ma la frase avrebbe questa forma: “Jacopo aveva l’intenzione di confessare ai suoi genitori […] ma poi (aveva l’intenzione) di non farlo. 
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Punteggiatura

QUESITO:

Vorrei sapere se tra un discorso diretto e un successivo disse ci vuole o no la virgola, e, se è opzionale, che differenza c’è. Esempio: “Voglio andare al parco”, disse Andrea.

 

RISPOSTA:

La virgola è necessaria. 
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho incontrato difficoltà nell’esprimere due concetti evitando ripetizioni e, al tempo stesso, componendo una costruzione grammaticalmente corretta ed esaustiva.
Il primo concetto era questo:
“Lui non parla a lei e lei non parla a lui”.
Al di là dell’immediata “loro non si parlano”, si sono affacciate alla mia mente alcune soluzioni, sulle quali apprezzerei la vostra opinione.
1. Lui non parla a lei e viceversa.
2. Lui non parla a lei e lei altrettanto/lo stesso.
3. Lui non parla a lei e lei fa altrettanto/lo stesso.
4. Lui non parla a lei e lei fa lo stesso verso di lui / nei suoi confronti.
Quale consigliereste tra le quattro (indipendentemente dalla scelta tra altrettanto e lo stesso, che a mio avviso sono equivalenti)?
Il secondo concetto era fondato su un’azione comune a due soggetti (“mio fratello e io stiamo in silenzio per protesta”). Per effetti di enfasi, volevo costruire la frase così: 
“Io sto in silenzio per protesta e anche mio fratello fa lo stesso/altrettanto”.
Il sintagma fa lo stesso / fa altrettanto può sostituire la frase stare in silenzio?

 

RISPOSTA:

Per quanto riguarda il primo dubbio, le opzioni sono tutte corrette e possibili, quindi la scelta è soggettiva. Personalmente preferisco la 3, perché è meno ellittica delle prime due, ma anche più sintetica della 4. Proprio la 4, per la verità, è la meno felice delle quattro, perché fare qualcosa verso qualcuno è un po’ insolito, e nei suoi confronti è ambiguo (nei confronti di lui o nei confronti di lei, riflessivamente?). Proporrei anche una quinta opzione: “… e lei fa lo stesso con lui”.
Il secondo dubbio mi pare riguardi la possibilità del verbo fare di sostituire stare, visto che il primo esprime un’azione e il secondo uno stato. In questo caso la sostituzione è legittima, perché fare prenderebbe non il significato di ‘operare, comporre, costruire’, ma quello di ‘comportarsi’, del tutto assimilabile a stare.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per avere un parere circa la correttezza della seguente frase: “Peccato quando troppi eventi positivi si accumulano tutti assieme, perché poi, quando servirebbe, il miracolo non arriva”. 
Specialmente, non sono del tutto sicuro che il condizionale semplice dopo il quando sia del tutto conforme alla norma.

 

RISPOSTA:

La frase è ben formata e il condizionale si giustifica per il valore potenziale, come vi fosse un’ipotesi sottintesa: (se arrivasse il miracolo) servirebbe.
Naturalmente, sarebbe corretto anche l’indicativo: quando serve, il miracolo non arriva.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sintattico che mi assilla da tempo. Ho provato a dare un’occhiata al vostro archivio, ma ammetto di non essere stata brava nel risolvere così il caso che
vorrei mostrarvi.
Tutto è nato rispolverando i vecchi schemi della consecutio temporum e di come
applicarli alle formulazioni per me più ostiche.
Mi sono imbattuta in un periodo del genere:

Nel gennaio del 2010 il Presidente disse che la popolazione avrebbe dovuto
attendere (suppongo che sarebbe stato corretto anche doveva, nda) fino alla fine
del 2012 per constatare se le sue promesse erano state/ fossero state mantenute.

Il mio dubbio riguarda l’interrogativa indiretta.
Qui abbiamo tre momenti storici, uno per ogni azione: il gennaio del 2010 e la
fine del 2012 sono passati se osservati dal momento dell’enunciazione; la fine del
2012 è futura soltanto, chiaramente, al gennaio del 2010. Poi c’è un momento
intermedio, imprecisato, che porta alla fine del 2012 e dove si colloca l’azione
se le sue promesse erano state/fossero state.  
Per prima cosa vi chiederei se sia la sintassi del periodo sia la mia disamina
sono giuste.
Per me i guai più grossi cominciano se lo stesso periodo slitta al nostro
tempo.

Nel novembre del 2021 il Presidente disse che la popolazione avrebbe dovuto
attendere fino alla fine del 2022 per constatare se le sue promesse erano state/
fossero state mantenute.

Così strutturato, il periodo ha i soliti tre momenti storici, ma a differenza
dell’omologo del 2012, soltanto uno è passato (novembre 2021), se lo si osserva
dal punto di vista dell’enunciazione. Tutto il resto è futuro. La fine del 2022 è
totalmente futura; il periodo intermedio, invece, è futuro rispetto a ora ma
passato rispetto alla fine del 2022.
Vi domanderei se, definiti questi aspetti, la consecutio impone delle variazioni,
oppure restano corretti i trapassati.
Vi chiedo scusa per la prolissità della mia esposizione, ma ho cercato di fornire
più dettagli possibile per focalizzare le vulnerabilità del mio pensiero.

 

RISPOSTA:

Entrambi i periodi sono ben costruiti, sia nell’uso dei modi sia in quello dei tempi (incluse le sue varianti), e la sua analisi dei tre momenti è sostanzialmente corretta. In entrambi i casi il trapassato si giustifica perché, futuro o no (rispetto al momento dell’enunciazione) l’ultimo tratto, le promesse da constatare non possono che essere state formulate prima del loro mantenimento. Nel secondo periodo, essendo futuro (non solo rispetto alla promessa ma anche rispetto al momento dell’enunciazione) il momento del mantenimento delle promesse, è parimenti corretto il condizionale passato: se le sue promesse sarebbero state mantenute. Non è però scorretto neppure il trapassato congiuntivo (o indicativo), che si giustifica per una sorta di attrazione temporale da parte del passato della reggente (disse), che si porta dietro tutto il resto del complicato periodo.

 Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Se scrivendo una frase come “Voleva la medaglia d’oro, ma fallì”, siccome si intende che fallì non nel volere la medaglia ma nell’ottenerla, quest’ultimo verbo è sottinteso?

 

RISPOSTA:

Nella frase, in teoria se non si specifica in che cosa il soggetto fallisca, il verbo fallire si riferisce al volere; la logica, però, consente di colmare questo vuoto e chiarisce che il fallimento non può che riguardare l’ottenimento della medaglia.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Su alcune schede allestiste per l’apprendimento dell’italiano come L2 tra i verbi fraseologici figura anche
decidere seguito dalla preposizione di. Nutro non poche riserve sulla correttezza di questa informazione, che peraltro non trova riscontro su altri testi di grammatica consultati.  Inoltre, considerando, a titolo di esempio, il seguente periodo: “Decise di comprare un libro”, Decise è la proposizione principale di comprare un libro è la proposizione subordinata oggettiva implicita.
Si dovrebbero dunque individuare due predicati distinti e altrettante proposizioni.

 

RISPOSTA:

Il verbo decidere non è un verbo fraseologico: funziona sintatticamente in modo autonomo, e anche dal punto di vista semantico non aggiunge una sfumatura aspettuale ma esprime un significato ben distinto da quello del verbo della subordinata che regge.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Sui testi di grammatica italiana rivolti a studenti sia del primo sia del secondo ciclo spesso si legge che la coordinazione è possibile tra due o più proposizioni principali (“Io piango e tu ridi”) oppure tra proposizioni subordinate dello stesso grado e dello stesso tipo (“Andò da Marco per restituirgli il libro e ringraziarlo”).
Non è dunque mai ammessa una proposizione coordinata a un’altra coordinata?
A titolo di esempio, nel periodo: “Si avviò verso casa, ma fu bloccato in ufficio e fece tardi”, la proposizione e fece tardi non potrebbe essere una coordinata copulativa alla precedente coordinata avversativa ma fu bloccato in ufficio?

 

RISPOSTA:

La sua osservazione è corretta: una proposizione può essere coordinata a un’altra coordinata. I manuali che non riportano questo dettaglio probabilmente lo fanno perché ritengono implicito che se una proposizione può essere coordinata a una principale o un’altra dello stesso grado di subordinazione, può esserlo anche a un’altra coordinata che si trova sullo stesso piano.
Aggiungo che la coordinazione tra subordinate è possibile anche se le proposizioni sono di tipo diverso:  (avversativa) “Andò da Luca per restituirgli il libro ma senza averlo avvertito”;
(copulativa) “Andò da Luca perché Luca lo aveva chiamato e nonostante Luca non gli stesse simpatico”;
(disgiuntiva) “Vado al bar per fare due chiacchiere o se non ho altro da fare”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Queste due frasi sono scritte correttamente, anche a livello di punteggiatura? In particolar modo, mi interessa sapere se la congiunzione causale perché è appropriata per la frase oppure se ci sono altri modi per formularla meglio. La stessa cosa per quanto riguarda la seconda, cioè se anche quest’ultima è scritta correttamente o se si può formulare meglio. Inoltre mi interessa sapere se la virgola prima di fino a quando sia corretta oppure facoltativa. Nel caso in cui fosse opzionale, vorrei sapere quale sia la differenza fra le due varianti. 

1a) In seguito la ragazza tenta di afferrare lo spillo, ma inizialmente non ci riesce perché è eccessivamente minuscolo; tuttavia non si arrende, e finalmente dopo diversi sforzi riesce ad afferrarlo.
1b) In seguito la ragazza tenta di afferrare lo spillo, ma inizialmente non riesce: è eccessivamente minuscolo. Tuttavia non si arrende, e finalmente dopo diversi sforzi riesce ad afferrarlo.

2a) La ragazza lascia che l’olio coli giù dalla bottiglia fino a quando la pozzanghera d’olio diventa così grande che inizia ad allagare tutta la cantina. Va avanti così per 2 minuti.
2b) La ragazza lascia che l’olio coli giù dalla bottiglia, fino a quando la pozzanghera d’olio diventa così grande che inizia ad allagare tutta la cantina. Va avanti così per 2 minuti.

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti sono possibili e tutto sommato ben scritte, con qualche sbavatura nella prima frase. In questa, il perché è appropriato: alternative ugualmente valide sono in quantodal momento chepoichévisto chedato che. Aspetti migliorabili della frase sono altri: l’omissione del soggetto nella proposizione causale è inappropriata perché il soggetto della proposizione reggente è diverso; l’espressione eccessivamente minuscolo, inoltre, è ridondante, visto che minuscolo è semanticamente un superlativo (sarebbe come dire troppo minuscolo); l’espressione dopo diversi sforzi richiede un incassamento interpuntivo, perché è un’espansione, ovvero un dettaglio aggiuntivo, inserita in mezzo alla frase. L’espressione riesce ad afferrarlo, infine, è ripetitiva rispetto allo sviluppo precedente della frase: poco prima, infatti, è scritto tenta di afferrare… non ci riesce. Quest’ultima osservazione è di natura stilistica: la ripetizione è, in questo caso, sgradevole ma grammaticalmente legittima.
La prima versione della prima frase, pertanto, può essere migliorata così:

In seguito la ragazza tenta di afferrare lo spillo, ma inizialmente non ci riesce perché esso / questo è minuscolo / troppo piccolo; tuttavia non si arrende, e finalmente, dopo diversi sforzi, lo prende / ha successo.

Per la seconda versione della prima frase valgono le stesse osservazioni fatte per la prima versione. Per quanto riguarda la punteggiatura alternativa, è una soluzione valida tanto quanto la prima. I due punti svolgono qui la funzione di anticipare una spiegazione di quanto è stato detto prima; in questa versione, pertanto, la proposizione è eccessivamente minuscolo è esplicativa, non causale (come se fosse infatti è eccessivamente minuscolo). Si noti che il collegamento giustappositivo (ovvero la coordinazione tramite punteggiatura) tra la proposizione precedente e quella seguente i due punti rende più accettabile l’omissione del soggetto di quest’ultima: non è, quindi, necessario inserire al suo interno un pronome con la funzione di soggetto.
Il punto prima di tuttavia separa più nettamente la prima parte dalla seconda, creando due frasi, quindi due informazioni, distinte, mentre nella prima versione il punto e virgola separava le due parti mantenendo un collegamento logico più stretto. Allo stesso modo, la virgola prima di e tuttavia crea una piccola frattura logica tra l’informazione non si arrende e quella che segue, per cui la frase andrà interpretata come una sequenza di due informazioni tra loro collegate, non come un’unica informazione. Alla luce dell’aggiunta delle virgole che racchiudono dopo diversi sforzi è sensato non inserire questa virgola, per evitare la sequenza , e finalmente, dopo diversi sforzi, (si tratta, comunque, di una scelta stilistica: in nessuno dei due casi si incorre in errore). 
La virgola prima di fino a quando nella seconda frase opera allo stesso modo della virgola prima di e finalmente: produce una piccola frattura logica tra la parte precedente e quella successiva, indicando che la frase contiene due informazioni tra loro strettamente collegate, non un’unica informazione complessa. Senza virgola l’azione del lasciar colare è vista nell’ottica dell’allagare la cantina: la ragazza lascia colare l’olio proprio con questo scopo; con la virgola, invece, l’azione del lasciar colare è autonoma e l’allagamento è rappresentato come una conseguenza collegata, ma non insita nell’azione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Non so quale delle tre soluzioni sia da preferire e se ognuna di queste possa essere valutata corretta.
1) La promessa, da parte del direttore, che sarei stata ricontattata è stata disattesa.
2) La promessa, da parte del direttore, di essere stata ricontattata è stata disattesa.
3) La promessa che il direttore mi avrebbe ricontattata è stata disattesa.
Inoltre:
4) Il direttore mi ha assicurato di ricontattarmi
oppure
5) Il direttore mi ha assicurato che mi avrebbe ricontattato?

 

RISPOSTA:

Tra le prime tre opzioni la seconda è impossibile, perché non è sensato promettere di aver già fatto un’azione; la frase diverrebbe ben formata con l’infinito presente, che si proietta nel futuro: “La promessa, da parte del direttore, di essere ricontattata è stata disattesa”. In questa forma, la frase avrebbe lo stesso significato della 1.
Tra la prima e la terza c’è una differenza di significato: nella prima il direttore ha promesso che qualcuno (probabilmente il direttore stesso) avrebbe ricontattato il parlante; nella terza qualcuno ha promesso che il direttore avrebbe ricontattato il parlante.
Tra la 4 e la 5 c’è lo stesso rapporto che c’è tra la 1 e la 2 riformulata con l’infinito presente: stesso significato, ma la 5 ha la subordinata esplicita e la 4 ce l’ha implicita. In astratto la variante con la subordinata implicita è considerata più formale dell’altra, visto che il soggetto della subordinata coincide con quello della reggente; anche l’altra, però, sarebbe accettabile in contesti di media formalità anche scritta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Bisognerebbe che domani il professore telefonasse al preside, a meno che quest’ultimo non si metta / sia messo / mettesse / fosse messo in contatto con lui prima”.
Il congiuntivo passato e il congiuntivo trapassato sono corretti se li si interpreta come precedenti esclusivamente rispetto a domani?
Nelle vostre risposte ai quesiti, spesso si parla di tempi anaforici e tempi deittici. In questo esempio, i due composti del congiuntivo possono proiettarsi nel futuro rispetto al momento in cui la frase viene formulata?

 

RISPOSTA:

Nella sua frase il passato si sia messo non verrà mai interpretato come precedente all’evento futuro, ma sarà sempre inteso come precedente al momento dell’enunciazione, cioè al presente. La restrizione dell’interpretazione dipende dalla presenza di un verbo principale al presente; se questo mancasse la sfumatura da lei intesa sarebbe possibile (ma rimarrebbe ambigua):

“domani il professore telefonerà al preside, a meno che quest’ultimo non si sia messo (prima di adesso o prima di domani?) in contatto con lui prima”. 

Il trapassato, invece, non è giustificabile in nessuna delle due varianti della frase, perché non è nominato nessun evento passato rispetto al quale l’evento del mettersi in contatto sia anteriore.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

sto aiutando la mia nipotina che frequenta l’ultimo anno della scuola secondaria di I grado a svolgere degli esercizi di grammatica. Riconosco di essere un po’ arrugginita, ma ritengo che le frasi proposte siano difficili. La professoressa ha proposto delle situazioni comunicative con frasi da completare con il modo e il tempo adatti. Ha anche spiegato teoricamente come scegliere i tempi in base alle regole della lingua italiana, ma le incertezze restano. Riporto solo alcune delle frasi e aggiunto le proposte mie e di mia nipote.

1. Un gruppo di amici decide di andare in vacanza: qualcuno sceglie di partire in treno, qualcuno in auto, qualcuno in aereo. A causa di uno sciopero, la compagnia aerea cancella il volo. Uno dei membri della comitiva dice: “Se qualcuno di voi… (prendere) l’aereo, pazienza! Verrà con me in auto”___ AVREBBE PRESO oppure AVESSE PRESO?

2. Carla si lamenta sempre con la mamma perché ogni pomeriggio deve svolgere una marea di compiti. Stanca di ciò dice: ” Mi piacerebbe una scuola in cui non ci … (essere) compiti”____ SIANO o FOSSERO?

3. Dopo un litigio, Rocco riceve un messaggio minatorio anonimo. Per giorni pensa a chi possa averglielo inviato, ma non riesce proprio a capire. Rocco afferma: “A distanza di un mese, sembra che io non … (avere) ancora compreso da chi… (venire) questo  terribile messaggio”. ____ ABBIA; VIENE/VENIVA/VENGA/VENISSE?

Potreste spiegarmi brevemente il perché delle risposte corrette, soprattutto per la frase 3, in cui mi sembrano possibili così tante risposte?

 

RISPOSTA:

L’esercizio è certamente creativo anche se impegnativo, perché punta l’attenzione sull’uso vivo della lingua, sulla sua variabilità in base alla situazione e sulle tante sfumature di significato rese possibili dalla scelta dei verbi.
La frase più problematica è la prima, nella quale troviamo una proposizione ipotetica, che non ammette il condizionale, ma che non può per logica accettare altra forma verbale che il condizionale passato (o l’indicativo imperfetto, che è funzionalmente equivalente, ma decisamente trascurato). Il dilemma si risolve rilevando che se avrebbe preso è una costruzione sintetica per se aveva pensato che avrebbe preso; essa, cioè, condensa una proposizione ipotetica (se aveva pensato) e una oggettiva (che avrebbe preso), legittimamente al condizionale passato, per esprimere il futuro nel passato. Una simile costruzione non è grammaticalmente impeccabile, ma ha il vantaggio di semplificare un giro di parole ben più lungo ed è, inoltre, non ambigua. Per questi motivi, la sconsiglierei nello scritto e nel parlato formale, ma la considererei adeguata a un contesto informale come quello descritto. Ribadisco, comunque, che nessun tempo del congiuntivo può sostituire il condizionale passato nella proposizione così costruita (se qualcuno avesse preso l’aereo, pazienza esprimerebbe il rammarico del parlante per la possibilità che qualcuno avesse preso l’aereo, che non avrebbe senso nella situazione descritta, nella quale è noto che nessuno ha preso l’aereo): l’alternativa senz’altro corretta è se qualcuno aveva pensato di prendere (preferibile anche a se qualcuno aveva pensato che avrebbe preso, visto che il soggetto della reggente e quello della oggettiva coincidono). Se qualcuno aveva pensato, infine, è preferibile anche a se qualcuno avesse pensato, perché pone l’accento sulla precedenza temporale dell’evento del pensare, non sulla sua scarsa probabilità, che in questo contesto è di secondaria importanza.
Nella seconda frase sono ammissibili entrambi i tempi del congiuntivo da lei suggeriti, per ragioni diverse. Il presente è il tempo richiesto dalla consecutio temporum, visto che lo stato dell’essere è contemporaneo nel presente allo stato del preferire; l’imperfetto, invece, è il tempo preferito nella subordinata completiva quando nella reggente c’è un verbo di desiderio (preferire equivale a ‘volere maggiormente’). Ovviamente, qui la subordinata non è oggettiva, ma relativa, ma la costruzione una scuola in cui non ci fossero è quasi inevitabilmente assimilata a che nella scuola non ci fossero
Nella terza frase non ci sono dubbi su abbia per il primo spazio da riempire. Nel secondo spazio sono ammissibili senz’altro i presenti, che presentano il venire come contemporaneo al momento dell’enunciazione, per sottolineare l’attualità della lettera (il congiuntivo è più formale dell’indicativo, ma semanticamente non cambia niente tra i due modi). Gli imperfetti sono scelte meno felici, perché presentano il venire come precedente al momento dell’enunciazione in modo indeterminato, dando l’impressione che l’evento non abbia ripercussioni nel presente (mentre invece ne ha, visto che il soggetto si sta ancora sforzando di capire). Ammissibili al pari dei presenti sono il passato prossimo è venuto e il congiuntivo passato sia venuto, che sottolineano l’anteriorità del momento della ricezione della lettera rispetto al momento dell’enunciazione.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Entro stasera bisogna che il capoufficio mi chiami/mi abbia chiamato.”
“Entro stasera bisognerebbe che il capoufficio mi chiamasse/mi avesse chiamato.”
Se le due varianti proposte per ognuna delle frasi sono corrette, domando:
le forme verbali in questi casi sono riconducibili alla consecutio (abbia chiamato e avesse chiamato sono rispettivamente anteriori a bisogna e bisognerebbe), oppure indicano il grado di probabilità dell’evento (abbia chiamato e avessi chiamato sono meno probabili rispetto a chiami e chiamasse)?

 

RISPOSTA:

Il verbo bisognare (e analoghi: è necessariorichiesto ecc.) regge una completiva che ha due marche di subordinazione: il connettivo che (talora omesso) e il congiuntivo, che nel registro meno formale può tranquillamente sempre essere sostituito dall’indicativo. Il congiuntivo, pertanto, retaggio di antiche reggenze latine, serve a indicare la subordinazione e non il grado di eventualità (come erroneamente detto dalle grammatiche), tranne in alcuni ovvi casi come il periodo ipotetico ecc. (ma su questo troverà ampia documentazione nel nostro archivio delle risposte DICO digitando la parola congiuntivo). La completiva retta da bisogna non ha bisogno (scusi il gioco di parole) di specificare finemente il tempo dell’azione rispetto alla reggente; in altre parole, da adesso (momento dell’enunciazione, ovvero di chi dice bisogna) a quando l’enunciatore/trice ritiene che “bisogni”, l’azione si esprime di norma al presente (o all’imperfetto in dipendenza da bisognava). Oltretutto, nel suo esempio, l’azione della chiamata non è anteriore, bensì posteriore alla reggente (bisogna adesso), ma è semmai anteriore rispetto alla circostanza posta dallo/a stesso/a enunciatore/trice (entro stasera). Motivo per cui, a maggior ragione, non c’è alcun bisogno di utilizzare il passato (mi abbia chiamato / mi avesse chiamato), né c’entra nulla l’eventualità; come ripeto, infatti, il congiuntivo è richiesto (nello stile formale) come marca di subordinazione, non come indicazione di eventualità (bisogna, oltretutto, esprime la necessità non certo l’eventualità, sebbene non sia certo se la persona chiami o no). Quindi, la consecutio temporum non richiede affatto il passato e l’azione espressa al presente (o all’imperfetto) rappresenta l’alternativa migliore. Possiamo dunque dire che l’alternativa mi abbia / avesse chiamato sia (o è) scorretta? Non direi: con la lingua si può fare quasi tutto quel che si vuole e pertanto se un/a parlante sente l’esigenza di esprimere l’azione come anteriore vuol dire che la lingua gli/le consente di farlo, però mi sento di affermare che la soluzione al passato / trapassato sia / è meno appropriata, soprattutto a un contesto formale.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ieri mi sono trovata a formulare questo costrutto durante una conversazione telefonica in ambito professionale.
[…] abbiamo parlato la scorsa settimana a proposito di un passaggio di proprietà. Lei (in quell’occasione) mi aveva chiesto di interpellare…

La mia perplessità gravita attorno al salto dal passato prossimo al trapassato prossimo: le due azioni, infatti, sono contemporanee.
A mente fredda ho ipotizzato due soluzioni alternative, che però non mi convincono.
La prima consisterebbe nel passato remoto:
[…] la scorsa settimana parlammo a proposito di un passaggio di proprietà. Lei mi chiese di interpellare…
Per due eventi accaduti da pochi giorni e i cui effetti si prolungano nel presente, il passato remoto non mi parrebbe adatto.
La seconda soluzione consisterebbe nel passato prossimo per entrambi i predicati:
[…] abbiamo parlato la scorsa settimana a proposito di un passaggio di proprietà. Lei mi ha chiesto di interpellare…
Non so bene risalire alle motivazioni di carattere semantico, ma il secondo passato prossimo (mi ha chiesto), pur sintatticamente ineccepibile, nel caso non venisse accompagnato da una locuzione avverbiale o un avverbio (come, ad esempio, in quell’occasione, allora, eccetera).
Approfitto inoltre del tema introdotto per porvi un’ultima domanda.
Il ragazzo parlò della sua infanzia e del rapporto con le sue sorelle maggiori. Fu in quel momento che aveva aperto per la prima volta le porte del suo cuore.
Questa composizione è corretta? Come se ne spiegherebbe la scelta da parte di un parlante?
 

 

RISPOSTA:

La differenza tra passato prossimo e remoto non risiede, nonostante gli aggettivi fuorvianti (prossimo e remoto) nella maggiore o minore vicinanza rispetto al momento dell’enunciazione, bensì rispetto alle maggiori (prossimo) o minori (o nulle: il passato remoto è un po’ come l’aoristo greco: un passato visto nella sua assolutezza, del tutto svincolato dal presente e dal futuro) conseguenze che l’azione ha sull’enunciatore (o altri partecipanti all’azione) e sul momento dell’enunciazione. In altre parole, il passato remoto (comunque in forte regresso in tutt’Italia, e ormai anche al Sud) non può essere usato (in italiano standard) in espressioni che implicano conseguenze sul momento presente, quali, per es., “hai capito?”, “mi hai sentito?” ecc. (possibili, naturalmente, in dialetto: “capisti?”, “sentisti?” ecc.). È proprio per questo motivo, come con estrema sensibilità linguistica coglie Lei, che spesso, se il verbo è accompagnato da elementi circostanziali quali alcuni complementi avverbiali, sembra più naturale del passato remoto e viceversa: “La settimana scorsa abbiamo parlato”; un aggettivo come scorso ancora inevitabilmente l’azione al presente.

Veniamo ora al trapassato prossimo, che ha sempre un valore anaforico, cioè di riferimento anteriore a un’altra azione. Non sempre, tuttavia, questo riferimento è esplicito. Spesso si tratta di un quadro di riferimento generico, sfumato e inferibile dal contesto. Nel caso della prima frase da Lei citata (e la cui prima versione, guarda caso proprio quella effettivamente pronunciata e non ricostruita a posteriori a tavolino, è la più corretta),  la richiesta di interpellare qualcuno (“mi aveva chiesto di interpellare”) è giustamente interpretata dal locutore come anteriore al passaggio di proprietà di cui si stava discutendo, dal momento che il passaggio di proprietà non è ancora avvenuto e, anzi, proprio dell’eventualità o meno di farlo si sta discutendo. Quindi, con eccesso di razionalità a posteriori (ma la lingua non funziona mai così…), possiamo certo dire che l’azione del discutere e la richiesta di interpellare sono contemporanee, ma nella coscienza dei parlanti una gerarchia cronologica c’è ed è chiarissima: prima si interpella qualcuno e poi si decide (almeno nel contesto enunciativo da Lei fornito).

Dunque non c’è alcun salto indebito tra le due frasi e l’uso del passato prossimo e del trapassato prossimo, nel caso specifico, sono le scelte migliori.

Non sarebbero scorretti peraltro né “mi ha chiesto di interpellare”, né “mi chiese di interpellare”, ma sarebbero comunque meno felici del trapassato prossimo (“mi aveva questo di interpellare”). Il passato remoto è il meno adatto, non soltanto perché non modula finemente (a differenza del trapassato prossimo) sul rapporto tra i due eventi, come già detto, ma perché in realtà l’azione dell’interpellare non è aoristica (cioè svincolata dal presente), bensì fortemente ancorata alle conseguenze presenti e future: presumo, infatti, che da quell’interpellazione discenderà la decisione su se, come e quando procedere al passaggio di proprietà in questione.
Veniamo infine all’ultimo esempio: “Il ragazzo parlò della sua infanzia e del rapporto con le sue sorelle maggiori. Fu in quel momento che aveva aperto per la prima volta le porte del suo cuore”.

Aveva aperto non va bene, perché non ha alcun riferimento di anteriorità (addirittura in quel momento focalizza proprio la contemporaneità dei due eventi). Pertanto va mantenuto lo stesso tempo del contesto, cioè il passato remoto: “Fu in quel momento che aprì per la prima volta le porte del suo cuore”. Oppure, eliminando la frase scissa, qui in po’ ridondante: “Aprì allora per la prima volta…”.

Fabio Rossi 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho dubbi su questa frase. Potreste aiutarmi?
Il contesto è il seguente: due amiche si incontrano qualche settimana prima di Natale e si scambiano i regali . Una dice: “ho preferito darti il mio regalo ora, nel caso in cui non ci saremmo più viste”.
È corretta questa frase se riferita al futuro?

 

RISPOSTA:

L’unica forma inequivocabilmente corretta del periodo è la seguente: “ho preferito darti il mio regalo ora, nel caso in cui non ci vedessimo più”. Si tratta di un periodo ipotetico che ha, come protasi, una relativa impropria con valore ipotetico. Cioè è come se fosse: “se non ci vedessimo più, di do il mio regalo ora”. Come si comprende dalla riscrittura, non si può usare il condizionale nella protasi del periodo ipotetico: “se non ci saremmo viste più, ti do il mio regalo ora”.

Il suo dubbio è però del tutto legittimo, come tutti i dubbi dei parlanti sugli usi reali, ed è motivato da due ragioni:

1) perché il condizionale passato si usa per esprimere il futuro nel passato;

2) perché la frase ha un valore di eventualità (non sono sicuro di rivederti oppure no).

La soluzione del primo dubbio è semplice: non si tratta di futuro nel passato, infatti l’ipotetica non deriva dal passato ho preferito, bensì dal presente darti ora (come ribadisce l’avverbio ora). Sarebbe un futuro nel passato se fosse: “pensai che non ci saremmo più viste”.

La soluzione del secondo dubbio è altrettanto semplice: nella protasi del periodo ipotetico l’eventualità è espressa dal congiuntivo e non dal condizionale (che invece si usa nella sola apodosi, se occorre).

Una terza possibilità, al trapassato congiuntivo (“ho preferito darti il mio regalo ora, nel caso in cui non ci fossimo più viste”), sarebbe parimenti errata, perché in questo caso non si tratta di passato nel passato (non è dal passato “ho preferito” che dipende la protasi) ma di un eventuale futuro rispetto all’ora (cioè il presente) in cui ti do il mio regalo.

 

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

sto rispondendo a delle domande che ammettono una sola risposta esatta e, avendo dei dubbi, vorrei chiedere il vostro parere. Vi elenco le domande.
1) In quale delle seguenti frasi è presente una forma verbale che indica un’azione iterativa?
a) Il bambino ha cominciato a piangere non appena non ha più visto la sua mamma.
b) Finalmente ha smesso di piovere e possiamo fare la nostra consueta passeggiata.
c) Proseguiremo a lavorare con lo stesso impegno, anche se siamo un po’ sfiduciati.
d) Se foste stati al nostro fianco fino alla fine vi avremmo ricompensato a dovere.
e) Ho riletto con lo stesso interesse di quando ero ragazza il capolavoro di Manzoni.

2) Che tipo di proposizione contiene la frase “Sembra importante che la valigia spedita ieri giunga a Mario in tempo perché possa partire”?
a) Oggettiva
b) Causale
c) Consecutiva
d) Temporale
e) Relativa

3) In quale delle seguenti frasi che ha funzione di soggetto?
a) Sei stato scelto perché parli in un modo che tutti comprendono.
b) Mi sembra che il tuo consiglio sia più che buono.
c) Questo film è amato dai giovani che prediligono la fantascienza.
d) L’orso partorisce due o tre cuccioli che allatta con cura.
e) Il sentiero che la pioggia ha allagato è impraticabile.

4) In quale delle seguenti frasi che ha funzione di soggetto?
a) Ringrazierò personalmente gli amici che mi hai presentato.
b) Questi sono i locali che frequento negli ultimi tempi.
c) Ti assicuro che non sono stato a pescare.
d) Non so dirti che bella sorpresa sia stata la tua venuta.
e) La cometa che è stata avvistata scomparirà in pochi giorni.

5) Che tipo di proposizione contiene la frase “Avendo vissuto tanti anni all’estero, ho capito che molte cose sono migliori in Italia, a patto che tu sappia apprezzarle”?
a) Soggettiva
b) Modale
c) Temporale
d) Concessiva
e) Relativa

6) Quale delle seguenti frasi contiene una proposizione oggettiva?
a) Sembra che oggi tutti parlino a sproposito.
b) Spero in una tua risposta affermativa.
c) Sapendo che sei affamato, ti ho preparato un panino.
d) Fu chiaro a tutti che la partenza era rimandata.
e) Conosco tutte le peripezie che hai affrontato per venire qui.

7) Quale delle seguenti frasi contiene una proposizione soggettiva?
a) Se nevicherà ancora resteremo bloccati per qualche giorno.
b) Pur essendo molto piacevole stare in compagnia, talvolta preferisco la solitudine.
c) Sono sicuro che il viaggio sarà breve e sicuro.
d) Andrea ha capito subito che il suo contributo era importante per la comunità.
e) Il problema che mi sottoponi è difficile, ma lo risolverò.

8) Quale delle seguenti frasi contiene una proposizione relativa?
a) La notte è così buia che non mi avventurerò fuori.
b) Mi chiedo che idea strana ti sia venuta in mente.
c) Essendo i vostri disegni così ben fatti, non so quale scegliere.
d) Ritengo che tu sia poco propenso ad uscire stasera.
e) L’abito acquistato ieri mi è costato davvero tanto.

9) Il periodo “Dice di non sapere chi verrà alla riunione”, include:
a) Una proposizione relativa.
b) Una proposizione interrogativa.
c) Una proposizione modale.
d) Una proposizione esclusiva.
e) Una proposizione temporale.

10) Quando il martello gli colpì erroneamente la mano, Luca emise un forte …”. Quale termine, tra quelli elencati, NON completa sensatamente la precedente frase?
a) urlo.
b) rantolo.
c) pianto.
d) grido.
e) strillo.

 

RISPOSTA:

1e (iterativo = che si ripete); 2c (la proposizione consecutiva è perché possa partire; 3c; 4e; 5d (a patto che tu sappia apprezzarle; possibile anche interpretare come temporale la gerundiva avendo vissuto tanti anni all’estero, che, però, è più decisamente causale); 6c (che sei affamato); 7b (stare in compagnia); 8e (acquistato ieri); 9b (interrogativa indiretta: chi verrà alla riunione); 10b (il rantolo è per sua natura sommesso, non forte; anche emise un forte pianto sembra un po’ forzato, visto che il pianto è un’azione durativa).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1a) Se fossi certa che lui non mi risponda male, gli parlerei apertamente.
Sono stata corretta da una collega per aver pronunciato questa frase. Avrei dovuto dire, secondo lei, o “rispondesse” o “risponderebbe”.  Sul condizionale sono d’accordo. Ma non vedo perché il congiuntivo imperfetto sia da preferire al presente. La mia collega ha fatto riferimento al fenomeno dell’attrazione modale che, seppur attestata in letteratura, no so fino a che punto sia valida dal punto di vista della consecutio.
2a) Bisognerebbe che tu ti fermassi in palestra in un giorno in cui piova/piovesse.
Entrambe le forme sono corrette?
 

 

RISPOSTA:

Cominciamo col dire che nessuna delle frasi da lei riportate può dirsi del tutto scorretta, perché si tratta di sfumature comunque previste dal nostro sistema verbale.
Nella prima frase, non parlerei di attrazione modale (visto che sempre di modo congiuntivo si tratta), ma al limite di attrazione temporale. Il congiuntivo imperfetto è lievemente preferibile dal momento che le due azioni (essere certa / rispondere) sono, se non proprio contemporanee, trattate come parallele. E dunque, per uniformità: sono certa che mi risponda (al presente) / ero certa che mi rispondesse (al passato). Diciamo dunque che la proiezione nel passato della reggente (cioè in questo caso l’ipotetica) all’imperfetto (fossi certa) fa da traino all’imperfetto della completiva (che lui non mi rispondesse). Ancorché meno adeguato, anche il presente può andare, addirittura all’indicativo (ancora più informale): “se fossi certa che lui non mi risponde”. Questo perché la proiezione al passato (fossi) non indica tanto il passato dell’azione bensì l’eventualità del periodo ipotetico.
Nel secondo caso, mi paiono del tutto innaturali, e dunque parimenti da evitare, sia il congiuntivo presente, sia il congiuntivo imperfetto. Va usato l’indicativo: “Bisognerebbe che tu ti fermassi in palestra in un giorno in cui piove”, o, ancora meglio (perché più semplice, lineare, chiaro, naturale, non artefatto) “in un giorno di pioggia”. Non c’è alcun bisogno di rendere l’eventualità della pioggia, già perfettamente inferibile dal contesto di per sé eventuale (Bisognerebbe ecc.).
Sugli usi del congiuntivo imperfetto rispetto al congiuntivo presente o passato può vedere anche altre FAQ di DICO   Trapassato nel futuro, Congiuntivo presente o imperfetto in dipendenza da vorrei, Modi e tempi richiesti da “vorrei”.

Fabio Rossi
 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

vorrei segnalarvi il seguente periodo:

Tra un anno potresti credere che io abbia sbagliato / avessi sbagliato, se in precedenza ti avessi accusato.

Nel caso sia ben formato, domando:
a) quale forma sia preferibile tra abbia sbagliato e avessi sbagliato, considerando che l’azione è anteriore soltanto alla proposizione reggente (potresti credere) e non al momento dell’enunciazione;
b) come si può dedurre dagli avverbi e dalle locuzioni avverbiali, anche l’azione della subordinata se ti avessi accusato è, al pari della proposizione descritta nel punto precedente, posteriore al momento dell’enunciazione, ma precedente rispetto alla reggente. Dato che i verbi del congiuntivo, se non sbaglio, sono detti anaforici e si rapportano al momento di riferimento, la scelta del congiuntivo trapassato è giustificabile per un’azione non ancora avvenuta, oppure si sarebbe dovuto selezionare, ad esempio, il congiuntivo imperfetto?

 

RISPOSTA:

Una simile frase sembra più un’ipotesi di laboratorio che una costruzione effettivamente realizzabile da un parlante. In linea di principio, comunque, per esprimere l’anteriorità rispetto a un evento futuro è preferibile il trapassato avessi sbagliato; il passato, infatti, renderebbe il punto di riferimento ambiguo (che io abbia sbagliato potrebbe anche essere precedente al momento dell’enunciazione, quindi assolutamente passato). Il trapassato avessi accusato nella proposizione ipotetica è attratto da quello della reggente, quindi assume un valore a metà tra l’ipotetico dell’irrealtà e l’anaforico. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Credo sia corretto dire: “Sei tu che mi ispiri”, ma forse è preferibile il verbo in terza persona: “Sei tu che mi ispira”. Quale frase è consigliabile?

 

RISPOSTA:

La difficoltà nella scelta della persona della proposizione subordinata deriva dalla natura incerta di questa proposizione. Essa, infatti, non è propriamente una relativa, diversamente da quello che si può pensare. Se fosse una relativa, non avremmo dubbi nello scegliere la terza persona, perché il pronome relativo sarebbe senz’altro preceduto da un antecedente alla terza persona; per esempio: “Tu sei quello che mi ispira”. Nella sua frase, invece, la proposizione è di tipo pseudorelativo, simile a una relativa ma in realtà più prossima a una completiva. In questo tipo di proposizione che non è un pronome relativo, ma una congiunzione, come dimostra il fatto che è invariabile: “È a te *a cui ho dato la penna” (corretto: “È a te che ho dato la penna”). Come conseguenza, che non ha un vero e proprio antecedente nella reggente e anche quando sembra fungere da soggetto della proposizione subordinata, come nel suo caso, non può svolgere questa funzione. Il soggetto della subordinata, pertanto, sarà o espresso nella subordinata (per esempio “È lui che ho visto”) oppure sarà lo stesso della reggente, come nel suo caso: “Sei tu che mi ispiri”. A ulteriore dimostrazione della correttezza di questa scelta, si noti che la subordinata può anche essere costruita con l’infinito, proprio perché ha come soggetto lo stesso della reggente: “Sei tu a ispirarmi”. 
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho dei dubbi riguardo alla frase:
“Ma tale adempimento è stato, appunto, compiuto e la contestazione dei ricorrenti circa le modalità di svolgimento di tale ascolto è del tutto apodittica e non autosufficiente essendo stata estrapolata una frase da un contesto ben più ampio.”
La domanda è: la frase è espressa in modo corretto?
La contestazione dei ricorrenti è ritenuta apodittica e non autosufficiente perchè l’adempimento è stato compiuto o perchè è stata estrapolata una frase? Oppure vi è il concorso di entrambe le circostanze?

 

RISPOSTA:

In questa forma, la frase collega le qualità della contestazione soltanto all’estrapolazione della frase. Va detto che la scelta del gerundio passivo non aiuta la comprensione, perché rende ambiguo il riferimento tematico. Suggerisco, pertanto, di riformulare così: 
“Ma tale adempimento è stato, appunto, compiuto e la contestazione dei ricorrenti circa le modalità di svolgimento di tale ascolto è del tutto apodittica e non autosufficiente poiché basata sull’estrapolazione di una frase da un contesto ben più ampio.”
Rilevo, inoltre, una scelta lessicale non felice: apodittico significa ‘autoevidente, logico, che non necessita dimostrazioni’, mentre non autosufficiente significa, in questo contesto, ‘che necessita di ulteriori prove’ (sempre che io interpreti correttamente la frase): sembra, quindi, da una parte che i due aggettivi si contraddicano, dall’altra che soltanto il secondo sia coerente con il rigetto della contestazione.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Stavolta il dubbio è emerso durante la lettura della FAQ  Ancora su… Condizionale o congiuntivo?.
L’utente cita l’interrogativa indiretta «Vorrei sapere se fosse possibile».
Vi chiedo questo: in un contesto presente non si dovrebbe usare il congiuntivo «sia»?
Dato che «fosse» non dipende direttamente da «vorrei» bensì da «sapere», non è interpretabile come passato? Forse è erronea, ma l’equivalenza che si è formata nella mia testa, a proposito del suddetto esempio, è questa: «fosse» = «era»; «sia» = «è». Tanto per chiarire il mio pensiero: chiamo un negozio di alimentari e domando: «Vorrei sapere se (oggi) sia/è possibile usare presso di voi un buono pasto». Non
mi verrebbe mai di formulare la stessa domanda impiegando l’imperfetto, sia esso congiuntivo o indicativo. Chiaramente la questione cambierebbe se al posto di «vorrei» avessimo il frequente «volevo», non con funzione di imperfetto di cortesia, ma con valore prettamente temporale: così il «fosse» giocherebbe un
ruolo ben diverso. «(Un anno fa) volevo sapere se presso il negozio XXX fosse possibile usare un
buono pasto.»

 

RISPOSTA:

Le ragioni per cui in dipendenza da vorrei è meglio usare il congiuntivo imperfetto piuttosto che il presente si trovano nella FAQ di DICO    Modi e tempi richiesti da “vorrei”. Ancor più diffusamente Luca Serianni spiega il problema a p. 63 del suo Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, che qui trascrivo:
“Il condizionale presente, qui oltretutto proiettato sul futuro, può ben indurre la tentazione di un congiuntivo presente nella completiva; invece il condizionale di volere e di altri verbi indicanti un desiderio, un’aspirazione, una necessità richiede la reggenza tipica dei verbi al passato: se usa il condizionale, il parlante mostra di credere poco alla realizzabilità del proprio desiderio, lo dà quasi come fosse già alle spalle”.

Fabio Rossi 
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Se dico che “per quanti pregi abbia, a Tizio non servono, se essi sono un dono prezioso ma / e nelle sue mani diventano come quel cibo tanto buono che viene gettato nella spazzatura”, a me sembra sia corretto ma nelle sue mani, però vorrei sapere se scrivere e nelle sue mani sia un errore o se possa essere un’opzione, anche per evitare la ripetizione di suoni che avverrebbe con ma nelle sue mani.

 

RISPOSTA:

Vanno bene entrambe le congiunzioni. Ma pone il segmento che segue in contrasto con se essi sono un dono prezioso, mentre e instaura una relazione di aggiunta, come se la frase fosse se essi sono un dono prezioso e se nelle sue mani diventano… 
Si noti, a margine, che in questa frase se non introduce una proposizione ipotetica, ma una causale (= visto che). Sul se causale si può vedere la FAQ  “Se” causale o ipotetico dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Era da tempo che non non baciavo un ragazzo che fumasse” o “Era da tempo che non non baciavo un ragazzo che fumava”?

 

RISPOSTA:

La scelta del modo verbale per le subordinate relative non è sempre scontata, perché può dipendere da diversi fattori, tra cui il significato del verbo contenuto nella relativa, la forma dell’antecedente del pronome relativo (cioè del nome a cui il pronome si riferisce), possibili sfumature che l’emittente vuole conferire all’enunciato.
Nella sua frase, la variante con l’indicativo da una parte è quella più naturale, in considerazione del fatto che il fumare è un’azione non opinabile: il ragazzo o fumava o non fumava. Diversamente, il congiuntivo sarebbe stato molto più adatto ad una frase come “Era da tanto tempo che non leggevo un libro che mi piacesse”, proprio perché l’azione, o meglio la sensazione, del piacere è del tutto opinabile.
D’altro canto, non si può dire neanche che il congiuntivo sia scorretto, perché l’indeterminatezza del referente un ragazzo conferisce all’azione del fumare un certo grado di opinabilità. Il congiuntivo sarebbe stato inaccettabile, al contrario, in una frase come: “Era da tempo tempo che non uscivo con quel ragazzo che *fumasse” (forma corretta: “Era da tempo tempo che non uscivo con quel ragazzo che fumava”), nella quale il referente quel ragazzo è, appunto, determinato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Potete dirmi per cortesia quale fra il condizionale e il congiuntivo è il tempo corretto nella frase che segue e perché?
“domandina: possedendo oggi un professionale Rolex (ovviamente sovrastimato dal mercato) del valore di 10/11.000 euro ….il proprietario che lo permuterebbe alla pari con un oggetto come questo, come lo definireste? Intenditore o folle?”

 

RISPOSTA:

Il modo condizionale è sbagliato, mentre è giusto il solo modo congiuntivo, in questo caso: “domandina: possedendo oggi un professionale Rolex (ovviamente sovrastimato dal mercato) del valore di 10/11.000 euro ….il proprietario che lo permutasse alla pari con un oggetto come questo, come lo definireste? Intenditore o folle?”.
Il motivo del congiuntivo è che esso esprime una eventualità, come se fosse nella protasi di un periodo ipotetico, che rifiuta il condizionale. Cioè è come se il periodo fosse: “se il proprietario lo permutasse, lo definireste intenditore o folle?”. Ovviamente, in questo caso, spicca l’impossibilità del condizionale in protasi: *”se il proprietario lo permuterebbe”. Invece è del tutto corretto il condizionale in apodosi: “lo definireste”.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Dovrei dire “Vorrei sapere se FOSSE possibile ricevere il tuo aiuto” o “Vorrei sapere se SAREBBE possibile ricevere il tuo aiuto”? E nel caso di “Volevo sapere se…”? Si deve dire “Volevo sapere se FOSSE o SAREBBE”? 
 

 

RISPOSTA:

Ciò che dipende da “volevo sapere se” o “vorrei sapere se” è un’interrogativa indiretta, e non un’ipotetica. In via teorica, pertanto, il condizionale sarebbe possibile, anche se spesso equivoco, specialmente se in dipendenza da un altro condizionale (“vorrei sapere se”). L’equivocità dipende sia dalla prossimità di questo costrutto con quello del periodo ipotetico (in cui il condizionale dopo se è errato), sia dalla possibile confusione con l’uso del condizionale passato per esprimere il futuro nel passato (“non sapevo se sarebbe venuto o no”), sia, ancora, dal fatto che l’eventualità può essere espressa anche dal congiuntivo, e non solo dal condizionale. Pertanto, di fatto, anche se una frase come “Vorrei/volevo sapere se sarebbe possibile ricevere il tuo aiuto” è possibile, sarebbe meglio sostituirla con: “Vorrei/volevo sapere se fosse possibile ricevere il tuo aiuto”.
Il condizionale diventa invece preferibile in espressioni negative quali: “non so se ti aiuterei”, “mi chiedevo se ti aiuterei”, o “non sapevo se ti avrei aiutato”, In quest’ultimo caso, tuttavia, l’interpretazione del condizionale passato sarebbe decisamente quella di futuro nel passato: all’epoca in cui me lo chiedevo (cioè non lo sapevo) non ti avevo ancora aiutato (o meno).
Sulla ricchissima casistica degli usi del condizionale e del congiuntivo può utilmente consultare il nostro archivio delle risposte di DICO, cercando le voci congiuntivo, condizionale, periodo ipotetico, interrogativa indiretta ecc.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

È corretto dire: “Le potenze decisero di intervenire qualora ci fossero nazioni che AVREBBERO rotto l’equilibrio”?
Io credo che si tratti di un errore, e che si debba usare AVESSERO.

 

RISPOSTA:

In via del tutto teorica una subordinata con il condizionale passato non è sbagliata, visto che quel condizionale non si trova in protasi (cioè non è un periodo del genere, del tutto errato: *”se saresti intervenuto io ti avrei ringraziato”), bensì in una dipendente dalla protasi del periodo ipotetico. Secondo la consecutio temporum, infatti, un futuro dipendente del passato si esprime con il condizionale passato: “io pensavo che le potenze avrebbero rotto l’equilibrio”, cioè non l’avevano ancora rotto all’epoca in cui lo pensavo.
Il punto è che l’azione di intervenire non può che avvenire DOPO, e non PRIMA, che l’equilibrio sia stato rotto, e pertanto, in questo caso specifico, non ha senso il condizionale passato, ha ragione lei. L’unica versione corretta è quella che indica lei, cioè “avessero rotto”. Il condizionale si motiva, erroneamente, con la carica di eventualità di questa rottura, che però è espressa adeguatamente, in questo caso, dal congiuntivo. Inoltre l’intero periodo è inutilmente faticoso per via della frase scissa (cioè una falsa subordinata introdotta dallo pseudorelativo che): “ci sono nazioni che…”. Pertanto, ancor meglio sarebbe eliminare la frase scissa e scrivere: “Le potenze decisero di intervenire qualora (o se) le nazioni avessero rotto l’equilibrio”. In questo caso, per giunta, spicca il vero ruolo del congiuntivo in protasi (se avessero rotto), che renderebbe del tutto erroneo il condizionale (*”se avrebbero rotto” è errato). Trattasi dunque di un periodo ipotetico al passato, espresso con il congiuntivo (trapassato) in protasi e l’indicativo (passato remoto) in apodosi. L’indicativo in apodosi si spiega, in questo caso, per via della perifrasi “decidere di intervenire”, che rende di per sé meno “oggettivo” l’intervento, o meglio scarica sul verbo intervenire una dose di “eventualità” data dal verbo reggente decidere. Infatti, se non ci fosse quel decidere ma soltanto il verbo intervenire, il periodo sarebbe dell’irrealtà, con un normale condizionale passato in apodosi (ma attenzione ancora una volta: non in protasi!): “Le potenze sarebbero intervenute qualora (o se) le nazioni avessero rotto l’equilibrio”.

Fabio Rossi

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QUESITO:

Vorrei presentarvi tre frasi sulla cui sintassi del verbo sono in forse.
a) Qualunque decisione avesse preso / prendesse, sarebbe stato difficile centrare l’obiettivo.
b) Quel suo atteggiamento sarebbe parso incomprensibile e ingiustificato, per coloro che la conoscessero / l’avessero conosciuta.
c) Si apprestava a chiarire l’accaduto, quando ne avesse / avesse avuta l’opportunità.
Nel caso sia la soluzione con il congiuntivo imperfetto sia quella con il congiuntivo trapassato fossero sintatticamente ammissibili, vi domando se la scelta dell’una o dell’altra si basi sul grado di probabilità dell’evento indicato, oppure sul rapporto di contemporaneità o anteriorità delle subordinate rispetto alle reggenti.

 

RISPOSTA:

Entrambe le varianti di tutte le tre frasi sono corrette. Nella prima e nella terza la scelta ha effetto sul grado di probabilità dell’evento (l’imperfetto indica possibilità, il trapassato indica impossibilità o quasi); nella seconda il grado di probabilità si confonde con la relazione temporale, per cui l’imperfetto può indicare sia la possibilità sia la contemporaneità nel passato, e il trapassato sia la quasi impossibilità sia l’anteriorità rispetto al passato. L’interpretazione in questo caso sarà dettata dal contesto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei sottoporvi il luogo di un libro scritto da un notissimo autore del secolo scorso. Qui la narrazione è all’indicativo presente:

Nel cielo si addensano nuvole minacciose, come se stia per piovere.

La congiunzione come se può ammettere il congiuntivo presente? Mi sarebbe parso opportuno selezionare il congiuntivo imperfetto.

 

RISPOSTA:

La proposizione comparativa ipotetica (introdotta da come se) richiede quasi esclusivamente il congiuntivo imperfetto o trapassato. Il congiuntivo presente e passato, in dipendenza da una reggente al presente, non sono impossibili né si possono dire scorretti; sono, però, di gran lunga sfavoriti dai parlanti.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Quale tempo verbale scegliere quando si vuole citare qualcuno? Per esempio: “Pirandello disse che la vita ecc.”. Mi è capitato di osservare l’uso del passato prossimo, del passato remoto e del presente; quest’ultimo anche trattandosi di autori ormai defunti: da cosa è giustificata questa scelta?

 

RISPOSTA:

Per riferirsi a eventi passati, quindi anche a opinioni espresse nel passato, si possono usare tutti i tre tempi che lei nomina. La differenza tra i tre è la seguente: il passato remoto rappresenta l’evento come completato nel passato, senza conseguenze sul presente (Pirandello disse = ‘l’opinione di Pirandello era che…’); il passato prossimo rappresenta l’evento come ancora rilevante nel presente (Pirandello ha detto = ‘le parole di Pirandello sono ben note e ancora valide oggi’); il presente rappresenta l’evento come attuale, sottolineando la sua rilevanza in ogni tempo (Pirandello dice = ‘è come se Pirandello parlasse adesso’).
Fabio Ruggiano
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Si può dire di dubitare su qualcosa (esempio: dubito sul mio coraggio) o bisogna scegliere la preposizione di?

 

RISPOSTA:

Il verbo dubitare regge la preposizione di (o la congiunzione che se l’elemento retto non è un sintagma ma una proposizione); ammissibili sono locuzioni preposizionali come riguardo a in riferimento a. La preposizione su non è esclusa, ma è senz’altro una opzione rarissima, che va evitata in contesti sorvegliati.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Quali verbi sono corretti tra le proposizioni seguenti? 
“Tutti gli abitanti avevano paura che se non lo avessero pagato subito si arrabbiava/sarebbe arrabbiato e distruggeva/avrebbe distrutto tutto”.

 

RISPOSTA:

Come al solito l’uso del congiuntivo/condizionale oppure dell’indicativo nel periodo ipotetico della possibilità e dell’irrealtà non attiene tanto alla correttezza, quanto alla formalità della frase. L’uso del congiuntivo/condizionale è più formale (e dunque sempre suggeribile), mentre quello dell’indicativo è limitato ai discorsi più informali. Nel suo caso, inoltre, si tratterebbe, con l’indicativo nella sola apodosi, di un periodo ipotetico misto, con la soluzione formale (congiuntivo) nella protasi e quella informale (indicativo) nell’apodosi. Tale mistura, ancorché attestata e possibile nei casi più informali, è decisamente da evitare. Pertanto, nel periodo ipotetico dell’irrealtà da lei proposto, è da preferire senza dubbio alcuno la soluzione seguente:
“Tutti gli abitanti avevano paura che se non lo avessero pagato subito si sarebbe arrabbiato e avrebbe distrutto tutto”.
Aggiungo che, essendo il soggetto riferito a qualcuno che nella proposizione è un complemento oggetto (lo), sarebbe meglio non lasciare sottinteso il soggetto, ma esprimerlo esplicitamente o con un pronome (lui) o con una forma piena (l’uomo ecc.).

Fabio Rossi

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QUESITO:

Il futuro anteriore nella sua funzione temporale (non quando è investito del valore epistemico), come insegna la consecutio, è strettamente collegato con il futuro semplice: “Una volta che sarò riuscito a parlargli, ti farò sapere”.
Quest’ultimo tempo, specie nell’italiano medio, è talvolta sostituito dal presente dell’indicativo: “Tra due ore ti chiamo”.
Vorrei quindi sapere se frasi del tipo:
“Se entro domani sera non ci saranno stati sviluppi, non ti aggiorno”;
“Ti aggiorno, dopo che / quando / una volta che mi saranno stati comunicati gli sviluppi del caso”
sono formalmente valide, anche in un registro non colloquiale, oppure ci si debba sempre attenere alla coniugazione al futuro semplice (aggiornerò).

 

RISPOSTA:

Le frasi sono corrette e del tutto accettabili. La scelta di usare il futuro anteriore nella stessa frase in cui il futuro semplice è sostituito dal presente è insolita ma possibile, specie in un contesto parlato, in cui il parlante può passare repentinamente da un registro a un altro sulla scorta di variabili circostanziali.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Oggi ho tradotto una frase dall’inglese all’italiano: “Compare It with what you are learning” > “Mettilo a confronto con quello che stai imparando”.
Mi è stata posta la domanda perché ho usato due parole per tradurne una: what, mi sono resa conto che non so dare una spiegazione grammaticale. Esattamente perché usiamo quello che?

 

RISPOSTA:

Ovviamente non c’è niente di insolito nel fatto che due lingue esprimano in modo diverso lo stesso concetto. In questo caso specifico, in italiano si preferisce esprimere analiticamente, cioè con più di una parola, una funzione sintattica che in inglese è preferenzialmente sintetica, cioè espressa con una sola parola. La funzione in questione, in effetti, è duplice, ovvero sono due funzioni: la prima è quella di completamento del sintagma preposizionale introdotto da con, la seconda è quella di introduttore della proposizione relativa. Ecco spiegato perché in italiano troviamo la sequenza di due pronomi (quello che, o ciò che), oppure di un sintagma nominale e un pronome (la cosa / le cose che).
Visto che le funzioni sono due, quindi, la sorpresa non è che in italiano ci siano due parole, ma che in inglese ce ne sia una sola. Per la verità, comunque, neanche questa è una sorpresa, perché la possibilità di raggruppare il pronome che fa da antecedente del relativo e il relativo stesso è comune, tanto che esiste anche in italiano (ma è meno frequente); la traduzione da lei proposta, infatti, avrebbe potuto essere “Mettilo a confronto con quanto (= quello che) stai imparando”. Il pronome quanto è uno dei relativi doppi, o misti, e funziona proprio come what; accanto a questo esiste chi, riferito a persone, equivalente a who: “I don’t know who you are” > “Non so chi (= la persona che) sei”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Il comparativo di maggioranza o minoranza con il verbo piacere si forma usando di oppure che?

 

RISPOSTA:

Gli avverbi più e meno che accompagnano il verbo piacere non formano un comparativo, perché non sono uniti a un aggettivo, ma sono comunque seguiti da un secondo termine di paragone: “Il cinema mi piace più della televisione”. In questi casi, quindi, tali avverbi sono autonomi e possono richiedere sia la preposizione di sia la congiunzione che. Se il secondo termine di paragone è un nome o un pronome si possono usare entrambe: “Il cinema mi piace più della televisione” / “Il cinema mi piace più che la televisione”. Il che è più comune se il secondo termine di paragone è anticipato: “Più che la televisione mi piace il cinema”, oppure se il primo termine di paragone è posto dopo il verbo: “Mi piace il cinema più che la / della televisione”. La differenza tra le due forme è che la preposizione costruisce il secondo termine di paragone come un sintagma (complemento di paragone): il cinema mi piace / più della televisione; la congiunzione, invece, lo costruisce come una proposizione (proposizione comparativa): più che (mi piace) la televisione / mi piace il cinema, oppure mi piace il cinema / più che (mi piace) la televisione.
Per questo motivo, se il secondo termine di paragone è una proposizione, o anche soltanto un infinito verbale, il secondo termine di paragone è senz’altro introdotto da che: “Mi piace andare al cinema più che guardare la televisione”, “Mi piace sciare più che nuotare”. 
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei domandarvi se le frasi proposte nelle loro varianti verbali sono giudicabili corrette.
A) Se ci fosse stato un problema che…
… avesse messo / mettesse / avrebbe messo a dura prova la nostra pazienza, mi sarei dato da fare per individuare una soluzione tempestiva.
B) Se ci fosse un prolema che…
… mettesse / metta / metterebbe a dura prova la nostra pazienza, mi darei da fare per individuare una soluzione tempestiva.
Ho letto nel vostro archivio che la relativa è di norma aperta a molti modi, ma, spesso, quando questa è collegata a un’altra proposizione con il verbo al congiuntivo, il condizionale, sia presente sia passato, sopraggiunge il dubbio.

 

RISPOSTA:

Tutte le forme da lei ipotizzate sono corrette, con qualche differenza semantica e di accettabilità tra l’una e l’altra. Innanzitutto notiamo che in dipendenza da una proposizione al congiuntivo la proposizione relativa perde in parte la sua autonomia dalla consecutio temporum. Procediamo, quindi, a valutare le varianti nell’ottica della consecutio temporum.
Per quanto riguarda la frase A, nel caso in cui la prova sia contemporanea al problema si propenderà per l’imperfetto; se, invece, si immagina che la prova sia successiva si propenderà per il condizionale passato (per quanto sia a primo impatto strano trovare un condizionale in dipendenza da un congiuntivo). La variante con il trapassato è la meno giustificabile, perché implica che la prova sia precedente al problema, cosa impossibile. Non possiamo definirla del tutto scorretta, però, perché è ammissibile che il trapassato avesse messo sia attratto dal trapassato reggente (ci fosse stato) con la stessa funzione dell’imperfetto, cioè per indicare la contemporaneità dei due eventi.
Per la frase B la situazione è analoga: l’imperfetto mettesse è attratto dall’imperfetto ci fosse per indicare la contemporaneità nel presente. Bisogna ricordare, a questo proposito, che nella proposizione condizionale il congiuntivo imperfetto indica un evento presente, mentre nell’ambito della consecutio temporum la stessa forma esprime la contemporaneità nel passato. A loro volta, metta in dipendenza da ci fosse è simmetrico a mettesse in dipendenza da ci fosse statometterebbe in dipendenza da ci fosse non è simmetrico a avrebbe messo in dipendenza da ci fosse stato, perché il condizionale presente non è usato per esprimere il futuro (mentre il condizionale passato esprime il futuro rispetto a un evento passato). Anche così, però, il condizionale presente è giustificato in quanto rappresenta la prova come possibile, ma non certa.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho un dubbio sulla seguente frase: “Mi disse che non si era recato a Roma perché il suo amico non lo accompagnava”. Secondo il mio dilettantistico parere, questa espressione è la più corretta per creare una contemporaneità fra il non essersi recato a Roma del soggetto in questione e la mancata presenza dell’amico come accompagnatore. Le persone con cui mi sono consultato, tra le quali c’erano anche degli specialisti, almeno stando alle qualifiche, sostenevano che la contemporaneità poteva essere ottenuta solo usando il trapassato prossimo e non l’imperfetto (“Mi disse che non si era recato a Roma perché il suo amico non lo aveva accompagnato”). Ciò mi pare errato, in quanto se usassi il trapassato prossimo per ottenere la contemporaneità fra i due eventi, cosa dovrei usare per ottenere l’anteriorità? In questo contesto l’anteriorità non avrebbe senso, ma, cambiando di poco la frase, potrebbe averlo. Per esempio: “Mi disse che non si era recato a Roma perché il suo amico non era venuto da lui il giorno prima della partenza, essendo rimasto bloccato nella sua città per problemi familiari”.

 

RISPOSTA:

La sua riflessione è corretta, ma arriva alla conclusione sbagliata: il trapassato prossimo esprime sempre anteriorità rispetto al passato; nella frase in questione tale anteriorità è neutralizzata dall’immediato riconoscimento del rapporto di causa-effetto tra non lo aveva accompagnato e non si era recato. A causa di questa relazione logica, il secondo trapassato viene interpretato come sullo stesso piano del primo, quindi come se fosse dipendente non dal primo, ma direttamente da disse. L’anteriorità del trapassato, però, emerge più chiaramente in una frase in cui il secondo evento sia meno direttamente collegato al primo (come nella sua seconda frase).
Detto questo, la scelta del trapassato prossimo aveva accompagnato è corretta, non perché il trapassato indichi contemporaneità, ma proprio perché indica anteriorità. L’evento che rappresenta la causa è, infatti, precedente a quello che ne rappresenta l’effetto. L’imperfetto, al contrario, è una scelta meno felice, proprio perché rappresenta il non accompagnare come contemporaneo al non essersi recato, quando è chiaro che il primo evento precede il secondo. L’imperfetto ritorna accettabile se si intende dare alla frase un significato leggermente diverso; questo tempo può, infatti, essere interpretato come un condizionale passato (non l’avrebbe accompagnato), quindi come una proiezione dal passato verso il futuro. Questa interpretazione regge se si immagina una proposizione al trapassato sottintesa: “Mi disse che non si era recato a Roma perché il suo amico (gli aveva detto che) non lo accompagnava / avrebbe accompagnato” (oppure perché aveva saputo che il suo amico non lo accompagnava / avrebbe accompagnato). Ovviamente, la variante avrebbe accompagnato è più formale di accompagnava.
Diverso sarebbe il caso in cui il rapporto non sia tra due eventi, ma tra un evento e uno stato: “Mi disse che non era andato a Roma perché non c’era il suo amico”. In questo caso l’imperfetto assume effettivamente la funzione di esprimere la contemporaneità nel passato; descrive, infatti, uno stato di cose che si verificava nel momento in cui l’evento (non) era avvenuto. 
Fabio Ruggiano 

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QUESITO:

Mi ha detto: «Ti farò sapere quando mi aggiorneranno/avranno aggiornato».
Con il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto – vi domando – sarebbero possibili tutte e tre le costruzioni?

1. Mi ha detto che mi avrebbe fatto sapere, quando sarebbe stato aggiornato.
2. Mi ha detto che mi avrebbe fatto sapere, quando fosse stato aggiornato.
3. Mi ha detto che mi avrebbe fatto sapere, quando sarà stato aggiornato.

Mi sia consentito pronunciarmi con una semplice analisi.
La costruzione numero 1 secondo me è corretta, nonostante il doppio condizionale composto, a livello sintattico, vada a innescare un futuro nel passato (mi avrebbe fatto sapere) del futuro nel passato (sarebbe stato aggiornato), nonostante a livello semantico la successione dell’azione non lasci adito a dubbi di sorta.
La costruzione numero 2 mi pare la più lineare – o comunque quella che sceglierei -, con tanto di sfumatura ipotetica conferita alla congiunzione (quando).
La soluzione numero 3 dovrebbe essere corretta, in quanto il passato prossimo stringe dei legami forti con la dimensione del presente, dove il futuro anteriore trova una collocazione coerente.
A proposito di quest’ultimo punto, ho notato – sempre secondo la mia umile prospettiva linguistica – che sostituendo il passato prossimo che introduce il discorso diretto con il passato remoto (o con un tempo trapassato), la costruzione numero 3 certamente perde la sua validità, mentre le prime due restano possibili.

 

RISPOSTA:

La sua analisi è sostanzialmente corretta, tranne che per la terza frase. Ma partiamo dalla prima: il secondo condizionale passato non produce una proiezione dal passato nel futuro rispetto a un futuro a sua volta proiettato rispetto a un passato: tale livello di complessità sarebbe ingestibile da un parlante. Quello che succede in una frase del genere, invece, è che il condizionale passato dipendente da un altro condizionale passato è interpretato come genericamente posteriore rispetto allo stesso passato da cui dipende il primo condizionale (in questa frase mi ha detto), quindi sullo stesso piano di quest’ultimo. Ne consegue che il rapporto temporale relativo tra gli eventi rappresentati da questi due condizionali (il primo è successivo rispetto al secondo) viene obliterato in favore del più rilevante rapporto temporale di entrambi gli eventi rispetto a quello principale della frase. Questo “sacrificio” non è grave, però, perché il rapporto relativo si recupera facilmente per logica confrontando i due eventi (è chiaro che l’essere aggiornato deve precede il fare sapere). Nella seconda frase il congiuntivo trapassato serve proprio a recuperare il rapporto relativo tra i due eventi dipendenti, sacrificando, questa volta, il rapporto tra il secondo evento dipendente e l’evento principale. In altre parole, fosse stato aggiornato è precedente rispetto ad avrebbe fatto sapere (si ricordi che il condizionale passato, per quanto esprima un evento posteriore a un altro, rimane un tempo passato, per cui un evento a esso precedente deve essere espresso con un congiuntivo trapassato). Nessun rapporto, invece, può esserci tra ha detto e fosse stato aggiornato, perché è chiaro che l’essere aggiornato non precede il dire, ma è a questo successivo. A questa considerazione temporale si aggiunge secondariamente la sfumatura di eventualità da lei notata, perché una proposizione temporale al congiuntivo è facilmente interpretata come condizionale. Tale interpretazione sempre possibile può indurre a preferire la soluzione 1, nel caso in cui il parlante voglia descrivere l’evento dell’essere aggiornato come certo. Si consideri, però, che quando si parla di eventi futuri, l’eventualità è sempre implicita, anche quando si rappresentano tali eventi come fattuali.
La frase 3 non è corretta. Il suo ragionamento parte bene: è vero che il passato prossimo (ma non il passato remoto) è affine al presente, quindi può richiedere la consecutio temporum del passato (come nelle prime due frasi) ma anche del presente; tale scelta, però, deve riguardare tutta la frase, non solo parte di essa. Il futuro anteriore, pertanto, va bene soltanto se la proposizione da cui dipende va al futuro semplice: “Mi ha detto che mi farà sapere, quando sarà stato aggiornato”. La sua versione della frase, invece, confonde i piani, passando indebitamente dal passato al presente.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Gradirei conoscere quali tra le quattro costruzioni – a condizione che siano tutte valide – è da preferire.
1. Prima che i miei nipoti arrivino al mare, noi torneremo a casa.
2. Prima che i miei nipoti siano arrivati al mare, noi torneremo a casa.
3. Prima che i miei nipoti arrivino al mare, noi saremo (già) tornati a casa.
4. Prima che i miei nipoti siano arrivati al mare, noi saremo (già) tornati a casa.

 

RISPOSTA:

Le frasi sono tutte corrette. La 1 e la 3 non presentano difficoltà: nella 1 gli eventi futuri dell’arrivare e del tornare sono rappresentati con il congiuntivo presente, che in effetti può avere la funzione di presente proiettato nel futuro, e con il futuro semplice, quindi senza specificare il dettaglio dell’anteriorità nel futuro (opzione del tutto normale); nella 3 il dettaglio dell’anteriorità è specificato per mezzo del futuro anteriore. La 2 e la 4 presentano il problema del congiuntivo passato usato per descrivere un evento futuro successivo rispetto a un altro evento (tanto che nella 4 l’altro evento è espresso con il futuro anteriore). Si noti che il congiuntivo passato può descrivere regolarmente un evento futuro precedente rispetto a un altro, perché la sua funzione può essere soltanto anaforica, ovvero quella di indicare che l’evento è precedente a un altro, a prescindere di quando esso sia avvenuto (per esempio, in una frase come “Quando tornerò dal viaggio ti accorgerai che ti sono mancato” sono mancato è un evento futuro). Il problema qui è che l’evento espresso con il congiuntivo passato (siano arrivati) è successivo, non precedente all’altro con cui è in relazione (torneremo / saremo tornati).
La ragione di questa scelta apparentemente illogica è che la congiunzione prima che spinge a considerare l’evento descritto all’interno della proposizione come la conclusione di un processo. Nelle frasi, quindi, prima che i miei nipoti siano arrivati è interpretato come ‘prima che si concluda il processo dell’arrivo dei miei nipoti’. 
Per quanto riguarda la validità delle frasi, ognuna veicola sfumature semantiche diverse, quindi va scelta in base al significato che si vuole intendere. Quelle con il futuro anteriore sottolineano la relazione dell’informazione del tornare con quella dell’arrivare, mentre quelle con il futuro semplice indicano che l’informazione del tornare ha una sua autonomia rispetto a quella dell’arrivare. Quelle con il congiuntivo presente rappresentano l’arrivare come un evento momentaneo, cioè puntano l’attenzione sul momento dell’arrivo, quelle con il congiuntivo passato lo rappresentano come la fine di un processo, quindi puntano l’attenzione sul processo che ha portato all’evento.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Qualche giorno ho pronunciato la frase:
“Vado a dormire mezzora. Svegliami alle 17, anche se mi fossi addormentato da poco”.
Ho accreditato al congiuntivo trapassato valore anaforico, prendendo come riferimento temporale le ore 17. L’ipotesi dell’addormentamento è passata rispetto a tale riferimento, ma è pur sempre futura rispetto all’enunciazione. Domando dunque se sia giustificata la scelta del congiuntivo trapassato.
“Vado a dormire mezzora. Svegliami alle 17, anche se mi addormentassi poco prima”:
Questo può essere considerato un esempio valido di costruzione che mantenga invece
l’enunciazione quale punto di riferimento temporale per la scelta della sintassi del verbo?
 

 

RISPOSTA:

La prima frase al trapassato (“Vado a dormire mezzora. Svegliami alle 17, anche se mi fossi addormentato da poco”) è decisamente preferibile, perché, come dice lei, quel che conta è il riferimento anaforico all’addormentamento passato rispetto al momento dell’ipotetico risveglio alle 17.00. In casi come questo,  in cui l’azione è tutta proiettata in avanti (cioè al momento del risveglio, le 17.00, sancito dall’imperativo), il fatto che l’azione sia futura (cioè che lei non sia ancora andato a letto) è del tutto secondario. Infatti se non vi fosse la componente ipotetica (dell’ipotetico risveglio), l’azione sarebbe espressa o al passato prossimo (dipendente dal presente), o al futuro anteriore (dipendente dal futuro), o al trapassato prossimo (dipendente dal passato prossimo o remoto): 
1. Mi sveglio alle 17.00 anche se mi sono addormentato da poco;
2. Mi sveglierò alle 17.00 anche se mi sarò addormentato da poco;
3. Mi sono svegliato (o mi svegliai) alle 17.00 anche se mi ero addormentato da poco.
L’ipotesi all’imperfetto congiuntivo (addormentassi), ancorché comprensibile, non sarebbe corretta, a rigore, secondo le regole della consecutio temporum, dal momento che non renderebbe l’idea dell’essersi addormentato prima. Infatti risulterebbe appropriata a un altro contesto, cioè quello in cui l’azione del risveglio venisse espressa come più o meno contemporanea al ,momento del risveglio o comunque ininfluente ai fini di quest’ultimo:
– Svegliami (comunque anche se) se mi addormentassi, oppure
– Svegliami (comunque anche se) se mi addormento.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei esporre un dubbio sull’analisi del periodo di una coordinata introdotta dalla congiunzione “anzi” e che, a detta delle grammatiche correnti, dovrebbe inserirsi tra le coordinate avversative.
La frase è questa:
-Restituiscimi i miei soldi: proposizione principale
-O non ti darò più nulla, : coordinata alla principale (disgiuntiva)
– anzi non ti considererò più un amico: coordinata di tipo avversativo? In realtà, a me sembra avere un valore accrescitivo (non solo non ti darò più i soldi, in più non ti considererò come amico) o di tipo sostitutivo (in sostituzione della prima minaccia ne uso un’altra).
È lecito il mio ragionamento? Come si può definire in questo caso la congiunzione?
 

 

RISPOSTA:

In effetti qui non si tratta tanto di contrastare qualcosa (avversativa), quanto, semmai, di aggiungere una minaccia. Casi come questi, perfettamente comuni e corretti, mostrano quanto le categorie della grammatica (intesa come libri di grammatica) siano molto più strette, poco utili, poco funzionali e spesso incoerenti di quelle della Grammatica (intesa come funzionamento di una lingua).
Nei libri di grammatica, per comodità e per brevità, la relazione di sostituzione viene di solito trattata insieme a quella avversativa, e dunque in fondo l’analisi che lei ha trovato non è del tutto scorretta, ancorché migliorabile. Nella sua frase, tuttavia, il valore di anzi non è tanto quello di congiunzione, bensì quello di avverbio, o meglio di segnale discorsivo, col valore di ‘e per di più, addirittura’ o simili.
Come ben mostra questo esempio, il confine tra coordinate e subordinate è davvero molto debole, talvolta, ed è il classico confine posto dai libri di grammatica più che dalla Grammatica della lingua, che vede le due relazioni (di paratassi e ipotassi) pressoché sullo stesso piano.
In questo caso le strade per analizzare questo periodo sono almeno tre (oltre a quello di anzi… come avversativa), tutte e tre difendibili:
1) considerare la proposizione introdotta da anzi come coordinata di tipo aggiuntivo (sebbene i libri di grammatica di solito non annoverino questa categoria);
2) Considerare la proposizione introdotta da anzi come coordinata per asindeto, visto che anzi ha qui valore più avverbiale che di congiunzione (e sempre di valore aggiuntivo);
3) Concentrarsi soltanto sul valore semantico del periodo e analizzarlo, dunque, così:
– Restituiscimi i miei soldi = se non mi restituisci i miei soldi (ipotetica)
– o non ti darò più nulla = non ti darò più nulla (principale)
– anzi non ti considererò più un amico = coordinata per asindeto (oppure aggiuntiva) alla principale.
Il suo ragionamento è del tutto valido e mostra una notevole capacità di riflessione metalinguistica

Fabio Rossi

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QUESITO:

è corretto dire “Se non ti ho stufato, vorrei chiederti un’altra cosa”?

 

RISPOSTA:

Sì, è corretto. Naturalmente, il verbo “stufare” è informale, ma è senza dubbio corretto, ancorché più indicato in un contesto familiare che in uno pubblico e formale.
L’uso dell’ipotetica per chiedere scusa (o simili) è tipico dell’italiano, e anche di altre lingue, quasi ad attenuare la “colpa” commessa. In altre parole, si sposta sul piano dell’ipotesi anche ciò che a volte può essere una certezza. Pensi a una frase, normalissima in italiano, come “scusa se ho fatto tardi”: il fatto che io abbia fatto tardi è una certezza, non certo un’ipotesi, ed è proprio per questo che ti chiedo scusa. Però esprimo il concetto, attenuandolo, come se fosse un’ipotesi.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se una proposizione completiva collegata a un’apodosi al condizionale presente può reggere, oltre ai modi congiuntivo e indicativo, anche il condizionale.
Se domani piovesse a dirotto, ci sarebbero scarse possibilità/sarebbe poco probabile che…
1a) si disputi
1b) si disputerà
1c) si disputerebbe
la partita.
Costruendo il periodo con l’indicativo, le soluzioni a e b mi sembrerebbero comunque valide; mentre la c, no.
Se domani piove/pioverà a dirotto, ci sono/saranno scarse possibilità/sarebbe poco probabile che…
1a) si disputi
1b) si disputerà
1c) si disputerebbe
la partita.
 

 

RISPOSTA:

La terza possibilità è da scartare in entrambi i casi. Il fatto dirimente non è tanto che la completiva dipenda da un’apodosi, quanto che il verbo che regge la completiva indichi di per sé stesso un dubbio. In casi del genere quindi la scelta migliore (e la più formale) è il congiuntivo, la più informale (ma comunque possibile) è l’indicativo, mentre il condizionale è, in questo caso, scorretto, perché pone una condizione (che semmai avrebbe senso, per l’appunto, nell’apodosi di un periodo ipotetico, non certo nella dipendente dall’apodosi) laddove, invece, si sta ponendo un dubbio.
La riprova è che anche in assenza di apodosi, l’erroneità del condizionale rimane invariata.
Possibile, invece, e addirittura da preferirsi, in dipendenza dal condizionale, il congiuntivo imperfetto in luogo del presente:
– è improbabile che domani si giochi / si giocherà
– (dico che) sarebbe/parrebbe improbabile che domani si giocasse / giochi.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Si può usare il passato del condizionale per riferirsi a eventi futuri, per esempio: “Sarei voluto venire domani al mare”?
 

 

RISPOSTA:

Sì, è un uso normalissimo, frequentissimo e, quindi, correttissimo.
Si tratta di proiettare il futuro in un futuro nel passato, cioè come se si dicesse: (in passato) avevo pensato che (in futuro) sarei venuto al mare. In questi casi, perlopiù, l’azione non si è poi verificata: ma poi ho avuto un contrattempo e ho dovuto cambiare idea e quindi al mare non vi vengo (o non ci sono venuto) più. Ma nulla vieta che la frase si usi anche se l’azione si verifica (o si è verificata o si verificherà): “Sarei [o avrei] voluto venire domani al mare: a che ora ci vediamo in spiaggia?”
Buon resto di vacanze e… buoni bagni al mare, da soli o in compagnia

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Quale affermazione è corretta? Ho indicato in grassetto i dubbi.
Penso che il meglio deve ancora avvenire/venire
Penso che il meglio deva ancora avvenire/venire
Penso che il meglio debba ancora avvenire/venire

 

RISPOSTA:

Cominciamo con il rapporto tra congiuntivo e indicativo: come al solito, in casi analoghi, la soluzione con l’indicativo è sempre corretta, anche se meno formale. Pertanto, in uno stile formale, è sempre meglio debba piuttosto che deve. L’alternativa tra il tema deb- e il tema dev- è pressoché  sempre possibile (nelle persone in cui è ammessa: nella 1a persona singolare e nella 3a persona plurale dell’indicativo e nella 1a, 2a e 3a singolari e nella 3a plurale del congiuntivo presente), anche se deb- è avvertito come più formale, e dunque più appropriato al congiuntivo. Infatti, da una banale ricerca di frequenza in Google, mentre all’indicativo devono è moto più frequente di debbono, al congiuntivo debba e debbano sono molto più frequenti di deva e devano.
Quanto alla scelta tra avvenire e venire, in teoria i due verbi nella frase in questione sono equivalenti, sul piano semantico. Tuttavia la frase è quasi una frase fatta, cioè pressoché immodificabile (quasi fosse una citazione o un proverbio), ormai cristallizzata nella forma venire (e non avvenire).
Quindi, riassumendo, delle sue molte alternative la migliore è: “Penso che il meglio debba ancora venire”

Fabio Rossi
 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Ci vediamo quando starai bene”.
Non dovrebbe essere quando stai bene o “Ci vedremo quando starai bene”.

 

RISPOSTA:

È preferibile usare soltanto il presente (scelta meno formale) o soltanto il futuro (scelta più formale); entrambi gli eventi, infatti, sono futuri e, essendo nella stessa frase, non c’è motivo di cambiare registro. La sbavatura, comunque, non è grave. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sulla seguente frase:
“Ma se unicredit comprerebbe di mps solo le parti sane, e le parti in perdita deve accollarsele lo Stato, a che serve l’offerta di unicredit?”
Chi l’ha scritta adduce che intendeva dire ‘Se (la posta è che) unicredit comprerebbe…’; a parte che non è così scontato il sottinteso, è comunque corretto scrivere così?

 

RISPOSTA:

La congiunzione se può reggere il condizionale se ha significato causale. Quindi se unicredit comprerebbe = ‘visto che unicredit comprerebbe’; se unicredit comprasse = ‘nel caso in cui unicredit comprasse’. Sottolineo che la spiegazione data dallo scrivente non è accettabile, perché, come dice lei, non è possibile per il lettore inferire la parte considerata implicita.
Sul se causale può vedere anche la FAQ  L’insolito “se” causale dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Queste due domande sono uguali come significato, nonostante in una ci sia il non?
Siamo sicuri di essere invece in ritardo?
Siamo sicuri di non essere invece in ritardo?

 

RISPOSTA:

Non sono uguali, sebbene siano molto simili. Nella prima si mette in dubbio la certezza di essere in ritardo; nella seconda si esprime un dubbio circa la possibilità di essere in ritardo. La prima si userebbe per obiettare a un’affermazione di certezza di ritardo (equivale a ‘non sono sicuro che siamo davvero in ritardo); la seconda si userebbe autonomamente (equivale a ‘forse siamo in ritardo).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Scrivo in merito alla risposta al quesito Condizionale o congiuntivo: questo è il problema .
Se non ho capito male, una frase come: “Disse che avrebbe telefonato quando fosse/sarebbe arrivato”
dovrebbe essere analizzata in questo modo:
disse: reggente;
che avrebbe telefonato: oggettiva dipendente da disse;
quando fosse/sarebbe arrivato: temporale a sua volta dipendente da disse.
Quest’ultima dipendenza spiegherebbe il perché del condizionale passato in base alle regole della consecutio.
Ciò che non capisco è questo: perché devo considerare la temporale come dipendente da Disse quando, a mio parere, essa dipende esclusivamente (anche a livello di successione logica degli eventi: prima si arriva, poi si telefona) dall’oggettiva? Non capisco il nesso tra il dire e l’evento dell’arrivare.
Comprendo bene il legame tra disse e che avrebbe telefonato ,dato che quest’ultima subordinata esprime un argomento del verbo dire; non riesco invece ad interpretare la temporale né come circostanziale del verbo dire né, tantomeno, come suo argomento. 
Dal momento, quindi, che nella mia analisi la temporale dipende dall’oggettiva e che, a livello di successione degli eventi, l’arrivare è precedente al telefonare, io opterei per fosse arrivato.

 

RISPOSTA:

Non c’è dubbio che la proposizione temporale sia subordinata alla completiva (come, del resto, è presupposto nella FAQ  Condizionale o congiuntivo: questo è il problema: “In nessuno dei tre casi, ovviamente, l’evento rispetto al quale va valutata la posteriorità è quello espresso dal verbo delle reggenti; anzi, le reggenti presentano eventi posteriori rispetto a quelli delle subordinate”). Quello che spiego nella risposta è che il verbo della principale proietta la sua influenza anche sulla subordinata di secondo grado, entrando in rapporto temporale anche con quest’ultima. L’evento dell’arrivare, insomma, è sia precedente a quello della reggente (che avrebbe telefonato), sia successivo a quello della principale (disse): sta al parlante decidere quale dei due rapporti temporali evidenziare attraverso la scelta della forma verbale. La sfumatura ipotetica percepibile nella temporale al congiuntivo (quando fosse arrivato = se fosse arrivato) potrebbe giocare a favore o a sfavore del condizionale, a seconda che il parlante voglia scongiurare o suggerire una simile interpretazione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Leggendo un testo narrativo ho evidenziato un uso molto largo da parte dell’autore del verbo dovere, talvolta, a mio avviso, coniugati in maniera un po’ trascurata.
Vi riporto quattro esempi che ne ho ricavato:
– Se i due fratelli non erano nella stanza, dovevano esserne usciti da poco.
– Se gli interrogati non avessero detto la verità, lui doveva saperlo.
– Pensò che doveva…
– Era il segno che doveva parlare.
Vorrei sapere se le frasi avrebbero potuto essere scritte diversamente, alzando il grado di formalità.

 

RISPOSTA:

Nessuna delle occorrenze può dirsi trascurata, sebbene nelle ultime due frasi l’indicativo imperfetto possa essere sostituito dal condizionale passato, elevando la formalità della costruzione. La sostituzione non è possibile nella prima frase, perché produrrebbe un significato illogico; nella frase, infatti, l’imperfetto non è modale, ma ha valore temporale. In altre parole, erano non sta per fossero stati, ma indica proprio che l’evento è continuato nel passato; coerentemente, dovevano è l’unica forma possibile, anch’esso con valore di temporale, perché non c’è una condizione rispetto alla quale esprimere una conseguenza.
Nella seconda frase la sostituzione è possibile, ma cambierebbe il significato complessivo. L’indicativo imperfetto, infatti, indica che il soggetto imponeva a sé stesso di venire a sapere una circostanza; il condizionale passato, invece, sarebbe interpretato come conseguenza ipotetica della condizione descritta nella protasi (se gli interrogati non avessero detto la verità). Si noti che nella costruzione avrebbe dovuto saperlo il verbo dovere, a dispetto del suo significato di base, assume automaticamente la sfumatura di incertezza tipica di espressioni come devono essere le cinque (= ‘forse sono le cinque’).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Prendo spunto da una porzione di intervista ascoltata alla radio per articolare una domanda.
L’intervistato ha detto:
“Per me sarebbe un vero incubo, oggi, andare in vacanza. Mia moglie cambierebbe le lenzuola dell’albergo dopo che uscissero dalla camera le addette alle pulizie. E lo farebbe tutti i giorni fino alla fine della vacanza”. 
Dopo che uscissero è corretto?
A me sono venute in mente anche altre due soluzioni.
Dopo che fossero uscite.
Dopo che sarebbero uscite
La prima per rendere l’eventualità della situazione meno probabile di uscissero. La seconda per sottolineare con il condizionale composto una situazione appunto condizionata, come quella di cambierebbe, ma avvenuta (eventualmente) prima di essa. 

 

RISPOSTA:

La soluzione più in linea con la consecutio temporum è dopo che sono uscite, perché l’evento dell’uscire precede quello del cambiare, descritto nella proposizione reggente, che è presente. L’indicativo sono uscite può risultare un po’ stridente rispetto al congiuntivo siano uscite, ma si ricordi che la proposizione temporale introdotta da dopo che si costruisce preferibilmente proprio con l’indicativo: “abbiamo festeggiato dopo che loro sono partiti” (non *dopo che loro siano partiti). Il fatto che il verbo reggente sia al condizionale rende il congiuntivo meno improbabile e tutto sommato accettabile.
L’alternativa dopo che uscissero è in teoria possibile, perché modella perfettamente la frase sulla costruzione del periodo ipotetico del secondo tipo (cambierebbe dopo che uscissero = cambierebbe se uscissero). Tale modello, si badi, risulta in questo caso non calzante, perché l’evento dell’uscire non può essere la condizione di quello del cambiare; la moglie, infatti, non cambierebbe certo le lenzuola se le donne delle pulizie uscissero. Risulterebbe sensato, invece, nella frase usata prima come esempio: “Festeggeremmo dopo che loro partissero”, perché qui il partire è la condizione per il festeggiare
A maggior ragione, la variante dopo che fossero uscite non si giustifica né nel quadro della consecutio temporum (il trapassato presuppone un avvenimento passato intermedio, che qui non c’è) né nel quadro del periodo ipotetico. 
Neanche il condizionale passato, infine, può essere giustificato, perché l’evento dell’uscire non è condizionato da niente, né può configurarsi come futuro nel passato, visto che precede quello da cui dipende, che è presente (cambierebbe).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho una domanda sulla frase seguente:
“Lui crede che io e te siamo la stessa persona”.
Nel cercare di fare l’analisi logica sono incappato in una descrizione acconcia, nella quale si definiva il significato di COMPLEMENTO PREDICATIVO DELL’OGGETTO.
Alcuni esempi, simili alla frase iniziale, riportati nella descrizione:
“La maestra considerava Maria molto brava“.
“Gli studenti elessero Paolo rappresentante di classe“.
Nella descrizione così si analizzava tale complemento (il corsivo delle frasi):
“È il sostantivo o l’aggettivo che definisce una proprietà del complemento oggetto, quando il verbo sia appellativo (chiamaresoprannominareapostrofare…), estimativo (credereritenereconsiderare…), elettivo (nominareeleggereincoronare…).
Da tale spiegazione, dove molto brava e rappresentante di classe sono COMPLEMENTI PREDICATIVI DELL’OGGETTO, si è indotti a pensare che, rispettivamente Maria e Paolo siano i complementi oggetto delle frasi, nelle quali La maestra e Gli studenti sono il soggetto.
Allora, seguendo questo schema, nella frase iniziale (“Lui crede che io e te siamo la stessa persona”), LUI sarebbe il soggetto; IO E TE il complemento oggetto e LA STESSA PERSONA il complemento predicativo dell’oggetto.
È ovvio che nella frase “Io e te siamo la stessa persona” presa isolatamente io e te sarebbe il soggetto; siamo il predicato e la stessa persona il complemento oggetto, però la frase tutta intera risponde alla domanda “Lui crede che cosa?”, per cui sarebbe come scrivere, per ricalcare il primo esempio con la maestra e Maria: “Lui crede io e te la stessa persona”.
Cioè, sempre per restare al primo esempio, se io lo riscrivo così “La maestra considerava che Maria fosse molto brava”, cambia anche l’analisi logica e Maria diventa soggetto o rimane comunque complemento?

 

RISPOSTA:

Il verbo credere può reggere un complemento oggetto o una proposizione subordinata oggettiva. Nel primo caso abbiamo frasi come “Maria crede Luca un buon amico”, nella quale Luca è complemento oggetto e un buon amico complemento predicativo dell’oggetto. Nel secondo caso abbiamo frasi come “Maria crede che Luca sia un buon amico”, nella quale abbiamo due proposizioni, Maria crede (Maria = soggetto della proposizione) e che Luca sia un buon amico. Nella proposizione oggettiva Luca è il soggetto e un buon amico è nome del predicato (detto anche parte nominale). 
Aggiungo che il verbo credere preferisce la costruzione con la proposizione oggettiva a quella con il complemento oggetto; per questo motivo “Lui crede che io e te siamo la stessa persona” è più comune di “Lui crede io e te la stessa persona”. Anzi, quest’ultima formulazione risulta del tutto artificiosa e difficilmente sarebbe mai costruita da un parlante nativo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Desidererei sapere se l’espressione a quanto mi è stato detto,  per significare ‘stando a quello che mi hanno detto’, può essere considerata corretta. A orecchio direi senz’altro di sì ma, ragionandoci sopra, quel quanto mi pare poco sensato in questo contesto. 

 

RISPOSTA:

Le due frasi sono equivalenti. La prima frase da lei proposta è una proposizione limitativa esplicita introdotta dalla locuzione a quanto (qui quanto è un pronome relativo, corrispondente a quel che); la seconda è una proposizione limitativa implicita, introdotta da stando a quel che, a sua volta, introduce la relativa che mi è stato detto. In generale, le proposizioni limitative esplicite possono essere introdotte da aper da: “A / Per / Da quanto mi è stato detto [prop. limitativa], l’esame sarà giovedì [reggente]”; quelle implicite, invece, sono introdotte da costrutti come il gerundio del verbo stare + a quel che, equivalente alla locuzione per quel che
Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei un ragguaglio circa il parallelo tra l’indicativo presente e il condizione presente.
Ai fini della consecutio, apprendo, i due tempi si comportano allo stesso modo (anche quando vanno a formare sintagmi e locuzioni).
Penso che = penserei che
Può darsi che = potrebbe darsi che
Sono sicura che = sarei sicura che
Mi domando se tutti i verbi che attuano le secondarie introdotte dall’indicativo potrebbero essere selezionati, a prescindere, anche per la forma omologa al condizionale:
a) Suppongo/Supporrei che ci voglia un bel po’ di coraggio
b) Immagino/Immaginerei che potrebbe essere dura
c) Ho paura che/Avrei paura che non ci riuscirebbe.
Inoltre, in questi esempi rappresentativi, il congiuntivo e il condizionale sono uguali (o comunque molto simili) sul versante semantico?
Il condizionale, nella secondaria, mi sembrerebbe a suo agio quando vi fosse una sorta di protasi sottintesa:
d) Immagino/Immaginerei che potrebbe (se se ne verificasse il caso) essere dura.
Se quest’ultimo appunto coglie nel segno, domando: con una protasi sottintesa sarebbe possibile adottare anche il congiuntivo presente, oppure si perderebbe l’accenno alla protasi?
e) Immagino/Immaginerei che possa (se se ne verificasse il caso) essere dura.

 

RISPOSTA:

La risposta alla prima domanda è sì: una completiva retta da un condizionale presente si comporta come quella retta da un indicativo presente. Per quanto riguarda il modo della completiva, il congiuntivo è tendenzialmente identico all’indicativo dal punto di vista semantico, ma è preferibile in contesti formali (quindi immagino/Immaginerei che possa… = immagino/Immaginerei che può…). Il condizionale aggiunge il senso della condizionalità, quindi è collegato per forza a una condizione, espressa o non espressa, come suggerisce lei nella frase d). Il congiuntivo non esclude che ci sia una condizione, come non lo esclude l’indicativo. Se la condizione non è espressa, però, difficilmente sarà ipotizzata; se, invece, è espressa, i parlanti tenderanno a costruirla con l’indicativo presente se il congiuntivo della completiva è presente, sul modello del periodo ipotetico del primo tipo: “Immagino/Immaginerei che possa essere dura se se ne verifica il caso”. 
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nella FAQ  “Vorrei” usare il tempo giusto del congiuntivo, a proposito della frase “Vorrei un’auto che avesse/abbia il cambio automatico” è stato detto che il congiuntivo imperfetto in una proposizione relativa viene giudicato valido solo in riferimento a un’azione/condizione passata. Ma il congiuntivo imperfetto non potrebbe essere interpretato in chiave ipotetica, veicolando non tanto il passato quanto un grado di probabilità del verificarsi dell’evento inferiore a quello che sarebbe stato determinato dal congiuntivo presente?
Congiuntivo imperfetto = meno probabile; congiuntivo presente = più probabile.
Come avviene, grosso modo, nelle subordinate condizionali costruite con qualoranel caso che.
“Nel caso piovesse / piova, resto a casa”; “Qualora non potessi / possa uscire per la pioggia, resterei a casa”.
Onestamente, sovente ho scritto o detto “In Italia servirebbe un governo che aiutasse [nel presente e nel futuro, nda] i giovani”.
“Guarderei volentieri un film che avesse come protagonista Al Pacino”.
“Si potrebbe studiare una soluzione che desse risalto a tutti i problemi finora discussi”.
Non ho mai collegato l’imperfetto al passato, ma, come spiegato, ho attribuito alla subordinata un taglio – mi verrebbe da dire – relativo-ipotetico.
Ho sempre sbagliato?

 

RISPOSTA:

Come scritto nella FAQ  “Vorrei” usare il tempo giusto del congiuntivo, nella costruzione della relativa vorrei X che agisce il modello della completiva vorrei che X. La preferenza sempre più marcata per il congiuntivo imperfetto in quest’ultimo tipo di proposizione in dipendenza dal condizionale (anche di verbi non di desiderio, opportunità, necessità) si trasmette anche all’altro tipo (la relativa), senza, però, che ci sia una ragione sintattica per questo. Si noti che la preferenza per il congiuntivo imperfetto nella completiva è a sua volta dovuta al modello del periodo ipotetico, nel quale il condizionale presente è di norma associato proprio al congiuntivo imperfetto (vorrei che tu fossi < vorrei se tu fossimi aspetterei che tu venissi < mi aspetterei se tu venissi). Se consideriamo questi passaggi, è prevedibile che il senso ipotetico rimanga percepibile nella completiva e nella relativa dipendente da un condizionale. Dobbiamo, però, rilevare che nella completiva e nella relativa l’ipoteticità dipende non da ragioni sintattiche, ma di analogia: il congiuntivo imperfetto, infatti, non veicola in astratto una sfumatura semantica particolare, ma si carica di questa sfumatura quando è inserito nello schema del periodo ipotetico. La proposizione completiva e quella relativa, pertanto, dovrebbero essere estranee a questo significato.
Insomma “Guarderei volentieri un film che abbia come protagonista Al Pacino” è la forma attesa per la relativa al presente; “Guarderei volentieri un film che avesse come protagonista Al Pacino” è una forma che ricalca il periodo ipotetico del secondo tipo, ma che, rimanendo nel costrutto della proposizione relativa, indica che la qualità del film (avere come protagonista Al Pacino) riguarda il passato (e, al pari della frase della risposta 2800836, è un po’ bizzarra, perché la qualità passata non può che permanere nel presente). A riprova di questa ricostruzione, osserviamo che cosa succede se sostituiamo l’indicativo al congiuntivo nella proposizione relativa: guarderei un film che abbia come protagonista… è del tutto equivalente (ma più formale) a guarderei un film che ha come protagonista…guarderei un film che avesse come protagonista… è equivalente a guarderei un film che aveva come protagonista…
Non mi spingerei fino a definire sbagliato il congiuntivo imperfetto nella proposizione relativa retta da un condizionale: vero è, infatti, che il modello del periodo ipotetico è forte e che molti parlanti attribuiscono all’imperfetto, per via di questo modello, un maggiore grado di ipoteticità rispetto al presente. Dopo tutto, la lingua è fatta di percezione: non ci sono strutture obbligate per natura, ma soltanto strutture alle quali gruppi di parlanti assegnano concordemente gli stessi significati. Finché si potrà scegliere tra il presente e l’imperfetto (è possibile, infatti, che in futuro l’imperfetto diventi la forma dominante), però, propenderei ancora per il presente; oltre a essere la forma sintatticamente attesa, si noti, il presente evita l’ambiguità tra guarderei un film che avesse (= ‘eventualmente ha’) e guarderei un film che avesse (= ‘aveva’). 
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

«Se ci fosse stato qualcuno che:
1) mi avesse parlato
2) mi avrebbe parlato
3) mi parlasse
4) mi parlava
di te, avrei ascoltato ogni sua parola».
Vorrei sapere se le mia disamina sui quattro casi della relativa dipendente dalla protasi sia calzante:
a) tutte e quatto le soluzioni sono possibili;
b) la soluzione numero 2 indica posteriorità  rispetto alla protasi;
c) le soluzioni numero 3 e numero 4, invece, sono contemporanee all’azione della protasi; il congiuntivo risulta più formale dell’indicativo (differenza di tipo diafasico);
d) la soluzione numero 1 può indicare anteriorità rispetto alla protasi, ma anche un’eventualità  improbabile; da questo punto di vista, l’azione espressa con questo tempo verbale non è necessariamente anteriore alla protasi («Se ci fosse stato qualcuno che (l’indomani) mi avesse parlato di te, avrei ascoltato ogni sua parola»).

 

RISPOSTA:

La proposizione relativa è di norma autonoma rispetto alla consecutio temporum; questa proposizione, quindi, può essere costruita con una varietà di modi e tempi non strettamente legati alla necessità di esprimere l’anteriorità , la contemporaneità, la posteriorità  rispetto all’evento della reggente (anche se spesso la forma verbale scelta coincide con quella che sarebbe stata scelta nel quadro della consecutio temporum). Nel caso specifico, inoltre, bisogna ricordare che la dipendenza da una proposizione ipotetica al congiuntivo attrae la relativa nell’orbita dell’ipotesi, e questo sfavorisce fortemente il condizionale passato. Tale forma, per la verità , è sconsigliata anche per ragioni di logica. La posteriorità  dell’evento della relativa rispetto a quello della reggente è altamente improbabile: se ieri ci fosse stato qualcuno che l’indomani mi avrebbe parlato di te…; risulta una formulazione cervellotica, difficilmente davvero realizzabile da un parlante.
Ancora, la proposizione reggente qui rappresenta una formulazione allargata, presentativa, di un unico concetto esprimibile con una sola proposizione: se ci fosse stato qualcuno che mi avesse parlato; se qualcuno mi avesse parlato. La forma verbale più attesa è quindi, il congiuntivo trapassato, che rispecchia quello della reggente ipotetica. Il congiuntivo imperfetto è possibile perchè indica un evento passato e viene a coincidere con il tempo della contemporaneità nel passato. L’indicativo imperfetto è anche possibile, come alternativa meno formale del congiuntivo imperfetto (parlava= parlasse), nel quale, però, è anche presente il senso modale (parlava=avesse parlato).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

1) Il gerundio presente può indicare azioni contemporanee a quelle delle reggenti quando queste siano al passato o al futuro?
1a) Domani, impegnandomi a correre per un’ora, proverò a buttare giù la massa grassa.
1b) Ieri, cercando di spiegarti la lezione di storia, mi sono stancata.

2) Se è vero che il soggetto del gerundio deve coincidere con quello della reggente e muovendo dall’assunto che con il si passivante il complemento oggetto tramuta in soggetto, una frase come “Cantando a squarciagola, si immaginavano nuove emozioni da vivere” non sarebbe valida, sbaglio?
Mentre stare + gerundio equivale a mentre + indicativo presente / indicativo imperfetto?
“Mentre sto parlando, potresti usarmi la cortesia di non interrompermi?”
“Mentre stavo parlando, tu non hai usato la cortesia di non interrompermi”.

 

RISPOSTA:

Il gerundio, come tutti i modi indefiniti, non ha mai valore deittico, cioè non ha il potere di situare un evento in un momento del tempo; ha, invece, sempre valore anaforico, ovvero serve a situare l’evento in rapporto temporale (di contemporaneità, anteriorità o posteriorità) rispetto a un altro evento, a prescindere dal momento nel tempo in cui quest’ultimo si situa. La risposta alla sua prima domanda, pertanto, è sì. La risposa alla seconda domanda è più sfumata: in astratto è vero che il soggetto di cantando a squarciagola (= nessun soggetto) non coincide con quello di si immaginavano (= nuove emozioni), quindi il gerundio non dovrebbe essere usato e si dovrebbe, invece, usare la costruzione esplicita nella subordinata (quando si cantava / cantavamo a squarciagola…) oppure quella impersonale nella reggente (che, però, è sgradita ai parlanti con il complemento oggetto plurale: cantando a squarciagola si immaginava nuove emozioni). In pratica, però, la presenza del soggetto logico noi è talmente forte sia dietro cantando sia dietro si immaginavano che la deviazione dalla norma è appena percepibile e tutto sommato trascurabile. 
La perifrasi stare + gerundio (la congiunzione mentre non è significativa), infine, ha la funzione di sottolineare che l’evento avviene lungo un lasso di tempo all’interno del quale avviene un altro evento. La stessa funzione, ma in modo meno esplicito, può essere assolta dal presente (nel presente), dall’imperfetto (nel passato) e dal futuro (nel futuro): sto parlando = ‘parlo’; stavo parlando = ‘parlavo’; starò parlando = ‘parlerò’.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “Se nel contratto fosse stato scritto che lei, prima della firma, doveva aver già fatto una certa cosa, allora avrebbe dovuto farla, altrimenti non avrebbe potuto firmare”, quel doveva aver già fatto al posto di un avrebbe dovuto fare o di un aveva dovuto fare è corretto?

 

RISPOSTA:

L’imperfetto è corretto, in quanto questa forma può essere usata in tutti i contesti al posto del condizionale passato. Ovviamente, il condizionale passato sarebbe la variante più formale. Si noti, inoltre, che si potrebbe usare anche il congiuntivo trapassato (che lei avesse dovuto fare), visto che l’evento è precedente a un altro passato (fosse stato scritto). L’indicativo trapassato, invece, sarebbe una scelta piuttosto trascurata.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo questa frase, ponendo che tutto il suo contenuto si sviluppi nel passato rispetto al momento in cui la frase viene espressa:
“Mi disse che mi avrebbe riferito quello che gli avrebbero detto”.
Quel mi avrebbe riferito è un futuro nel passato rispetto al mi disse, essendo l’espressione resa con il condizionale passato. Quindi, fin qui, tutto bene. Però quel gli avrebbero detto dovrebbe, a sua volta, fungere da futuro nel passato rispetto alla frase da cui dipende (mi avrebbe riferito) ma non può essere così perché il dire è anteriore al riferire (prima gli dicono e poi lui riferisce). Mi è capitato, tempo addietro, di sentire alla TV un noto linguista, il quale, se ho capito bene, sosteneva che, in casi come questi, entrambi i condizionali passati dipendono dal mi disse iniziale. Se così fosse, si spiegherebbe ogni cosa, ma mi resta qualche dubbio su questa dipendenza. Si tratterebbe di una eccezione?

 

RISPOSTA:

In generale la proposizione relativa è quella più autonoma rispetto alla consecutio temporum, quindi tende a prendere il tempo del verbo non in base al rapporto temporale con quello della reggente, ma in base al momento in cui avviene l’evento descritto in essa: passato, presente o futuro. Nella frase in questione, però, la subordinazione rispetto a una subordinata attrae anche la relativa nella consecutio, senza, peraltro, vincolarla obbligatoriamente. La frase ammette, così, una costruzione assoluta e una coerente con la consecutio. Quest’ultima, inoltre, può prendere due forme, una più rigorosa e una meno rigorosa, ma più semplice.
La costruzione assoluta ammette diversi tempi dell’indicativo, ognuno dei quali posiziona l’evento del dire in un momento diverso del tempo: 
“Mi disse che mi avrebbe riferito quello che gli avevano detto” = l’evento è anteriore rispetto a un altro evento passato, inevitabilmente identificato con disse;
“Mi disse che mi avrebbe riferito quello che gli diranno / avranno detto” = l’evento è futuro, eventualmente con la sfumatura della anteriorità rispetto al momento, implicito, in cui effettivamente avverrà il passaggio di informazioni al parlante;
“Mi disse che mi avrebbe riferito quello che gli dicevano” = l’evento è abituale nel passato.
Per quanto riguarda le forme coerenti con la consecutio, quella più rigorosa rappresenta l’evento del dire come anteriore a quello del riferire. Per fare questo, usa il tempo richiesto per esprimere l’anteriorità rispetto al passato (perché il condizionale passato è, ai fini sintattici, un tempo passato, per quanto semanticamente si proietti nel futuro), il congiuntivo trapassato: “Mi disse che mi avrebbe riferito quello che gli avessero detto”. Il congiuntivo trapassato porta con sé una certa sfumatura di ipoteticità, coerente con l’incertezza necessariamente associata a un evento precedente rispetto a uno successivo rispetto a uno passato.
La forma meno rigorosa, ma più semplice, della frase è quella da lei proposta, con i due condizionali passati, che descrive gli eventi del riferire e del dire ugualmente come successivi rispetto a disse e lascia che sia la logica a determinare quale dei due avvenga prima dell’altro.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi sarei grata se mi esponeste la vostra opinione circa la correttezza o meno di questa  frase: “Mi ha detto che mi avrebbe relazionato su ciò che Mario aveva fatto, ma non avrebbe dovuto fare”. È possibile anche dire semplicemente “su ciò che Mario, in passato, non avrebbe dovuto fare”?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Si noti che il primo condizionale passato (avrebbe relazionato) ha la funzione di futuro nel passato, cioè serve a posizionare l’evento in un momento successivo rispetto a un altro passato, che è quello della proposizione reggente (ha detto); il secondo condizionale passato, invece (avrebbe dovuto), invece, ha la funzione di esprimere una condizione passata, cioè una possibilità temporalmente sullo stesso piano dell’evento coordinato (aveva fatto). 
La costruzione alternativa da lei proposta è corretta, ma non ha lo stesso significato della prima versione; manca, infatti, l’esplicitazione che effettivamente Mario ha fatto in passato quello che non avrebbe dovuto.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Non ho potuto informarla, come promesso, sulla questione”.
Mi sono trovata a scrivere questa frase in occasione di una lettera formale.
Quel come promesso avrebbe dovuto (e voluto) conferire al messaggio, più o meno, questo significato: ‘A differenza di quanto le avevo promesso…’.
Subito dopo aver spedito la missiva, sono stata sopraffatta da un dubbio, prettamente grammaticale, dato che, a livello logico, non sono riuscita a scorgere altri significati possibili: può darsi che, a livello sintattico, abbia involontariamente detto il contrario: ‘Le avevo promesso che non l’avrei informata sulla questione, e infatti è così’.
Ripeto: questa seconda interpretazione è fuori di ogni logica, ma mi domando che cosa dice la sintassi al riguardo.
E se avessi scritto “Come promesso, non ho potuto informarla sulla questione”, sarebbe cambiato qualcosa?
È evidente che con una parziale modifica del sintagma si sarebbe semplificato tutto e ogni incertezza sarebbe stata fugata (contrariamente a quanto promesso…), ma tant’è.

 

RISPOSTA:

Il paragone dovrebbe in astratto valere in rapporto a ciò che è esplicitato, quindi il senso immediato della frase dovrebbe essere quello che lei non voleva esprimere. In una frase negativa, però, qualsiasi paragone risulta in pratica inevitabilmente ambiguo, perché il ricevente è facilmente indotto a interpretarlo in rapporto alla versione implicita dell’evento (quella positiva). Tanto più in un caso come questo, in cui il senso immediato è piuttosto bizzarro (difficilmente si promette di non poter fare una cosa). È il contesto, quindi, che consente di comprendere il messaggio senza problemi: come spesso avviene, cioè, la testualità, ovvero l’immersione degli enunciati in un contesto comunicativo autentico, consente di superare i limiti espressivi della sintassi. 
Con qualche attenzione, comunque, è possibile ridurre al minimo (ma mai a zero) il grado di ambiguità di uno scritto: le soluzioni che lei propone funzionano a questo scopo, ma in direzione opposta. Come promesso, non ho potuto informarla sfrutta lo spostamento del sintagma all’inizio della frase, che trasforma l’inciso, sintatticamente autonomo, in un’espansione frasale, che viene associata automaticamente a ciò che è esplicitato. La frase così composta significa senz’altro che lo scrivente aveva promesso che non avrebbe potuto informare la persona e così è avvenuto. Al contrario, contrariamente a quanto promesso esplicita il valore negativo del paragone, che quindi nega la negazione e chiarisce che il riferimento è alla versione positiva, implicita, dell’evento, cioè che lo scrivente aveva promesso che avrebbe potuto informare la persona ma questo non è avvenuto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “per la raucedine non è possibile parlare” è giusto dire che il soggetto è parlare, anche se è possibile è una forma impersonale?

 

RISPOSTA:

Parlare, essendo un verbo, costituisce di per sé una proposizione, quindi non può essere il soggetto di è possibile. Il soggetto deve, infatti, essere un sintagma nominale: Marioil gattole mie compagne
Non è un caso, però, che a lei questo verbo sembri il soggetto dell’espressione impersonale: esso, infatti, costituisce un tipo di proposizione subordinata detta soggettiva, perché di fatto funge da soggetto del verbo della proposizione reggente (ovvero di è).
Inoltre, è sempre possibile considerare parlare un verbo sostantivato, come se fosse il parlare. In questo modo ci troviamo con un sintagma nominale a tutti gli effetti, che è il soggetto di è. Si noti che è possibile è un’espressione impersonale proprio perché non ha il soggetto (ma regge una proposizione soggettiva); se, invece, consideriamo parlare un verbo sostantivato, quindi un sintagma nominale, l’espressione viene ad avere un soggetto, quindi non è più personale, ma è personale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vedendo un film, mi sono imbattuta in questa frase: “Mio padre mi disse che avrei incontrato l’uomo della mia vita mentre suonavo il piano”.
Questa frase mi sembra sintatticamente scorretta, almeno per quanto riguarda quel suonavo. Io direi, a seconda che voglia marcare o meno il concetto di ipoteticità: “Mio padre mi disse che avrei incontrato l’uomo della mia vita mentre (nel momento in cui) avrei suonato (oppure avessi suonato) il piano”. Queste due soluzioni da me proposte sono entrambe corrette?

 

RISPOSTA:

Le sue alternative sono corrette, così come la versione originaria della frase. L’indicativo imperfetto è una forma verbale molto versatile: può, per esempio, riferirsi al futuro sostituendo a tutti gli effetti il condizionale passato con la funzione di futuro nel passato (ovvero di evento successivo a un altro evento passato). Si tratta di una scelta meno formale del condizionale passato, ma del tutto accettabile nel parlato non sorvegliato, come sembra essere quello della battuta del film.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

vorrei domandarvi se e quanto le proposizioni incidentali condizionano, a livello di accordo (e di scelta) dei modi verbali, le altre proposizioni alle quali si legano.
Presento alcuni esempi per chiarire:
1) Marco, credo, ha realizzato un buon lavoro.
2) Marco, e con lui tutti i tuoi amici, è (sono) andato (andati) al mare.
3) Marco, nonché i suoi amici, è (sono) andato (andati) al mare.
Per la frase 1 non riuscirei a immaginare un modo diverso; il congiuntivo mi parrebbe fuori luogo.
Per le frasi 2 e 3 l’accordo è al singolare, al plurale o sono permessi entrambi?
Limitatamente all’ultimo esempio, se eliminassimo le virgole e perdessimo dunque l’inciso (Marco nonché i suoi amici…) il plurale sarebbe d’obbligo (sono andati al mare)?

 

RISPOSTA:

Nelle sue frasi l’unica proposizione incidentale è quella inserita nella prima frase, perché contiene un verbo (anzi, in questo caso coincide con un verbo). Come detto da lei, l’unica forma possibile per il verbo della proposizione reggente è ha realizzato, perché è chiaro che la proposizione credo è sintatticamente autonoma (ha come soggetto io), sebbene si possa considerare subordinata a Marco ha realizzato…
Nella seconda e nella terza frase i sintagmi (non proposizioni) incidentali modificano il soggetto dell’unica proposizione presente nella frase, perché trasformano Marco in Marco e i suoi amici e in Marco nonché i suoi amici (assimilabile a Marco e i suoi amici). Con questi soggetti il verbo richiesto è alla terza plurale,
quindi Marco, e con lui tutti i suoi amici, sono andati… e Marco, nonché i suoi amici, sono andati… 
Al contrario, l’accordo sarebbe al singolare in una frase come Marco, con i suoi amici, è andato, perché con i suoi amici non rientrerebbe nel sintagma del soggetto.
La prova dell’accordo corretto si ottiene spostando l’inciso (anche costituito da una proposizione) dopo il verbo: 
1) Marco ha realizzato un buon lavoro, credo.
2) Marco è andato al mare, e con lui tutti i tuoi amici.
3) Marco è andato al mare, nonché i suoi amici.
Come si può vedere, nella prima frase la sintassi non ha sbavature; nella seconda il sintagma finale si giustifica soltanto ipotizzando un verbo sottinteso, ovvero trasformando il sintagma in una proposizione, a dimostrazione che tutti i suoi amici è soggetto: “Marco è andato al mare, e con lui sono andati tutti i tuoi amici”.
Nella terza, infine, il sintagma finale non si può proprio giustificare, quindi si deve per forza associare al soggetto Marco.
L’eliminazione delle virgole nell’ultima frase non cambierebbe niente nell’accordo con il verbo. Va detto, però, che la congiunzione nonché richiede preferibilmente la virgola; ma se inseriamo la virgola prima di nonché siamo giocoforza indotti a inserire anche la seconda, per non trovarci con uno strano soggetto diviso in due dalla virgola e da una congiunzione. La stranezza salta meglio agli occhi se sostituiamo nonché con eMarco, e tutti i suoi amici sono andati…
Ne consegue che o scriviamo Marco nonché tutti i suoi amici sono andati (variante sconsigliata perché nonché preferisce la virgola), oppure Marco, nonché tutti i suoi amici, sono andati… Difficile da giustificare, invece, Marco, nonché i suoi amici sono andati al mare.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei una delucidazione riguardo alla scelta tra costruzione implicita ed esplicita.
Nella frase “Ho bisogno che lei comunichi i dati per essere identificato” la logica porta chiaramente a ricollegare il sintagma per essere identificato al lei cui si rivolge il soggetto; ma questa valutazione è valida anche dal punto di vista sintattico, oppure sarebbe meglio una formula quale “Ho bisogno che lei
comunichi i suoi dati affinché possa essere identificato (in questo caso, però, mi pare che ci sarebbe ugualmente un’ambiguità, dato che il predicato possa potrebbe ricollegarsi anche a un’altra persona non menzionata nella frase)? 
Nella frase “Non avrei mai immaginato che sarei stata sola” o “Non avrei mai immaginato che avrei potuto essere sola” i soggetti di subordinata e sovraordinata coincidono, ergo si dovrebbe preferire la costruzione implicita. Ma con “Non avrei mai immaginato di essere sola”, “Non avrei mai immaginato di poter essere sola” non si sfuma un po’ troppo l’enunciato sotto il profilo temporale, non distinguendo il passato dal presente o questo dal futuro? 
E infine, la frase “Mi faccia sapere se le informazioni così inoltrate le consentono di essere elaborate e inserite nel sistema” è corretta sintatticamente per “Mi faccia sapere (lei) se le informazioni così inoltrate consentono a lei di (le informazioni) essere elaborate e inserite nel sistema”? D’impulso, assocerei
quel di che apre la costruzione implicita al complemento di termine (= ‘consentono a lei’); ma il soggetto della frase non sono proprio le informazioni? Se è così, la costruzione implicita, che mi lascia un po’ titubante, non dovrebbe essere corretta?

 

RISPOSTA:

Per quanto riguarda la prima frase, la soluzione iniziale è quella migliore. Il problema della concordanza tra il pronome personale di cortesia lei e il participio passato maschile (qui identificato) è insolubile, ma fortunatamente non troppo dannoso per la comprensione (rimando su questo punto alla FAQ  “… sentirla abbattuto” o “… sentirla abbattuta”? dell’archivio di DICO). La formulazione esplicita chiamerebbe in causa un terzo referente, come da lei immaginato, provocando confusione.
Anche per la seconda frase lei ha ragione: la versione implicita schiaccia tutto sul presente, perché i modi indefiniti non hanno il tempo futuro; per questo, proprio nel caso in cui la subordinata è al futuro la costruzione esplicita è legittima anche con identità di soggetti tra la stessa subordinata e la reggente.
Nella terza frase la sua ricostruzione non è corretta, perché il soggetto della proposizione oggettiva subordinata di secondo grado è lei, non le informazioni. Le completive dipendenti da verbi di comando, richiesta, consiglio, opportunità assumono come soggetto non il soggetto della reggente, ma il destinatario del comando, la richiesta, il consiglio, l’opportunità (è il caso di “Ti ordino di uscire” = ‘ordino a te che tu esca’). Nel suo caso, quindi, la costruzione della proposizione sarà (le consentono) di elaborarle e inserirle nel sistema, perché il destinatario dell’opportunità, lei, diviene il soggetto logico della proposizione oggettiva. Al contrario, le consentono di essere elaborate e inserite nel sistema non è ben costruita.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La forma corretta è: “Vuoi che ti chiami?” oppure “Vuoi che ti chiamo?”?

 

RISPOSTA:

La proposizione oggettiva (come quella retta da vuoi nel suo esempio) può essere costruita sia con l’indicativo sia con il congiuntivo. Tra i due modi, l’indicativo è più informale e adatto al parlato, il congiuntivo più formale e adatto allo scritto. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Desidererei sapere se questa frase è corretta: “Mandali a farsi curare”. Io ritengo di sì, comunque tale frase mi è stata contestata e mi è stata consigliata al suo posto quest’altra: “Mandali dal medico affinché possano curarsi”. Ci terrei molto ad avere un vostro parere al riguardo.

 

RISPOSTA:

La sua frase è ben costruita: il verbo mandare è usato qui come verbo di comando e può reggere, pertanto, una proposizione all’infinito il cui soggetto coincide con l’oggetto del comando. Mandare, insomma, si comporta come ordinareti mando a farti curare = ti ordino di farti curare. Per quanto riguarda la costruzione fattitiva (fare o lasciare + infinito), essa è usata correttamente: farsi curare = ‘fare in modo di essere curati’.
Si può forse obiettare che l’espressione sia un po’ scortese, al limite violenta, ma questa considerazione va rapportata alla situazione: tra persone che sono in confidenza la frase è appropriata; in una conversazione tra persone che non si conoscono risulterebbe straniante. Attenzione, però: la versione emendata risulterebbe inutilmente dettagliata e pomposa in un contesto informale, ma sarebbe comunque bizzarra in un contesto formale: la schiettezza di mandali, infatti, contrasta con la ricercatezza della finale esplicita, per giunta introdotta dal raro affinché. Una possibile riformulazione di questa versione formale della frase potrebbe essere “Consigliagli di andare dal medico”, o, volendo essere ancora più distaccati, “Consiglia loro di consultare un medico”.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi propongo questa frase che è stata estrapolata da un discorso: “È come, per es., se uno si gettasse dal terzo piano e restasse incolume 1) perché cade sopra un telone, 2) cadendo sopra un telone, 3) perché cadesse sopra telone (quest’ultima mi pare poco probabile, almeno ad orecchio); il fatto che non si faccia nulla non significa che abbia agito intelligentemente”.  
Vorrei sapere quale delle tre soluzioni da me proposte è quella corretta.
Io propenderei per la numero due: ho ragione? 

 

RISPOSTA:

La variante con il gerundio (la n. 2) è certamente corretta ed economica, perché consente di aggirare due problemi che si devono affrontare se si usa un modo finito: l’identificazione del tipo di subordinata; la scelta del modo e del tempo adatti. La variante con il gerundio, infatti, non esclude che si possa costruire la stessa subordinata in modo esplicito. 
Per quanto riguarda il tipo di subordinata, esso si può facilmente identificare come causale (come fa lei). La proposizione causale di norma non ammette il congiuntivo, ma si costruisce con l’indicativo o il condizionale. In questo caso, il condizionale può essere escluso, perché questa subordinata è attratta nell’orbita dell’ipotesi; il congiuntivo, invece, può essere accettato ancora per via dell’attrazione esercitata dalla reggente. La scelta migliore, comunque, rimane l’indicativo, che non può che essere presente (come nella sua proposta n. 1), visto che l’ipotesi è atemporale. Se si opta per il congiuntivo, invece, questo sarà imperfetto (come nella sua proposta n. 3). Insomma, le sue tre proposte sono tutte possibili, ma la n. 2 è la migliore, la n. 1 è accettabile ma più problematica, la n. 3 è quella meno felice.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

È corretto dire “Non capisco il perché Mario non mi abbia scritto”, oppure si dovrebbe eliminare il?
Dopo il condizionale presente vorrei nella forma negativa si usa il congiuntivo presente o imperfetto? Non vorrei che tu fossi o Non vorrei che tu sia?

 

RISPOSTA:

Il perché Mario… non è corretto, perché in questo caso perché è una congiunzione (secondo alcuni un avverbio) nel pieno delle sue funzioni e non c’è ragione di sostantivarlo. La forma corretta è, pertanto, non capisco perché Mario… Si può, però, costruire la frase così: “Non capisco il perché della mancata risposta di Mario”. In questo caso, come si vede, il perché non è una congiunzione (o un avverbio), ma è un nome, equivalente a motivo, infatti non capisco il perché della mancata risposta = non capisco il motivo della mancata risposta
I verbi di volontà, opportunità, obbligo al condizionale reggono preferibilmente il congiuntivo imperfetto nella proposizione completiva per esprimere la contemporaneità nel presente. Questo vale anche quando non sono preceduti da non, quindi vorrei che tu fossi e non vorrei che tu fossi.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“E non lasciamoci ingannare dal fatto che ‘pace fiscale’ e ‘pace sociale’ potrebbero sembrare anche nobili obiettivi; e lo sarebbero, se non fosse che a pagare questi strani tipi di pace populista siano / saranno sempre i cittadini onesti, a vantaggio dei furbetti”.
Qual è la forma giusta del verbo da usare?

 

RISPOSTA:

Entrambe le forme sono corrette. Il congiuntivo presente può avere la funzione di descrivere eventi futuri, oltre che presenti, sebbene possa risultare ambiguo in alcuni casi, ed è per questo sostituito preferenzialmente dall’indicativo futuro nella lingua d’uso. Questo non è un caso potenzialmente ambiguo, perché l’avverbio sempre chiarisce che l’evento non è realmente futuro, bensì è astorico e proiettato nel futuro. In questo contesto, quindi, il congiuntivo presente è perfettamente trasparente e più formale dell’indicativo. Se mancasse l’avverbio, però, la conclusione sarebbe diversa: siano, infatti, potrebbe essere interpretato come presente astorico (= ‘a pagare sono i cittadini onesti’) o come futuro (= ‘a pagare saranno in questo caso specifico i cittadini onesti’). L’indicativo futuro, che in astratto è la soluzione meno formale, sarebbe, allora, la soluzione preferibile se il senso inteso fosse di futuro; se, al contrario, il senso inteso fosse di presente astorico la soluzione preferibile sarebbe ancora il congiuntivo presente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei mettere sotto la lente questa frase:
“L’incidente è avvenuto ieri alle ore 9 in via Roma. Chiunque fosse sul luogo, è pregato di collaborare con le forze di polizia per fornire dettagli”.
Muovendo dal contesto, il parlante (un giornalista) ha chiaramente usato il congiuntivo imperfetto per riferirsi a un’azione passata (l’equivalente formale, credo, dell’indicativo imperfetto chiunque era).
Secondo me – ma chiedo conferma o smentita a voi – quel congiuntivo, in assoluto, si sarebbe potuto riferire anche ad azione contemporanea o futura, alla stregua di un periodo ipotetico: Chiunque volesse (oggi, domani, ecc.), può/potrebbe… o, per tornare al nostro esempio: Chiunque fosse sul luogo (adesso, non in passato), è pregato di… Mi pare che l’uso fatto del congiuntivo imperfetto dal giornalista sia fuorviante.
Se avessi potuto approntare la sintassi della frase, considerando il messaggio di fondo, avrei fatto questa scelta:
“L’incidente è avvenuto ieri alle ore 9 in via Roma. Chiunque sia stato / fosse stato sul luogo, è pregato di collaborare con le forze di polizia per fornire dettagli”.

 

RISPOSTA:

La sua analisi grammaticale è corretta, ma la sua conclusione no, perché considera soltanto il singolo sintagma e trascura il piano più importante: quello testuale (che comprende anche quello logico). È, infatti, vero in astratto che chiunque fosse sul luogo può riferirsi a qualunque momento, passato, presente o futuro; in questo contesto particolare, però, non può che riferirsi al momento dell’incidente, sia perché esso è stato appena evocato, sia perché è logico pensare che i presenti siano chiamati a testimoniare sull’incidente, non sui loro spostamenti abituali. Non a caso, lei non ha avuto dubbi nell’interpretare così la frase, e, immagino, sarebbe stata molto sorpresa se il giornalista avesse inteso riferirsi, con questa espressione, al presente o al futuro.
Le sue proposte di correzione non sono, quindi, necessarie e, per quanto non impossibili, peggiorano la frase. Il trapassato è incompatibile con la consecutio temporum (perché non avrebbe senso chiedere l’aiuto di persone che fossero state sul luogo dell’incidente prima che l’incidente avvenisse e non mentre avveniva), quindi può essere interpretato soltanto come forma dell’ipotesi improbabile. Con questo tempo, quindi, il giornalista descriverebbe come improbabile l’eventualità della presenza sul luogo dell’incidente delle persone mentre sta chiedendo a queste stesse persone di farsi avanti e aiutare la polizia. Il passato, infine, cancella la sfumatura continuata dell’imperfetto, risultando un po’ ambiguo. Con l’imperfetto, infatti, non c’è dubbio che la presenza vada interpretata come contemporanea all’incidente; con il passato, invece, la presenza potrebbe anche situarsi in un altro momento. In altre parole, con il passato il giornalista potrebbe intendere che è richiesto l’aiuto di persone che siano state sul luogo in qualunque momento del passato, prima dell’incidente, durante l’incidente, dopo l’incidente, come se l’importante sia non il fatto che abbiano assistito all’incidente, ma il fatto che conoscano il posto. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Non mi preoccupano gli effetti avversi immediati, che dicono ESSERE improbabili, bensì quelli differiti”. Volendo scegliere questa linea espressiva è corretto l’ uso di quel essere?

 

RISPOSTA:

La costruzione delle proposizioni oggettive e soggettive con l’infinito e senza alcuna preposizione introduttiva ricalca quella delle proposizioni infinitive latine, che avevano proprio la funzione delle completive italiane. Tale costruzione è ancora contemplata in italiano, sebbene fosse più diffusa nei secoli passati e sia oggi rara e adatta allo scritto tecnico-scientifico e burocratico. Più comunemente si direbbe che dicono siano improbabili (si noti che anche con questa costruzione il che introduttivo della oggettiva è preferibilmente sottinteso per evitare la ripetizione).
Normalmente, la completiva con l’infinito richiede l’espressione del soggetto (corrispondente al soggetto in accusativo delle infinitive latine): “Gli antichi greci pensavano il fulmine essere un attributo di Zeus”. Nel suo caso, però, il soggetto è assorbito dal pronome relativo precedente, divenendo superfluo. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Non mi preoccupano gli effetti avversi immediati, che dicono essere improbabili, bensì quelli DIFFERITI”. È corretto usare il termine differito in questo contesto? So che significa ‘ritardato’ e, in questo senso, sembrerebbe quindi essere corretto, ma, Istintivamente, non mi convince del tutto.

 

RISPOSTA:

Il suo dubbio dipende probabilmente dalla presenza, nel verbo differire, quindi anche nel suo participio passato, del tratto [+volontario]. Un evento differito, infatti, è spostato in avanti nel tempo per volontà e per l’intervento attivo di qualcuno, non per semplice accidente. La frase, invece, sembra riguardare effetti futuri imprevedibili, quindi necessariamente accidentali. Se gli effetti sono effettivamente accidentali, come sembra dalla frase, potrebbe sostituire differiti con futuria venire o costrutti più complessi; se, al contrario, la frase riguarda effetti rimandati dall’intervento di qualcuno può lasciare anche differiti (probabilmente il dettaglio della volontarietà emergerà più chiaramente dal contesto della frase).
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei porre una domanda circa l’uso del periodo ipotetico in relazione ad un verbo espresso al passato, per es.: “Disse che sarebbe andato al mare se il tempo fosse stato bello”. Ovviamente non so se l’azione espressa dal periodo ipotetico sia anteriore o posteriore al disse, quindi devo precisare questo rapporto aggiungendo delle espressioni del tipo seguente: in precedenza oppure in seguito.
Mi chiedevo se fosse possibile evitare l’aggiunta di queste espressioni gestendo adeguatamente il periodo ipotetico, per es.: “Disse che, se il tempo fosse stato bello, sarebbe andato al mare” qualora l’azione espressa dal periodo ipotetico sia collocata nel passato rispetto al disse e “Disse che sarebbe andato al mare, se il tempo fosse stato bello” qualora l’azione espressa dal periodo ipotetico sia posteriore rispetto al disse. Infatti esprimendo la protasi subito dopo il disse si è portati ad andare con la mente al passato (se il tempo fosse stato bello in passato); esprimendo invece l’apodosi subito dopo il disse, la mente va al futuro di quel disse (disse che sarebbe andato in futuro). 

 

RISPOSTA:

Di norma la sintassi prescinde da ragioni di rispecchiamento della realtà e segue una logica tutta interna. Esistono, però, costruzioni nelle quali ritroviamo una certa corrispondenza tra la realtà e la sintassi. La proposizione condizionale di un periodo ipotetico, per esempio, è preferibilmente anteposta alla reggente, che esprime la conseguenza, perché evidentemente nella realtà la condizione precede la conseguenza. Almeno nel parlato, inoltre, anche la proposizione causale precede preferibilmente la reggente (infatti nel parlato si fa largo uso della congiunzione siccome, che consente di anticipare la causale), perché il rapporto tra causa ed effetto è simile a quello tra condizione e conseguenza. 
Si pensi, inoltre, al cambiamento di significato di una frase formata da proposizioni coordinate con la congiunzione e corrispondente al cambiamento dell’ordine con cui sono sistemate le proposizioni: “Sono caduto e mi sono rotto una gamba” = ‘Sono caduto e, come conseguenza, mi sono rotto una gamba’ / “Mi sono rotto una gamba e sono caduto” = ‘Mi sono rotto una gamba e, come conseguenza, sono caduto’. 
Insomma, tendenzialmente quello che viene prima in una frase è interpretato come precedente, la causa o la condizione di ciò che viene dopo. Non è per forza così, si badi: la sintassi rimane fortemente svincolata dal rispecchiamento della realtà. Posso facilmente costruire, per esempio, frasi contrarie al rispecchiamento, come “Sono contento se vieni”, “Sono triste perché non sei venuto”, “Sono caduto dopo essermi rotto la gamba” ecc.
Come si vede dagli esempi, il rispecchiamento della realtà, o iconismo, nella lingua può cambiare i rapporti reciproci tra due elementi, ma non cambia il rapporto tra questi e il resto della frase, nel caso in cui la frase contenga altri elementi. Nel suo caso, lo spostamento della protasi del periodo ipotetico non cambia il rapporto tra il periodo ipotetico e la reggente, che rimane ambiguo tra l’anteriorità e la posteriorità. Va detto, comunque, che in assenza di specificazioni temporali i parlanti risolverebbero l’ambiguità favorendo l’interpretazione posteriore, perché la funzione di futuro nel passato del condizionale passato è oggi dominante rispetto a quella di esprimere la conseguenza irrealistica di un evento che non è avvenuto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

In queste frasi sono giuste le forme che ho usato? Quando ho segnalato due forme qual è la forma giusta?
“Come sai, siamo partite con Carla domenica scorsa, per noi è stata la prima volta nel Sud Italia. Marta era felicissima ma anche preoccupata.
Tutto era perfetto: la citta antica, il mare della costiera. A pranzo mangiavamo sempre panini per non perdere tempo a cena invece sceglievamo ogni sera un ristorante diverso.
La cucina napoleta è saporita, ma a volte un po’ pesante: putroppo una volta Marta si sentiva male, così il giorno dopo ci siamo riposati in albergo. Lì abbiamo conosciuto due ragazzi inglesi. Anche a loro i dintorni e Napoli sono piaciuti molto e hanno detto che era molto emozionante.
La mamma verso mezzogiorno ha cominciato a cucinare e poi ci ha aspettato / aspettava per mangiare tutti insieme. Il pomeriggio era / è stata libera anche lei.
I miei fratellini per pranzo sono tornati a casa per mangiare tutti insieme ma a loro i cannelloni non piacevano / sono piaciuti”.

 

RISPOSTA:

Le forme sono corrette, tranne si sentiva, che è incoerente rispetto a una volta. Con un avverbio che indica un evento singolo, infatti, non si può usare l’imperfetto, ma bisogna usare il passato prossimo. Probabilmente, inoltre, sono piaciuti dovrebbe essere piacevano, anche se l’imperfetto non è scorretto.
Per quanto riguarda le forme dubbie, l’unica scelta sicuramente corretta è ci ha aspettato, perché si riferisce a un evento unico. In tutti gli altri casi, quelli dubbi e gli altri, si possono usare sia l’imperfetto sia il passato prossimo, a seconda di come si vuole rappresentare l’evento. Se, cioè, l’evento è visto come iniziato e finito in un momento o in un periodo definito, si userà il passato prossimo; se, invece l’evento è visto come un processo che ha avuto una certa durata indefinita, si userà l’imperfetto. Per esempio, per noi è stata la prima volta nel Sud Italia = la prima volta è vista come un’occasione con un inizio e una fine, che coincidono con l’inizio e la fine del viaggio; per noi era la prima volta nel Sud Italia = la prima volta ha avuto una certa durata, ma non è importante quanto lunga (non è importate, quindi, far coincidere la prima volta con il viaggio). A pranzo mangiavamo sempre = avevamo questa abitudine; A pranzo abbiamo mangiato sempre = dall’inizio alla fine del viaggio abbiamo fatto questa scelta. Anche a loro i dintorni e Napoli sono piaciuti molto = hanno maturato quell’idea in quell’occasione; Anche a loro i dintorni e Napoli piacevano molto = in quel momento avevano quell’idea. E così via.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

1) Pensieroso per il suo futuro, che gli appariva fumoso; in ansia per il suo presente il noto imprenditore ha preso la decisione di… (non sarebbe comunque consigliata una virgola prima di il noto imprenditore?)
2) Quando tua madre, sempre attenta all’educazione, avrà perso la pazienza; quando tuo padre, intento com’è a garantirti un futuro, avrà perso le speranze tu sarai chiamato a misurarti con i tuoi errori.
(Non sarebbe anche qui consigliata una virgola prima di sarai chiamato?)

 

RISPOSTA:

Effettivamente nelle frasi è preferibile inserire la virgola tra il complesso di proposizioni anteposto alla proposizione principale e la principale stessa. Quando la principale è preceduta da una o più proposizioni subordinate o da uno o più sintagmi che hanno una funzione simile (in ansia per il suo presente = essendo in ansia per il suo presente), è buona norma inserire la virgola prima della principale stessa. Tale virgola si omette di solito se le proposizioni sono logicamente strettamente collegate alla principale, come accade per le ipotetiche (“Se mi chiami non rispondo”) e le completive (“Che sia simpatico si sa”). Le causali (usate nella frase 1) e le temporali (usate nella frase 2) richiedono di solito la virgola se, per esempio, il loro soggetto non coincide con quello della principale (è il caso della frase 2), oppure se sono implicite (come nella frase 1). Negli altri casi, la virgola può essere omessa: “Quando sono arrivato ho visto tutti”; “Siccome sono generoso ti perdono”. Non è impossibile, però, omettere la virgola anche quando i soggetti sono diversi e le proposizioni sono implicite: “Quando sono arrivato tutti gli invitati mi hanno salutato”; “Essendo generoso ti perdono”. Non è impossibile, altresì, inserire la virgola nei casi che non lo richiedono espressamente: “Quando sono arrivato, ho visto tutti”; “Siccome sono generoso, ti perdono”; e inserirle persino con le ipotetiche e le completive: “Se mi chiami, non rispondo”, “Che sia simpatico, si sa”. Moltissimi casi, insomma, rimangono aperti a entrambe le possibilità; la virgola, allora, si inserirà se si intendono rappresentare le due proposizioni, la subordinata e la principale, come informativamente autonome, quindi dare all’informazione veicolata dalla subordinata un lieve risalto rispetto a quello che avrebbe senza la virgola.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sottoporvi questa frase: “Secondo me il problema è male impostato da questo folcloristico personaggio (e dico folcloristico per usare un eufemismo)”.
Ritengo che ci sia qualcosa da ridire su quel dico folcloristico per usare un eufemismo, ovviamente non sul piano del significato pragmatico, bensì su quello della logica espressiva. Sembrerebbe infatti che lo scrivente, spinto dal desiderio, fine a sé stesso, di usare eufemismi, ricorra al termine folcloristico così come sarebbe potuto ricorrere anche ad altri termini, pur di raggiungere la sua finalità: usare eufemismi. Ciò  non avrebbe alcun senso, altera il significato della frase che, ovviamente, esprime l’intenzione di stemperare un insulto e non il piacere di usare eufemismi.
Quindi, per accordare il piano pragmatico con quello logico, sarebbe meglio, a mio avviso, dire e uso un eufemismo quando dico folcloristico

 

RISPOSTA:

La proposizione finale per usare un eufemismo lascia chiaramente intendere che l’uso dell’eufemismo non sia fine a sé stesso, come lei suggerisce, ma sia a sua volta il mezzo per ottenere uno scopo ulteriore, che è quello di non offendere esplicitamente la persona di cui si sta parlando (facendo, quindi, capire che si intende offenderla).Se così non fosse, non ci sarebbe alcuna ragione di precisare lo scopo dell’uso lessicale.
La sua osservazione si ferma al piano del significato superficiale e trascura il senso che l’espressione assume nel contesto in cui è usata; un senso allusivo, implicato. La sua variante della proposizione, si noti, non sposta di molto la questione; se, infatti, interpretassimo la sua proposizione soltanto dal punto di vista del significato otterremmo una descrizione metalinguistica dell’aggettivo folcloristico, del tutto ingiustificata nel contesto (al pari della proposizione finale). L’unico modo per giustificare la sua precisazione è supporre che essa abbia un secondo fine, che torna a essere quello implicato dalla proposizione finale. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Aggettivo, Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“I sovranisti, accortisi che manifestare senza mascherina, fare selfie a stretto contatto con la gente e urlare tutto il bene possibile nei confronti degli italiani con gli occhi fuori dalle orbite non avrebbero / avrebbe più pagato, hanno cavalcato il malcontento per alimentare lo scontro sociale”. 
Il correttore mi dice avrebbe, ma è giusto?

 

RISPOSTA:

Il soggetto del verbo in questione è rappresentato dalle tre proposizioni soggettive ruotanti intorno ai verbi manifestarefareurlare, quindi dovrebbe essere coniugato alla terza plurale. Quando il soggetto del verbo è rappresentato, come in questo caso, da più di una proposizione soggettiva, però, i parlanti tendono a preferire la terza singolare, probabilmente perché non associano le proposizioni facilmente come associano i sintagmi nominali. La terza plurale rimane comunque la scelta più corretta.
Va aggiunto che la terza singolare è anche possibile se si vogliono rappresentare le tre azioni come un tutt’uno, in quanto aspetti diversi dello stesso comportamento. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Spesso, nelle vostre spiegazioni è stato citato il valore epistemico del futuro anteriore, per indicare un fatto di cui non si sia completamente certi. In proposizioni oggettive che siano incardinate su sintagmi quali essere sicurocertoconvinto ecc. è ammissibile scegliere il futuro anteriore, oppure si verrebbe a creare una contraddizione logica (se sono convinto di qualcosa, per quale motivo dovrei costruire la frase con un tempo che indica l’opposto?).
“Sono certo che Michele avrà capito ogni cosa”.
Per concludere, indipendentemente dall’adeguatezza del futuro anteriore in costruzioni del genere, vorrei domandarvi se, in questi casi, sia possibile usare tanto il congiuntivo quanto l’indicativo, con propensione verso il primo dei due quando si voglia aumentare il livello di formalità. Il tema è affrontato di frequente nelle vostre risposte; tuttavia, mi pare che in letteratura (e in essa includo anche autori blasonati) vi sia una netta prevalenza (per non dire una quasi esclusività) del modo indicativo. In altre parole, in anni di lettura difficilmente mi sono imbattuta in esempi quali “Sono sicuro che Tizio sia a casa”; “Ero certa che Caio non volesse parlarne”, ecc. Nelle frasi negative, invece, le occorrenze con il congiuntivo sono indubbiamente meno insolite, anche se, mi pare, inferiori rispetto a quelle con l’indicativo.
Personalmente, ho sempre preferito il congiuntivo e continuerò a preferirlo, nonostante, alle volte, abbia l’impressione che questa scelta sia percepita dagli altri come un errore.

 

RISPOSTA:

Una oggettiva con il futuro anteriore retta da essere sicuro o simili è sintatticamente possibile e semanticamente giustificabile se il parlante intende l’essere sicuro retoricamente, ovvero come equivalente a sperare. Ecco un esempio letterario:
“Vi renderete conto da voi stesso come il mio lavoro sia stato pressante, senza tregua, senza respiro, e m’abbia preso tutto. Sono sicuro che avrete capito e agito di conseguenza” (Aldo Palazzeschi, I fratelli Cuccoli, 1948).
Per quanto riguarda la scelta del modo in proposizioni rette da espressioni come essere sicuro e simili, la sua percezione della preferenza per l’indicativo, anche in letteratura, corrisponde probabilmente al vero, sebbene io non disponga di dati statistici a sostegno di tale opinione. Condivisibile è anche l’idea che la frequenza del congiuntivo aumenti se l’espressione reggente è negata. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se queste tre espressioni sono corrette ed eventualmente quale o quali sono errate: “In questo caso (agendo così) faresti la cosa peggiore che tu possa, che tu potessi o che tu potresti fare”.

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo presente possa è perfettamente regolare ed è la forma più attesa in questo contesto. Il congiuntivo imperfetto potessi, invece, non è giustificabile, perché instaurerebbe un rapporto di contemporaneità nel passato rispetto a un verbo (faresti) che è presente. Ci aspetteremmo il congiuntivo imperfetto in dipendenza da un passato, per esempio avresti fatto la cosa peggiore che tu potessi. Il condizionale presente potresti, infine, è una scelta possibile, come alternativa a possa. Rispetto a quest’ultima forma, il condizionale aggiunge una sfumatura di condizionalità, cioè rappresenta l’azione come condizionata a un’altra. Comunque, dal momento che la condizionalità è già espressa da faresti, ribadirla anche con potresti risulterebbe ridondante.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

È corretto il periodo “Una preoccupazione che ha spinto vari governatori a schierare la guardia nazionale, temendo scontri se la sentenza non sarebbe stata considerata esemplare.”?

 

RISPOSTA:

Il periodo è corretto, Un dubbio può nascere dal collegamento tra la proposizione condizionale introdotta da se e la reggente. Normalmente le proposizioni subordinate dipendono dal verbo della reggente, tranne la proposizione relativa, che dipende da un sintagma nominale presente nella reggente. La condizionale se la sentenza…, però, dipende non dal verbo temendo, bensì dal sintagma nominale scontri, e questo la rende un po’ forzata, per quanto non scorretta. Questa lieve forzatura si può superare in due modi, o trasformando scontri in una proposizione oggettiva (temendo che ci sarebbero stati scontri se la sentenza…), in modo che la condizionale si colleghi al verbo ci sarebbero stati, oppure sostituendo se con nel caso in cui, così da avere una condizionale che sintatticamente è una relativa il cui pronome introduttivo, in cui, è collegato al sintagma nominale nel caso.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Ne trassi l’impressione che, se Guglielmo avrebbe visto volentieri Bernardo in qualche cella imperiale, Bernardo certamente avrebbe visto con favore Guglielmo colto da morte accidentale e subitanea”
(Da Il nome della rosa). 
Nel brano riportato, qual è la funzione della proposizione se Guglielmo avrebbe visto volentieri Bernardo in qualche cella imperiale?
Si tratta di una proposizione oggettiva?

 

RISPOSTA:

Non si tratta di una oggettiva, anche se è subordinata a una oggettiva (che Bernardo certamente avrebbe visto con favore Guglielmo). Si tratta, invece, di una proposizione comparativa; potremmo, infatti, sostituire se con così come o nel modo in cui o simili. La congiunzione se aggiunge al significato della proposizione una sfumatura epistemica di ipotesi, cioè lascia intendere che il parlante non sia del tutto certo dell’informazione contenuta nella proposizione. 
L’uso comparativo della congiunzione se è molto insolito, come anche quello causale, per il quale si veda la risposta n. 2800840 dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Tempo fa una persona di mia conoscenza mi ha detto:
– Se un giorno mio marito mi lasciasse, mi ricorderei dei momenti più belli, non di quelli che avrebbero causato la rottura.
Il condizionale composto, lì per lì, non mi ha suscitato alcuna stranezza, reputandolo subito come l’unica scelta adeguata: rappresentare l’anteriorità di un’azione espressa con il condizionale presente (ricorderei).
In un secondo momento, però, ho sospettato che quella coniugazione si sarebbe potuta interpretare anche come posteriore (una sorta di futuro nel passato che, ad ogni buon conto, non so se possa essere applicata anche al caso specifico).
Se fossi stata io a scrivere, o a pronunciare, la frase, avrei scelto il congiuntivo trapassato. 
Sono corrette tutte e due le scelte e quali sono le differenze a livello di messaggio?

 

RISPOSTA:

Il condizionale passato è senz’altro corretto, proprio perché descrive un evento precedente a quello della reggente, che è al condizionale presente. Possiamo confermare questa idea con un test: se sostituiamo l’indicativo futuro ricorderò a ricorderei, al posto di avrebbero causato useremo avranno causato, ovvero il futuro anteriore. Molto improbabile è l’interpretazione di avrebbero causato come futuro nel passato, perché manca il punto di riferimento passato rispetto al quale l’evento sarebbe futuro: tutto il contesto, infatti, è futuro.
La scelta del congiuntivo trapassato in sostituzione del condizionale passato è possibile, con un piccolo cambiamento di significato. Non possiamo usare il congiuntivo trapassato come alternativa all’indicativo e al condizionale, perché in questo caso esso avrebbe la funzione di descrivere un evento precedente a un altro evento passato e, come detto, non ci sono eventi passati nella frase. Possiamo, però, usarlo come modo della proposizione ipotetica irreale, perché con questa funzione esso indica soltanto che l’evento è o non è precedente a un altro, di cui è la condizione, sia questo passato, presente o futuro. In questo secondo caso, la frase sarebbe interpretata come … mi ricorderei dei momenti più belli, non di quegli altri, se quegli altri avessero causato la rottura. Come si può vedere, in questo modo si sottolinea il rapporto di condizione-conseguenza tra la responsabilità dei momenti nella rottura e il non ricordare i momenti.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

– Ripensai a ciò che avevo udito: se non era un sogno, ma la realtà, allora avevo sognato.
Sarà che a me, personalmente, l’indicativo imperfetto in costrutti ipotetici non convince e tendo a escluderlo (mi vengono sempre in mente, come un automatismo i se lo sapevo, te lo dicevo); ma, tornando all’esempio, vi chiedo se sarebbe stato possibile sostituire era con fosse stato.
– Se era veramente questa la situazione, non le restava che fare ammissione di colpa.
Come sopra: si potrebbe migliorare la frase sul piano della formalità, sostituendo l’imperfetto?

 

RISPOSTA:

Premetto che la prima frase sembra complessivamente incoerente (se non era un sogno allora avevo sognato). Non avendo a disposizione un contesto più ampio, però, sorvolerò su questo aspetto.
La sostituzione di era con fosse stato è possibile; oltre a innalzare la formalità, però, questa scelta cambierebbe leggermente il significato della frase. L’indicativo imperfetto, infatti, riesce a coprire le funzioni del congiuntivo trapassato pur rimanendo indicativo imperfetto, quindi continuando a svolgere anche quelle previste per questo tempo dalla grammatica standard. In questo modo se non era un sogno signfica contemporaneamente ‘se non fosse stato un sogno’ e ‘se non era un sogno’, ovvero ‘se in quel momento io non stavo sognando’. Questo secondo significato, inscindibile dal primo nella frase con era, viene ovviamente perso nella frase con fosse stato.
Nella seconda frase la sostituzione è possibile tecnicamente, ma costerebbe probabilmente il tradimento delle reali intenzioni comunicative dell’emittente. Se era veramente questa la situazione, infatti, non è una vera proposizione ipotetica, ma è una causale travestita da ipotetica (se era = visto che era). Di questo tipo di proposizioni si parla nella risposta n. 2800840. Se sostituiamo era con fosse stata la frase continua a essere corretta, ma il significato della proposizione cambia da causale a ipotetico, modificando sostanzialmente il senso di tutta la frase.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

In questa frase chiamato è corretto o l’accordo va al femminile?
“Valanga di nuvole chiamato anche perfetto collasso delle nuvole”. 

 

RISPOSTA:

Il participio passato di un verbo con ausiliare essere dovrebbe concordare sempre con il soggetto. Non è raro l’accordo con il nome del predicato: “La lettura è stata / stato il mio passatempo preferito per molto tempo”. 
Nei casi in cui il participio passato fa parte di un tempo composto (come nell’esempio appena fatto da me) l’accordo con il nome del predicato è una forzatura ma non si può considerare un vero e proprio errore.
Nella sua frase, però, il participio passato è autonomo, e rappresenta una proposizione relativa implicita: chiamato = che è chiamato. In questo contesto, la concordanza con valanga è decisamente più raccomandabile (e, di conseguenza, la concordanza con il nome del predicato è sconsigliabile), perché la relativa si aggancia chiaramente al soggetto della reggente, appunto valanga, di cui rappresenta un ampliamento.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quale tempo del congiuntivo bisogna adoperare quando siamo alle prese (direttamente o, soprattutto, indirettamente) con il condizionale presente di verbi di volontà, desiderio, eccetera?
In frasi indipendenti mi pare che il problema del tempo giusto non si ponga; è assodato che vorrei che fosse è corretta come vorrei che sia, nonostante quest’ultima forma sia insolita.
La mia incertezza si concentra sul tempo più opportuno in presenza di subordinate dipendenti da reggenti rette dal condizionale presente. Ho notato che il parlante medio tende a scegliere, o comunque a favorire, il congiuntivo imperfetto; mentre per me la questione non è di così immediata soluzione.
Non ho dubbi riguardo a questa costruzione:
1 – “Vorrei che aveste ricevuto l’informativa” (nonostante credo si possa dire anche abbiate ricevuto).
Le costruzioni sottostanti, invece, mi creano un po’ più di esitazione:
2 – “Volevo (intesa come variante semantica di vorrei) accertarmi che abbiate ricevuto / aveste ricevuto l’informativa”.
3 – “Volevo escludere che questi pettegolezzi siano filtrati / fossero filtrati”.
Se entrambe le soluzioni proposte negli esempi fossero valide, qual è la differenza d’uso tra le due?
Domando, per concludere, scostandomi un attimo dal focus, se in una frase come quella sotto indicata sia preferibile il congiuntivo o l’indicativo.
4 – “Gli studi dimostrano che il farmaco abbia / ha efficacia contro il virus”.

 

RISPOSTA:

Il condizionale presente si comporta, ai fini della consecutio temporum con le proposizioni completive, come l’indicativo presente, quindi penserei che = penso che. Ne consegue che per rappresentare un evento contemporaneo alla reggente la proposizione completiva vada costruita con il presente: “Penserei (= penso) che tu sia stupido”; per rappresentare un evento precedente, invece, la completiva richiede il passato: “Penserei (= penso) che tu sia stato stupido”, oppure l’imperfetto, se l’evento si è prolungato nel tempo: “Penserei (= penso) che tu fossi stupido”. Con verbi che esprimono volontà, necessità, opportunità, la consuetudine (talmente radicata da avere quasi la forza di una regola) è che per esprimere la contemporaneità si usi l’imperfetto: “Vorrei che tu fossi più cortese”, e per esprimere l’anteriorità si usi il trapassato: “Vorrei che tu fossi stato più cortese”. Se nella reggente al posto del condizionale presente si usa l’indicativo imperfetto con funzione di condizionale presente la consuetudine rimane valida: “Volevo (= vorrei) che tu fossi più cortese”. 
Per quanto riguarda la scelta tra l’indicativo e il congiuntivo nell’oggettiva la rimando alle tante risposte sull’argomento presenti nell’archivio di DICO. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Una collega mi contesta la correttezza della seguente frase: “Anche se Daniela riuscirebbe a vendersi bene al colloquio, non è così facile per lei trovare un nuovo lavoro”.
Quello che voglio dire è che il soggetto della prima frase è sicuramente in grado di vendersi bene al colloquio: è una certezza e non un’ipotesi. La collega mi dice di usare il congiuntivo (se riuscisse a vendersi), ma allora sarebbe un’ipotesi e non più qualcosa che io ritengo certamente vero. Chi ha ragione?

 

RISPOSTA:

La situazione è più complicata di come sembri. 
La proposizione concessiva sintatticamente integrata nella stessa frase della reggente non ammette il modo condizionale, al pari della proposizione ipotetica. Da questo punto di vista sembrerebbe aver ragione la sua collega, che, però, sbaglia nel proporre come soluzione la sostituzione del condizionale con il congiuntivo (riuscirebbe riuscisse); così facendo, infatti, si stravolgerebbe il senso della frase, trasformando un’affermazione incerta (anche se riuscirebbe) in una concessione (anche se riuscisse). La soluzione, invece, è la separazione della concessiva dal resto della frase attraverso il punto fermo (o al limite il punto e virgola): “Non è così facile per Daniela trovare un nuovo lavoro. Anche se riuscirebbe a vendersi bene al colloquio”. In questo modo la concessiva diviene una pseudo-subordinata, ovvero una proposizione indipendente che sembra una subordinata. In quanto indipendente, può prendere qualsiasi modo e tempo utile a esprimere quello che l’emittente intende, senza vincoli sintattici. 
L’espressione anche se, quindi, ha la funzione di locuzione congiuntiva all’interno della stessa frase, di connettivo (o segnale discorsivo) se introduce una frase autonoma.
Proprio qui sta il suo errore, nell’aver usato il connettivo come una congiunzione. Si tratta di un errore meno grave di quello che scaturirebbe dalla sostituzione del condizionale con il congiuntivo, perché nella forma usata da lei il senso della frase è ricostruibile dal ricevente con un po’ di sforzo, mentre nella forma proposta dalla sua collega il senso sarebbe irrimediabilmente falsato.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Morfologia, Semantica

QUESITO:

Vi sarei grata se mi chiariste un dubbio relativo all’impiego di due futuri anteriori all’interno dello stesso periodo.
1a) «Che cosa gli sarà passato per la testa – mi domando –, quando (se) avrà capito che non gli avrei dato una nuova opportunità».
A livello, per così dire, di messaggio, tenderei a confermare questa soluzione; non so tuttavia se sia ineccepibile dal punto di vista sintattico.
Un’alternativa potrebbe essere:
1b) «Che cosa gli sarà passato per la testa – mi domando –, quando (se) ha capito che non gli avrei dato…».
Questa mi pare più lineare, ma il passato prossimo tradisce a mio avviso il senso che si dovrebbe ascrivere alla proposizione (valore maggiormente ipotetico): «quando avrà capito (non è detto che abbia capito), chissà che cosa gli sarà passato per la testa (valore epistemico del futuro anteriore)».
Altro esempio, stesso dubbio:
2) «Che cosa avranno pensato le ragazze che lo avranno visto passare».

 

RISPOSTA:

Innanzitutto sottolineo che il futuro anteriore nelle sue frasi ha valore epistemico, non temporale; esso, cioè, esprime l’incertezza del parlante circa il contenuto della frase, non situa l’evento nel futuro; al contrario, l’evento è situato nel passato: sarà passato per la testa = ‘forse è passato per la testa’; avranno pensato = ‘forse hanno pensato’. Ora, se la prima parte sia della frase 1 sia della frase 2 esprime effettivamente incertezza, la seconda parte dovrebbe costituire l’evento fattuale rispetto al quale l’emittente eprime quell’incertezza; per questo motivo, questa parte va costruita in entrambe le frasi con l’indicativo passato prossimo, che dal punto di vista epistemico esprime la fattualità propria dell’indicativo e temporalmente colloca l’evento nel passato. 
In astratto non è vietato costruire tutta la frase al futuro anteriore, per manifestare incertezza sia sul primo sia sul secondo evento; in questo modo, però, la frase diviene molto densa informativamente, perché mette insieme un dubbio circa un altro dubbio (forse ha pensato qualcosa quando forse ha capitoforse hanno pensato qualcosa quando forse l’hanno visto passare).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Si dice: “Mi aspettavo che ci fosse qualcosa che non andava” oppure “Mi aspettavo che ci fosse qualcosa che non andasse”?

 

RISPOSTA:

Si può dire in entrambi i modi: normalmente la proposizione relativa richiede il modo indicativo, ma quando dipende da una proposizione al congiuntivo può essere “attratta” nell’orbita del congiuntivo. Non c’è nessuna differenza semantica tra le due varianti, ma quella con il congiuntivo è più formale dell’altra (come sempre avviene nei casi in cui sia possibile usare sia l’indicativo sia il congiuntivo).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Registri
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

La proposizione relativa, se non erro, è molto flessibile nella selezione dei tempi verbali.
Vorrei sapere se le costruzioni indicate di seguito – certamente diverse sul piano semantico – sono tutte valide dal punto di vista sintattico.
Se tu entrassi in una stanza alla quale io…
1. non avessi avuto accesso
2. non abbia avuto accesso
3. non abbia accesso
4. non avessi accesso
5. potrei non avere/aver avuto accesso
6. possa non avere/aver avuto accesso
7. potessi non avere/aver avuto accesso
che cosa faresti?
Avrei infine alcune domande aggiuntive:
quando usare non avessi avuto e quando non abbia avuto?
Per le varianti 6 e 7 sarebbe eventualmente consigliato la trasformazione del verbo potere da affermativo a negativo (non possa aver…; non potessi aver…)?

 

RISPOSTA:

Le varianti della frase sono tutte possibili.
Il trapassato (non avessi avuto accesso) indica che l’evento è avvenuto prima dell’entrarese tu entrassi… alla quale io non avessi avuto precedentemente accesso… Il passato (non abbia avuto accesso) indica soltanto che l’evento è passato (cioè precedente al momento dell’enunciazione, che è adesso), quindi potrebbe essere contemporaneo, precedente o successivo all’entrare. Proprio la genericità, comunque, oltre alla possibilità di usare il trapassato, indurrebbe a escludere l’interpretazione precedente, favorendo quella contemporanea o quella successiva.
Le espressioni possa / potessi non aver avuto non possa / potessi aver avuto sono tutte possibili, ma non sono equivalenti: trascurando il tempo, la prima coppia valorizza il significato eventuale del verbo potere (possa non aver avuto = ‘forse non ho avuto’); la seconda coppia valorizza il significato di possibilità (non possa aver avuto = ‘non mi è stato possibile avere, mi è stato impedito avere’).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei proporre questa frase: “Se fossi stato al telefono mentre qualcuno SUONAVA / AVESSE SUONATO alla porta, non avrei interrotto la comunicazione così bruscamente”.
Quale delle due soluzioni è quella corretta? Lo sono entrambe?

 

RISPOSTA:

La congiunzione mentre presuppone che tra l’evento della proposizione temporale e quello della reggente ci sia un rapporto di contemporaneità, quindi forza all’uso dell’imperfetto, che descrive tale rapporto. Il trapassato, al contrario, sarebbe difficilmente giustificabile.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È consentito dire “Il libro più bello che hai mai letto” al posto di “Il libro più bello che tu abbia mai letto”?

 

RISPOSTA:

È consentito: l’indicativo in questo caso è meno formale del congiuntivo ma del tutto corretto. Il significato delle due frasi, inoltre, è lo stesso. Può consultare l’archivio di DICO con le parole chiave congiuntivo relativa per trovare molte altre risposte su questo argomento.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Quale affermazione è corretta?
“Di cosa si tratti”.
“Di cosa si tratta”.
E in questo caso?
“Basta poco, massimo 2 minuti”.
“Basta pochi minuti”.
“Bastano pochi minuti”.
“Bastano poco minuti”.

 

RISPOSTA:

Riguardo alla prima richiesta, se la frase è autonoma, quindi è per forza una interrogativa diretta, il modo da usare è senz’altro l’indicativo: “Di cosa si tratta?”. Se, invece, è una interrogativa indiretta il congiuntivo è una scelta più formale dell’indicativo: “Vorrei sapere di cosa si tratti” (anche corretto, ma meno formale, “Vorrei sapere di cosa si tratta”). Tranne che tale proposizione sia introdotta dal verbo dire, che preferisce sempre l’indicativo: “Dimmi di cosa si tratta”. 
Per quanto riguarda la seconda richiesta, bisogna ricordare che bastare è un verbo, quindi concorda con il soggetto della frase. Nella prima frase il soggetto è il pronome poco, quindi la forma di bastare richiesta è proprio la terza singolare. Ciò che segue, massimo 2 minuti, è una apposizione del soggetto, costruita correttamente, con l’avverbio massimo (andrebbe bene anche al massimo) che accompagna l’aggettivo numerale 2, a sua volta unito al nome minuti. Si noti che se togliamo poco il soggetto diventa massimo 2 minuti, per cui il verbo deve andare al plurale: “Bastano massimo 2 minuti”.
La seconda frase è costruita male, perché il verbo non concorda con il soggetto. Il verbo, infatti, è singolare mentre il soggetto, pochi minuti, è plurale. L’errore è corretto nella terza frase: “Bastano pochi minuti”. Nell’ultima frase, infine, a essere scorretto è l’accordo tra l’aggettivo poco e il nome da questo accompagnato, minuti. Se poco è da solo, infatti (come nella prima frase), è un pronome ed è invariabile; se è accompagnato da un nome è un aggettivo e deve concordare con il nome accompagnato.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho sentito da più parti che il futuro anteriore non può essere usato nelle oggettive. Mi sembra una affermazione dogmatica. Se devo precisare che un evento si situa temporalmente fra il momento in cui parlo e il futuro estremo espresso nella frase, non ho altra scelta, a meno che non voglia ricorrere a circonlocuzioni assurde. Es. “Se saprò che mi avrai tradito, ti lascerò”. In questo caso a me interessa il tradimento che eventualmente si manifesti fra adesso e il momento in cui saprò. Se dicessi, come molti consigliano, hai tradito anziché  avrai tradito, il collocamento temporale dell’eventuale tradimento non sarebbe così puntuale. Ci terrei molto a conoscere la sua opinione a riguardo.

 

RISPOSTA:

Sono d’accordo con lei: nelle completive è possibile usare il futuro anteriore per descrivere un evento precendete a un altro futuro, sebbene molte grammatiche autorevoli prescrivano l’uso del passato prossimo in un tale contesto. Questa questione è al centro della risposta “Sono tempi difficili per il discorso indiretto” che può leggere nell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

‘In questo letto si dormono sonni tranquilli’.
In questa frase è corretto dire che il “si” è passivante e non impersonale?
Il soggetto, infatti, è “sonni tranquilli” (= in questo letto vengono dormiti sonni tranquilli).

 

RISPOSTA:

Sì, il si in questo caso ha valore passivante. La forma attiva è il costrutto con oggetto interno: dormire sonno tranquilli, al passivo: sono dormiti sonno tranquilli, ovviamente del tutto innaturale e impossibile, in questa forma, in italiano. Come sempre, il confine tra il si passivante e il si impersonale è molto labile, dal momento che i costrutti passivi servono proprio, spesso, a mascherare il soggetto, cioè nel caso di espressioni impersonali, come in questo caso: chiunque (cioè un soggetto generico, impersonale) può dormire sogni tranquilli in questo letto.
In conclusione: è un si passivante con valore impersonale.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Si dice “domani sarà una giornata importante” oppure “domani è una giornata importante”?
Domani vado o andrò a far la spesa?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette: quella con il futuro è più formale e dunque più adatta alla lingua scritta; quella con il presente va bene per tutti gli usi, sebbene sia lievemente più informale e dunque adatta alla lingua parlata. Il presente ormai può tranquillamente sostituire il futuro, specialmente quando, come in questo caso, un avverbio di tempo elimina qualunque possibilità d’equivoco.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei sapere se queste protasi richiedono, nell’oggettiva che segue, il congiuntivo presente o passato o se, come ho sentito dire, entrambe le soluzioni sono accettabili:
1) Se volessi che tu fossi (o sia)…
2) Se credessi / ritenessi / immaginassi che tu fossi (o sia)…
3) Se temessi che tu fossi (o sia)…
4) Se mi meravigliassi che tu fossi (o sia)…

 

RISPOSTA:

Le sue quattro frasi iniziali sono del tutto equivalenti dal punto di vista sintattico. Il dubbio sulla scelta del tempo del congiuntivo deriva dal fatto che l’ipotesi presentata nella proposizione reggente è situata nel presente (= se oggi volessi / credessi / temessi / mi meravigliassi…) ma è espressa con un tempo passato, l’imperfetto, in accordo con le regole della proposizione ipotetica. Ricordiamo che secondo la consecutio temporum, particolarmente vincolante per le proposizioni completive, il presente indica contemporaneità nel presente, quindi è coerente con la situazione descritta, l’imperfetto esprime contemporaneità nel passato, quindi è coerente con il tempo che esprime il dubbio nella proposizione ipotetica reggente. L’imperfetto è, inoltre, attratto dalla costruzione sottostante che sovrappone l’ipotetica alla completiva: se temessi che tu fossi = se tu fossi
In conclusione, l’imperfetto è difendibile, ma la scelta più sensata è il presente, perché lo stato dell’essere è, come detto, contemporaneo rispetto a un evento presente, sebbene espresso con l’imperfetto per una regola sintattica (la costruzione della proposizione ipotetica).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi è stato contestato questo scritto, perché ritenuto inelegante: “X disse che era opportuno che Y non avesse fatto ciò”. Forse la vicinanza dei due che può disturbare?

 

RISPOSTA:

È certamente consigliabile, ove possibile, evitare la sequenza di più che con la stessa funzione (come in questo caso). Si tratta, però, di un peccato veniale; più discutibile, semmai, è la scelta delle forme verbali. La valutazione sulla opportunità di un’azione tipicamente precede o è contemporanea all’azione stessa; difficilmente la segue. Ci sono altre espressioni sinonimiche rispetto a essere opportuno che possono esprimere una valutazione successiva, per esempio essere una fortuna ed essere un bene. Queste espressioni possono esprimere una valutazione successiva dell’azione perché riguardano sia l’azione sia il suo risultato, mentre essere opportuno riguarda essenzialmente l’azione (un risultato si può definire un bene o una fortuna, mentre difficilmente si definirebbe opportuno).
Per questo motivo la frase che comincia con era opportuno difficilmente può continuare con una soggettiva al trapassato; ci si aspetta piuttosto un imperfetto, che instaura con era un rapporto di contemporaneità nel passato con proiezione nel futuro: era opportuno che X non facesse (in quel momento o in seguito). Se, però, è necessario descrivere l’azione con il trapassato, per evitare che la valutazione si trovi a essere successiva la si può anticipare descrivendo anch’essa al trapassato (era stato opportuno che X non avesse fatto). Certo, secondo la consecutio temporum, se descrivo l’azione con il trapassato, l’azione sarà sempre precedente alla valutazione, anche se descrivo la valutazione al trapassato; questo riporta al problema iniziale. Nella frase era stato opportuno che X non avesse fatto, cioè, il fare precede l’essere opportuno proprio come nella frase era opportuno che X non avesse fatto. In linea di principio questo è vero, ma bisogna considerare che quando due eventi (nel nostro caso un’azione e uno stato) sono entrambi al trapassato, il loro rapporto temporale reciproco sfuma e tendiamo a considerarli semplicemente passati. La sequenzialità in questi casi è affidata alla logica, quindi interpretiamo automaticamente l’essere opportuno come contemporaneo al fare: per questo motivo era stato opportuno che X non avesse fatto è più accettabile di era opportuno che X non avesse fatto.
la frase sarebbe corretta anche nella forma sarebbe stato opportuno che X non facesse, ma cambierebbe di significato, perché il condizionale sarebbe stato lascerebbe intendere che l’azione è stata effettivamente compiuta. Al contrario, l’indicativo era stato veicola l’idea che l’azione non sia stata compiuta. Inoltre, il condizionale passato ha lo svantaggio di rimanere sempre a metà strada tra l’anteriorità e la posteriorità nel passato e l’imperfetto nella subordinata non permetterebbe di disambiguare questo tratto: disse che sarebbe stato opportuno che X non facesse, infatti, può anche spostare la valutazione e l’azione nel futuro rispetto a disse.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Dato che, in certi contesti espressivi, si preferisce il congiuntivo al condizionale qualora si intenda marcare l’idea di eventualità, mi chiedevo come valutare la certezza in negativo; come esasperazione dell’eventualità (e quindi, come tale, condizione che richiede il congiuntivo) o come certezza, con la stessa dignità della certezza in positivo (e quindi come condizione che respinge il congiuntivo e richiede il condizionale)?
Esempio preso da una frase di un film: “Mi dissero che avrei incontrato l’amore della mia vita quando avrei suonato il piano” (se si dà per certo o altamente probabile che ciò accada), “quando avessi suonato il piano” (se si dà l’evento come incerto). E se si volesse presentare il fatto come certo in negativo (il fatto non avverà mai)? Si deve usare Il congiuntivo o il condizionale?

 

RISPOSTA:

Rimanendo al caso specifico della sua frase, si noti che il condizionale passato assume la funzione di futuro nel passato sia nella proposizione oggettiva (che avrei incontrato…) sia nella temporale (quando avrei suonato…). Con questa funzione, esso perde gran parte del significato condizionale e diviene a tutti gli effetti un futuro (rimane condizionale nella misura in cui qualsiasi evento futuro è incerto): mi dissero che avrei incontrato… quando avrei suonato, infatti, è la versione al passato di mi dicono che incontrerò… quando suonerò. Ora, se nella proposizione oggettiva (trascurando la seconda subordinata) sostituissimo il condizionale passato con il congiuntivo trapassato (gli altri tempi del congiuntivo sarebbero in questo contesto o impossibili o innaturali) il senso della frase cambierebbe, perché in quel caso l’evento dell’incontrare diventerebbe anteriore a quello del dire. Per la verità, le oggettive rette da dire preferiscono l’indicativo, quindi al posto di avessi incontrato useremmo avevo incontrato. La proposizione introdotta da quando, diversamente dalla oggettiva, ammette la sostituzione del condizionale passato con il congiuntivo trapassato senza spostamento temporale, ma con cambiamento di significato, perché ha un rapporto più libero con la consecutio temporum. Il cambiamento di significato consiste nel fatto che la proposizione è interpretata come temporale con il condizionale passato (quando avrei suonato = ‘nel tempo in cui avrei suonato’), come ipotetica con il congiuntivo (quando avessi suonato = ‘se avessi suonato’). 
Rispetto a questa analisi, che conferma la sua idea che il congiuntivo nella proposizione introdotta da quando esprima maggiore eventualità (cioè ipoteticità) del condizionale passato, la trasformazione della frase al negativo non cambia niente: “Mi dissero che avrei incontrato l’amore della mia vita quando non avrei suonato il piano” (= ‘nel tempo in cui non avrei suonato’) / “Mi dissero che avrei incontrato l’amore della mia vita quando non avessi suonato il piano” (= ‘se non avessi suonato’).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Il congiuntivo si usa nelle domande indirette: “Non so dove siano i miei occhiali” (dove sono i miei occhiali?), ma perché non usiamo il congiuntivo nella seguente frase, anch’essa una domanda indiretta?
“So dove sono i miei occhiali”. 
Tutto sommato possiamo dire che dopo vorrei si usa il congiuntivo imperfetto ma se si tratta di una proposizione relativa si usa il congiuntivo presente?

 

RISPOSTA:

Il problema del congiuntivo è che quasi mai è obbligatorio in sostituzione dell’indicativo. Ci sono, inoltre, alcuni casi in cui è addirittura sfavorito rispetto all’indicativo, cioè nelle completive dipendenti dai verbi saperevederesentiredire (quindi anche nella sua frase “So dove sono i miei occhiali”). Anche in questi casi, però, il congiuntivo non è impossibile: “So dove siano i miei occhiali” è perfettamente corretta. 
Vorrei richiede il congiuntivo imperfetto nelle completive che descrivono un evento contemporaneo al desiderio: “Vorrei che tu venissi”; le proposizioni relative possono avere l’indicativo e il congiuntivo e, inoltre, seguono il valore deittico del verbo, cioè l’indicazione temporale assoluta (il presente indica il presente, il passato indica il passato, il futuro indica il futuro): “Vorrei un’auto che abbia superato tutti i test di sicurezza” / “Vorrei un’auto che faccia 200 km all’ora” / “Vorrei un’auto che tra dieci avrà ancora lo stesso valore” (possibile anche “Vorrei un’auto che tra dieci abbia ancora lo stesso valore” perché il congiuntivo presente proietta il significato del verbo nel futuro).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo tre frasi, nelle quali ci sono dei punti per me dubbi.

Le contraddizioni interne, l’incapacità di raggiungere onorevoli compromessi con gli alleati di governo e con i loro sostenitori più intransigenti (,) avevano generato un caos tale da spingere… (la virgola va messa?)

Sinistra Ecologia Libertà (SEL); Rifondazione Comunista; il Partito Comunista d’Italia; Azione Civile; Sinistra Critica; il Partito Comunista dei Lavoratori; gli arancioni di Luigi De Magistris; ”Possibile” il nuovo partito di Civati; i gruppi di Fassina “Futuro a Sinistra”; MDP (movimento democratico e progressista) di cui è coordinatore Roberto Speranza e Campo Progressista di Pisapia (,) costituiscono la zona paludosa creatasi a sinistra del Pd… (la virgola va messa?)

Abbiamo fatto di tutto affinché la scuola rimanga / rimanesse aperta.

 

RISPOSTA:

Per quanto riguarda la virgola, nella prima frase non è richiesta, visto che tutto il complesso Le contraddizioni interne, l’incapacità di raggiungere onorevoli compromessi con gli alleati di governo e con i loro sostenitori più intransigenti rappresenta il soggetto di avevano generato ed è buona norma non separare il soggetto dal predicato se non ci sono incisi in mezzo. Aggiungo che essendo il complesso formato da due membri, le contraddizioni interne e l’incapacità, è preferibile usare la congiunzione e (o una locuzione congiuntiva più complessa) per unirli, non la virgola; quindi Le contraddizioni interne e / nonché / come anche l’incapacità di raggiungere onorevoli compromessi con gli alleati di governo e con i loro sostenitori più intransigenti avevano generato. La virgola si usa per separare membri di un elenco quando questi sono almeno tre.
La seconda frase presenta lo stesso problema della prima, quindi la virgola non è necessaria neanche in questo caso. È, però, necessaria in altri punti del brano:
 

Sinistra Ecologia Libertà (SEL); Rifondazione Comunista; il Partito Comunista d’Italia; Azione Civile; Sinistra Critica; il Partito Comunista dei Lavoratori; gli arancioni di Luigi De Magistris; “Possibile”, il nuovo partito di Civati; i gruppi di Fassina “Futuro a Sinistra”; MDP (movimento democratico e progressista), di cui è coordinatore Roberto Speranza, e Campo Progressista di Pisapia costituiscono la zona paludosa creatasi a sinistra del Pd…

Nella terza frase sono corretti entrambi i tempi del congiuntivo; la scelta tra i due comporta una differenza di significato della frase. Il presente descrive il rimanere come attuale, l’imperfetto lo riporta al momento in cui abbiamo fatto. In altre parole, abbiamo fatto affinché rimanesse indica che l’impegno è stato mirato a far rimanere la scuola aperta in quel momento e non specifica (ma neanche lo esclude) se esso ha avuto effetti sul presente; abbiamo fatto affinché rimanga riguarda, invece, il presente, con una proiezione nel futuro.
Va anche detto, però, che il passato prossimo (abbiamo fatto) è un tempo sì passato, ma fortemente ancorato nel presente, per cui anche abbiamo fatto affinché rimanesse può essere interpretato come riguardante il presente. In considerazione di questo, la differenza semantica tra i due tempi del congiuntivo risulta molto sfumata in questa frase.
In sintesi, l’imperfetto risulta più ambiguo, perché si può interpretare come legato sia al passato sia al presente; il presente, invece, non provoca difficoltà interpretative. Ovviamente, se il rimanere è effettivamente situato nel passato, non nel presente, l’imperfetto è l’unica soluzione valida.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se è corretto dire “avrei paura che tu possa ammalarti” o “che tu potessi ammalarti”. 

 

RISPOSTA:

Nella consecutio temporum il condizionale presente si comporta come l’indicativo presente, quindi avrei paura = ho paura. Pertanto, così come si dice ho paura che tu possa si dirà avrei paura che tu possa.
Bisogna dire che i verbi di volontà, desiderio, opportunità al condizionale presente reggono preferenzialmente il congiuntivo imperfetto, non presente (vorrei che tu potessisarebbe meglio che tu potessi ecc.); avere paura potrebbe essere attratto da questi verbi, visto che semanticamente equivale a ‘non desiderare’ (avrei paura = non desidererei), quindi la costruzione con il congiuntivo imperfetto è giustificabile e non può essere considerata scorretta.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se nella frase “Chiesi alla maestra che cosa avesse fatto studiare e che cosa avesse chiesto”, la proposizione e che cosa avesse chiesto è una subordinata oppure una coordinata.

 

RISPOSTA:

La proposizione è coordinata a una subordinata, quindi è anche subordinata. In particolare, è una interrogativa indiretta coordinata a un’altra interrogativa indiretta, che cosa avesse fatto studiare.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quando è possibile non usare il trapassato prossimo? Nelle seguenti frasi, l’anteriorità non viene espressa con il trapassato ma con gli avverbi di tempo:
“Stamattina Franco mi ha detto che ieri è andato dal medico”.
“Marta ha detto che ieri è rimasta a casa tutto il giorno”.
Forse se l’avverbio di tempo esprime chiaramente la relazione dei due fatti passati non è necessario esprimerla con i tempi passati? Quindi sarebbe sbagliata la frase con il trapassato?
Nell due frasi seguenti al passato però bisogna esprimere l’anteriorità con il trapassato. Quindi non sarebbero giuste con il passato prossimo?
“A casa di Lucia ho rivisto una ragazza che avevo conosciuto qualche mese fa in discoteca”.
“Ieri Giulio mi ha reso i soldi che gli avevo prestato un mese fa”.
Nelle seguenti frasi al futuro bisogna usare il passato prossimo o il futuro anteriore? O tutto dipende dal fatto che l’azione sia già accaduta o no?
“A voce ti dirò come sono / saranno andate le cose con Franco”.
Sono andate = già di sicuro sono accadute;
saranno andate = queste cose non sono ancora avvenute.
“Se Luisa non ci vedrà alle sei, penserà che ci siamo / ci saremo dimenticati dell’appuntamento. 
“Diremo ai nostri amici che siamo / saremo dovuti restare a casa fino a quando tornerà Carlo”.
“Sergio sarà sicuro che noi abbiamo / avremo sbagliato strada”.
“Quando vedranno che il figlio è / sarà rimasto a dormire fuori, si arrabbieranno certamente.

 

RISPOSTA:

La ragione della preferenza per il passato nelle proposizioni subordinate completive nelle prime due frasi è senz’altro la vicinanza dell’evento della reggente al presente e, in più, la presenza dell’avverbio ieri nella subordinata, che instaura una relazione diretta con il presente (ovvero con il momento dell’enunciazione), non con il momento di riferimento, rappresentato dal verbo della reggente. Se modifichiamo ieri con il giorno prima, vediamo che il trapassato diviene molto meno forzato (per poterlo fare, però, dobbiamo anche spostare la principale indietro nel tempo): “L’altro giorno Franco ha detto che il giorno prima è / era andato dal medico”; “Marta ha detto che il giorno prima è / era rimasta a casa tutto il giorno”. Il passato nella completiva rimane possibile anche spostando indietro nel tempo l’evento della reggente: questo avviene perché nella reggente c’è ancora il passato prossimo, che mantiene una relazione logica con il presente. Se sostituiamo il passato prossimo con il passato remoto o con l’imperfetto, il passato prossimo nella completiva diviene quasi impossibile: “Franco disse / diceva che il giorno prima era andato dal medico”; “Marta disse / diceva che il giorno prima era rimasta a casa tutto il giorno”. 
Nelle seconde due frasi le subordinate sono relative, non completive. Le relative sono del tutto svincolate dalla consecutio temporum e prendono il tempo che serve a indicare il momento in cui è avvenuto l’evento. Il tempo usato a volte coincide con quello della consecutio (come nei suoi esempi), ma può essere diverso; ce ne accorgiamo perché possiamo usare al suo interno il passato remoto, che nella consecutio temporum non è contemplato: “A casa di Lucia ho rivisto quella ragazza di cui ti parlai qualche mese fa in discoteca”.
Nell’ultimo gruppo di frasi, infine, si può usare il passato prossimo e il futuro anteriore. La differenza è nel punto di vista da cui si guarda l’evento della completiva. Prendiamo ad esempio la prima frase (“A voce ti dirò come sono / saranno andate le cose con Franco”): se si considera il momento dell’evento della reggente (dirò) come futuro rispetto al momento dell’enunciazione (adesso) nella completiva si userà il futuro anteriore (saranno andate), se lo si considera come coincidente con il momento dell’enunciazione (dirò = adesso) si userà il passato prossimo (sono andate). In questo secondo caso, ovviamente, si fa una piccola forzatura logica, immaginando di spostarsi per un attimo nel futuro e di guardare l’evento della completiva da quel punto di vista come se fosse presente. I parlanti fanno spesso tale forzatura per semplificare la costruzione delle frasi eliminando il problema del momento di riferimento. Questa scelta comporta una conseguenza negativa: si crea ambiguità tra i punti di vista. Il passato prossimo, infatti, può riferirsi anche a un momento precedente all’evento della reggente. In “A voce ti dirò come sono andate le cose con Franco”, cioè, sono andate può essere successo prima di adesso (momento dell’enunciazione) o prima di dirò (momento di riferimento = momento dell’enunciazione). Il fatto che il passato prossimo sia più ambiguo del futuro anteriore lo rende più trascurato; spesso, però, nella comunicazione reale l’ambiguità si risolve in altri modi, per cui il passato prossimo è un’opzione valida. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È corretto scrivere: “Se mi scrivi un messaggio lo leggerò come se fosse un romanzo”?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Al suo interno troviamo la proposizione principale all’indicativo lo leggerò che regge due subordinate di primo grado: la subordinata ipotetica se mi scrivi un messaggio, con la quale forma un periodo ipotetico del primo tipo, e la proposizione comparativa ipotetica come se fosse un romanzo. Si noti che la proposizione comparativa ipotetica richiede quasi esclusivamente il congiuntivo imperfetto o trapassato (rarissimi il presente e il passato) in relazione al grado di ipoteticità della comparazione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Le locuzioni a meno che e a a meno di sono intercambiabili a prescindere dalla costruzione che vadano a comporre? Se e quando sarebbe eventualmente opportuno sceglierne una a discapito dell’altra?
Nel caso, ad esempio, di coincidenza dei soggetti di reggente e subordinata, è suggerito l’uso di a meno di, per evitare che si vengano a creare difficoltà interpretative? 
Lo studente sarebbe stato ammesso all’università, a meno di non sbagliare l’esame finale
Lo studente sarebbe stato ammesso all’università, a meno che non sbagliasse (avesse sbagliato?) l’esame finale
Chiedo, infine, se la scelta tra congiuntivo presente o congiuntivo imperfetto, oppure tra imperfetto e trapassato (come nell’esempio sopra), dipende dal grado di attuazione dell’evento che descrivono. 
Non vorrei farlo, a meno che lui non me lo chieda/chiedesse.

 

RISPOSTA:

Come mostrato dai suoi esempi, a meno che introduce una proposizione eccettuativa esplicita, al congiuntivo o all’indicativo, a meno di introduce la stessa proposizione implicita, cioè all’infinito. La domanda, pertanto, dovrebbe riguardare la differenza non tra le due locuzioni congiuntive, ma tra le due costruzioni della proposizione. Questa proposizione si costruisce quasi sempre in modo esplicito (quindi è introdotta da a meno che); il modo implicito (per il quale è richiesta a meno di) si può usare soltanto quando il soggetto coincide con quello della reggente, ma anche in questo caso la costruzione esplicita è comunissima, come si vede ancora dai suoi esempi.
Per quanto riguarda i tempi del congiuntivo all’interno di questa proposizione, essi dipendono dalla consecutio temporum: il presente indica contemporaneità o posteriorità rispetto al presente, l’imperfetto contemporaneità o posteriorità rispetto al passato, il passato anteriorità rispetto al presente, il trapassato anteriorità rispetto al passato. Il condizionale passato, infine, può essere usato in alternativa con il congiuntivo imperfetto per indicare la posteriorità rispetto al passato. Da questo quadro consegue che le due varianti della seconda frase sono corrette, ma diverse: a meno che non sbagliasse descrive l’evento come posteriore rispetto al momento di riferimento passato implicito nella frase, sullo stesso piano di sarebbe stato ammesso, anch’esso posteriore rispetto allo stesso momento di riferimento implicito; a meno che non avesse sbagliato, invece, descrive l’evento come precedente rispetto a sarebbe stato ammesso. Nella frase finale la situazione è leggermente diversa: a meno che non me lo chiedesse dovrebbe essere impossibile, perché il verbo reggente è al presente, ma il condizionale vorrei avvicina la frase a un periodo ipotetico del secondo tipo = lo farei se lui me lo chiedesse, che rende l’imperfetto accettabile (ma non preferibile). Non a caso, se al condizionale vorrei farlo sostituiamo l’indicativo, l’imperfetto diviene difficilmente giustificabile (*non lo faccio a meno che lui non me lo chiedesse), perché il modello del periodo ipotetico non è più attivato.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere quale alternativa tra avesse avrebbe completa correttamente le seguenti frasi:
“Credevo che… mangiato poco, invece era sazio.
“Credevo che… comprato qualcosa, invece ritornò a mani vuote”.

 

RISPOSTA:

Entrambe le forme sono corrette in entrambe le frasi, ma ne modificano il significato: credevo che avesse mangiato o comprato significa che gli eventi del mangiare e comprare sono avvenuti prima del momento in cui il parlante credevacredevo che avrebbe mangiato o comprato, al contrario, significa che il mangiare e il comprare potrebbero avvenire dopo il credere.
La prima frase con avrebbe, per quanto grammaticalmente possibile, è l’unica problematica, perché è prevedibile che una persona sazia mangi poco, quindi non si giustifica che la condizione di sazietà della persona sia presentata in opposizione (attraverso il connettivo invece) alla previsione che quella persona avrebbe mangiato poco.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Scrivo per chiedere qual è il grado di subordinazione di alcune proposizioni nel seguente periodo:
 

Poiché la punizione colpiva a caso e quindi tutti i membri della legione sotto accusa correvano il rischio di essere uccisi, i soldati erano spronati a comportarsi in battaglia in modo coraggioso.

Certamente i soldati erano spronati è la principale e a comportarsi in battaglia in modo coraggioso è subordinata di primo grado. Mi resta però il dubbio se poiché la punizione colpiva a caso sia subordinata di primo o secondo grado. 
Analogamente, nel periodo:
 

Dato che la decimazione riduceva in un sol colpo del dieci per cento la forza del reparto, è ovvio però che essa venisse comminata molto raramente,

è ovvio però è la principale e che essa venisse comminata molto raramente è subordinata di primo grado, ma come va intesa dato che la decimazione riduceva in un sol colpo del dieci per cento la forza del reparto? Come subordinata di primo o di secondo grado?

 

RISPOSTA:

Per stabilire se una proposizione sia collegata direttamente alla principale (quindi sia di primo grado) o a una subordinata (quindi sia di grado inferiore) bisogna riflettere sulla relazione tra l’evento in essa descritto e gli eventi descritti nelle altre proposizioni.
Nella prima frase, erano spronati a comportarsi è quasi una perifrasi modale, perché il soggetto di spronare potrebbero essere i soldati stessi (erano spronati a comportarsi = si spronavano a comportarsi). Per questo motivo è difficile separare logicamente comportarsi da spronare, quindi decidere se poiché la punizione… sia collegato a spronare o a comportarsi. Nonostante questo, possiamo concludere con sicurezza che la causale dipende dalla principale, perché la causa produce come conseguenza lo spronare, da cui dipende, per un altro verso, il comportarsi. A riprova di questo, vediamo che se escludiamo la proposizione oggettiva il collegamento tra la causale e la principale non viene reciso: Poiché la punizione colpiva a caso… , i soldati erano spronati. Diversamente, se avessimo davvero una subordinata di secondo grado non potremmo escludere l’oggettiva. Ad esempio, nella frase “I soldati erano spronati a comportarsi in modo coraggioso quando erano in battaglia“, se escludiamo l’oggettiva la frase rimane sensata (I soldati erano spronati quando erano in battaglia) ma il suo significato cambia, cioè diventa un’altra frase. 
Ancora più difficile è separare è ovvio dalla soggettiva che essa venisse comminata… nella seconda frase. La principale è percepita quasi come un avverbio (è ovvio che essa venisse comminata = essa veniva ovviamente comminata); in più essa, che rimanda a decimazione, è nella subordinata soggettiva, non nella principale, quindi c’è un collegamento referenziale diretto tra la subordinata soggettiva di primo grado e la subordinata causale. In questo caso la logica ci fa propendere decisamente per la dipendenza della causale dalla subordinata soggettiva; la sintassi, però, ci spinge alla soluzione opposta: anche qui la causale dipende dalla principale, da cui, per un altro verso, dipende anche la soggettiva.
Aggiungo che il però in quella posizione è senz’altro da rivedere, perché mette in contrapposizione due eventi che sono l’uno la conseguenza dell’altro. Probabilmente la contrapposizione è tra la causa e quello che era detto prima (che qui non è riportato), quindi: Dato che, però, la decimazione riduceva in un sol colpo del dieci per cento la forza del reparto, è ovvio che essa…
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

1. Mangia come se non ci fosse un domani.
2. Mangiava / Mangiò come se non ci fosse un domani.
3. Mangia come se ieri avesse digiunato.
4. Mangiava / Mangiò come se il giorno prima avesse digiunato.
Riporto questi esempi costruiti sul sintagma “come se” – per i quali mi rimetto al vostro giudizio – a supporto della tesi secondo cui il congiuntivo imperfetto indica contemporaneità con la reggente (a prescindere dal tempo che la caratterizza) e il congiuntivo trapassato indica anteriorità rispetto alla reggente (sempre prescindendo dal suo tempo).
Infine, vi chiederei anche un’altra cosa: il trapassato può talvolta indicare la contemporaneità della subordinata con una reggente al passato (come alternativa sintattica all’imperfetto, ma con una maggiore sfumatura di incertezza), oppure l’anteriorità è, come dire, implicita e ineludibile? Un esempio:
5. Mi sforzai di apparire impassibile, come se fossi / fossi stato un estraneo. 

 

RISPOSTA:

Nell’ambito della consecutio temporum l’imperfetto indica la contemporaneità e il trapassato l’anteriorità rispetto al passato (quindi non a prescindere dal tempo della reggente). Per esempio: 
a. Penso (presente) che lui cerchi (presente = contemporaneità) Luca / abbia cercato (passato = anteriorità) Luca.
b. Pensavo (imperfetto) che lui cercasse (imperfetto = contemporaneità) Luca / avesse cercato (trapassato = anteriorità).
Si noti che il congiuntivo imperfetto può esprimere anche l’anteriorità rispetto al presente, per sottolineare la continuità dell’azione nel passato:
c. “Penso che lui cercasse Luca”.
Inoltre, il trapassato può anche essere usato con una reggente al presente, ma presupponendo un evento intermedio al passato:
d. “Penso che lui avesse cercato Luca (prima che Luca chiamasse). Le consiglio una ricerca con la parola chiave prima che nell’archivio di DICO per un approfondimento sui tempi richiesti dalla congiunzione prima che.
La proposizione comparativa ipotetica richiede l’uso del congiuntivo non secondo la consecutio ma secondo il grado di ipoteticità, che spesso (ma non sempre) non coincide con la consecutio. Il grado di ipoteticità attribuisce all’imperfetto la funzione di esprimere la possibilità e al trapassato quella di esprimere l’improbabilità o l’impossibilità, per questo è possibile usare l’imperfetto per un evento contemporaneo nel presente (frase 1) e il trapassato in dipendenza dal presente senza la presupposizione di un evento passato intermedio (frase 3) e in dipendenza dal passato per esprimere un evento contemporaneo (frase 5). Sempre nella frase 5, mi sforzai… come se fossi è un caso di coincidenza tra uso secondo la consecutio e uso secondo il grado di ipoteticità.
Si noti ancora la differenza tra l’uso della consecutio e quello ipotetico:
“Mangia come se non ci fosse un domani” (uso ipotetico) / “Pensa che non ci fosse un domani” (uso secondo la consecutio). Nella seconda frase è evidente che l’imperfetto fosse si riferisce al passato come cercasse della frase c. 
“Mangia come se ieri avesse digiunato” / “Pensa che ieri avesse digiunato”. Nella seconda frase è evidente che c’è un evento intermedio implicito tra avesse digiunato e pensa, che fa da momento di riferimento per il trapassato, come nella frase d.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Scrivo per sottoporle l’uso del verbo fossero all’interno della frase che segue:

Mamah cercò di immaginarsi un futuro in cui avrebbe spiegato ai figli […] ciò che lei stessa aveva appena compreso. Quando fossero stati adulti avrebbero certamente compreso che la scelta […] non era stata un atto di egoismo bensì una prova di amore per la vita.
Sebbene io riconosca la correttezza del congiuntivo, probabilmente avrei optato per il modo condizionale (sarebbero stati). Sarebbe stata un’alternativa corretta?
Approfitto per chiederle qualche riferimento bibliografico sul corretto uso del congiuntivo.

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo trapassato fossero stati entra in relazione con il tempo della reggente, avrebbero compreso, che è condizionale passato (quindi un tempo passato, anche se proiettato nel futuro), rispetto a cui esprime l’anteriorità. L’alternativa sarebbero stati non stabilisce un rapporto di anteriorità con la reggente, ma entra in relazione, attraverso un collegamento non strettamente sintattico, con il verbo cercò, che governa logicamente tutto il passaggio. Sarebbero stati, quindi, indica un evento posteriore rispetto a un altro passato (per questo è detto anche futuro nel passato), alla pari di avrebbero compreso.
Indicazioni sull’uso del congiuntivo si trovano in tutte le grammatiche, per esempio Italiano di Luca Serianni, Garzanti, 1997 (riedita nel 2000 e ristampata decine di volte). Una illustrazione di casi problematici è contenuta anche in L’italiano scritto: usi, regole e dubbi, di Fabio Rossi e il sottoscritto, Carocci, 2019. Un libro agile tutto dedicato all’argomento è Viva il congiuntivo! di Giuseppe Patota e Valeria Della Valle, Sperling & Kupfer, 2014.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Nella frase seguente si possono usare entrambi i verbi?
“Lucia si stancò di parlare con l’amico Stefano quindi gli disse che doveva andare / sarebbe andata a fare la spesa”.

 

RISPOSTA:

I verbi sono corretti, ma ci sono delle differenze tra l’uno e l’altro. Il primo esprime l’idea di futuro nel passato, ovvero di un evento (andare) successivo a un altro passato (disse), con l’indicativo imperfetto; il secondo fa lo stesso con il condizionale passato. L’indicativo imperfetto è meno formale, più familiare e adatto al parlato rispetto al condizionale passato, che è comunque adatto a tutti i contesti. La scelta tra l’uno e l’altro verbo andrà fatta, quindi, sulla base del registro che si vuole tenere nel discorso. 
Il primo, inoltre, integra il servile dovere, che aggiunge una sfumatura di significato assente nel secondo. Con il primo verbo, infatti, l’azione dell’andare è rappresentata come obbligata, non come certa (il soggetto dice che deve andare, lasciando aperta la possibilità che scelga di non andare); con il secondo, invece, l’azione è rappresentata come già stabilita, anche se permane un minimo grado di incertezza necessariamente legato all’idea stessa di futuro.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

n

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QUESITO:

vorrei porvi una domanda circa il condizionale composto nella sua funzione di futuro nel passato.
Qualora un verbo servile venga adottato per la sua formazione, verrebbe invalidata tale funzione di posteriorità (veicolando invece l’anteriorità), oppure, da questo punto di vista, sarebbe ininfluente?
Mi spiego con alcuni esempi.
a) Pensò che sarei andata da lui (posteriorità);
b) Pensò che sarei potuta andare da lui (anteriorità o posteriorità?).
c) Sospettò che non avrei aderito al progetto (posteriorità);
d) Sospettò che non avrei potuto aderire al progetto (anteriorità o posteriorità?).
e) Mi sono chiesta se sarebbe passata da me per pranzare insieme (posteriorità);
f) Mi sono chiesta se sarebbe potuta passare da me per pranzare insieme (anteriorità o posteriorità?).

 

RISPOSTA:

Per la verità, il condizionale passato può riferirsi a un evento precedente a un altro passato anche senza la presenza del verbo servile. Questa evenienza, però, è vincolata a un forte significato condizionale, ovvero alla presenza nella frase di una condizione che faccia assumere al condizionale il suo significato proprio di possibile conseguenza. Per esempio: “Pensò che il giorno prima sarei andata da lui se avessi potuto“. Si noti che anche in questo caso, con l’esplicitazione della condizione, se non è possibile stabilire il rapporto temporale tra il condizionale e il verbo al passato, il condizionale viene più facilmente interpretato come posteriore: “Pensò che sarei andata da lui se avessi potuto” = “Pensò che (il giorno dopo) sarei andata da lui se avessi potuto”. In assenza di una condizione esplicita o facilmente recuperabile dal contesto, invece, il condizionale passato viene automaticamente interpretato come posteriore.
La presenza del servile facilita l’interpretazione anteriore, anche se non esclude quella posteriore (come da lei intuito) perché in qualche modo il servile veicola un senso di condizionalità quindi lascia trasparire una condizione. In “Pensò che sarei potuta andare da lui”, per esempio, potuta viene interpretato come se avessi potuto o se fosse stato possibile, quindi è possibile sia “Pensò che (il giorno prima) sarei potuta andare da lui” sia “Pensò che (il giorno dopo) sarei potuta andare da lui”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho notato che in alcune frasi vengono utilizzati i trattini (-), che se non erro sono simili alle virgolette. In questa frase: “Donare sangue – dice spesso – è facile” (riferito chiaramente ad una persona).
Per quale motivo servono i trattini?

 

RISPOSTA:

I trattini hanno una funzione simile a quella delle parentesi (non hanno, invece, niente a che fare con le virgolette). Possono essere usati per contenere un sintagma (ovvero un pezzo di una proposizione) aggiuntivo, che modifica leggermente il significato della frase in cui è inserito: “Sei arrivato – come sempre – in ritardo”. In questi casi possono essere sostituiti dalle parentesi: “Sei arrivato (come sempre) in ritardo”, o dalle virgole di apertura e chiusura: “Sei arrivato, come sempre, in ritardo”. Rispetto alle parentesi, le virgole e i trattini mettono meno in secondo piano l’informazione che racchiudono.
Più spesso, i trattini sono usati per contenere un’intera proposizione incidentale, dotata di un verbo (come nel suo esempio). In questi casi si possono comunque sostituire con le virgole, mentre difficilmente si useranno le parentesi.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

n

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QUESITO:

Le frasi
– Non so se Tizio sia bello o sia brutto;
– Non so se Tizio sia bello o se sia brutto
sono corrette – nel caso si volessero raggiungere dati effetti stilistici – dal punto di vista sintattico quali varianti della più comune
– Non so se Tizio sia bello o brutto?
In generale, il se dopo la congiunzione disgiuntiva può essere omesso o ripetuto in base alle scelte dello scrivente, oppure vi è una regola grammaticale che ne condiziona l’uso?
– Non so se Tizio sia uscito di casa o (se) stia ancora dormendo.
– Chissà se Tizio ha deciso di continuare gli studiare, oppure (se) ha preferito introdursi nel mondo del lavoro.
Un’ultima curiosità: spesso con il se interrogativo si trovano costruzioni in cui le interrogative indirette presenti sono coniugate l’una all’indicativo e l’altra al congiuntivo. Questo uso è corretto o sarebbe meglio, per uniformare lo stile, scegliere uno dei due per entrambi i predicati (anche nell’esempio sotto indicato si riaffaccia, come vedete, il problema della ripetizione del se)?
– non ho capito se Tizio ha ricominciato a mangiare regolarmente o (se) abbia saltato i pasti anche oggi.

 

RISPOSTA:

È sempre possibile sottintendere in una proposizione gli elementi che appaiono identici in una proposizione coordinata subito precedente. Nella sua prima frase gli elementi identici sono la congiunzione se e il verbo sia, infatti è possibile sottintendere entrambi nella proposizione coordinata. Nella seconda frase l’elemento identico è la congiunzione se, mentre il verbo cambia, infatti si può sottintendere soltanto la congiunzione. L’omissione è una scelta libera, stilistica, non soggetta a regole (se non, appunto, che si può realizzare soltanto se l’elemento è già presente identico nella proposizione a cui la proposizione considerata è coordinata).
Per quanto riguarda l’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle interrogative indirette, visto che in questo caso non c’è alcuna variazione di significato tra l’uno e l’altro modo, ma la scelta dipende da ragioni di registro, è sensato applicare la stessa scelta a entrambe le proposizioni coordinate, per quanto non si possa dire che il passaggio dall’uno all’altro modo sia un errore. Nel parlato tale passaggio può essere dovuto al fatto che man mano che la frase procede dimentichiamo le parti precedenti, quindi è difficile mantenere la simmetria tra le coordinate, perché quando dobbiamo scegliere gli elementi della seconda proposizione abbiamo già dimenticato quelli scelti per la prima.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

All’interno del testo della vostra risposta “Proposizioni dipendenti da ipotetiche“, è riportata la seguente affermazione: Il congiuntivo trapassato non può riferirsi alla posterità.
A tutta prima, non ho potuto che ricevere conferma della validità delle mie conoscenze pregresse.
Subito dopo è però sopraggiunto un dubbio: la posterità è considerata in termini assoluti, cioè prescindendo dai punti di ancoraggio delle frasi, oppure è una semplice specificazione del fatto che – com’è ovvio – ogni causa (espressa appunto con il congiuntivo trapassato) è, anche di un secondo soltanto, precedente al suo effetto (espresso con il condizionale passato)?
“Avrebbe certamente consegnato i soldi, se qualcuno in futuro glieli avesse chiesti”. 
(Si consegnano i soldi se, un minuto prima, qualcuno li ha chiesti). Tuttavia, rispetto a un’eventuale costruzione come: “Disse che avrebbe consegnato i soldi, se qualcuno in futuro glieli avesse chiesti” anche l’azione con il congiuntivo trapassato è innestata in un tempo posteriore. Di qui, il fulcro del mio interrogativo.
“Si fermò un attimo a pensare. Ed era deciso a farlo di nuovo, nel caso anche nei giorni seguenti qualcuno gli avesse posto la stessa domanda”.
“Avrebbe reagito male a tutti quelli che, nei giorni successivi, avessero preteso un autografo”.
Nelle costruzioni sopra indicate, in cui ho volutamente specificato riferimenti al futuro, il congiuntivo trapassato è scorretto?
E infine, recuperando l’esempio ventilato nell’articolo di cui sopra:
“Se fossi stata un’insegnante, mi sarei prefissa l’impegno di valorizzare i ragazzi che in futuro avessero mostrato…”.
Se il congiuntivo trapassato è inadeguato per riferirsi alla posterità, quale modo e quale tempo si debbono adottare per rappresentare un evento ipotetico (poco probabile o molto improbabile) che sia legato da un rapporto di posteriorità rispetto a un’altra proposizione? Il condizionale passato, che è formalmente adatto allo scopo, può veicolare l’idea dell’ipoteticità?
Scrivendo i ragazzi che in futuro avrebbero mostrato avrei, secondo il mio modestissimo parere, conferito alla frase un carattere di certezza.

 

RISPOSTA:

La natura del trapassato pone dei limiti a questo tempo: esso deve avere o presuppore un altro evento rispetto al quale è precedente, se è usato in accordo alla consecutio temporum, oppure un evento del quale è la condizione, ovviamente precedente ma al limite anche quasi contemporanea, se è usato in accordo alla logica dell’ipoteticità. Nell’esempio della risposta “Proposizioni dipendenti da ipotetiche“, entrambe le possibilità sono valide, come spiegato in quella sede, perché il valorizzare può essere successivo o la conseguenza del mostrare. La sua riformulazione della frase con l’esplicitazione dell’avverbio in futuro non cambia i termini della questione: in futuro, infatti, viene automaticamente riferito tanto a valorizzare quanto ad avessero mostrato, perché, ancora, prima le qualità si mostrano e poi possono essere valorizzate. Entrambi gli eventi si svolgono in una dimensione posteriore rispetto a un momento di riferimento passato, ma questo non è rilevante, perché la relazione temporale o di ipoteticità di avessero mostrato è solo con valorizzare.
Lo stesso vale per i suoi altri esempi: l’evento del chiedere è in relazione con quello del consegnare, rispetto al quale è precedente o del quale rappresenta la condizione, anche se il consegnare è futuro; l’evento del fare è in relazione con quello del porre, quello del pretendere è in relazione con quello del reagire.
Può anche accadere, per la verità, che l’evento al congiuntivo trapassato sia rappresentato come posteriore al verbo da cui dipende: “Pensò che avrebbe istituito una borsa di studio per gli studenti che si fossero successivamente dimostrati meritevoli”. Il dimostrare è qui senz’altro successivo all’istituire. Questa costruzione è possibile perché presuppone la presenza di un evento implicito che instaura l’effettiva relazione con il congiuntivo trapassato. In questo caso specifico, l’evento implicito è enunciabile così: avrebbe istituito una borsa di studio per aiutare gli studenti che si fossero successivamente dimostrati meritevoli. Il dimostrare, ovviamente, precede o è la condizione dell’aiutare.
Venendo all’ultima parte della sua domanda, effettivamente i ragazzi che in futuro avrebbero mostrato escluderebbe il significato ipotetico e lascerebbe valido soltanto quello temporale; ricordiamo, però, che il congiuntivo trapassato non deve essere interpretato per forza come ipotetico, ma può benissimo rappresentare la precedenza rispetto a un evento passato, che nel nostro caso è avrei valorizzato. In altre parole avrei valorizzato i ragazzi che avessero mostrato pone il mostrare come precedente rispetto al passato avrei valorizzato (si noti che avrei valorizzato è futuro rispetto al momento di riferimento passato implicito, ma passato rispetto al momento dell’enunciazione, che è adesso); avrei valorizzato i ragazzi che avrebbero mostrato pone il mostrare come successivo al momento di riferimento passato implicito al pari del valorizzare.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Le proposizioni relative sono, in linea generale, compatibili con i modi indicativo, congiuntivo e condizionale. Per prima cosa gradirei sapere se il modo e il tempo della sovraordinata possano incidere su questo. Mi rimetto al vostro giudizio riguardo alla validità delle seguente costruzioni:
a) Potrai raccontarmi tutto quello che tu voglia / vuoi / vorrai / vorresti.
b) Potresti raccontarmi tutto quello che tu voglia / vuoi / vorrai / vorresti.
c) Servirebbe una panchina dove ci si possa / potesse / può / potrebbe sedere.

 

RISPOSTA:

La funzione dell’indicativo e del condizionale è sempre chiara; è facile cogliere il cambiamento di significato tra, per esempio, che tu vuoi e che tu vorresti. La variante all’indicativo è oggettiva, reale, fattuale; quella al condizionale è potenziale, o meglio condizionata (presuppone, cioè, un evento che renda possibile l’avverarsi dell’evento al condizionale: che tu vorresti se ne avessi la possibilità). Più difficile è stabilire la funzione del congiuntivo, che figura spesso (non sempre) come un’alternativa più formale all’indicativo e non aggiunge nessun significato specifico alla frase. 
Il congiuntivo ha appunto una funzione di innalzamento del registro nelle sue tre frasi; non si apprezza, infatti, alcuna differenza di significato tra che tu vuoi e che tu voglia nelle prime due, né tra dove ci si può dove ci si possa nella terza.
Per quanto riguarda il tempo da usare, la proposizione relativa è particolarmente slegata dalla consecutio temporum; al suo interno i tempi segnalano il momento in cui avviene l’evento, nel presente, nel passato o nel futuro, non quale rapporto temporale ci sia tra questo evento e l’evento della reggente. La relativa che tu vuoi, pertanto, riguarda il presente, la relativa che tu vorrai, invece, riguarda il futuro. Servirebbe… dove si potesse, infine, è incoerente, perché il verbo della reggente (servirebbe) implica che l’evento della relativa sia presente o futuro, non passato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Negli esempi seguenti gli imperfetti nelle proposizioni introdotte da se sono per così dire insostituibili, o sarebbe possibile sostituirli migliorando la qualità generale dei periodi?
1) L’orizzonte era limpido: se si guardava bene in profondità, si poteva scorgere l’approdo dell’isola.
2) Se sapeva la verità – ma ha preferito non parlare -, sarebbe stata disonesta.
3) Se c’era qualcuno in grado di tenerle testa, quel qualcuno era lui.
4) Sentì suonare il campanello. Se era Laura, doveva essere uscita prima del previsto.

 

RISPOSTA:

Gli imperfetti nei suoi esempi non sono tutti equivalenti. Si guardava si può senz’altro sostituire con il congiuntivo trapassato, rendendo la frase più formale: se si fosse guardato bene… La sostituzione è possibile anche per poteva nella stessa frase, ma in questo caso la forma equivalente è il condizionale passato: si sarebbe potuto scorgere…
Anche nella frase 4 la sostituzione non crea problemi: se era Laura equivale a se fosse stata Laura.
La seconda frase presenta la difficoltà dell’ambiguità della funzione dell’imperfetto: non è chiaro se sapeva ha una funzione temporale (se, cioè, indica che il sapere riguarda il passato) all’interno di una ipotesi della realtà, o se ha una funzione modale (se, cioè, indica che il sapere è impossibile o molto improbabile) all’interno di una ipotesi dell’irrealtà. Nel primo caso, sapeva non può essere sostituito con il congiuntivo, nel secondo, invece, può diventare avesse saputo. L’ambiguità è causata dagli altri verbi della frase: ha preferito è coerente con l’interpretazione reale dell’ipotesi; sarebbe stata, al contrario, fa propendere per l’interpretazione irreale. Tutte le interpretazioni sono possibili e legittime.
Nella frase 3, infine, era non è sostituibile con il congiuntivo trapassato perché la proposizione ipotetica è certamente della realtà e l’imperfetto indica un evento reale passato.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

La mamma, che insieme al papà ha fatto… o hanno fatto?

 

RISPOSTA:

Il soggetto della proposizione relativa è che, che rimanda a la mamma. Il verbo, pertanto, deve andare alla terza singolare: ha fatto.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi sono imbattuto in una conversazione e da questa è scaturito un dubbio inerente al corretto utilizzo del congiuntivo: “Come hai fatto a capire che lui sia mio amico” o “Come hai fatto a capire che lui è mio amico”?
Spero di risolvere questo dubbio e capire perché una forma sia più corretta dell’altra.

 

RISPOSTA:

Quasi sempre, con le proposizioni oggettive (quale è quella introdotta da che nel suo esempio) la variante con l’indicativo e quella con il congiuntivo sono ugualmente corrette, ma quella con il congiuntivo è più formale, quindi più adatta allo scritto e al parlato sostenuto. Il verbo capire, in realtà, propende di norma per l’indicativo (come dire e sapere) ma bisogna valutare caso per caso: qui la costruzione interrogativa della reggente rende il congiuntivo pienamente accettabile, quindi anche in questo caso la variante al congiuntivo è più formale di quella all’indicativo (che è comunque più comune).
Può trovare molte altre risposte su questo argomento nell’archivio di DICO cercando la parola chiave diafasia.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Quale fra le due affermazioni è corretta da un punto di vista grammaticale?
“Gentile cliente desidero informarti DI AVERE a disposizione”, oppure “CHE HO a disposizione”?

 

RISPOSTA:

Entrambe le varianti sono corrette. La prima è più formale perché rispetta la norma, che non è obbligatoria in questo caso, di usare l’infinito nella subordinata oggettiva quando il suo soggetto coincide con quello della reggente (come in questo caso); la seconda è accettabile, ma meno appropriata, perché, come detto, l’uso dell’infinito non è obbligatorio (anzi nella comunicazione parlata e nello scritto poco sorvegliato si preferisce l’indicativo) e perché la forma della reggente è simile a quella tipica dei verbi di comando (richiedereordinareimporre…), con i quali vige l’obbligo di usare l’infinito nella subordinata, ma quando il soggetto di quest’ultima coincide con il destinatario dell’ordine (quindi non in questo caso). In altre parole, desidero informarti di avere a disposizione si confonde con desidero richiederti di avere pazienza, nella quale l’inifinito è richiesto perché il soggetto è tu, non io.
Nella frase c’è un altro problema: la formula allocutiva gentile cliente stride con il pronome tu; ci si aspetterebbe, invece, il lei (informarla). Dopo il complemento di vocazione iniziale, inoltre, è richiesta la virgola. Le forme più coerenti, in conclusione, sono “Gentile cliente, desidero informarla di avere a disposizione” (più formale), oppure “Caro cliente, desidero informarti che ho a disposizione” (amichevole).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ad un amico straniero ho chiesto un giudizio su due insegnanti di lingua italiana.
La sua risposta è stata: “Mi sembrano che parlino troppo velocemente”.
Non mi sono permesso di correggerlo, però avrei voluto spiegargli che in questo caso il verbo sembrare regge una proposizione subordinata soggettiva esplicita e va usato in forma impersonale e quindi alla terza persona singolare, anche se le insegnanti in questione sono due.
In effetti le due insegnanti non sono il soggetto del verbo sembrare. Se proprio si vuole trovare un soggetto per il verbo sembrare, questo è costituito dalla intera proposizione subordinata che lo segue.
Non ho corretto il mio amico, ma, subito dopo, mi ha preso un dubbio terribile!
Perché se io volgo la subordinata da esplicita in implicita allora le due insegnanti tornano ad essere il soggetto della proposizione principale, il verbo sembrare smette di essere impersonale e andrà coniugato alla terza plurale? La frase diventa, infatti: “Le due insegnanti mi sembrano parlare troppo velocemente”. Il significato è identico ma cambiano i ruoli degli attori in commedia.

 

RISPOSTA:

La sua prima osservazione è corretta: mi sembra che regge una proposizione soggettiva, che ne costituisce il soggetto grammaticale. Per questo motivo rimane sempre alla terza persona singolare, a prescindere dal soggetto della proposizione soggettiva.
Questa analisi si scontra con la logica (come spesso avviene), che individua nel soggetto della soggettiva, non nell’intera proposizione, il soggetto anche del verbo reggente. Da qui l’errore, comune anche nei nativi, di concordare il verbo reggente con il soggetto della soggettiva. 
Il verbo sembrare seguito da una proposizione soggettiva ammette anche la costruzione personale (le due insegnanti sembrano parlare). Questa costruzione, meno frequente di quella impersonale, richiede che il verbo concordi con il suo soggetto; la logica della frase rimane la stessa, ma la grammatica cambia. 
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Può controllare la correttezza delle seguenti frasi:
– Se vi dovesse servire del materiale, ve lo invio volentieri.
– Se vi dovesse servire del materiale, ve lo invierò volentieri.
– Se vi dovesse servire del materiale, ve lo potrei inviare volentieri.

 

RISPOSTA:

Le frasi sono tutte corrette; si distinguono per una sfumatura nel significato del verbo inviare. L’indicativo presente sottolinea l’immediatezza dell’azione (sebbene non sia escluso l’uso del presente con funzione di futuro) e la sua fattualità (l’emittente, cioè, sottolinea che l’inviare è valido in assoluto, anche a prescindere dall’ipotesi che il materiale possa servire). L’indicativo futuro sposta l’evento nel futuro. Il condizionale (anche invierei) trascura il dettaglio del tempo, perché il condizionale è valido per il presente e per il futuro, e sottolinea che l’azione dell’inviare è la conseguenza diretta della condizione del servire
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Queste frasi sono corrette? Posso omettere che?
“Aggiunse che le loro risorse economiche erano ridotte al lumicino, e che le spese per il doppio matrimonio le avrebbero azzerate del tutto”.
“Marco le disse che il mattino seguente l’avrebbe seguita al lavoro con la sua macchina; che avrebbe atteso nel parcheggio dell’ospedale l’invadente donnaiolo e che lo avrebbe affrontato”. 

 

RISPOSTA:

Nella prima frase sconsiglio di omettere il secondo che, perché le due proposizioni oggettive sono del tutto autonome l’una dall’altra, visto che hanno due soggetti diversi.
Nel secondo caso, al contrario, si possono omettere i due che successivi perché le oggettive successive mantengono lo stesso soggetto della prima, quindi si possono configurare come ampliamenti di quest’ultima. Rimane, comunque, possibile esplicitare sempre il che, con l’effetto di sottolineare l’autonomia dei tre eventi descritti dalle rispettive proposizioni.
Fabio Ruggiano
 

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Sto continuando a scorrere con sommo interesse il vostro archivio.
Mi sono recentemente soffermata su uno degli ultimi articoli inseriti e ammetto di essere entrata un po’ in difficoltà davanti alla spiegazione in esso contenuta.
Temo, ahimè, di non aver afferrato bene date regole.
È l’articolo 2800723.
Il fatto che nelle subordinate ipotetiche il grado di ipoteticità degli eventi sia escluso a favore della consecutio è un regola generale, oppure è limitato all’esempio posto dall’utente?
Mi è capitato, e mi capita ancora adesso, di scrivere frasi come
“Scrivimi, nel caso ti avessi/abbia bisogno di sfogarti”, “Esco con l’ombrello, nel caso piovesse”.
Sceglierei il tempo del congiuntivo non sulla scorta della consecutio, ma su quella del grado di ipoteticità: imperfetto meno probabile del presente.
Ricollegandomi a uno degli esempi dell’articolo, mi sarebbe venuto spontaneo scrivere
“Rimango fermo nel caso arrivasse qualcuno”.
A proposito di consecutio, perdonatemi l’ultima preghiera di delucidazione.
Le locuzioni e le congiunzioni usate nelle proposizioni ipotetiche ammettono di norma solo il congiuntivo; suppongo dunque che sia il congiuntivo trapassato a fare ufficio del condizionale composto nella proiezione nel futuro.
Cerco di spiegarmi con una frase:
“Servì il dolce nel caso qualcuno avesse voluto gustarlo” = “Servì il dolce nel caso qualcuno (dopo che fosse stato servito) avesse voluto gustarlo”.
Qui, mi pare che il congiuntivo trapassato tratteggi un’azione che, per quanto ipotetica, si rivela posteriore a quella della reggente.
Chiedo venia per la verbosa esposizione delle mie riflessioni e per essere tornata su un argomento esposto; ma la vostra sezione “archivio delle domande” è molto stimolante e formativa, oltreché ben organizzata.

 

RISPOSTA:

è praticamente condivisibile tutto quello che ha scritto, il che esclude che Lei abbia le idee confuse su quelle che, più che regole ferree, sono tendenze della lingua. Anzi, mi sembra che Lei abbia le idee più chiare di molti linguisti, complimenti! In particolare:
il fatto che nelle subordinate ipotetiche il grado di ipoteticità degli eventi sia escluso a favore della consecutio temporum è un tendenza abbastanza generalizzata, non limitata all’esempio posto dall’utente, sebbene non si escludano sfumature. In “Scrivimi, nel caso tu avessi/abbia bisogno di sfogarti” e in “Esco con l’ombrello, nel caso piovesse” le frasi sono ben formate sia con il presente sia con l’imperfetto congiuntivo, che non veicolano gradi di ipoteticità (o almeno non in modo evidente ed esclusivo) bensì indicano alternative possibili per motivi semantici: aver avuto bisogno implica l’averlo ancora, di solito. Nel caso della frase sulla pioggia direi che a incidere è anche il fatto che ogni parlante associa al congiuntivo imperfetto un grado di ipoteticità maggiore, dovuto al fatto che si trova preferibilmente nel periodo ipotetico del secondo tipo, cioè dell’eventualità. 
In “Rimango fermo nel caso arrivasse qualcuno” agisce lo stesso meccanismo: il parlante italiano associa l’eventualità soprattutto al congiuntivo imperfetto. Non credo che questo dimostri esattamente un maggior grado di ipoteticità, bensì è legato a un fatto di mera frequenza d’uso: è semplicemente più frequente del congiuntivo presente, tutto qui, donde l’attesa e le scelte dei parlanti.
Le locuzioni e le congiunzioni usate nelle proposizioni ipotetiche ammettono perlopiù il congiuntivo nell’italiano formale, anche se non mancano casi di periodo ipotetico della realtà all’indicativo anche nello stile formale: “se qualcuno lo vuole c’è altro gelato”. Sì, è vero, è di solito il congiuntivo trapassato a fare l’ufficio del condizionale composto nella proiezione nel futuro: “Servì il dolce nel caso qualcuno avesse voluto gustarlo” = “Servì il dolce nel caso qualcuno (dopo che fosse stato servito) avesse voluto gustarlo”. In questo caso l’ipoteticità prende il sopravvento sulla consecutio temporum, ha perfettamente ragione Lei, tanto che l’alternativa con il condizionale passato (cioè il modo e il tempo del futuro nel passato), ancorché possibile, in questo caso suona ai limiti dell’inaccettabile (a causa del connettivo “nel caso” che regge di norma il congiuntivo): *”Servì il dolce nel caso qualcuno avrebbe voluto gustarlo”.

Fabio Rossi
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Si dice “credo che avrebbe dovuto valorizzarti di più” o “credo che avesse dovuto valorizzarti di più”? Perché?

 

RISPOSTA:

Entrambe le varianti sono corrette, ma hanno un significato diverso. Il condizionale passato in questo caso non funge da futuro nel passato, ma rappresenta una variante più cortese del congiuntivo imperfetto. In altre parole “credo che avrebbe dovuto valorizzarti di più” equivale dal punto di vista del significato a “credo che dovesse valorizzarti di più”, ma è pragmaticamente meno diretto. Dal punto di vista temporale, il congiuntivo imperfetto (quindi anche il condizionale passato che corrisponde al congiuntivo imperfetto) indica in questo caso che l’evento del trattare è anteriore rispetto all’evento reggente, ovvero rispetto a credo. Il congiuntivo trapassato indica, invece, che l’evento è anteriore rispetto a un altro evento lasciato sottinteso, per esempio: “credo che avesse dovuto valorizzarti di più prima che fosse troppo tardi”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È corretto scrivere “Mi hanno chiesto se avessi voluto partecipare questa sera al loro show”?

 

RISPOSTA:

La forma più attesa di questa frase è quella con il condizionale passato: mi hanno chiesto se avrei voluto partecipare. Possibile, e più formale, anche il congiuntivo imperfetto: mi hanno chiesto se volessi partecipare. In un contesto informale, al contrario, sarebbe accettato anche l’indicativo imperfetto: mi hanno chiesto se volevo partecipare.
In accordo con la consecutio temporum, il condizionale passato e l’indicativo imperfetto sottolineano la posteriorità dell’evento rispetto all’evento della reggente (hanno chiesto); il congiuntivo imperfetto, invece, indica la contemporaneità nel passato. 
Il congiuntivo trapassato (avessi voluto), invece, esprime l’anteriorità rispetto a un evento passato, rappresentato nella frase ancora da hanno chiesto. Con il congiuntivo trapassato, quindi, la frase non è scorretta, ma indica che la domanda riguardava la volontà manifestata prima della domanda stessa, come se fosse ieri mi hanno chiesto se il giorno prima avessi voluto partecipare.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Con il congiuntivo imperfetto si possono costruire le subordinate sia quando il verbo della principale è coniugato al presente sia quando questo è coniugato al passato?
“Rimango / rimasi fermo davanti alla porta nel caso arrivasse qualcuno”.
Quando abbiamo un tempo del passato nella principale, sono ammessi sia il congiuntivo imperfetto sia il congiuntivo trapassato in questo genere di subordinata, oppure l’imperfetto è sconsigliato? In questo caso, qual è la differenza tra i due tempi?
“Sono rimasto / Rimasi fermo davanti alla porta nel caso arrivasse / fosse arrivato qualcuno”.

 

RISPOSTA:

Il tempo del congiuntivo nella subordinata ipotetica (introdotta in questo caso da nel caso) della sua frase dipende dalla consecutio temporum, non dal grado di ipoteticità che si vuole attribuire alla proposizione.
Se, pertanto, la subordinata instaura con una reggente un rapporto di contemporaneità, al presente nella reggente corrisponderà il presente nella subordinata: rimango… nel caso arrivi qualcuno. A qualunque passato nella reggente corrisponderà, invece, l’imperfetto: rimasi / sono rimasto / rimanevo / ero rimasto… nel caso arrivasse qualcuno.
Se la subordinata instaura un rapporto di anteriorità con la reggente, al presente corrisponderà il passato: rimango… nel caso sia arrivato qualcuno; al passato corrisponderà il trapassato: rimasi… nel caso fosse arrivato qualcuno
La semantica del verbo arrivare permette anche la variante rimango… nel caso fosse arrivato qualcuno, perché fosse arrivato = ci sia.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Si dice “Voglio che tu la smetta” o “Voglio che tu la smetti”?
Ad esempio: “Marco, voglio che la smetti” è corretto?

 

RISPOSTA:

Si dice in entrambi i modi ed entrambi sono corretti; la variante con il congiuntivo, però, è più formale di quella con l’indicativo.
Per approfondimenti sull’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle proposizioni completive (come quella retta da voglio nel suo esempio) può vedere le molte risposte in tema nell’archivio di DICO usando la parola chiave congiuntivo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Non mi resta tanto da vivere”, “da vivere” è una proposizione consecutiva?

 

RISPOSTA:

No. Sono possibili almeno due risposte: completiva e finale.
Attenzione a non sovrapporre troppo i piani sintattico e semantico, nell’analisi delle subordinate, e a non estendere l’uso dei connettivi da un contesto all’altro.
Sarebbe consecutiva se fosse: Ha fatto tanto da vivere a lungo (tanto… da; conseguenza di “ha fatto tanto”).
Sarebbe eccettuativa se fosse: Non mi resta altro che vivere.
Invece, nell’esempio da lei proposto, “tanto da vivere” funge da complemento oggetto della reggente “non mi resta”; per questo la risposta “completiva” a me pare la più convincente.
Si potrebbe eccepire che tanto sia complemento oggetto mentre da vivere stia per ‘affinché io viva, continui a vivere’ e dunque sia una finale. Ma a me pare l’ipotesi meno convincente, perché perde di vista il fatto che da vivere serve a saturare comunque il significato della reggente, o almeno di una sua parte (tanto), e dunque ha valore argomentale, cioè di completiva

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Avrei voluto che mia figlia si sposasse prima che mio padre ci lasciasse”. 
Modificando i tempi e incastrandoli nelle varie soluzioni disponibili, si otterrebbero periodi ugualmente corretti?
1. Avrei voluto che mia figlia si fosse sposata prima che mio padre ci lasciasse.
2. Avrei voluto che mia figlia si sposasse prima che mio padre ci avesse lasciato.
3. Avrei voluto che mia figlia si fosse sposata prima che mio padre ci avesse lasciato.

Sostituendo prima che con quando / finché e modificando parzialmente la costruzione, quali tempi e modi consigliereste?
4. Avrei voluto che mia figlia si sposasse quando mio padre fosse / fosse stato / era ancora in vita.
5. Avrei voluto che mia figlia si sposasse finché mio padre fosse / fosse stato in vita.

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti del primo gruppo sono corrette, ma il cambiamento dei tempi verbali produce delle differenze di significato, alcune sfumate, alcune evidenti.
In base alla consecutio temporum, la frase iniziale rappresenta l’evento dello sposarsi come contemporaneo o successivo nel passato rispetto al volere; sono la costruzione sintattica e la logica a chiarire che lo sposarsi è successivo al volere. Il lasciare, a sua volta, è in relazione allo sposarsi, rispetto al quale è contemporaneo o successivo nel passato. Anche in questo caso, la logica e la sintassi chiariscono che il lasciare è successivo allo sposarsi
La variante 1 specifica, con il trapassato, che lo sposarsi è precedente al volere. L’imperfetto lasciasse, invece, mantiene il rapporto di posteriorità rispetto allo sposarsi.
La variante 2 è controintuitiva, perché rappresenta il lasciare come precedente allo sposarsi, quando è ovvio il contrario, cioè che l’emittente immagini lo sposarsi come precedente il lasciare
Questa particolarità è tipica della locuzione congiuntiva prima che, ed è stata descritta nella FAQ  “Prima che” e “prima di” dell’archivio di DICO.
Lo stesso vale per la variante 3, nella quale il trapassato avesse sposato specifica l’anteriorità rispetto ad avrei voluto.
Nella frase 4 l’indicativo è senz’altro corretto e mantiene il significato temporale di quando. Il congiuntivo trasforma la proposizione temporale in una condizionale, per cui quando diviene equivalente a se. Di conseguenza le varianti con il congiuntivo sono svincolate dalla temporalità è possono riferirsi a oggi come al passato e persino al futuro. I tempi verbali esprimono, infatti, in questo caso, il grado di possibilità degli eventi (e solo in subordine le relazioni temporali reciproche), non il tempo assoluto degli eventi.
Per ragioni logiche, la variante quando / se mio padre fosse ancora in vita è possibile soltanto se la si colloca nel presente (quando / se mio padre oggi fosse ancora in vita): sarebbe molto strano, infatti, rappresentare come possibile la presenza in vita di una persona nel passato contemporaneamente a un altro evento.
La variante quando mio padre fosse stato in vita è corretta nel passato e nel presente e rappresenta l’essere ancora in vita come irreale, quindi suggerisce che il padre non sia più in vita, oppure non era più in vita, nel momento dello sposarsi. La frase è accettabile anche se la collochiamo nel futuro, con la precisazione che il padre deve essere non più in vita già nel presente (non si può, infatti, rappresentare la presenza in vita di una persona nel futuro come irreale, a meno che la persona non sia già morta oggi): tra un anno avrei voluto che mia figlia si sposasse quando mio padre oggi fosse stato ancora in vita.
Per quanto riguarda la frase 5, la congiunzione finché ammette il congiuntivo come variante più formale dell’indicativo, rimanendo comunque una congiunzione temporale. Dal punto di vista semantico, quindi, fosse = era e fosse stato = era stato. Sia l’imperfetto sia il trapassato sono possibili. L’imperfetto rappresenta l’essere in vita come contemporaneo nel passato allo sposarsi; il trapassato lo rappresenta come precedente, quindi suggerisce che non lo fosse più al momento dello sposarsi.
Si noti che la combinazione di finché con il trapassato congiuntivo o indicativo implica che lo sposarsi sia effettivamente avvenuto; nessuna delle altre varianti della frase chiarisce se lo sposarsi sia avvenuto o no nel momento dell’enunciazione, cioè nel momento in cui le frasi sono state prodotte.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Qual è il connettivo giusto? 
“Non mi trovi piu bella che / di prima?”
Come posso scegliere la forma giusta davanti agli avverbi?

 

RISPOSTA:

Quando si mettono a confronto due avverbi, il secondo è introdotto sempre da chemeglio prima che dopomeglio dopo che primameglio bene che velocemente
Anche in questo caso si userebbe che se l’avverbio che rappresenta il primo termine di paragone fosse esplicitato: più bella ora che prima. Senza l’avverbio ora si può ancora usare che (più bella che prima), ma la frase suona strana, perché sembra che si stia facendo un confronto, impossibile, tra l’aggettivo bella e l’avverbio prima. La forma più bella di prima permette di evitare questa ambiguità (la preposizione di, infatti, indica una relazione più ampia rispetto a che). Più bella di prima è, quindi, preferibile a più bella che prima
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Quali sono le soluzioni corrette?
1. Vostra figlia è molto più comprensiva e buona di quello che credete / crediate.
2. Marco Bormolini Doyle, nome completo del giovanotto, è / era un veterinario trentaduenne di Livigno (Inizio a descrivere un personaggio della storia; che tempo devo usare?).

 

RISPOSTA:

Le proposizioni comparative (come di quello che credete / crediate) possono avere il congiuntivo, l’indicativo e anche il condizionale (di quello che credereste). La scelta tra l’indicativo e il congiuntivo, in queste proposizioni, dipende dal grado di formalità che si vuole attribuire alla frase: il congiuntivo è più formale, l’indicativo meno formale e più comune. Sull’alternanza diafasica (cioè relativa alla formalità) tra indicativo e congiuntivo può trovare decine di altre risposte nell’archivio di DICO usando le parole chiave congiuntivo o diafasia.
La scelta tra è e era nella seconda frase dipende dalla sussistenza della qualità del soggetto nell’oggi del narratore (a prescindere dalla sua coincidenza con l’oggi dell’autore). Se la qualità sussiste si userà il presente; se, invece, è legata al passato, si userà l’imperfetto.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Posso utilizzare la seguente coniugazione dei verbi: “Se gli inquirenti ravviseranno responsabilità da
attribuire alla dirigenza…”?

 

RISPOSTA:

La costruzione è corretta: la protasi del periodo ipotetico (la proposizione che inizia con se) può contenere l’indicativo futuro per esprimere una condizione futura che l’emittente ritiene fattuale. Diversamente, la condizione sarebbe rappresentata come possibile (non fattuale) con il congiuntivo imperfetto: se gli inquirenti ravvisassero responsabilità…
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vi propongo frasi sulle quali vorrei dei suggerimenti circa la punteggiatura. Tra parentesi ho inserito le alternative per sottoporle al vostro giudizio.
1. Non vorrei essere invadente: (;) spero che il tuo problema si sia risolto.
2. Ho saputo della tua malattia: (;) (.) come stai adesso?
3. Il ricordo di lei, bellissimo; le passeggiate di primavera; il sapore dei gelati, gustosi; (,) e l’amore dei nonni.
4. Scusa se ti disturbo di nuovo; (:) vorrei chiederti un favore.
5. Ti ho lasciato un messaggio in casa. Non so se lo leggerai. Comunque: (,) per cena, scongela il pane e riscalda la minestra.
6. Tutto avveniva secondo la scaletta preorganizzata: (,) (;) non serviva a niente affrettarsi.

 

RISPOSTA:

La scelta della punteggiatura raramente è esclusiva; quasi sempre ci sono almeno due possibilità di punteggiare i testi, che producono sfumature semantiche ora sottili, ora evidenti. Tra le opzioni che lei propone le uniche discutibili sono le seguenti:
3. … il sapore dei gelati, gustosi; e l’amore dei nonni. Sebbene il punto e virgola sia correlato con gli altri precedenti, sembra superfluo prima della congiunzione copulativa, mentre la virgola è richiesta per chiudere l’inciso , gustosi,. Un’alternativa che salverebbe tutte le esigenze sarebbe … gelati, gustosi; l’amore dei nonni.
6. … scaletta preorganizzata, non serviva… La virgola non è adatta a separare due unità totalmente autonome dal punto di vista sintattico, tanto da poter essere identificate come due enunciati diversi (potremmo, infatti, separarle con il punto fermo).
Per il resto, i segni sono pienamente legittimi, ognuno con la sua specifica funzione: i due punti introducono una spiegazione (anche in forma di elenco) o la conseguenza di quanto detto prima; il punto e virgola separa due unità informative logicamente e sintatticamente autonome, o due enunciati; il punto fermo separa due enunciati o due unità testuali più ampie.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Una ragazza di fronte a due ragazzi e con le mani dietro la schiena con in mano qualcosa, lei si gira di spalle ed in mano ha un orologio. Uno dei ragazzi esclama all’altro: – Pensavi avrebbe avuto un telefono al posto dell’orologio? 
In questo caso sarebbe stato meglio avesse avuto o no?

 

RISPOSTA:

La costruzione con il condizionale passato va bene; quella con il congiuntivo trapassato no. Il condizionale passato esprime il futuro nel passato; la sua frase con il condizionale passato, pertanto, equivale a pensavi che in seguito, quando si sarebbe girata, avrebbe avuto un telefono? 
Il congiuntivo trapassato, invece, esprime l’anteriorità rispetto al passato; la sua frase con il congiuntivo trapassato, pertanto, equivale a pensavi che prima di adesso lei avesse avuto un telefono? Chiaramente, non è questo che il parlante intende. 
Un’altra possibilità è pensavi avesse un telefono…, nella quale il congiuntivo imperfetto esprime la contemporaneità nel passato, quindi si riferisce al fatto che il telefono era già nella mano della ragazza mentre l’altro ragazzo ci stava pensando.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Quale affermazione è corretta grammaticalmente: “Sembra che le cose peggiorino” o “Sembra che le cose peggiorano”?

 

RISPOSTA:

In italiano la proposizione soggettiva (nel nostro caso che le cose peggiorano / peggiorino) può avere l’indicativo o il congiuntivo. La scelta tra i due modi è di natura diafasica; l’indicativo è più comune e meno formale, il congiuntivo è più ricercato e più formale. Potrà trovare molte risposte riguardanti casi simili nell’archivio di DICO; una di queste che contiene molte informazioni è la FAQ  La soggettività del congiuntivo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Un tizio mi scrive: “Ultimamente il tuo linguaggio non è certo molto dissimile da quelli che tu chiami
calunniatori sottili anzi sta assumendo una connotazione sempre più grossolana”.
E io gli rispondo: “Se il mio linguaggio non sarebbe dissimile da quello che io chiamo dei calunniatori sottili, come potrebbe assumere anche una connotazione sempre più “grossolana”?”.
Perché, ben consapevole che il condizionale (sarebbe) non si può usare nella protasi del periodo ipotetico, in questo caso non mi suona affatto stonato?
Se avessi usato siccome al posto di se (siccome il mio linguaggio non sarebbe dissimile da…) la frase sarebbe stata più corretta?

 

RISPOSTA:

Il condizionale può non essere stonato nella sua frase, ma si tratta di una scelta al limite dell’accettabilità. Sarebbe si può accettare non come sostituto di fosse (errore senza appello), ma come sostituto di è, all’interno della protasi di un periodo ipotetico del primo tipo. In questo caso, quindi, il condizionale non ha la funzione propria di modo dell’evento condizionato (cosa che confligge con la funzione semantica della protasi del periodo ipotetico), ma ha quella pragmatica di modulatore della fattualità. In altre parole, con se il mio linguaggio non sarebbe dissimile lo scrivente intende se il mio linguaggio non è – come tu sostieni – dissimile. Nella comunicazione comune il condizionale svolge spesso questa funzione, anche se non all’interno di periodi ipotetici; serve a separare il punto di vista del parlante da quello della persona che ha dichiarato qualcosa nel momento in cui il parlante riporta quella dichiarazione: “Il recovery fund risolverebbe la grave situazione economica italiana” = “(Secondo alcuni, non secondo chi parla) il recovery fund risolverà la grave situazione economica italiana”.
Nella sua frase la protasi può essere anche costruita con il congiuntivo imperfetto, ottenendo un periodo ipotetico del secondo tipo: “Se il mio linguaggio non fosse dissimile da quello che io chiamo dei calunniatori sottili, come potrebbe assumere anche una connotazione…”. Il risultato comunicativo di questa costruzione è molto simile a quello ottenuto con la protasi al condizionale (se sarebbe = ‘se – come tu sostieni – è’; se fosse = ‘nell’eventualità non confermata che fosse’) e con il congiuntivo si elimina il sospetto di errore; ci sono tutte le ragioni, quindi, per optare per questa soluzione. 
In difesa della protasi al condizionale, però, aggiungo che essa contiene una punta di ironia in più, proprio per via della svalorizzazione del punto di vista dell’interlocutore veicolata da sarebbe.
Per quanto riguarda la sostituzione di se con siccome, la proposizione che da ipotetica diviene causale funziona certamente bene con il condizionale; d’altro canto, però, questa proposizione rappresenta meno efficacemente della proposizione ipotetica il collegamento logico qui ricercato con la reggente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Le frasi “Quando puoi, chiamami, così da poterti spiegare la situazione” e “Quando puoi, chiamami, così posso / potrò, spiegarti la questione” sono equivalenti dal punto di vista del messaggio e sono tutte e due corrette?
Inoltre, la frase “Quando puoi, chiamami, così da essere informato sulla questione” può essere intesa, grosso modo, come “Quando puoi, chiamami, così potrai (affinché tu possa) essere informato sulla questione”?

 

RISPOSTA:

Tutte le frasi sono simili; ognuna, però, presenta qualche sfumatura di differenza, nella forma o nel significato. La prima ha un difetto sintattico, perché contiene una subordinata finale implicita il cui soggetto (tu) non coincide con quello della reggente (io). Per questo motivo, la seconda frase, con la subordinata esplicita, è preferibile. In questa seconda frase, la scelta tra posso e potrò dipende dalla formalità del contesto: il futuro è più preciso, quindi più formale, del presente. Ancora più formale sarebbe il congiuntivo presente (così che io possa spiegarti…). Un difetto in questa frase, da eliminare senz’altro, è la virgola tra il verbo servile e l’infinito da questo retto. Infine si noti che nella prima frase si parla di situazione, nella seconda (e nelle successive) di questione, che sono ovviamente oggetti diversi.
La differenza maggiore tra la terza e la quarta frase è la presenza, nella quarta, del servile, che sottolinea la potenzialità dell’evento dell’essere informato, laddove la terza lo descrive come fattuale. In altre parole, nella terza si dice se chiami sarai informato, nella quarta se chiami potrai essere informato. Le due frasi possono essere accorpate per sfruttare la costruzione implicita della terza (preferibile vista l’identità di soggetto tra la finale e la reggente) e la sfumatura potenziale: così da poter essere informato. In questo modo si costruisce una finale implicita passiva, particolarmente complessa, quindi adatta a un contesto molto formale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

È corretto usare i due punti all’interno di un discorso diretto articolato, dove si racconta qualcosa, come da esempio?
: «… Se esilio doveva essere, meglio per scelta volontaria. Non è stata una passeggiata: ho lavorato per pagarmi studi e libri; …».

 

RISPOSTA:

Certamente: all’interno del discorso diretto valgono tutte le regole della cornice (con gli accorgimenti dovuti al cambiamento di prospettiva tra il primo e la seconda).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Scrivendo “Il procuratore disse che la costruzione avrebbe dovuto essere demolita” senza l’ausilio del cosiddetto co-testo, potrei, dal punto di vista sintattico, collegarmi tanto al futuro quanto al passato?
1. avrebbe dovuto essere demolita = ‘dovrà essere demolita’.
2. avrebbe dovuto essere demolita = ‘doveva essere stata già demolita’.
In che modo si può disambiguare il periodo, usando soltanto le forme verbali?

 

RISPOSTA:

La frase è effettivamente ambigua: il condizionale passato dei verbi servili serve normalmente per esprimere un evento controfattuale nel passato (avrebbe dovuto / potuto / voluto essere presente ma non ce l’ha fatta), ma, quando è retto da un verbo di dire o pensare al passato, viene a coincidere con il costrutto del futuro nel passato (arricchito dalla sfumatura modale apportata dal verbo servile), senza perdere, però, l’altra funzione.
Eliminando il verbo servile il condizionale passato assume soltanto la funzione di futuro nel passato: disse che la costruzione sarebbe stata demolita. Proprio questo è un modo per evitare l’ambiguità nel caso in cui il costrutto sia da intendere come futuro; la sfumatura deontica (quella fornita dal verbo dovere) può essere recuperata con un avverbio di giudizio: disse che la costruzione sarebbe stata sicuramente demolita. Un altro modo per ovviare al problema è aggiungere un avverbio di tempo o un’espressione temporale. In questo modo si può usare il costrutto per il passato o per il futuro: disse che la costruzione avrebbe dovuto essere demolita tempo prima / disse che la costruzione avrebbe dovuto essere demolita di lì a un anno
Fabio Ruggiano
 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Lo studente che ha la febbre e non sa di averla oppure e che non sa di averla: qual è corretta? Si può omettere il doppio che

 

RISPOSTA:

Le due costruzioni sono corrette e quasi del tutto equivalenti. La prima riunisce le due caratteristiche (il fatto che abbia la febbre e il fatto che non lo sappia) in un’unica proposizione relativa, rappresentandole come strettamente collegate l’una all’altra (perché ai fini della comunicazione non importa tenerle separate). La seconda le divide in due proposizioni coordinate, sottolineando che possono essere considerate indipendenti l’una dall’altra.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ricordo bene che in italiano non si dice è il giorno quando…, ma è il giorno in cui…?
Inoltre, che differenza c’è tra le proposizioni relative? Quando che può essere sostituito da il quale (la quale ecc.) e quando no?

 

RISPOSTA:

Ricorda bene: è il giorno quando… non è corretto, mentre si può dire è il giorno in cui (ci siamo visti per la prima volta) e anche è il giorno che (ci siamo visti per la prima volta).
Nelle proposizioni relative che può essere sostituito da il quale quando la relativa è esplicativa. Sulla differenza tra relativa esplicativa e limitativa può vedere la FAQ      “Quel ragazzo che parlava a vanvera” o “Quel ragazzo, che parlava a vanvera”? dell’archivio di DICO; può, inoltre, inserire nel motore di ricerca interno dell’archivio il termine esplicativa per trovare altre risposte sull’argomento. In ogni caso, il relativo il quale oggi è usato soltanto nello scritto formale.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Registri
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

1) “L’azienda imboccò quasi subito un declino irreversibile, dovuto alle scarse capacità della nonna e alle sue manie di grandezza: aveva buttato alle ortiche un sacco di denaro nel tentativo di comprarsi un titolo nobiliare. Fallito questo obiettivo, (ometto il soggetto?) convinse il figlio a intraprendere la carriera militare, pensando che un ufficiale in famiglia avrebbe dato / potesse dare prestigio al nome”.
2) “La nonna, distante dall’arrendersi, iniziò a organizzare festicciole ogniqualvolta mio padre tornava a casa in licenza: invitava quella che lei considerava la nobiltà contadina, ossia i proprietari terrieri delle tenute confinanti; non per generosità, ma con il recondito desiderio di trovare una fidanzata per mio padre che fosse anche un buon partito”.
3) “«Ti credo sulla parola, ma questo genere di opere non fanno per me» commento, «vedo l’ospedale come metafora della precarietà della vita e mi trasmette sensazioni negative”.
4) “«Vedremo, proseguendo nella lettura, se questi miei timori saranno confermati o se, in caso di bisogno, abbia trovato comunque la forza e il coraggio di rivolgersi a qualcuno in grado di aiutarlo»”.

 

RISPOSTA:

Nella frase 1) il soggetto va senz’altro omesso, visto che coincide con quello della proposizione precedente.
Nella frase 2) vanno bene entrambe le forme verbali. Il condizionale passato (avrebbe dato) rappresenta l’evento come futuro rispetto al passato, cioè rispetto a pensando, a sua volta contemporaneo rispetto a convinse; il congiuntivo passato (desse) lo rappresenta, invece, come contemporaneo nel passato. Aggiungendo il servile potere si accentua la sfumatura potenziale. Tale sfumatura può accompagnare sia il condizionale passato (avrebbe potuto dare) sia il congiuntivo imperfetto (potesse dare).
La frase 3) non presenta grandi difficoltà. L’unico problema è la mancata esplicitazione del soggetto nella coordinata il cui soggetto (l’ospedale) cambia rispetto alla proposizione precedente (io). In questo caso, però, è talmente facile risalire al nuovo soggetto per logica e per via della costruzione sintattica della frase che questa sbavatura può essere trascurata, in quanto non provoca alcuna ambiguità.
Nella frase 4) la proposizione interrogativa indiretta (se, in caso di bisogno, abbia trovato comunque la forza e il coraggio) è retta dal verbo vedere. Questo verbo non richiede il congiuntivo nella completiva (si pensi a un’oggettiva come vedo che sei arrivato presto, che nessuno costruirebbe come vedo che tu sia arrivato presto), quindi è meglio sostituire abbia trovato con avrà trovato, simmetrico rispetto a saranno confermati, con il quale è coordinato. Per quanto riguarda la necessità di esplicitare il soggetto diverso rispetto a quello della reggente, qui non si applica, perché il sottinteso non provoca ambiguità.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei chiedere qualcosa sull’anteriorità e la contemporaneità. In questa frase per forza devo usare il passato dell’infinito per esprimere anteriorità, perché l’atto di trovare lavoro forse è successo prima?
“È stata una vera fortuna aver trovato lavoro”.

 

RISPOSTA:

Nella frase si possono usare sia l’infinito presente sia il passato. Con il presente si sottolinea che la fortuna si è verificata nel momento in cui è stato trovato il lavoro; con il passato, invece, la fortuna è rappresentata come successiva (quindi probabilmente anche conseguente) all’aver trovato il lavoro.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1) “Quando fosse stato interpellato, avrebbe dovuto dire quanta voglia a) ha / abbia b) avesse di visitare di nuovo la sua città”.
2) “Mi sono domandato spesso per quale ragione io a) scrivo / scriva b) scrivessi” (La selezione del presente, indicativo o congiuntivo, può essere giustificata dall’attualità del fatto, a prescindere dal passato prossimo della reggente? Scegliere, per contro, l’imperfetto, fa decadere il collegamento con l’attualità del fatto: scrivessi = ‘ma adesso non scrivo più’).
3) “Aveva lasciato detto di essere chiamato nel caso a) pervenissero b) fossero pervenuti i documenti che stava cercando da tempo”.
4) “Vorrei che tu partissi all’alba, mentre (usato con valore temporale) il sole a) sorge / sorgerà b) sorga”.

 

RISPOSTA:

Nella frase 1) il presente non è possibile, visto che la proposizione interrogativa indiretta (quanta voglia avesse) descrive un evento contemporaneo nel passato rispetto a quello descritto nella reggente (avrebbe dovuto dire).
Nella frase 2) sono possibili sia il presente sia l’imperfetto. La distinzione tra indicativo e congiuntivo (presente, ma anche imperfetto) è di tipo diafasico, cioè relativa alla formalità: il congiuntivo è più formale dell’indicativo. La scelta dei tempi, invece, influenza il rapporto temporale con la reggente. Il presente instaura un rapporto di contemporaneità nel presente con l’evento descritto dalla reggente. Questo è possibile quando la reggente ha il passato prossimo perché questo tempo, pur essendo passato, proietta l’evento nel presente.
L’imperfetto, rispetto al presente, veicola un senso vicino a quello da lei stessa inteso. Come nella prima frase, infatti, l’imperfetto instaura un rapporto di contemporaneità nel passato con la reggente, quindi descrive l’atto di scrivere come avvenuto nel passato, ma non per forza concluso nel presente.
Nella frase 3) sono possibili entrambi i tempi del congiuntivo. La scelta dipenderà dal grado di probabilità che il parlante attribuisce all’evento del pervenire: l’imperfetto rappresenta l’evento come possibile; il trapassato come improbabile.
Nella 4) deve essere usato l’indicativo, presente o futuro. Il congiuntivo, infatti, non è di norma usato nella temporale introdotta da mentre. La scelta tra indicativo presente e futuro dipenderà da quanto il parlante vuole essere preciso sulla collocazione temporale dell’evento del sorgere (che, comunque, è facilmente collocabile nel futuro per logica, anche senza usare il futuro).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Se in una sovraordinata compare il passato prossimo, la subordinata può essere costruita con il trapassato prossimo – come nel caso del passato remoto, che però preferisce il trapassato remoto – o è obbligatorio mantenere lo stesso tempo?
“L’ho buttato fuori di casa, dopo che mi aveva offeso”.
Le frasi qui indicate sono corrette?
Frase 1.
“(Ti ho mai raccontato di quando, a scuola, vinsi un premio?) Sì, me lo avevi raccontato”.
La scelta del trapassato può essere giustificata dal collegamento (sottinteso) a un’azione rispetto alla quale sarebbe anteriore, oppure è sempre opportuno esplicitare questa eventuale scansione temporale (ad esempio, “Me lo avevi raccontato un anno fa, prima che fossimo entrati / entrassimo nell’argomento scuola”).
Frase 2.
“Ho conosciuto uomini e donne che nel corso della propria vita avevano sofferto / soffrirono / hanno sofferto molto.
Tutte e tre i tempi verbali sono legittimi?

 

RISPOSTA:

La subordinata di una proposizione al passato prossimo o remoto può avere il trapassato prossimo (o il trapassato remoto, che è più raro). Il suo primo esempio (“L’ho buttato fuori di casa, dopo che mi aveva offeso”) lo dimostra bene: l’evento dell’offendere è trapassato perché è precedente all’altro evento, quello del buttare fuori, pure passato.
La sua frase 1 è insolita, ma è giustificabile, come arguisce lei, facendo ricorso al contesto o al co-testo, ovvero a informazioni presenti nella memoria degli interlocutori o in altri punti del discorso. Si consideri, però, che anche in presenza di un altro evento passato successivo al raccontare, l’interlocutore preferirà il passato prossimo; preferirà, cioè, me lo hai raccontato un anno fa prima che cominciassimo a parlare di scuola a me lo avevi raccontato un anno fa prima che cominciassimo a parlare di scuola. La preferenza è dovuta in parte alla tendenza a semplificare i rapporti temporali, usando il passato anche in punti nei quali potrebbe essere usato il trapassato, in parte all’attrazione da parte del passato nella domanda.
Nella frase 2 si possono usare senz’altro il trapassato e il passato prossimo. Il passaggio dal passato prossimo al remoto, invece, in questo caso è forzato, sebbene non si possa dire del tutto scorretto. Se si usa il trapassato si enfatizza il fatto che il soffrire sia avvenuto prima del conoscere. Con il passato prossimo, invece, si situano entrambi gli eventi nel passato, senza indicare alcun rapporto temporale relativo. In questo modo, non si esclude che il soffrire sia iniziato dopo il conoscere o che sia iniziato prima e poi sia continuato anche dopo il conoscere. Il passato remoto è pienamente giustificato nel caso di un evento storico: “Al museo ho visto un dinosauro che visse 100 milioni di anni fa”; in questo caso, invece, sia il soffrire sia il conoscere sono eventi che si proiettano nel presente (il fatto stesso che il parlante abbia conosciuto le persone che hanno sofferto le rende presenti nella sua coscienza), quindi il passato remoto non è adatto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

PRIMA CHE NEL DISCORSO INDIRETTO
Nella trasformazione sintattica da discorso diretto a indiretto, il congiuntivo presente diventa imperfetto e il congiuntivo passato diventa trapassato?
1) Giovanni ha detto a Lara: “Dovrai rincasare prima che vada a letto” diventa “Giovanni ha detto a Lara di rincasare prima che lui andasse a letto”
e
2) Giovanni disse a Lara: “Dovrai rincasare prima che sia andato a letto” diventa “Giovanni disse a Lara di rincasare prima che lui fosse andato a letto”?
Vi domando inoltre se il congiuntivo presente vada può restare invariato nel discorso indiretto – quale alternativa all’imperfetto. Sono possibili entrambi?
Relativamente alla seconda frase, penso che fosse andato possa essere anche sostituito da andasse. Nel caso fosse così, quale tempo consigliate, al di là della trasformazione del discorso diretto, tra i due?

 

RISPOSTA:

Nell’analizzare i suoi esempi bisogna considerare innanzitutto il tempo del verbo della reggente della proposizione oggettiva che rappresenta il discorso indiretto. Se il tempo è passato allora il presente del discorso diretto diviene, nella oggettiva, imperfetto (salve sfumature semantiche particolari che richiedano altri tempi).
Il suo dubbio circa la possibilità di lasciare invariato vada nella prima frase dipende dal fatto che in essa il verbo della reggente sia al passato prossimo. Il passato prossimo (nel nostro caso ha detto) si può comportare come il presente o come il passato, perché, pur essendo passato, proietta gli eventi nel presente. La sua trasformazione, con vada che diventa andasse, funziona se la situazione è collocata nel passato, per esempio: “Ieri Giovanni ha detto a Lara di rincasare prima che lui andasse a letto”; se, invece, è collocata nel presente, vada rimane uguale: “Giovanni ha appena detto a Lara di rincasare prima che lui vada a letto”. Per la verità, anche in questo secondo caso si potrebbe usare l’imperfetto (andasse), valorizzando il fatto che l’atto del dire sia comunque avvenuto nel passato; sarebbe, però, una scelta marcata, insolita.
Con il passato remoto non ci sono dubbi sulla collocazione della situazione, quindi il presente diviene imperfetto e il passato (sia andato) diviene trapassato (fosse andato).
Anche il suo ultimo dubbio sulla possibilità di sostituire fosse andato con andasse è legittimo e anche per esso la risposta è affermativa. Il dubbio, però, dipende dalla costruzione della temporale introdotta da prima che, e non ha a che fare con la struttura del discorso indiretto. Lo dimostra il fatto che anche nella prima frase andasse si può sostituire con fosse andato: “Ieri Giovanni ha detto a Lara di rincasare prima che lui fosse andato a letto”. La possibilità di usare il passato nella proposizione introdotta da prima che in relazione al presente nella reggente (quindi di usare il trapassato in relazione al passato nella reggente) è discussa nella FAQ  “Prima che” e “prima di” dell’archivio di DICO. Altre risposte sull’argomento si possono trovare usando il motore di ricerca interno.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La seguente affermazione: “La stessa persona che ritiene la terra sia sovrappopolata”, sarebbe più corretta così: “La stessa persona che ritiene CHE la terra sia sovrappopolata”? 

 

RISPOSTA:

Le frasi sono ugualmente corrette. L’omissione del che introduttivo della proposizione completiva è una opzione sempre valida, che, in virtù della basa frequenza, conferisce allo scritto un’aura di letterarietà. In questo caso l’omissione è preferibile per ragioni formali: evitare la ripetizione di che a distanza di poche parole (che ritiene che).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Potreste dirmi quale delle due frasi è corretta? Nella prima è presente potrebbe, nella seconda possa.
1. Quanti studenti sarebbero disposti a continuare la propria ricerca consapevoli che il sistema dell’arte potrebbe non accoglierli mai?
2. Quanti studenti sarebbero disposti a continuare la propria ricerca consapevoli che il sistema dell’arte possa non accoglierli mai?

 

RISPOSTA:

Entrambe le frasi sono corrette. Nella proposizione oggettiva (nel nostro caso che il sistema dell’arte potrebbe / possa non accoglierli mai) possiamo trovare sia il congiuntivo, sia il condizionale. Possiamo anche trovare l’indicativo (che il sistema dell’arte può non accoglierli mai), che è equivalente al congiuntivo, ma meno formale.
La scelta tra il congiuntivo e il condizionale è dettata da ragioni semantiche: il congiuntivo rappresente la soluzione più lineare, senza sfumature particolari; il condizionale aggiunge la sfumatura che gli è propria, introducendo una condizione implicita. Nel nostro caso, con il condizionale si può alludere a una condizione, o una concessione, come che il sistema dell’arte potrebbe non accoglierli mai (anche se riuscissero a diventare dei professionisti).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

La mia domanda riguarda la congiunzione mentre, in relazione alla scelta del verbo all’interno della proposizione che essa può introdurre.
“Ti guarderei riposare mentre io leggerei / leggerò / leggo un libro”.
Le soluzioni sono tutte ammissibili, o, di norma, è consigliato, per ragioni prettamente sintattiche o di attrazione, che i due predicati delle proposizioni, riferendosi ad azioni contestuali, abbiamo lo stesso tempo (guarderei / leggerei, in questo caso specifico)?
Dubbio analogo al precedente: “Se ti guardassi riposare mentre io leggessi / legga / leggo / leggerò un libro, i nostri genitori sarebbero tranquilli”.

 

RISPOSTA:

La congiunzione mentre introduce una proposizione temporale che descrive un evento contemporaneo a un altro. Nella prima frase, se l’evento di riferimento è guarderei, nella proposizione temporale possono essere usate tutte le forme da lei ipotizzate, ma non in modo intercambiabile, visto che ognuna ha una specifica funzione. Il condizionale leggerei descrive l’azione come condizionata al pari di guardereise fossimo in vacanza ti guarderei mentre leggerei. L’indicativo presente descrive l’azione come fattuale al presente: in questo momento ti guarderei mentre leggo; il futuro la descrive come fattuale al futuro: domani alla conferenza ti guarderei (se potessi) mentre leggerò
Nella seconda frase sono possibili tutte le forme tranne legga, visto che la proposizione temporale non richiede di norma il congiuntivo. Il congiuntivo imperfetto leggessi si giustifica soltanto per via dell’attrazione da parte di guardassi nell’orbita della protasi del periodo ipotetico, che fa assumere alla proposizione temporale una sfumatura ipotetica (se ti guardassi mentre / se io leggessi…). Gli indicativi presente e futuro, a loro volta, descrivono l’azione come fattuale al presente e al futuro.
Fabio Ruggiano
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Recentemente sono stata corretta dopo aver pronunciato la seguente frase: “Vorrei che tu fossi già a casa per quando sarò tornata dal lavoro”.
L’interlocutore sosteneva che avrei dovuto dire per quando tornerò dal lavoro. La mia scelta, secondo lui, era ingiustificata.
Avevo scelto di proposito il futuro anteriore per una ragione che vorrei fosse valutata da voi: indicare la conclusione dell’evento, spostando il mio punto di vista, per così dire, un attimo dopo la conclusione stessa.
Domando: il futuro anteriore può assolvere a questa funzione, anche autonomamente, o ha sempre bisogno, perché sia giustificato, di un’azione futura alla quale sia anteriore (di qui la sua denominazione).
È possibile che questo momento di riferimento sia implicito nel senso generale della frase?
Ho letto su una rivista una costruzione come questa: “Alla fine del 2020 saranno state vendute non meno di 10.000 bottiglie di vino rosato”.
In questo caso non ci sono azioni al futuro semplice, eppure il futuro anteriore mi pare che sia corretto, se si sposta il punto di vista alla fine dell’anno in corso.

 

RISPOSTA:

Il suo ragionamento è corretto, ma è applicato all’esempio sbagliato. Il futuro anteriore esprime sempre un evento precedente rispetto a un altro evento futuro; questo evento futuro, però, può essere ricavato contestualmente, senza che ci siano verbi coniugati al futuro. Nella frase “Alla fine del 2020 saranno state vendute non meno di 10.000 bottiglie di vino rosato”, per esempio, l’evento futuro è alla fine del 2020, equivalente a quando il 2020 sarà finito. Il futuro anteriore saranno state vendute precede, quindi, la fine del 2020.
Nella sua prima frase c’è un evento futuro (che tu fossi già a casa), rispetto al quale, però, l’evento del tornare è successivo, non precedente. L’avverbio già, infatti, non lascia dubbi sul fatto che la condizione di essere a casa del soggetto 2 preceda l’azione del tornare del soggetto 1 (non a caso già accompagna spesso, al contrario, il verbo al futuro anteriore). In questo caso, il tempo atteso per tornare non può che essere tornerò (o, in un contesto informale, torno).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Sono alle prese con un periodo per me ostico: 
“Sarà / Sarebbe opportuno calcolare quanto tempo sarà passato dall’ultima volta che tu lo avrai visto”.
Mi è venuto spontaneo comporlo così. Tuttavia, in un secondo momento si è fatta largo in me anche quest’altra soluzione”:
“Sarà / Sarebbe opportuno calcolare quanto tempo sia passato dall’ultima volta che tu lo avessi visto”.
Consapevole che in quest’ultimo modo il messaggio del periodo cambierebbe completamente, vi chiedo per cortesia se le due soluzioni sono giuste e se la sintassi italiana ne offra altre migliori.

 

RISPOSTA:

La prima variante è corretta; nella seconda il congiuntivo trapassato non è giustificato, ma deve essere sostituito dal futuro anteriore, come nella prima, o dal congiuntivo passato.
Per quanto riguarda sarà passato / sia passato, entrambe le soluzioni sono corrette: la prima instaura un rapporto di anteriorità nel futuro rispetto a sarà / sarebbe, mettendo l’accento sul momento di inizio del tempo intercorso dall’ultimo incontro; la seconda instaura un rapporto di anteriorità nel presente, che per il congiuntivo equivale all’anteriorità nel futuro, visto che il congiuntivo non ha il futuro. Tra sarà passato sia passato, quindi, la differenza è di tipo diafasico: il congiuntivo, cioè, è più formale dell’indicativo. Il terzo evento introduce una complicazione, perché prende come momento di riferimento un passato nel futuro (sarà passato / sia passato), rispetto al quale è precedente. Il parlante, quindi, deve scegliere se rappresentarlo come precedente rispetto al passato (avessi visto) o rispetto al futuro, quindi al presente (avrai visto / abbia visto). La soluzione più logica è la seconda, perché è chiaro che il piano temporale di fondo (definito dal verbo della proposizione principale) è futuro.  
Una soluzione ancora più informale (perché più vaga) del futuro anteriore, ma probabilmente quella che un parlante sarebbe portato a scegliere in un contesto parlato anche di media formalità, è l’indicativo passato prossimo (hai visto), che collocherebbe l’evento nel passato, quindi automaticamente in un momento precedente a sarà passato (ignorando che il piano temporale di fondo è futuro).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

La mia prima domanda si riferisce al modo obbligatorio del congiuntivo quando il soggetto delle proporzioni e uguale “Non penso che io possa aiutarti”; va bene questa frase?
La seconda domanda: i siti dove possiamo studiare una lingua possono essere siti linguistici?

 

RISPOSTA:

Quando il soggetto della subordinata completiva coincide con quello della reggente, il modo fortemente richiesto non è il congiuntivo, ma l’infinito. La sua frase, pertanto, dovrebbe essere “Non penso di poterti aiutare”. Sono possibili, comunque, anche il congiuntivo e l’indicativo (ma è la variante più trascurata): “Non penso che ti posso aiutare / che posso aiutarti”. L’infinito è impossibile quando i soggetti non coincidono; in quel caso si può usare il congiuntivo (“Non penso che tu mi possa aiutare / possa aiutarmi”) o l’indicativo (“Non penso che mi puoi aiutare / puoi aiutarmi”). L’indicativo rimane la soluzione più informale.
Non è chiaro che cosa intenda con connettere le due frasi: in ogni caso, con l’infinito o un modo finito (congiuntivo o indicativo) le proposizioni sono connesse.
L’espressione siti linguistici è abbastanza chiara. Per essere più precisi si può usare anche siti per l’apprendimento linguistico.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

In una chat ho detto “non si capisce quello che vorresti dire” riferita ad una frase di qualche secondo prima. La forma al passato del condizionale, avresti voluto, sarebbe stata più corretta da usare?

 

RISPOSTA:

Non sarebbe stata più corretta, ma semanticamente diversa: vorresti dire rappresenta l’atto del dire come ancora attuale, mentre avresti voluto dire lo riporta al momento in cui è stato detto qualcosa. Nel primo caso, quindi, si considera la cosa detta come rilevante per il prosieguo della conversazione; nel secondo caso la si mantiene nel passato, suggerendo che sia poco rilevante. 
Al posto del condizionale, si può usare il congiuntivo, più adatto a contesti formali: “Non si capisce quello che tu voglia / abbia voluto dire”. Al contrario, l’indicativo è più diretto del condizionale, quindi è adatto a contesti molto informali, perché è privo della cortesia veicolata dal condizionale: “Non si capisce quello che vuoi / hai voluto dire”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Una frase come “È da due giorni che non vedo le mie amiche: non vorrei che si siano ammalate” sia giusta mentre “È da due giorni che non vedo le mie amiche: non vorrei che si fossero ammalate” è sbagliata, o comunque meno formale? Mi pare comunque che siano frequente le formulazioni vorrei che + congiuntivo trapassato per indicare l’anteriorità dell’azione.
In relazione alla frase “Vorrei eventualmente rivolgermi al professore, a patto che sia propenso a ricevermi”, è possibile che quando vorrei rappresenta la forma attenuata e cordiale di voglio sia ammesso, come nell’esempio in evidenza, nella secondaria introdotta da congiunzioni condizionali o locuzioni condizionali, il congiuntivo presente, mentre se vorrei ricopre il suo ruolo proprio, sulla falsariga del periodo ipotetico, nella subordinata sia ammesso il congiuntivo imperfetto?
Alcuni esempi con a patto che, ma avrei potuto inserire anche purchéa condizione chesempre che e così via:
“Vorrei vedere un film, a patto che la mia amica mi faccia compagnia” (vorrei = ‘voglio’);
“Vorrei vedere un film, a patto che la mia amica mi facesse compagnia” (a patto che = ‘solo se’, ‘nel caso che’).

 

RISPOSTA:

Non vorrei che + congiuntivo trapassato è possibile, anzi preferibile, rispetto non vorrei che + congiuntivo passato, per esprimere un desiderio rispetto a un evento ormai avvenuto. Nella risposta a cui lei fa riferimento il problema era la contrapposizione con il congiuntivo presente, per questo il trapassato non è stato contemplato. 
La preferenza per i tempi del passato nella completiva retta da verbi di desiderio, aspirazione, necessità al condizionale presente non intacca la costruzione di altre subordinate, che continuano a rispettare le proprie regole anche se nella reggente c’è un verbo di questo tipo. Né hanno alcun peso nella costruzione sintattica le sfumature semantiche di vorrei o simili. Le proposizioni introdotte da a patto che sono condizionali e richiedono il modo congiuntivo; il tempo dipende dal grado di possibilità dell’evento espresso. Il suo primo esempio (vorrei vedere… a patto che mi faccia) è equivalente alla frase vorrei vedere un film, ma lo farei a patto che mi faccia compagnia, che non presenta difficoltà. Il secondo esempio (vorrei vedere… a patto che mi facesse) è equivalente a vorrei vedere un film, ma lo farei a patto che mi facesse compagnia, ugualmente corretta, con una sfumatura di possibilità più marcata veicolata da facesse rispetto a faccia. L’evento, cioè, è rappresentato da facesse come possibile, mentre con faccia si allude soltanto al rapporto di condizione e conseguenza. Impossibile sarebbe, invece, una costruzione come *vorrei vedere un film, a patto che mi avesse fatto compagnia, perché l’impossibilità espressa da avesse fatto contrasta con il desiderio ancora attuale. In relazione a avesse fatto sarebbe richiesto avrei voluto vedere.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

in un costrutto in cui il passato remoto sostiene le azioni certe è corretto adottare il congiuntivo passato per indicare un’azione a sua volta conclusa ma di cui il parlante non è pienamente sicuro?
“Lui parlò, mangiò e credo che abbia visto un film”.
Se anche il vedere un film fosse stato un fatto certo, oltreché concluso, si sarebbe detto vide un film.
Ecco: se esiste, qual è l’equivalente al congiuntivo del passato remoto?

Mi capita talvolta di adottare, istintivamente, il congiuntivo passato per subordinate di periodi in cui la reggente sia introdotta da non vorrei che:
“Non vorrei che i tuoi genitori, poc’anzi, si siano offesi per ciò che ho detto”.
Si tratta di un errore?

 

RISPOSTA:

L’alternanza tra indicativo e congiuntivo nelle proposizioni completive non è dovuta alla certezza dell’emittente su ciò che sta dicendo, ma al grado di formalità che vuole adottare. In particolare, in dipendenza da verbi di opinione (che, come capisce bene, esprimono già da sé l’idea dell’incertezza) il congiuntivo è fortemente consigliato, mentre l’indicativo (passato remoto o prossimo) suona un po’ trascurato.
L’uso dei tempi del congiuntivo è regolato dalla consecutio temporum, che attribuisce a ogni tempo il suo ambito.
Il condizionale presente del verbo volere e di tutti i verbi che indicano desiderio, aspirazione, necessità regge di norma i tempi del passato del congiuntivo, quindi imperfetto e trapassato. Le ragioni di questa reggenza passata per un tempo presente sono spiegate nella risposta n. 2800136 dell’archivio.
Il congiuntivo presente in dipendenza dal condizionale presente di questi verbi è considerato errato, ma è comune, e accettabile, in contesti informali. Una frase come “Non vorrei che tu abbia sonno”, insomma, è accettabile tra amici, sebbene più formale sia “Non vorrei che tu avessi sonno”. Allo stesso modo, a “Non vorrei che tu abbia pensato di andare a dormire” si preferisce, in contesti formali, “Non vorrei che tu avessi pensato di andare a dormire”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Prima che finiscano le ferie, farò / avrò fatto un bagno”;
“Prima che siano finite le ferie, farò / avrò fatto un bagno”. 
Tra le quattro combinazioni ce ne sono alcune errate?

“Non autorizzerò il permesso, prima di appurare / aver appurato le motivazioni”;
“Finisco lo stipendio, prima di riscuoterlo / averlo riscosso”. 
Sono giuste entrambe le scelte? La differenza consiste, anche qui, nel rapporto tra le proposizioni, con l’infinito presente che segnala la contemporaneità e il passato l’anteriorità?
 
 

 

RISPOSTA:

Le combinazioni del primo blocco di frasi sono tutte corrette, con qualche minima sfumatura nel rapporto temporale tra il momento della fine delle ferie e quello del bagno. Il congiuntivo passato siano finite, apparentemente illogico, visto che descrive un evento futuro, per giunta successivo all’evento descritto da avrò fatto, rappresenta il momento della fine delle ferie come conclusivo di un processo, all’interno del quale si situa avrò fatto. Il parlante, cioè, osserva la fine delle ferie da un punto di vista appena successivo, rispetto al quale la fine stessa è già avvenuta. Subito dopo, però, torna al punto di vista presente, rispetto al quale si giustifica il futuro anteriore (ma si potrebbe usare anche il futuro semplice, farò). Lo scambio di punti di vista è provocato dal connettivo prima che, che confonde i reali rapporti temporali, facendo apparire precedente l’evento che è in realtà successivo. 
Anche nel secondo blocco di frasi tutte le varianti sono corrette. L’infinito presente rappresenta l’evento come contemporaneo a quello della reggente, qualsiasi sia il tempo di quest’ultimo. La contemporaneità può essere anche sfumata, proiettandosi nel passato (come nella prima frase) o nel futuro (come nella seconda).
Si noti la differenza tra la costruzione con non prima di della prima frase e quella con prima di della seconda, nel caso in cui scegliamo di usare l’infinito passato in entrambe. La seconda costruzione è analoga a quella delle frasi del blocco precedente con prima che e il congiuntivo passato; nella frase, infatti, l’evento precedente (finisco) è espresso con il presente (ma potremmo usare anche il futuro, finirò, e il futuro anteriore, avrò finito), quello successivo con il passato (aver riscosso).
La prima costruzione, invece, mette gli eventi nell’ordine più atteso: quello successivo è espresso con il futuro (autorizzerò), quello precedente con il passato (aver appurato). 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho sempre saputo che il futuro anteriore, nel discorso diretto, diventa condizionale passato nell’indiretto; è possibile che, talvolta, quest’ultimo sia sostituito dal congiuntivo trapassato? Ad esempio, “Marco disse: “Dopo che sarò tornato a casa, tu potrai uscire” può trasformarsi in “Marco disse che dopo che sarebbe tornato / fosse tornato a casa, tu saresti potuto uscire”? È proprio formulando questo esempio che mi rendo conto di quanto sia, per me, stridente il condizionale passato ripetuto, che peraltro annulla le distinzioni temporali marcate dal discorso diretto. Insomma, in questo caso userei il congiuntivo.
Nella frase “Se fossi stato al posto tuo, avrei fatto ciò che mi avrebbero detto” sarebbero giuste anche le varianti avessero detto e dicessero in base al rapporto temporale tra le proposizioni?

 

RISPOSTA:

La premessa non è precisa: il condizionale passato del discorso indiretto esprime il cosiddetto futuro nel passato, ovvero indica un evento successivo rispetto a un altro che è, a sua volta, passato. Per questo motivo, il condizionale passato sostituisce, nel discorso indiretto, non soltanto il futuro anteriore, ma anche il futuro anteriore del discorso diretto.
Venendo allo specifico del suo caso, premetto che la variante con il discorso indiretto è meglio costruita con l’infinito, vista l’identità di soggetto tra la reggente e l’oggettiva (Marco disse che dopo essere tornato a casa…). Volendo, invece, mantenere la forma esplicita, nella sua frase sia sarò tornato sia potrai divengono condizionali passati (sarebbe tornato e saresti potuto) perché entrambi questi eventi sono futuri rispetto a un passato che è rappresentato dal verbo disse. Effettivamente, come lei ha notato, la successione temporale in questo modo si annulla; bisogna, però, rilevare che questo non comporta nessuna ambiguità, perché alla precisione morfosintattica supplisce la logica (nessun parlante avrebbe dubbio sulla corretta ricostruzione della sequenza delle azioni anche di fronte ai due condizionali passati). Non a caso, anche nel discorso diretto si fa spesso a meno del futuro anteriore, confidando nella possibilità di ricostruire la sequenza delle azioni future per logica: “Marco disse: ‘Quando tornerò, tu potrai uscire'” non presenta difficoltà interpretative di sorta.
La sostituzione del condizionale passato con il congiuntivo trapassato è possibile perchè nella consecutio temporum quest’ultima forma esprime anteriorità rispetto a un tempo passato. In questo caso il tempo passato sarebbe saresti potuto (che rimane passato pur essendo futuro nel passato). In questo modo, la prospettiva cambia leggermente, e da due eventi ugualmente futuri rispetto a uno passato si passa a due eventi dei quali uno è futuro rispetto al passato (saresti potuto) e l’altro è anteriore rispetto a quest’ultimo (fosse tornato). 
La struttura con il congiuntivo trapassato e il condizionale passato ricalca quella del periodo ipotetico del terzo tipo (= se fosse tornato a casa, tu saresti potuto uscire); sarebbe possibile, ma non necessario, pertanto, attribuire alla frase così formata una sfumatura ipotetica (la proposizione temporale, quindi, sarebbe temporale-condizionale).
Per quanto riguarda l’esempio finale, le varianti sono possibili. Avessero detto, anzi, è quella più formale. Dicessero si può giustificare nell’ottica della consecutio temporum, in quanto evento contemporaneo nel passato rispetto ad avrei fatto; contrasta, però, con il tempo del congiuntivo della protasi (fossi stato), dal quale è fortemente attratto. 

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se nello scritto va bene utilizzare il presente al posto del futuro indicativo; es. “La classe viene / verrà divisa in sei gruppi, ognuno dei quali legge / leggerà un libro. I membri di ciascun gruppo condividono / condivideranno la lettura dello stesso libro e poi…”.

 

RISPOSTA:

Prima che la formalità bisogna valutare la chiarezza espressiva: nel suo esempio è impossibile attribuire al presente il valore di futuro, perché mancano avverbi o altre indicazioni temporali che surroghino appunto l’idea del futuro. Il lettore, pertanto, è indotto a interpretare il presente come atemporale, come se quella da lei presentata fosse la descrizione astratta, decontestualizzata, di un’attività. Diversamente, con un’indicazione temporale il presente può assumere la funzione di futuro: “Nella lezione di domani la classe viene divisa in sei gruppi…”. 
Il presente si presta bene a sostituire il futuro nel parlato e anche nello scritto di media formalità; nel suo caso consiglierei di usare il futuro anche dopo aver inserito l’indicazione temporale, perché il contesto sembra richiedere un tasso di formalità superiore alla media (un docente sta descrivendo per iscritto un’attività ad alcuni studenti). La scelta del presente, comunque, è sempre possibile, se il docente vuole ridurre la distanza sociale tra sé e gli studenti.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio sull’analisi della seguente frase: “Non credevo che saresti arrivato in tempo, ma evidentemente c’era poco traffico e così non hai avuto problemi”.
Non credevo = principale.
che saresti arrivato in tempo = subordinata oggettiva (1° grado);
ma evidentemente c’era meno traffico = coordinata avversativa alla subordinata oggettiva;
e così non hai avuto problemi = coordinata conclusiva alla coordinata.
È corretto considerare la proposizione e così non hai avuto problemi come coordinata alla precedente coordinata avversativa?

 

RISPOSTA:

Sì, è corretto. Se, infatti, proviamo a escludere la prima coordinata (ma evidentemente c’era meno traffico), notiamo che la seconda non può collegarsi direttamente alla subordinata (*che saresti arrivato in tempo e così non hai avuto problemi) né alla principale (*non credevo e così non hai avuto problemi). Ne consegue che la seconda coordinata sia direttamente collegata alla prima coordinata e, attraverso questa, alle altre proposizioni.
Sottolineo che, per la precisione, la proposizione e così non hai avuto problemi non è conclusiva ma copulativa: la congiunzione, infatti, è e. Sarebbe conclusiva se mancasse la ecosì non hai avuto problemi. In quel caso, però, dovrebbe essere preceduta da una virgola, un punto e virgola o i due punti.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per sapere se l’analisi del seguente periodo è corretta:
“La storia che mi hai riferito ieri e che riguardava quel signore che abbiamo incontrato al ristorante non mi sembra sia veritiera, poiché devi avere frainteso di chi io ti stessi chiedendo informazioni per conoscere effettivamente la situazione”.
La storia non mi sembra = proposizione principale;
sia veritiera = subordinata oggettiva esplicita (1° grado);
che mi hai riferito ieri = subordinata relativa esplicita (1° grado);
e che riguardava quel signore = coordinata copulativa alla subordinata relativa di 1° grado;
che abbiamo incontrato al ristorante = subordinata relativa esplicita (2° grado) alla coordinata;
poiché devi avere frainteso = subordinata causale esplicita (2° grado);
di chi io ti stessi chiedendo informazioni = subordinata interrogativa indiretta esplicita (3° grado);
per conoscere effettivamente la situazione = subordinata finale implicita (4° grado).

 

RISPOSTA:

Va detto che la frase è arzigogolata e poco credibile. Considerando soltanto la forma, e non il senso, però, rilevo un paio di difficoltà. Il rapporto tra la principale e la completiva è più complesso di quello che sembri, perché è chiaro che la storia sia il soggetto della subordinata, non della principale. Se lo consideriamo soggetto della principale, infatti, la subordinata rimane monca, né sarebbe possibile reduplicare il sintagma: *La storia non mi sembra la storia sia veritiera. Pertanto, rimettendo in ordine gli elementi, riconosciamo che la costruzione sintattica soggiacente è non mi sembra (che) la storia sia veritiera. In essa, la principale è non mi sembra e (che) la storia sia veritiera è una soggettiva.
Un altro problema, solo nominale, riguarda e che riguardava quel signore, che va definita relativa coordinata; ne consegue che che abbiamo incontrato ieri sia subordinata alla relativa coordinata.
Il resto è corretto.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per avere una delucidazione in merito all’analisi del seguente periodo:
“Non credevo che Marco e Francesco avrebbero preso seriamente in considerazione quanto era stato detto loro”.
Non credevo = principale.
che Marco e Francesco avrebbero preso in considerazione = subordinata oggettiva di 1° grado.
quanto era stato detto loro = subordinata dichiarativa di 2° grado.
È corretto considerare la proposizione quanto era stato detto loro come dichiarativa e non come oggettiva? Se in luogo dell’espressione prendere in considerazione vi fosse stato un verbo semplice (valutare o considerare), nell’analisi avrei classificato la subordinata come oggettiva.

 

RISPOSTA:

La proposizione quanto era stato detto loro è relativa. In questo caso, infatti, quanto equivale a ciò che. La proposizione rimane relativa anche cambiando il verbo reggente. Quanto può introdurre anche una interrogativa indiretta: non so quanto rimarrò; non può, invece, introdurre una oggettiva o una dichiarativa.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi chiedo per cortesia di segnalarmi quali frasi delle seguenti coppie sono corrette, spiegandomi possibilmente perché.
1
– Dovresti pensare che sia finito.
– Dovresti pensare che fosse finito.

2
– Non riuscirei a trovare un’altra persona che sia così paziente.
– Non riuscirei a trovare un’altra persona che fosse così paziente.

 

RISPOSTA:

Stando alla consecutio temporum, il condizionale presente si comporta come l’indicativo presente, quindi regge il congiuntivo presente per l’espressione della contemporaneità, il congiuntivo passato o imperfetto per l’espressione dell’anteriorità, il congiuntivo presente o l’indicativo futuro per l’espressione della posteriorità. Le prime frasi di entrambe le coppie sono senz’altro corrette: nella prima il congiuntivo passato esprime l’anteriorità rispetto al presente dovresti, nella seconda il presente esprime contemporaneità rispetto a riuscirei. Il condizionale presente potrebbe reggere anche il congiuntivo trapassato: dovresti essere grato che io fossi arrivato prima che fosse troppo tardi. Come si vede, il trapassato si giustifica perché esprime un evento precedente a un altro evento passato. In teoria, anche la sua seconda frase della prima coppia potrebbe rientrare in questo modello, ma non trovo esempi credibili. Arduo anche trovare un contesto plausibile per la seconda frase della seconda coppia.
La reggenza del condizionale presente ha un’eccezione: nel caso di verbi che esprimono desiderio, aspirazione o necessità, il condizionale presente regge il congiuntivo imperfetto per l’espressione della contemporaneità. Per quest’uso rimando alla FAQ  Vorrei che tu.. dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In questa frase dobbiamo inerire il pronome diretto, o siccome si tratta di una costruzione passiva non ci vuole? “In questa citta ci sono dei programmi la visita dei quali non (la) si può perdere”.

 

RISPOSTA:

La proposizione relativa nella prima frase è equivalente a la visita dei quali non può essere persa; il sintagma la visita, pertanto, è il soggetto della relativa, e non può essere ripreso con un pronome diretto (che serve a riprendere il complemento oggetto). La ripresa del sintagma con il pronome diretto si può fare se interpretiamo la relativa come impersonale, non passiva. In questo caso il sintagma nominale ha la funzione di complemento oggetto: la visita dei quali non si può perdere, o, con la ripresa pronominale, la visita dei quali non la si può perdere
La doppia interpretazione, impersonale e passiva, della forma del verbo costruita con il pronome si è possibile quando il sintagma nominale che funge da soggetto o da complemento oggetto è singolare; quando è plurale, invece, si propende sempre per il passivo (quindi senza la possibilità di riprendere il soggetto con un pronome): le visite dei quali non si possono perdere = le visite dei quali non possono essere perse.
La costruzione impersonale, anche se rara, è possibile anche al plurale: le visite dei quali non si può perdere. In questo caso, la ripresa è molto favorita: le visite dei quali non le si può perdere.
Si consideri che la ripresa pronominale è una possibilità sintattica marcata, adatta al parlato o allo scritto informale, ma non a contesti formali; la forma standard rimane la visita dei quali non si può perdere
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Riporto parte del testo di una canzone famosa: “Se solo avessi le parole, te lo direi, anche se mi farebbe male”. È corretto dire “farebbe male” nel contesto della frase?
 

 

RISPOSTA:

È corretto se la proposizione in cui il verbo è inserito è interpretata non come una subordinata concessiva, ma come una giustapposta a te lo direi. In altre parole, qui anche se è non una congiunzione subordinativa, ma un segnale discorsivo che introduce un enunciato sintatticamente coordinato al precedente, o anche del tutto autonomo. La frase, quindi, dovrebbe essere scritta così: te lo direi; anche se mi farebbe male, o anche te lo direi. Anche se mi farebbe male
Se, invece, la proposizione fosse una subordinata concessiva, la frase dovrebbe essere te lo direi anche se mi facesse male (oppure te lo direi, anche se mi facesse male). Si noti, però, che la frase così costruita presenterebbe una situazione poco credibile: difficilmente, infatti, qualcuno potrebbe rappresentare come possibile (anche se mi facesse male), invece che concreta (anche se mi farebbe male) una reazione del tutto prevedibile come il proprio dolore. La frase avrebbe pienamente senso, invece, se la concessione possibile riguardasse la reazione di un’altra persona, per esempio te lo direi anche se tu non provassi gli stessi sentimenti per me.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coesione
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Gradirei sviluppare l’argomento della coesistenza di diversi tempi verbali all’interno di costruzioni le cui frasi sono indipendenti dal punto di vista sintattico, benché sussistano dei legami logici tra l’una e l’altra. I tre periodi seguenti sono corretti?
1. “Già nel 2001 egli aveva avuto un grosso problema di salute, che aveva risolto in tempi ragionevoli. Poi, due anni fa, si è sentito di nuovo male. Adesso sta cercando di contattare alcuni specialisti che possano aiutarlo a rimettersi in sesto”.
2. “Mi convinsi a concedergli facoltà di replica. In un secondo momento, ripensadoci, ho cambiato idea”.
3. (In questo caso, a differenza dei precedenti, c’è un rapporto di subordinazione tra le proposizioni). “Ti chiamerò al numero di telefono che mi avevi dato l’ultima volta che ci siamo incontrati”.
Inoltre, per determinare le azioni anteriori, è preferibile il passato remoto (esempio 2) o uno dei trapassati (esempio 1)?

 

RISPOSTA:

I brani sono corretti. I passati, l’imperfetto, il presente, il futuro semplice sono tempi deittici, che indicano se l’evento è avvenuto nel passato, nel presente, nel futuro. Questi tempi, quindi, sono autonomi  
l’uno dall’altro, ovviamente in periodi distinti, ma anche in un contesto coordinativo o subordinativo, se descrivono eventi situati in momenti diversi del tempo: “Anche se ieri ho studiato tanto, ora ho paura per l’interrogazione perché da questa dipenderà la mia media finale”. 
Difficilmente giustificabile è l’uso del passato remoto e del passato prossimo nella stessa frase, perché i due tempi rappresentano gli eventi in modi diversi, quasi del tutto incompatibili. In due periodi diversi, per quanto consecutivi, l’alternanza può essere possibile; nel suo secondo brano, per esempio, mi convinsi può ben rimanere ancorato al passato, mentre ho cambiato si proietta verso il presente.
Per chiamerò e ci siamo incontrati del terzo brano valgono le osservazioni fatte sopra. Per quanto riguarda avevi dato, ricordo che i trapassati e il futuro anteriore sono tempi anaforici: indicano che l’evento è avvenuto prima di un altro evento, a sua volta passato, nel caso dei trapassati, o futuro, nel caso del futuro anteriore. Per usare il trapassato, quindi, serve un altro evento passato che faccia da riferimento. Nella sua frase tale evento non è esplicitato, infatti la frase potrebbe essere costruita anche con hai dato al posto di avevi dato. L’uso del trapassato non è automaticamente sbagliato, però, ma può dipendere dalla presenza, nel co-testo (nella parte di testo precedente a quella qui riportata) o nella memoria dei due interlocutori, di un evento che fa da riferimento; per esempio: “Ti chiamerò al numero di telefono che mi avevi dato l’ultima volta che ci siamo incontrati, prima che ci perdessimo di vista“.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

 

Chiedo il vostro contributo per definire i criteri da adottare per creare il giusto rapporto tra i termini quest’ultimostesso (e relative declinazioni in genere e numero) e i rispettivi antecedenti.
Nel brano “Valentina aveva guardato la TV, Sara aveva studiato e Martina aveva deciso di riposarsi, dato che si sentiva stanca. Io, durante il turno di lavoro, avevo dovuto affrontare diversi problemi e, tra l’uno e l’altro, avevo chiamato quest’ultima”, il termine quest’ultima può essere fatto risalire a Martina, nonostante il soggetto in questione sia, per così dire, lontano nel testo?
Secondo esempio: “L’impaginazione consiste nella definizione di due margini laterali, uno superiore e uno inferiore, nell’impostazione di un’interlinea di 1.5 pt e di una finestra centrale recante la denominazione. Il salvataggio della stessa dovrà essere eseguita nel rispetto delle suddette disposizioni”. Qui stessa si riferisce a finestraimpaginazione o denominazione? Il termine stessa, affinché ne sia comprensibile l’antecedente, ha l’obbligo di riferirsi all’ultimo soggetto o complemento?
In generale, quali sono le regole da seguire – se esistono – per non incorrere nel rischio di essere fraintesi da eventuali lettori?

 

RISPOSTA:

Nel primo caso, la distanza dell’antecedente dal punto in cui deve essere inserita la forma anaforica rende consigliabile la ripresa piena; bisogna, quindi, riprendere il sintagma nominale pieno Martina. Eventualmente, se Martina fosse identificabile in altri modi, specificati altrove nel co-testo, potrebbe essere usata la perifrasi corrispondente. Ad esempio, se Valentina e Sara fossero adolescenti e Martina una bambina, al posto di Martina potrebbe essere usato il sintagma la piccola (non la bambina, che potrebbe far pensare a un ulteriore referente, diverso da quelli nominati prima).
A sconsigliare quest’ultima non è l’ambiguità di questa forma pronominale, che è, invece, molto precisa, anche perché mancano altri potenziali referenti, essendo Martina effettivamente l’ultimo oggetto femminile singolare nominato prima dell’anafora. Quest’ultima è straniante perché questa rimanda a un referente molto vicino, mentre Martina si trova ben distante. Potremmo eliminare questa, lasciando soltanto l’ultima, ottenendo una coesione soddisfacente; l’aggettivo ultimo, però, raramente è usato con funzione referenziale senza il pronome questo e il lettore rischia di credere che chiamare l’ultima possa essere un qualche genere di espressione idiomatica. 
Il secondo caso è un po’ diverso: di certo non si può usare la stessa, che è adatto a riprendere l’ultimo referente nominato (quindi, qui, denominazione). Per riprendere l’impaginazione in questo contesto, però, la forma migliore è non la ripetizione del sintagma, ma l’espressione il suo salvataggio; l’aggettivo possessivo, infatti, è perfetto per riprendere un soggetto divenuto, nella proposizione o nel periodo successivi, un complemento di specificazione. Lo stesso si potrebbe fare, per la verità, anche cataforicamente: “Il suo profumo era già percepibile; la primavera stava per arrivare”.
Si noti, a margine, che eseguita deve diventare eseguito, perché concorda con il salvataggio.

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le espressioni anche se e come se possono, in taluni casi, accettare il condizionale passato? Se la risposta è affermativa, potrei sapere quando?
Porto alcuni esempi alla vostra attenzione.
1) Ero sicura di farcela, anche se mi avrebbero osteggiato.
2) Era vestita di tutto punto, come se il giorno dopo si sarebbe dovuta mostrare al suo pretendente
(Scrivendo dovesse o fosse dovuta presentare, potrei comunque indicare posteriorità?).
Da una parte, il condizionale nella mia mente suona infatti compatibile con la posteriorità dell’azione espressa, dall’altra sarei propensa a impiegare il congiuntivo (trapassato o imperfetto), specie nel secondo esempio in cui non si potrebbe sospettare l’anteriorità dell’azione grazie alla preposizione dopo, pur se si usasse il trapassato.

 

RISPOSTA:

Il condizionale, presente e passato, è compatibile con anche se soltanto se la proposizione da esso introdotta non è subordinata, bensì giustapposta, e quindi anche se non è un connettivo ma un segnale discorsivo.
Nella sua frase 1, per esempio, anche se mi avrebbero osteggiato è sullo stesso piano di ero sicura, un po’ come se dicesse ero sicura, ma mi avrebbero osteggiato. Si noti che, in questo caso, alla virgola si preferisce il punto e virgola (o anche il punto): ero sicura di farcela; ma mi avrebbero osteggiato.
Se, invece, la proposizione è una subordinata concessiva, allora non ammette il condizionale, ma soltanto il congiuntivo o, al presente, anche l’indicativo: “Ero sicura di farcela, anche se mi avessero osteggiato”, “Sono sicura di farcela, anche se mi osteggiano / osteggeranno / osteggiassero “.
Il connettivo come se non ammette il condizionale in nessun caso, perché la proposizione comparativa ipotetica è più strettamente ipotetica, quindi subordinata, della concessiva. Per questo la sua frase 2 non è mai corretta, ma richiede sempre il congiuntivo. Il tempo del congiuntivo da usare dipende dal grado di probabilità dell’evento del mostrarsi: l’imperfetto implica che esso sia probabile; il trapassato che esso sia improbabile, se non impossibile.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Le proposizioni principale e secondaria collegate da finché debbono essere costruite con lo stesso tempo verbale, oppure, per sottolineare lo stacco tra le due azioni, se ne possano selezionare due distinti?
Elenco il primo gruppo di esempi in cui ho incrociato i tempi del passato remoto e del trapassato prossimo (tra parentesi ho inserito anche la variante del trapassato remoto che, in teoria, non dovrebbe differire dal precedente sul piano dei rapporti temporali in oggetto).
1. Avevamo camminato (Avemmo camminato) finché non raggiungemmo la meta. 
2. Camminammo finché non raggiungemmo la meta.
3. Camminammo finché non avevamo raggiunto (avemmo raggiunto) la meta.

Ecco il secondo gruppo:
4. Cammino finché non ho raggiunto la meta.
5. Cammino finché non raggiungerò la meta.
6. Cammino finché non avrò raggiunto la meta.
7. Cammino finché non raggiungo la meta.

 

 

RISPOSTA:

Il modo e il tempo richiesti da finché sono stati oggetto di diverse risposte consultabili nell’archivio di DICO: in particolare rimando alla FAQ  “Avrei aspettato finché…” e alla FAQ  “Fino a che” con il condizionale?.
Nelle sue frasi, inoltre, il soggetto della subordinata è lo stesso della reggente, e questo induce a preferire la costruzione implicita: avevamo camminato camminammo fino a raggiungere la meta (ma anche fino ad aver raggiunto la meta); cammino fino a raggiungere la meta (o cammino fino ad aver raggiunto la meta). 
Immaginando, comunque, due modelli di frasi con i soggetti delle subordinate diverse da quelli delle reggenti, e considerando soltanto il modo indicativo (per l’alternanza con il congiuntivo rimando alle risposte sopra citate), le varianti di frasi da lei proposte sono tutte corrette, con qualche precisazione.
Finché consente di rappresentare l’evento descritto come contemporaneo a quello della reggente (“camminerò finché le gambe mi reggono / reggeranno”). L’anticipazione dell’evento rispetto alla principale risulta meno felice, ma non impossibile: “camminerò finché le gambe mi avranno abbandonato”; “camminammo finché la metà era stata raggiunta”. 
L’anticipazione dell’evento rispetto a quello della principale è molto più plausibile con il connettivo finché non (quello da lei usato): “camminerò finché le gambe non mi avranno abbandonato”; “camminammo finché la metà non era stata raggiunta”. Anche in questi casi, comunque, la contemporaneità rimane una scelta corretta: “camminerò finché le gambe non mi abbandonano / abbandoneranno”; “camminammo finché la metà non fu raggiunta”. 
L’aggiunta di non rende più legittima l’anticipazione perché rafforza la seguente equivalenza: camminammo finché non = smettemmo di camminare dopo che, quindi camminammo finché la metà non era stata raggiunta = smettemmo di camminare dopo che la metà era stata raggiunta.
Si noti che l’evento della subordinata introdotta da finché non può essere contemporaneo o anteriore a quello della reggente, non posteriore. Non dovrebbe essere possibile, pertanto, costruire la frase come nell’esempio 1, che contiene tempi coordinati in modo opposto. L’esempio si può giustificare soltanto sul piano testuale, se le due proposizioni sono enunciati separati: “Avevamo camminato tanto. Finché non raggiungemmo la meta”. Con questa costruzione, ovviamente, l’identità dei soggetti non crea nessun problema; in questo caso, però, finché non è non una congiunzione sintattica, ma un segnale discorsivo, o connettivo testuale, o connettore. 
Nel secondo blocco di esempi, infine, si noti che il presente non può che avere sempre funzione di futuro (cammino = camminerò). La congiunzione finché (non), infatti, proietta automaticamente l’azione della reggente nel futuro, anche quando il verbo al suo interno è al passato: camminammo finché =  passammo un certo tempo a camminare finché
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In quali casi possono coesistere in una frase imperfetto e passato remoto? In questo caso va bene?

Là, viveva Suor Teresa, una religiosa conosciuta in parrocchia, che da anni lavorava (lavora) in una struttura religiosa per ragazze madri, della quale lei era la Superiora. Carmela aveva instaurato un buon rapporto con la suora e avendo conservato il suo numero di telefono la contattò.

 

RISPOSTA:

Nel suo brano ci sono due frasi, e in nessuna di esse ci sono sia l’imperfetto sia il passato remoto. La prima frase è tutta all’imperfetto, la seconda contiene un trapassato prossimo e un passato remoto.
In ogni caso, l’alternanza tra imperfetto e passato remoto, o anche passato prossimo, è una risorsa non soltanto lecita, ma addirittura fondante della narrazione. Tale alternanza può avvenire al livello del testo, come nel suo brano, che è corretto, o anche nella stessa frase: “Quando l’ho incontrata nevicava”.
In un racconto si usa tipicamente l’imperfetto per descrivere lo scenario nel quale hanno luogo le azioni dei personaggi, descritte con i passati momentanei, remoto o prossimo.
Per quanto riguarda la sostituzione di lavorava con lavora, è possibile, se la suora lavora ancora nella struttura religiosa al momento dell’enunciazione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1) Ho il dubbio che possa essere scappato / sia scappato.
2) Sospetto che Tizio possa averci ingannato / ci abbia ingannato.

In tutti questi esempi (e immagino che se, al posto di dubbio e sospetto ci fossero stati timorepaura oppure verbi della sfera soggettiva quali, ad esempio, supporreipotizzare ecc., la questione non sarebbe stata differente) il verbo servile potere è facoltativo, ridondante o preferibile? Ho l’abitudine di usarlo in frasi che ricalcano lo schema descritto; tuttavia, non sono certa di essere nel giusto.
Indipendentemente dal servile, le frasi completive costruite con i sopraccitati sostantivi ammettono anche il condizionale in luogo del congiuntivo? Mi è capitato di trovare in un romanzo un periodo del tipo.

3) […] Ora avresti il dubbio che potrebbe aver sofferto.

Non sarebbe stato più indicato possa?

 

RISPOSTA:

Il verbo potere seguito da infinito aggiunge una sfumatura semantica, ovviamente di potenzialità, al verbo retto. Non si può, pertanto, giudicare necessario se non in relazione alle intenzioni comunicative dell’emittente. Certo, in alcuni casi la sfumatura sembra ridondante, perché è già contenuta in altre forme della frase; i suoi esempi 1 e 2 sono casi di questo genere, in cui la potenzialità è già espressa sufficientemente da dubbiosospetto o simili. La ridondanza, però, non è sempre un difetto nella comunicazione umana: girare intorno al concetto, modulare le espressioni, usare più di un congegno di distanziamento sono strategie della cortesia, cioè del meccanismo di protezione sociale che i parlanti applicano per mantenere buoni rapporti reciproci. In altre parole, è possibile (ma bisogna valutare caso per caso) che la ridondanza, semanticamente inutile, serva, comunicativamente, a rafforzare la posizione di incredulità dell’emittente rispetto all’evento.
Per quanto riguarda la frase 3, entrambe le forme, potrebbe e possa, sono possibili. Se non c’è una ragione specifica per l’uso del condizionale, il congiuntivo è la soluzione più formale. Nel parlato (e nella simulazione scritta del parlato), però, non capita spesso di ricercare la formalità, e ci si adatta alle forme più immediate, anche se possono essere un po’ imprecise.
In questo caso, il condizionale è facilitato dalla reggenza condizionale, che attrae nello stesso modo il verbo retto. C’è, inoltre, da considerare che il condizionale configura la proposizione retta come in parte autonoma rispetto alla reggente; se togliessimo ora avresti il dubbio, infatti, potrebbe aver sofferto potrebbe sostenersi da sola; al contrario, il congiuntivo è il modo della subordinazione, che vincola senza alternative la subordinata alla reggente (possa aver sofferto non può reggersi da sola): per questo motivo è preferito nello scritto, che consente di costruire sintassi complesse, ed evitato nel parlato, nel quale la sintassi tende alla semplicità e alla frammentarietà.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quante e quali forme sono valide?
Le donne rammendavano la biancheria fino a che
1a) arrivassero
1b) fossero arrivate
1c) sarebbero arrivate alla quantità desiderata.

 

RISPOSTA:

La forma migliore non è tra quelle elencate: “Le donne rammendavano la biancheria fino ad arrivare alla quantità desiderata“. L’identità di soggetto tra la subordinata e la reggente induce a preferire decisamente la forma implicita della subordinata. Scarterei tutte le altre. Possibile anche la nominalizzazione: “Le donne rammendavano la biancheria fino al raggiungimento della quantità desiderata“.
Nel caso in cui non ci fosse identità di soggetto (per esempio “Le donne rammendavano la biancheria fino a che la quantità…”), le opzioni valide sono le prime due: 
a. fino a che la quantità (non) fosse raggiunta
b. fino a che la quantità (non) fosse stata raggiunta.
Ho sostituito il verbo arrivare con raggiungere perché arrivare non si può volgere al passivo.
L’imperfetto rappresenta il raggiungimento come un processo in corso mentre le donne rammendavano; il trapassato lo rappresenta come avvenuto, osservando la scena dal punto di vista del processo già concluso.
Il condizionale passato (fino a che la quantità sarebbe stata raggiunta) è impedito dalla congiunzione fino a che (o finché) perché proietta il punto di vista verso il futuro rispetto a un momento nel passato, mentre la congiunzione è fortemente ancorata allo svolgimento del processo. L’unico caso in cui fino a che può essere seguito dal condizionale passato è se è retto da una proposizione con il condizionale passato: “Disse che avrebbe continuato fino a che la guerra (non) sarebbe stata vinta”. Anche in questo caso, comunque, è preferibile fino a che la guerra (non) fosse stata vinta (o fosse vinta). 
In un contesto informale, infine, il congiuntivo può essere sostituito dall’indicativo: fino a che la quantità (non) era raggiuntafino a che la quantità (non) era stata raggiunta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia

QUESITO:

nelle frasi riportate di seguito la specificazione del soggetto, oltre che indispensabile per la determinazione della persona singolare, è corretta in italiano o è sconsigliabile se non in contesti informali?
Non ho avuto paura, ma non perché io sia un eroe.
Non è che io voglia criticarla.
Non so che cosa io possa aver fatto.

 

RISPOSTA:

Rilevo intanto che se la specificazione fosse indispensabile, come lei presuppone, non potrebbe essere anche sconsigliabile: sarebbe una contraddizione. In ogni caso, tale specificazione non è né indispensabile né sconsigliabile. Nel caso del congiuntivo presente, l’identità delle tre forme del singolare (io siatu sialui sia) rende necessario specificare il soggetto, ma per convenzione l’obbligo riguarda soltanto la seconda persona, mentre la prima e la terza si possono esplicitare se necessario per la chiarezza. Per l’imperfetto, nel quale la confusione può avvenire tra la prima e la seconda persona (io fossitu fossilui fosse), l’obbligo vale, ugualmente, soltanto per la seconda persona.
Pur non essendo indispensabile, comunque, la specificazione del soggetto pronominale di prima persona nelle sue frasi non è affatto sconsigliabile, né marcata come informale. Il soggetto può sempre essere espresso, anche quando non sia strettamente necessario, per esprimere un’opposizione rispetto ad altri possibili soggetti. Nella sua prima frase, per esempio: non perché io sia un eroe sottolinea che altri potrebbero essere eroi; non perché sia un eroe mancherebbe di questa sfumatura contrastiva. Lo stesso vale per le altre frasi: io voglia criticarla lascia intendere che l’emittente sappia che altri la criticano, o potrebbero criticarla (non esclude, cioè, che una critica le possa essere mossa); io possa aver fatto, ugualmente, suggerisce che altri possano aver fatto qualcosa.
L’unico caso in cui è sconsigliabile ribadire il soggetto pronominale, anche se si vuole dare una sfumatura contrastiva (che, quindi, deve essere espressa in altro modo), è quello in cui nel co-testo o nel contesto siano presenti due o più referenti potenzialmente forici del pronome (quindi per forza di terza persona). Ad esempio, nella frase “Luca accompagnò Andrea alla macchina quindi lui tornò a casa” lui non può essere Luca, ma può essere Andrea oppure un altro referente nominato prima (ma in quest’ultimo caso la costruzione sarebbe ambigua e dovrebbe essere riformulata). Se, invece, si intende dire che Luca sia tornato a casa bisogna lasciare il soggetto della coordinata implicito: “Luca accompagnò Andrea alla macchina quindi tornò a casa”. Se, infine, si vuole sottolineare l’opposizione tra l’azione di Luca e quella di Andrea si può scrivere: “Luca accompagnò Andrea alla macchina quindi tornò a casa, mentre Andrea no” (o simili).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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QUESITO:

Mi trovo a combattere con la seguente struttura: “La informiamo come beneficiare dei vantaggi” senza la preposizione su.
Vorrei sapere se posso considerarla una struttura errata e quindi correggerla. Sospetto variante regionale del Ticino e purtroppo non ho trovato nulla finora su grammatiche e dizionari.

 

RISPOSTA:

Alcuni verbi di dire o pensare non reggono il complemento oggetto della cosa, eppure reggono comunque la proposizione oggettiva con che. Per esempio, ti informo dell’arrivo di Maria = ti informo che è arrivata Mariapenso all’esame di domani = penso che domani dovrò sostenere l’esame. Questa possibilità è garantita dalla congiunzione che, per sua natura capace di svolgere funzioni diverse, anche contemporaneamente, tanto da rendere difficile definirla (si pensi al che pseudorelativo di una frase scissa, come è di lui che ti parlavo, o al che a metà tra congiunzione e pronome di una frase come devo fare la revisione, che mi è scaduta).
Sulla scorta della reggenza diretta della completiva introdotta da che, anche l’interrogativa indiretta tende a essere costruita senza preposizione. Se, però, la congiunzione che ammette senz’altro la reggenza diretta (e non prevede alternative), le congiunzioni, gli avverbi, i pronomi e gli aggettivi interrogativi la tollerano meno, rendendo costruzioni come ti informo come devi fareti informo quando devi venireti informo perché non va bene ecc. ancora oggi adatte soltanto al parlato e allo scritto informale. 
La tendenza alla semplificazione della costruzione sintattica su questo versante non è legata a una regione, ma è panitaliana. Vero è, però, che il modello del tedesco potebbe favorirla; in tedesco, infatti, il verbo informieren, che regge la preposizione über, equivalente all’italiano su, davanti a un sintagma nominale, ammette la reggenza senza preposizione dell’interrogativa indiretta. Si vedano i seguenti esempi, tratti da contesti scritti (on line) di media formalità: “Wir informieren Sie wann Sie es in der Apotheke abholen können” (letteralmente ‘Vi informeremo quando potete ritirarlo in farmacia”); “Wir informieren Sie wie und in welchem Umgang Daten gespeichert werden” (letteralmente ‘Vi informeremo come e in che modo vengono archiviati i dati’).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Qualche anno fa, ho dovuto smettere di giocare a calcio perché sono rimasto coinvolto in un lieve incidente” è corretto l’uso del passato prossimo sono rimasto coinvolto o è necessario un altro tempo verbale, dal momento che credo si tratti di una subordinata.

 

RISPOSTA:

Il verbo sono rimasto coinvolto (considero coinvolto parte del verbo, sebbene sia a metà strada tra la funzione di verbo e quella di aggettivo predicativo) si trova senz’altro all’interno di una subordinata, per la precisione causale; questo, però, non determina alcun obbligo riguardo al tempo da usare. La proposizione causale richiede il modo indicativo, ma dell’indicativo si possono usare tutti i tempi, a seconda del rapporto che l’evento all’interno della proposizione ha con l’evento descritto nella reggente. In questo caso, l’evento della reggente (ho dovuto smettere di giocare) è passato ed è successivo rispetto a sono rimasto coinvolto (prima sono rimasto coinvolto, poi ho dovuto smettere): questo rapporto richiederebbe l’uso di un trapassato prossimo nella causale, quindi perché ero rimasto coinvolto in un lieve incidente.
Il trapassato è la scelta più precisa, ma il rapporto reciproco tra gli eventi può anche essere trascurato, “appiattendo” entrambi su un unico piano del passato. Questa scelta, meno precisa, ma più semplice da realizzare, e comunque corretta, dà come risultato la costruzione da lei proposta.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per esporvi la confusione generatami dalla voce Proposizioni temporali dell’Enciclopedia dell’italiano Treccani curata da Federica Da Milano. Qui ( http://www.treccani.it/enciclopedia/frasi-temporali_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/) l’ autrice scrive la seguente frase “Per quanto riguarda l’espressione della posteriorità (l’azione espressa dalla subordinata è posteriore a quella della reggente), nelle temporali esplicite si utilizza la locuzione congiuntiva prima che“; viceversa per l’anteriorità la subordinata è introdotta da dopo che, sempre secondo l’autrice della voce. In pratica è il capovolgimento di quello che mi è sempre sembrato di leggere dalle grammatiche – e che sulla stessa Treccani si trova a un’altra voce dedicata alle temporali (qui http://www.treccani.it/enciclopedia/proposizioni-temporali_%28La-grammatica-italiana%29/).

 

RISPOSTA:

Per quanto possa sembrare controintuitivo al primo sguardo, la voce dell’Enciclopedia dell’italiano Treccani è corretta. Si noti il seguente esempio: “Prima che Luca arrivasse ci stavamo divertendo”; è chiaro che il divertimento era in corso prima rispetto all’arrivo di Luca, quindi la subordinata introdotta da prima che contiene un evento posteriore rispetto a quello della reggente. Lo stesso, ma al contrario, vale per la temporale introdotta da dopo che. In altre parole, nella locuzione prima che (e, specularmente, in dopo che), l’avverbio prima fa parte della reggente e il che introduce la temporale (ci stavamo divertendo prima / che tu arrivassi). 
Scorretta, invece, è la spiegazione della seconda fonte da lei citata, che lascia intendere il contrario.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Avverbio
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QUESITO:

Come distinguere le relative limitative dalle esplicative? 
Per me nella seguente frase la relativa può essere di tutti e due i tipi:
“Ho parlato con il meccanico che / il quale mi ha detto che non riuscirà a riparare l’auto per giovedì”. Le seguenti, invece, mi sembrano tutte limitative: 
“La macchina….. è arrivata e una Ferrari”.
“Questo è il libro….. ho comprato ieri”.
“Abbiamo conosciuto delle ragazze….. sono simpatiche”.
“La ragazza….. ha telefonato poco fa è mia cugina”.

 

RISPOSTA:

Nel caso della frase del meccanico, l’interpretazione più ovvia della relativa è esplicativa. Nella frase, infatti, l’emittente racconta di aver parlato con il meccanico e aggiunge che cosa il meccanico gli ha detto.  La costruzione attesa, infatti, sarebbe “Ho parlato con il meccanico, che / il quale mi ha detto…” (con la virgola prima del pronome relativo).
L’interpretazione della relativa come limitativa è possibile, ma molto strana. Se la relativa fosse limitativa, infatti, l’emittente racconterebbe di aver parlato proprio con il meccanico che gli ha dato quell’informazione. In altre parole, la frase ha senso se la dividiamo in due parti: 1. ho parlato con quella persona; 2. quella persona mi ha detto... Ha meno senso se la interpretiamo come ho parlato con quella persona che mi detto…
Per quanto riguarda le altre frasi elencate, in tutte le relative sono sicuramente limitative.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se negli esempi sotto riportati sia preferibile adottare il congiuntivo passato o il congiuntivo imperfetto.
“Quando nacque suo figlio, pare che Alberto smettesse / abbia smesso di fumare”;
“Dopo che era nato suo figlio, pare che Alberto smettesse / abbia smesso di fumare”.
Tenderei a scartare l’imperfetto in quanto esso – se non vado errata – indica per così dire un’azione in svolgimento o ricorrente; tuttavia, relativamente al primo esempio, mi lascia un po’ perplessa l’accostamento passato remoto (nacque) e il congiuntivo passato (abbia smesso) per due azioni che dovrebbero essere contemporanee.
Perplessità che, personalmente, scompare nella seconda costruzione.

 

RISPOSTA:

I tempi del congiuntivo vanno considerati non in modo assoluto, ma in relazione ai tempi dei verbi da cui dipendono. In questo caso il verbo reggente (pare) è presente e l’evento dello smettere è anteriore a esso; stando alla consecutio temporum, l’anteriorità rispetto al presente si esprime con il congiuntivo imperfetto o con il passato. La scelta tra i due tempi va fatta in base al tipo di azione: un’azione continuata sarà espressa all’imperfetto (ad esempio pare che Alberto fumasse); una momentanea (come quella di entrambe le sue frasi) sarà espressa al passato.
Va anche ricordato, comunque, che un’azione momentanea può essere espressa anche con l’imperfetto, per “rallentarla” nel tempo; ad esempio “Pare che il colera toccasse il suo culmine il 17 maggio 1850”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Il congiuntivo passato può indicare anteriorità rispetto a un evento futuro e posteriorità rispetto all’enunciazione, rappresentando un’azione come se fosse certa e a suo modo definita, benché non ancora avvenuta? In altre parole, se il punto di vista dell’emittente è proiettato nel futuro, il congiuntivo passato – al pari del passato prossimo – è sintatticamente valido?
“Tra sei mesi mi accerterò se / che abbiano potuto sfrattarmi”.
(L’emittente saprebbe già che dal momento dell’enunciazione alla fine dei prossimi sei mesi sarà sfrattato).
L’emittente potrebbe inoltre disporre di alternative verbali in grado di sostituire il congiuntivo passato?

 

RISPOSTA:

Nella determinazione del tempo verbale da usare bisogna considerare il momento dell’enunciazione, che è sempre adesso, e il momento in cui avviene l’evento che dobbiamo esprimere. In alcuni casi, come quello da lei prospettato, a questi due momenti si aggiunge un terzo punto nel tempo, che chiamiamo momento di riferimento. In questi casi, il tempo verbale andrà armonizzato con quel momento, nel rispetto della consecutio temporum. Nella sua frase il momento di riferimento è quello in cui avviene l’accertamento: il tempo del verbo retto da mi accerterò, quindi, deve rispecchiare la relazione temporale con questo evento. Dal momento che l’evento dello sfratto (che sia effettivamente avvenuto o no) precede quello dell’accertamento, bisogna usare il tempo che esprime l’anteriorità rispetto al futuro, che è il futuro anteriore, quindi mi accerterò se / che avranno potuto sfrattarmi. In alternativa, è possibile assimilare il futuro al presente (cosa peraltro molto comune), selezionando il passato prossimo dell’indicativo (mi accerterò se / che hanno potuto sfrattarmi) o il passato del congiuntivo (la soluzione da lei proposta). Come si vede, nella scelta del tempo verbale il fatto che lo sfratto avvenga (o non avvenga) nel futuro è rilevante soltanto se scegliamo il futuro anteriore; se scegliamo il passato, invece, ciò che conta è soltanto la relazione di anteriorità tra il momento dello sfratto e quello dell’accertamento. 
Per quanto riguarda la scelta del modo, come di norma l’indicativo è meno formale del congiuntivo. Tra i due tempi dell’indicativo, inoltre, è il passato prossimo a essere meno formale, perché meno preciso del futuro anteriore.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Benché fosse sicuro che non ci sarebbe stato più nulla da fare, Luca aveva…”; è corretta questa frase?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Il condizionale passato ci sarebbe stato rientra nella proposizione oggettiva dipendente dalla concessiva benché (lui / lei) fosse sicuro (ed è, quindi, subordinata di secondo grado).  In questa proposizione oggettiva, il condizionale passato esprime un evento futuro rispetto a un momento nel passato, ovvero, in questo caso, rispetto al momento in cui il soggetto era sicuro (espresso nella proposizione reggente). Sarebbe possibile sostituire ci sarebbe stato con ci fosse, perché il congiuntivo imperfetto esprime la contemporaneità nel passato rispetto all’evento della proposizione reggente. Con il congiuntivo imperfetto, quindi il fatto che non ci sia nulla da fare è rappresentato come contemporaneo (con una chiara proiezione nel futuro) alla sicurezza del soggetto, mentre con il condizionale passato questo fatto è decisamente futuro rispetto alla sicurezza.
L’evento dell’essere sicuro, a sua volta, è costruito con il congiuntivo perché questo modo è richiesto dalla congiunzione benché, all’imperfetto perché, come detto sopra, questo tempo del congiuntivo esprime la contemporaneità con un altro evento nel passato (qui l’altro evento è aveva della principale, da cui dipende sintatticamente fosse).
La proposizione principale della frase (Luca aveva…) è inserita alla fine. L’anticipazione della subordinata rispetto alla principale è piuttosto comune quando la subordinata è concessiva o condizionale, perché queste proposizioni contengono un’informazione (una condizione o una mancata condizione) da cui dipende l’informazione contenuta nella principale. In questo caso, quindi, l’ordine logico delle informazioni forza l’ordine sintattico standard del periodo (“Luca aveva… benché fosse sicuro che non ci sarebbe stato più nulla da fare”).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo due costruzioni che mi è capitato di leggere:
1. Che futuro offriresti a tuo figlio, se, già prima che nasca, nella tua famiglia ci sarebbero problemi economici?
2. Se domani non ti telefonassi, vorrebbe dire che avrei avuto un contrattempo.
Sono valide? Vi pongo, inoltre, un paio di interrogativi collaterali.
Esempio 1.
a) È possibile che la proposizione se nella tua famiglia ci sarebbero problemi economici sottintenda sai giàsei certo che (se, già prima che nasca, sai già / sei certo che ci sarebbero problemi economici), trasformando di fatto la seconda metà della frase in una completiva?
b) Sarebbe possibile sostituire sarebbe con saranno?
Esempio 2.
c) Pur consapevole che cambierebbe la semantica della frase, avrei avuto potrebbe essere sostituito con avrò avuto o ho avuto?
d) Le tre soluzioni sarebbero applicabili anche se al posto di vorrebbe dire ci fosse vorrà dire?

RISPOSTA:

La frase 1 presenta il più classico degli errori di sintassi in italiano, la costruzione della protasi del periodo ipotetico della possibilità con il condizionale presente al posto del congiuntivo imperfetto. La frase corretta è che futuro offriresti… se nella tua famiglia ci fossero… Non è possibile supporre che ci sia una protasi sottintesa (sai giàsei certo o simili) da cui dipenda il condizionale: il ricevente non avrebbe alcun indizio circa l’esistenza di tale elemento implicito.
La frase 2 è possibile: il condizionale passato qui è attratto dal condizionale che lo regge (vorrebbe dire), ma indica semplicemente un passato. Può, quindi, essere sostituito da avrò avuto, nella sua funzione propria di futuro anteriore (perché il contrattempo è futuro rispetto al momento dell’enunciazione, che è ora, ma passato rispetto al momento in cui non ti risponderò), e anche dal passato prossimo ho avuto, che trascura il tratto del futuro e codifica soltanto il tratto del passato rispetto al momento in cui non ti rispondo. La minore precisione del passato prossimo rispetto al futuro anteriore rende quest’ultimo preferibile in una comunicazione formale. Sostituendo vorrebbe dire con vorrà dire, il condizionale diviene ingiustificato, mentre le altre due forme rimangono valide, con la stessa funzione e valenza diafasica.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

All’interno di un periodo è ammesso il passaggio dal futuro al presente del modo indicativo per indicare azioni che non hanno evidenti differenze sul piano temporale?
“Quando ti farò l’occhiolino, capirai che è il momento di agire”.
“Quando vedrai la luna piena, sappi che è il segno di Cupido per rivelarle i tuoi sentimenti”.
“Se noterai la mia auto, significa che dovrai uscire allo scoperto”.
È comunque praticabile la scelta di flettere i verbi, che in questi esempi sono al presente, al futuro, o, così facendo, paradossalmente, il rapporto tra reggente e subordinata rischierebbe di essere giudicato di posteriorità (anziché di contemporaneità nel futuro)?
“Quando ti farò l’occhiolino, capirai che sarà il momento di agire”.
“Quando vedrai la luna piena, sappi che sarà il segno di Cupido per rivelarle i tuoi sentimenti”.
“Se noterai la mia auto, significherà che dovrai uscire allo scoperto”.

 

RISPOSTA:

Nelle prime due frasi, il dubbio sul tempo riguarda una proposizione oggettiva, che riporta il pensiero della persona a cui ci si sta rivolgendo. In questo contesto, il futuro mantiene inalterato il punto di vista dell’emittente, rispetto al quale tutti gli eventi e gli stati sono futuri; il presente, invece, sposta per un attimo la prospettiva da quella dell’emittente a quella del ricevente, per il quale gli stati dell’essere in entrambe le frasi sono attuali. Con il presente, quindi, si forma un discorso indiretto libero: la costruzione delle due frasi diviene simile a capirai: “È il momento di agire” sappi: “È il segno di Cupido”.
Nella terza frase, il dubbio riguarda la principale, per cui il passaggio al presente risulta meno giustificabile; in questo caso il presente rappresenta una scelta semplificatrice, che abbassa la formalità della frase. In un tipo di frase del genere, il presente potrebbe anche indicare (ma non è questo il caso) un evento valido in assoluto, a prescindere dal momento; per esempio: “Se vedrai le foglie della pianta ingiallite, significa che la pianta sta morendo”; oppure, per rimanere vicini alla sua frase: “Se noterai la mia auto, significa che sei un ficcanaso”. Si noti che se si usa il presente nella principale, il ritorno al futuro nella oggettiva risulta molto artificioso.
Un futuro dipendente da un futuro può indicare un momento ancora più lontano nel futuro, ma questo dettaglio non è codificato nella coniugazione verbale, bensì si ricava dalla logica e dalla sintassi. Due futuri semplici, infatti, non precisano il loro rapporto relativo: quest’ultimo emerge dal contesto. Per esempio, nella prima frase, capirai che sarà il momento di agire può indicare tanto che il momento di agire segua immediatamente il momento del capire (quindi sia praticamente contemporaneo), quanto che lo segua in un futuro più lontano. Senza ulteriori specificazioni temporali, comunque (per esempio capirai che l’indomani sarà il momento di agire), l’interpretazione più immediata è quella quasi-contemporanea.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi scrivo per cercare di ricevere dei chiarimenti riguardo a questo mio dubbio: 

“La fruizione dei servizi dovrebbe continuare ad essere garantita ancora a distanza a quelle persone che si trovassero fuori città o che presentassero delle problematiche di salute tali che non gli permetterebbero / permettessero di poter rischiare”.

Si può usare il condizionale? Magari supponendo un’ellissi di una proposizione del tipo “… permetterebbero anche nel caso in cui potessero recarsi fisicamente allo sportello”.
Oppure va usato il congiuntivo permettessero?
A livello di analisi del periodo, come di definisce una tale proposizione?

 

RISPOSTA:

Nella proposizione, che è di tipo consecutivo, vanno bene sia il condizionale (che sottintenderebbe una protasi) sia il congiuntivo. Non sarebbe impossibile neanche l’infinito (tali da non permettergli / permettere loro…), normalmente utilizzabile soltanto quando il soggetto della proposizione coincide con quello della reggente. In questo caso, sebbene il soggetto della reggente sia che (che rimanda a quelle persone) e quello della subordinata problematiche (sottinteso), la preminenza logica assunta da problematiche nella reggente e la sua vicinanza al connettivo che rendono questo nome selezionabile come soggetto della subordinata implicita. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho dei dubbi sui tempi verbali da scegliere nelle seguenti frasi:
1. Verso mezzogiorno la mamma ha cominciato a cucinare e poi ci aspettava / ha aspettato per mangiare tutti insieme.
2. Il pomeriggio è stata / era libera anche lei per riposarsi.
3. Alle 11 sono usciti con la nonna per andare a messa, sono andati / andavano a piedi e la nonna li teneva / ha tenuti per mano.
4. Per pranzo sono tornati a casa per mangiare tutti insieme ma a loro i cannelloni non sono piaciuti / piacevano e hanno preferito / preferivano il secondo.
5. Hanno mangiato anche il mascarpone con il cacao che è stato / era davvero buono.
6. Nel pomeriggio mentre Eugenio giocava con i figli, Nicoletta preferiva / ha preferito restare a casa.

 

RISPOSTA:

Nelle frasi 1-4 e 6 è possibile usare entrambi i tempi, con la distinzione che è stata illustrata nella risposta 2800577.
In particolare, nella frase 1 la mamma ci aspettava non fa riferimento al momento finale dell’attesa, lasciando intendere che tale attesa non sia mai terminata (ovvero i figli non sono andati a mangiare con la madre); la mamma ci ha aspettato, al contrario, indica che a un certo punto l’attesa sia finita.
Nella 2 la soluzione più attesa è è stata liberaera libera andrebbe bene se si riferisse alla ripetizione dell’evento nel passato (per esempio: “Quando lavorarava come fioraia, il pomeriggio era libera anche lei…”).
Nella 3 sono andati e ha tenuti fa riferimento al fatto che alla fine tutti sono arrivati in chiesa; andavano e teneva, invece, fa pensare che sia successo qualcosa durante il processo, che potrebbe anche aver impedito la conclusione del processo (per esempio: “La nonna li teneva per mano, ma uno dei due è inciampato e si è sbucciato un ginocchio”).
Nella 4 ci sono due intrecci possibili: a loro i cannelloni non sono piaciuti e hanno preferito il secondo = ‘hanno provato sia i cannelloni sia il secondo, e tra i due piatti hanno preferito il secondo’; a loro i cannelloni non piacevano e hanno preferito il secondo = ‘normalmente a loro non piacevano i cannelloni, per cui non li hanno provati e hanno preferito provare soltanto il secondo’.
La frase 5 richiede l’imperfetto (e la virgola prima della proposizione relativa): il cacao, che era davvero buono. Un soggetto inanimato come il cacao non può essere costruito con il passato prossimo se il nome del predicato è un aggettivo come buonoIl cacao è stato buono significherebbe ‘si è comportato bene’. Al contrario, si può avere Luigi è stato buono = ‘Luigi si è comportato bene’.
Per la 6 vale la stessa spiegazione della 2.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Improvvisamente si ricordò di ciò che era accaduto e guardò la donna: poteva essere lei ad aver commesso il delitto”.
Sarebbe possibile sostituire la parte in grassetto con le seguenti soluzioni?
1. poteva essere stata lei a commettere;
2. poteva essere stata lei ad aver commesso;
3. avrebbe potuto essere lei a commettere;
4. avrebbe potuto essere lei ad aver commesso.
Considerando anche la scelta dell’autore, tra le cinque soluzioni quale vi sembra più consona al contesto?
In che modo si declina la differenza tra l’infinito passato, se è giustificato in questo contesto, e l’infinito presente? L’infinito passato indica ad esempio che l’azione è avvenuta prima di quella della proposizione reggente?

 

RISPOSTA:

L’infinito passato esprime proprio l’anteriorità dell’evento rispetto a quello della proposizione reggente. Allo stesso modo, l’infinito presente esprime la contemporaneità e, a certe condizioni, la posteriorità (per esempio: “Mi ha chiesto di andare domani al mare”). 
Questa funzione verbale si intreccia, nella frase in questione, con la stretta relazione tra il verbo servile e l’infinito da esso retto. Si deve considerare, infatti, che dal punto di vista semantico e sintattico poteva essere equivale a forse era e poteva essere stata a forse era stata. Ne consegue che poteva essere lei ad aver commesso equivalga a forse era lei ad aver commesso, che è perfettamente rispondente alla consecutio temporum, visto che poteva è in linea con si ricordò e aver commesso indica un evento anteriore a poteva. Nel caso di poteva essere stata lei a commettere avremmo una situazione diversa, ma ugualmente accettabile, nella quale il verbo reggente (poteva essere stata = forse era stata) è già anteriore a si ricordò, quindi può ben essere contemporaneo a commettere. Si noterà che poteva essere stata proietta il dubbio nel passato, allontanandolo dalla situazione di riferimento, laddove poteva essere lo rappresenta come attuale (relativamente alla situazione).
La terza ipotesi (la seconda variante) presenta una situazione ancora diversa, nella quale il verbo reggente è anteriore a si ricordò e l’evento del commettere è ulteriormente anteriore. Questa costruzione, sebbene non si possa dire sbagliata, è leggermente meno precisa, perché l’anteriorità di aver commesso non rispetta la richiesta della consecutio temporum, ma è attratta per analogia dal passato del verbo reggente.
Per quanto riguarda la diversa costruzione del verbo reggente, avrebbe potuto essere, si tratta dell’alternativa più formale di poteva essere (l’indicativo imperfetto, infatti, svolge comunemente le funzioni del condizionale passato). Si noti che per riprodurre poteva essere stata avremmo bisogno di avrebbe potuto essere stata, una costruzione talmente complessa, per quanto corretta, da essere sconsigliabile in contesti non altamente formali.
Dal punto di vista sintattico, quindi, per avrebbe potuto essere valgono le stesse considerazioni fatte per poteva essere. La variante avrebbe potuto essere lei a commettere, in particolare, è la meno felice, perché corrisponde a forse poteva essere lei a commettere, che veicola un dubbio sul futuro, non sul passato.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Mi rivolgo a voi per un dubbio di analisi logica.
L’uomo = sogg.;
che = pronome relativo sogg. della subordinata;
è vissuto = pred. verb. della subordinata;
in modo onesto = compl. predicativo del sogg. della subordinata;
morì = pred. verb.;
sereno = compl. predicativo del sogg.
In modo onesto viene considerato da qualcuno complemento di modo, qual è la vostra opinione in merito?

 

RISPOSTA:

È senz’altro un complemento di modo, perché esprime in che modo si è svolta l’azione del vivere (tanto che si può anche sostituire con l’avverbio di modo onestamente). Sarebbe stato un complemento predicativo se avessimo avuto morì onesto, cioè ‘morì da uomo onesto’. Lo stesso, ma al contrario, vale per morì sereno, nella principale: sereno è un predicativo del soggetto, ma se al suo posto avessimo avuto morì serenamente (o morì in modo sereno) avremmo avuto un complemento di modo.
Aggiungo che il passaggio dal passato remoto (morì) della proposizione principale al passato prossimo (è vissuto) della relativa non è una buona scelta: è preferibile usare, nella subordinata, il passato remoto, l’imperfetto o anche il trapassato prossimo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1) (Nel caso in futuro tutto ciò avvenga), la buona riuscita dell’operazione dipenderebbe da quanto tempo sarebbe passato dall’ultima volta che ci sarà stato un nuovo contatto con un soggetto a rischio.
Mi sono trovato nella condizione di comporre tale periodo complesso e, lo riconosco, davanti a quel sarebbe passato ho provato una certa titubanza. Come si evince dal contesto, il condizionale composto non ha valore di futuro nel passato; dovrebbe anzi rappresentare l’anteriorità nei confronti della reggente.
Vi domando se la scelta sarebbe dovuta invece cadere sul congiuntivo (fosse passato / sia passato) e, infine, quali sono il tempo e il modo migliori per costruire la subordinata di secondo grado che dipende dalla proposizione presa in esame.
Rimanendo in tema di rapporti condizionale-congiuntivo, vorrei sapere se il periodo riportato sotto sia valido:
2) Se, alla scadenza, non ti rinnovassero il contratto, puoi star certo che il direttore avrebbe fatto il possibile per scongiurare tale eventualità.

 

RISPOSTA:

Sarebbe passato ha proprio la funzione di esprimere il futuro nel passato. Bisogna capire, però, quale sia il momento passato rispetto al quale il passare è successivo. Nella sua frase questo momento è quello in cui ci sarà stato un nuovo contatto, che è passato dalla prospettiva della buona riuscita dell’operazione. A sua volta, anche il passare è precedente alla buona riuscita. Nella linea temporale, quindi, abbiamo prima l’avvenimento del nuovo contatto, poi il passare del tempo e infine la possibile buona riuscita dell’operazione. In questo modo si giustifica anche il futuro anteriore ci sarà stato, futuro rispetto al momento dell’enunciazione, ma anteriore rispetto alla possibile buona riuscita dell’operazione. La sostituzione di sarebbe passato con sia passato è possibile, perché il congiuntivo passato può assumere come riferimento direttamente il momento della possibile buona riuscita, senza considerare il rapporto di posteriorità rispetto al momento in cui ci sarà stato un nuovo contatto. Ingiustificato, invece, sarebbe fosse passato: il trapassato richiederebbe un altro tempo passato, assente nella frase, rispetto al quale esprimere l’anteriorità. Preferibile a sia passato, inoltre, sarebbe passi, che espremerebbe un rapporto di contemporaneità con proiezione al futuro rispetto a ci sarà stato, presupponendo logicamente il rapporto di anteriorità rispetto a dipenderebbe. Tutto sommato, passi è vantaggioso anche rispetto a sarebbe stato, perché il rapporto di anteriorità rispetto a dipenderebbe si ricava comunque per logica e la sua codificazione attraverso il condizionale passato appesantisce la sintassi.
La frase 2 è ben costruita soltanto se si considera il condizionale passato nella sua funzione condizionale, non in quella di futuro nel passato. In questo secondo caso, infatti, esso non ha un momento chiaro nel passato a cui agganciarsi. Possibile, invece, sarebbe avrà fatto, che si pone come futuro intermedio tra il momento dell’enunciazione e quello della scadenza.
Se si considera il condizionale nella sua funzione primaria, è possibile ricavare facilmente una condizione sottintesa che lo giustifica, per esempio puoi star certo che il direttore avrebbe fatto il possibile (se avesse potuto)… Si noti che, in questo caso, il rapporto temporale di avrebbe fatto è automaticamente di anteriorità rispetto al momento della scadenza
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

A proposito dell’alternanza tra futuro anteriore e futuro semplice e di come questo sia quasi sempre sostituibile a quello in registri di media formalità, è possibile fare questa sostituzione nell’esempio sotto indicato?
1) Vedrai che domani da quando lei terminerà l’esame a quando lo avrà cominciato trascorreranno al massimo venti minuti.
2) Vedrai che domani da quando lei terminerà l’esame a quando lo avrà cominciato saranno trascorsi al massimo venti minuti.

 

RISPOSTA:

Nella sua frase, prima di tutto scambierei la posizione degli eventi del cominciare e del terminare: “Vedrai che domani, da quando lei avrà cominciato l’esame a quando lo terminerà,…”.
In secondo luogo, confermo che il futuro anteriore saranno trascorsi può essere sostituito dal futuro semplice trascorreranno. Con il futuro anteriore si mette in evidenza l’anteriorità del trascorrere del tempo rispetto al termine dell’esame; con quello semplice si rappresenta soltano l’evento come futuro. Non solo il futuro anteriore saranno trascorsi può essere sostituito dal futuro semplice, ma anche avrà cominciato (da quando lei comincerà l’esame a quando lo terminerà).
​​​​​​​Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

C’è un libro di testo che propone di analizzare i complementi presenti all’interno di alcune frasi.
1. Avvisaci appena sarai arrivato a casa.
2. Tutti gli insegnanti erano entusiasti della scelta perché la trama era avvincente.
Può andar bene analizzare appena sarai arrivato e perché la trama era avvincente rispettivamente come complementi di tempo determinato e causa?

 

RISPOSTA:

Le parti da lei estratte dalle frasi non sono complementi, bensì proposizioni, perché contengono verbi. I complementi, invece, sono sintagmi nominali. Appena sarai arrivato a casa è una proposizione temporale; perché la trama era avvincente è una proposizione causale.
I complementi presenti nelle due frasi sono i seguenti:
ci: oggetto; a casa: moto a luogo; della scelta: causa. Oltre a questi abbiamo i soggetti, tu (sottinteso) nella prima frase; gli insegnanti nella seconda frase. Quest’ultimo soggetto è accompagnato dall’attributo tutti. Infine abbiamo entusiasti, che è la parte nominale legata alla copula erano
Un approfondimento merita della scelta, che ho definito complemento di causa per comodità, ma che, in realtà, è un sintagma richiesto come completamento dall’aggettivo entusiasta; nell’ottica della grammatica valenziale, che in questo è più utile dell’analisi logica, va considerato complemento oggetto preposizionale. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Dopo le espressioni si dicedicono quale modo verbale si usa? 
Riguardo al condizionale passato, secondo le grammatiche lo si usa se nel presente o nel futuro un’intenzione non puo avverarsi. Ma pare che non sia obbligatorio. Cioè posso usarlo ma l’italiano permette in questi casi anche il condizionale semplice: “Verrei / sarei venuta con te al cinema ma ho molto da fare”.
Riguardo ai relativi che e il quale, quando sono alternative e quando si usa esclusivamente che?
1. Ci sono molte agenzie che / le quali organizzano viaggi economici per i giovani.
2. Ho parlato con il meccanico che / il quale mi ha detto che non riuscirà a riparare l’auto per giovedì.
3. Com’era lo spettacolo che avete visto ieri?  
4. Le informazioni che ci ha dato il vigile non erano corrette. 
Mi pare che quando si tratta di una proposizione soggettiva entrambi sono giusti, mentre se la subordinata è oggettiva si usa solo che. Ho ragione?

 

RISPOSTA:

Il verbo dire preferisce l’indicativo nella proposizione completiva: “Il giornale dice che ieri c’è stato un terremoto in Turchia”. Le espressioni si dice e dicono, però, ammettono facilmente il congiuntivo, perché sono impersonali: “Si dice / dicono che ci sia stato un terremoto in Turchia”. Quando dicono ha il soggetto, si comporta come dire in generale, e preferisce l’indicativo: “I miei amici dicono che sono simpatico”.
Il condizionale presente indica un evento possibile, che può ancora avverarsi; quello passato indica un evento molto improbabile o impossibile.
Il pronome relativo non ha niente a che fare con le proposizioni soggettive e oggettive. Queste ultime sono introdotte da che con funzione di congiunzione, non di pronome (infatti nelle oggettive e nelle soggettive che rimane sempre fisso: penso che…si dice che…).
Il quale non può sostituire che nelle relative limitative, cioè quelle che contribuiscono a identificare l’antecedente. Relative limitative sono quelle presenti nelle sue frasi 1, 3 e 4 (quindi nella 1 la sostituzione non va bene). In realtà la sostituzione non è vietata, ma non avviene mai. 
Il quale può sostituire che nelle relative esplicative, che aggiungono informazioni secondarie all’antecedente. Nella sua frase 2, per esempio, la relativa che mi ha detto non serve a chiarire chi sia il meccanico, ma aggiunge un’informazione riguardante ciò che il meccanico ha fatto. Nella 1, invece, la relativa chiarisce quali siano le molte agenzie appena nominate.
Per un approfondimento sulle relative limitative ed esplicative può consultare l’archivio di DICO con le parole chiave esplicativa ed esplicative.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Qual è l’analisi di questo periodo?
E se la vita non fosse una cosa seria, alla fine ce la saremo guastata prendendo tutto maledettamente sul serio.
È corretto l’uso di maledettamente?

 

RISPOSTA:

Il periodo è formato da una proposizione condizionale (E se la vita non fosse una cosa seria,), subordinata di primo grado alla principale (alla fine ce la saremo guastata), che regge un’altra subordinata di primo grado, strumentale implicita (prendendo tutto maledettamente sul serio), intrepretabile anche come una causale.
La proposizione condizionale ha una evidente sfumatura concessiva, che potrebbe essere sottolineata o così: “Anche se la vita non fosse una cosa seria, alla fine noi ce la saremo guastata…”, o, in modo ancora più netto, così: “Anche se la vita non fosse una cosa seria, alla fine noi ce la saremo comunque guastata…”
Maledettamente è corretto, ma si deve ricordare che, per il suo significato, abbassa il registro del discorso: deve essere usato, quindi, nel contesto appropriato.
Nella costruzione del periodo vanno sottolineate due particolarità: la prima è la congiunzione e all’inizio del periodo, che collega il periodo stesso al testo precedente, oppure, in assenza di un testo precedente, all’universo del discorso (come se implicasse: oltre a tutto quello che già sappiamo aggiungo cio…).
La seconda è il futuro anteriore ce la saremo guastata, che instaura un rapporto complesso con il congiuntivo imperfetto fosse. Il congiuntivo, infatti, rappresenta la condizione come possibile, mentre l’indicativo rappresenta la conseguenza come un fatto, e in più, per via del tempo futuro anteriore, osserva l’evento dalla prospettiva futura, rispetto alla quale l’evento è già compiuto.
Un’alternativa possibile per la costruzione della principale è il condizionale passato (ce la saremmo guastata). Con esso, la prospettiva sarebbe dal passato verso il presente, con una fattualità sfumata; senza la certezza, cioè, che l’evento si sia davvero realizzato così come descritto.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Com’è noto, il codice di procedura penale stabilisce, che il perito solo dopo aver prestato giuramento può…” la virgola tra stabilisce e che a me suona male. Vorrei sapere se è un errore.

 

RISPOSTA:

Sì, è un errore. Così come non bisogna mai separare con una virgola il soggetto dal predicato, non bisogna separare con una virgola il predicato dal complemento oggetto, se non per inserire un sintagma o una proposizione incidentale (ma in quei casi le virgole devono essere due, una all’inizio, una alla fine dell’incidentale).
Nella sua frase il complemento oggetto è rappresentato non da un sintagma ma da una proposizione oggettiva (che il perito può…), ma la regola vale ugualmente.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Avremmo dovuto vederci o ci saremmo dovuti vedere… Quale la forma corretta?

 

RISPOSTA:

Sono entrambe corrette. La prima è più formale, la seconda più comune. La cosiddetta risalita del clitico, ovvero lo spostamento del pronome atono (in questo caso ci) da destra (vederci) a sinistra (ci saremmo), è un tratto tipico dell’italiano dell’uso medio, ovvero della lingua parlata oggi comunemente dalla maggioranza degli italiani.
Si noti che soltanto quando la risalita riguarda il pronome ci i verbi che richiedono l’ausiliare avere prendono essere (avresti dovuto vedermi > mi avresti dovuto vedere), come nella costruzione reciproca: ci saremmo visti = ci saremmo dovuti vedere.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se nella subordinata dipendente dalla protasi del periodo ipotetico sottoindicato siano ammessi tanto l’indicativo quanto il congiuntivo:
Se qualcuno venisse a conoscenza (o venisse a sapere) che nei prossimi giorni sia / sarà trasmesso il mio film preferito, potrebbe farmelo sapere?
La scelta della forma passiva, inoltre, è da scartare a favore di quella attiva?

 

RISPOSTA:

Sì, sono ammessi entrambi i modi; il congiuntivo in un registro più alto, l’indicativo in uno di media formalità. In un registro leggermente più basso si potrebbe anche dire che nei prossimi giorni viene trasmesso il mio film preferito e, scendendo di un altro gradino, anche che nei prossimi giorni trasmettono il mio film preferito.
La scelta tra attivo e passivo è anch’essa, quindi, legata alla formalità: il passivo è più formale; tanto più che la forma attiva comporta un’ellissi un po’ marcata di un soggetto alla terza plurale.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretta questa frase: “Non penso che Marco lo abbia fatto per farti del male, e mi pare evidente che non ti stia facendo nessun dispetto; ma ancora più assurda mi sembra l’idea che lui ti odi”?
Che ne dice riguardo all’uso del punto e virgola?

 

RISPOSTA:

La frase è ben formata da tutti i punti di vista. In particolare, il punto e virgola segmenta opportunamente il testo separando la prima parte, fortemente solidale al suo interno per il contenuto, dalla seconda parte, che aggiunge una considerazione riguardante tutta la prima parte.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Buongiorno, desideravo sapere quale frase è corretta:
– Mario mi ha telefonato e ha detto che avrebbe richiamato quando avesse avuto nuove notizie.
– Mario mi ha telefonato e ha detto che avrebbe richiamato quando avrebbe avuto nuove notizie

 

RISPOSTA:

Sono entrambe corrette. La seconda rappresenta l’evento dell’avere notizie come futuro (rispetto a un punto di riferimento passato); la prima lo rappresenta come ipotetico: il congiuntivo, infatti, configura la proposizione temporale introdotta da quando come temporale-ipotetica.
L’alternanza tra congiuntivo e condizionale è al centro di molte risposte contenute nell’archivio di DICO, che può consultare usando, per esempio, la parola chiave condizionale.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “È impossibile che le abbia studiate”, si potrebbe usare il presente indicativo al posto del congiuntivo, non essendoci incertezza in ciò che dico?
Si può usare il congiuntivo anche quando sono convinto di ciò che dico? Per esempio: “Sono sicuro che Marco sia a casa in questo momento”.

 

RISPOSTA:

L’idea che il congiuntivo sia il modo dell’incertezza deriva dal fatto che questo modo è usato nella proposizione condizionale, quella introdotta da se. Dobbiamo, però, ricordare che tale proposizione ammette anche l’indicativo (“se vuoi possiamo andare al cinema”) e che anche altre proposizioni subordinate ammettono l’alternanza tra indicativo e congiuntivo, senza una apprezzabile differenza di significato. Un esempio di come l’uso di uno o dell’altro modo non produca differenze di senso è la oggettiva retta da un verbo che indica certezza, come nella sua seconda frase. Una frase come sono sicuro che Marca sia a casa è corretta e dimostra che il congiuntivo non indichi affatto incertezza. Di converso, una frase, ugualmente corretta, come non so se Marco è a casa dimostra che l’indicativo può ben figurare in una proposizione dipendente da un verbo che esprime incertezza. Anche nella sua prima frase, quindi, abbia studiate può essere sostituito da ha studiate (che, però, non è presente, come lo definisce lei, ma passato prossimo).
Qual è la differenza tra l’indicativo e il congiuntivo, allora? Il grado di formalità: ogni volta che sia possibile usare l’uno o l’altro modo, il congiuntivo rappresenta la scelta più formale, l’indicativo quella più veloce e distratta. Accanto a questa considerazione di massima, inoltre, bisogna ricordare che alcuni verbi rifiutano il congiuntivo nella completiva, come diresapere e i verbi di percezione (vederesentire). 
Per saperne di puù dell’alternanza tra indicativo e congiuntivo, può consultare le tante risposte sull’argomento dell’archivio di DICO, usando le parole chiave indicativo e congiuntivo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho cercato di raccogliere i miei dubbi, che vertono tutti sui tempi del modo congiuntivo da selezionare di volta in volta.
1a) Quando lei abbia la possibilità di pronunciarsi, gradirei conoscere il suo pensiero.   
1b) Quando lei avesse la possibilità di pronunciarsi, gradirei conoscere il suo pensiero.
La soluzione 1a è comunque valida?

2a) Se in precedenza fosse firmato l’accordo, il console potrà/potrebbe conferire con l’ambasciatore.    
2b) Se in precedenza fosse stato firmato l’accordo, il console potrà/potrebbe conferire con l’ambasciatore.    
2c) Se in precedenza sia stato firmato l’accordo, il console potrà/potrebbe conferire con l’ambasciatore.    
2d) Se in precedenza sia firmato l’accordo, il console potrà/potrebbe conferire con l’ambasciatore.    
Il dubbio, come già spiegato, verte sulla scelta del tempo del congiuntivo. Tutte le soluzioni sono valide?
Il modo della principale, indicativo o condizionale, potrebbe incidere al riguardo?

3a) Vorrei/dovrei regalarglielo, prima che lui esprima il desiderio. 
3b) Vorrei/dovrei regalarglielo, prima che lui esprimesse il desiderio.
Stesso dubbio del caso precedente.

4a) Vorrei essere informato, se nel giro di qualche ora tu ottenessi l’incarico.
4b) Vorrei essere informato, se nel giro di qualche ora tu ottenga l’incarico.  
4c) Vorrei essere informato, se nel giro di qualche ora tu abbia ottenuto l’incarico.  
4d) Vorrei essere informato, se nel giro di qualche ora tu avessi ottenuto l’incarico.  
Anche qui domando se cambierebbe qualcosa, qualora al posto di vorrei avessimo voglio o vorrò.

5a) Nel caso tu non abbia ottenuto l’incarico, sarò costretto/sarei costretto ad approntare il piano “b”.    
5b) Nel caso tu non avessi ottenuto l’incarico, sarò costretto/sarei costretto ad approntare il piano “b”. 
5c) Nel caso tu non ottenessi l’incarico, sarò costretto/sarei costretto ad approntare il piano “b”.    
5d) Nel caso tu non ottenga l’incarico, sarò costretto/sarei costretto ad approntare il piano “b”.
Questo caso, a livello sintattico, fa il paio con il numero 4?

 

RISPOSTA:

Visti i molti esempi, e visto che il periodo ipotetico è uno degli argomenti più trattati nelle domande degli utenti, la rimando all’archivio di DICO per ulteriori approfondimenti.

1. Entrambe le frasi sono legittime. Nella 1a la proposizione temporale rappresenta il fatto come certo (dal punto di vista dell’emittente). Il congiuntivo presente è la variante formale dell’indicativo futuro (quando lei avrà la possibilità di pronunciarsi) o presente (quando lei ha la possibilità…), che è quella più trascurata. Il congiuntivo imperfetto di 1b (avesse) fa assumere alla temporale una sfumatura ipotetica, assimilando quando a se: la temporale, in questo modo, indica una condizione incerta, ma realizzabile (non so ancora se parlerà o no).
2. La protasi del periodo ipotetico introdotta da se può contenere l’indicativo presente, futuro, imperfetto e passato prossimo (e trapassato prossimo in un registro molto basso), o il congiuntivo imperfetto e trapassato. Il congiuntivo presente e passato non sono di norma usati in questa proposizione. Le versioni 2c e 2d della frase, pertanto, sono da evitare. Divengono perfettamente regolari sostituendo i tempi del congiuntivo con gli equivalenti tempi dell’indicativo: se in precedenza è firmato è stato firmato l’accordo. Il presente è firmato, comunque, contrasta logicamente con l’avverbio in precedenza; il tempo passato è decisamente da preferire.
La scelta tra indicativo futuro potrà e condizionale presente potrebbe nell’apodosi modifica leggermente il senso della frase: l’indicativo futuro, infatti, sottolinea la certezza che il console parlerà con l’ambasciatore; il condizionale, invece, lascia una sfumatura ipotetica.

3. Nella frase 3a, consideriamo che prima che richiede necessariamente il congiuntivo e si comporta, dal punto di vista della selezione dei tempi, come quando. Con il presente esprima, si costruisce la contemporaneità nel presente, ovvero con il tempo dell’evento della reggente. Non è giustificato, invece, il congiuntivo imperfetto esprimesse, che indica contemporaneità nel passato. L’imperfetto andrebbe bene se nella reggente ci fosse avrei dovuto / voluto regalargilelo.
 
4. Le varianti da preferire sono la 4a e la 4d perché, come detto a proposito delle frasi 2, la proposizione condizionale (la protasi del periodo ipotetico) introdotta da se preferisce il congiuntivo imperfetto ottenessi e quello trapassato avessi ottenuto. La scelta tra questi due tempi dipenderà dal grado di probabilità con cui l’evento avverrà dal punto di vista dell’emittente.
È possibile usare voglio nell’apodosi, per essere molto diretti (rivolgendosi a una persona con cui si ha confidenza); mentre il futuro vorrò sarebbe a metà strada tra il valore temporale (ovvero in futuro vorrò) e quello epistemico (che lo avvicina a forse voglio).

5. Si noti innanzitutto che la protasi introdotta da nel caso chenel caso in cuinel caso richiede sempre il congiuntivo, anche presente e passato. Nel caso tu non abbia ottenuto, quindi, equivale a se tu non hai ottenuto e nel caso tu non ottenga equivale a se tu non ottieni
Le versioni della frase sono tutte corrette, anche se esprimono sfumature diverse dello stesso concetto.
La 5a e la 5d presentano, come visto sopra, lo stesso tipo di protasi, della realtà, e si differenziano per la relazione temporale con l’apodosi: il presente (ottenga) indica contemporaneità con il presente, il passato (abbia ottenuto) indica anteriorità con il presente. L’alternanza tra sarò contretto e sarei contretto è indifferente ai fini della consecutio temporum, perché entrambe le forme valgono come presenti. Su questo si veda quanto detto sulle frasi 4.
La 5b e la 5d presentano una protasi dell’irrealtà (avessi ottenuto) e della possibilità (ottenessi).
Si noti che il congiuntivo trapassato di 5b ammette l’apodosi così costruita soltanto se l’evento dell’ottenere il lavoro è ancora ignoto all’emittente. Se, invece, l’emittente sa già che la condizione non si è verificata, la frase richiede un’apodosi al condizionale passato (sarei stato costretto). Per esemplificare la differenza: “Nel caso tu non avessi ottenuto l’incarico (ma ancora non so se l’hai ottenuto), sarei costretto ad approntare il piano b”. Ma “Nel caso tu non avessi ottenuto l’incarico (ma io so già che l’hai ottenuto), sarei stato costretto ad approntare il piano b”. In altre parole, nel caso in cui l’emittente non sapesse se l’incarico sia stato ottenuto, starebbe facendo un’ipotesi possibile (sarei costretto), pur ammettendo che la condizione sia improbabile (non avessi ottenuto); nel caso in cui, invece, l’emittente sapesse che l’esito della condizione è stato contrario a quello che avrebbe fatto scattare la conseguenza, l’ipotesi diviene del tutto irrealizzabile (sarei stato costretto). Ovviamente, se l’emittente sapesse che l’incarico non è stato ottenuto, non costruirebbe mai la frase così, ma direbbe “Nel caso tu avessi ottenuto l’incarico, sarei stato costretto…”.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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QUESITO:

Vi propongo due questioni riguardanti la scelta tra i modi indicativo e condizionale.
Prima questione.

1a. Spero che lei sia indisposta, altrimenti non vengo / verrò alla festa.
1b. Spero che lei sia indisposta, altrimenti non verrei alla festa.

Le frasi sono entrambe ben costruite?
Ci sono casi in generale in cui sia debba usare obbligatoriamente soltanto uno dei due modi (indicativo o condizionale) in frasi introdotte dalla congiunzione altrimenti?
Seconda questione.

2. Non ho intenzione di vendere la mia casa al mare. Se lo facessi, l’acquirente entrerebbe in possesso di un immobile che avrei ristrutturato da poco.

Il condizionale passato (avrei ristrutturato) potrebbe essere interpretato meramente come azione precedente a quella dell’entrare in possesso da parte dell’acquirente, oppure, sulla scorta del classico periodo ipotetico, porta con sé soltanto l’irrealizzabilità dell’evento?
Provo a snebbiare un po’ la domanda esplicando la base logica della frase: in questo contesto mi sentirei di adottare il condizionale passato per creare un rapporto temporale tra le due azioni (entrerebbe in possesso e avrei ristrutturato) distinguendole appunto sul piano della successione cronologica e non su quello semantico. L’azione eventuale del ristrutturare sarebbe difatti precedente a quella dell’entrare in possesso. Con un altro condizionale presente (ristrutturerei) tale stacco per me non sarebbe evidenziabile.
Avevo valutato anche due tempi dell’indicativo (passato prossimo e futuro anteriore), che però non mi sembrano adeguati al messaggio da trasferire all’interlocutore. Scegliendo tali forme verbali, a patto che siano valide, in che modo cambierebbe la semantica?

 

RISPOSTA:

Tutte le frasi sono legittime. Nella 1, la proposizione disgiuntiva introdotta da altrimenti può essere costruita con il presente indicativo (vengo), il futuro semplice (verrò) e il condizionale presente (verrei). La scelta fra le tre opzioni è determinata da fattori semantici e diafasici: l’indicativo presente e il futuro rappresentano l’alternativa come un fatto certo nel futuro immediato o lontano. Il presente è, a questo scopo, meno formale del futuro. Il condizionale rappresenta la stessa alternativa come una conseguenza condizionata da un altro evento. In assenza di altre indicazioni, tale evento sarebbe automaticamente fatto coincidere dal ricevente con l’indisposizione di lei: “Spero che lei sia indisposta, altrimenti (se lei non fosse indisposta) non verrei alla festa.
Nella frase 2, come ha giustamente notato lei, il valore del condizionale passato è relativo alla consecutio temporum, non al grado di possibilità della conseguenza di un evento. Il condizionale passato, cioè, indica che l’evento del ristrutturare è passato rispetto a quello di riferimento, cioè la vendita, ma futuro rispetto al momento dell’enunciazione, che è ora. Non va dimenticato, però, che il condizionale veicola sempre una sfumatura di potenzialità; dalla frase, infatti, traspare, per via del condizionale, che la ristrutturazione non sia stata ancora decisa. 
Si noterà che il momento dell’enunciazione è considerato passato nella frase, perché è osservato dalla prospettiva futura del momento di riferimento; per questo si giustifica l’uso del condizionale passato, che, come è noto, esprime il futuro nel passato, cioè un evento futuro rispetto a un altro evento passato (qui coincidente, per l’appunto, con il presente). Non è necessario spostare il centro deittico, cioè il punto di vista, al futuro per costruire correttamente la frase: è possibile anche mantenere quello del momento dell’enunciazione. In questo modo, il momento in cui avviene la ristrutturazione è futuro rispetto al presente, ma passato rispetto alla vendita, ovvero è futuro anteriore: l’acquirente entrerebbe in possesso di un immobile che avrò ristrutturato da poco. Con l’indicativo, però, si perderebbe la sfumatura potenziale veicolata dal condizionale e la ristrutturazione apparirebbe concreta, già decisa.
Il condizionale presente (ristrutturerei) al posto del passato cambia il senso della frase perché la funzione temporale preminente nel condizionale passato sarebbe in questo caso esclusa ed emergerebbe soltanto quella potenziale: l’acquirente entrerebbe in possesso di un immobile che ristrutturerei (se potessi). Il condizionale presente, inoltre, impedisce l’uso della locuzione da poco, visto che indica un’azione ancora da venire (forse).
Con il passato prossimo (ho ristrutturato) la frase sarebbe ancora corretta, ma la ristrutturazione sarebbe rappresentata come già avvenuta al momento in cui l’emittente sta parlando.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

“Caro amico, hai ragione che sono trascorse tante settimane da quando ci siamo visti”.
Il che quale funzione ha (credo nessuna)? Andrebbe eliminato e magari sostituito con una virgola?

 

RISPOSTA:

Il che ha una funzione completiva: sintetizza riguardo al fatto che o simili. Si può certamente sostituire con una virgola, o ancora meglio con due punti. Così facendo, però, si trasforma una subordinata in una coordinata per asindeto, rendendola sintatticamente più autonoma. Sul piano semantico, la diversa organizzazione sintattica produce qualche effetto: la subordinata si pone come completamento della reggente, che rimarrebbe sospesa se ne fosse privata, come a dire che la ragione è legata al fatto specifico descritto nella subordinata. La coordinata, invece, si pone come aggiunta: con la virgola mette il secondo fatto sullo stesso piano del primo, in una relazione di difficile interpretazione; con i due punti configura il secondo fatto come una spiegazione del primo (i due punti si interpretano come ciò che segue spiega il motivo per cui è stato detto ciò che precede).
Il che che sintetizza o sostituisce altri connettivi, come perchécosicchéil fatto che ecc., prende il nome di che polivalente ed è una scelta da limitare a contesti poco formali. Per un approfondimento di questo argomento rimandiamo alla risposta 2800522 dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Penso di conoscere le regole del discorso indiretto, ma ci sono delle eccezioni quando non si fa la concordanza secondo quelle regole. Così sono inciampata in alcune frasi dove tutto rimane uguale al discorso diretto. Vorrei chiedere come mai avvenga questo.
Nora si è fatta un piercing. > Avete detto che Nora si è fatta un piercing.
Ci troviamo bene al mare. > Mi diranno che si trovano bene al mare.

 

RISPOSTA:

Nelle sue frasi non ci sono eccezioni, ma la trasformazione da discorso diretto a indiretto segue le regole previste. 
Nel primo caso la cornice aggiunta (ovvero la proposizione che regge il discorso diretto divenuto indiretto) è al passato prossimo e ha un soggetto diverso da quello del discorso diretto / indiretto. Bisogna considerare che il passato prossimo si comporta, rispetto al discorso indiretto, come il presente, ovvero non richiede di norma alcun cambiamento di tempo verbale nel discorso indiretto. Il presente nella cornice, infatti, che rappresenta il momento di riferimento rispetto al quale scegliamo il tempo del verbo del discorso indiretto, viene a coincidere con il momento dell’enunciazione, quindi, in questo caso presente = contemporaneità, passato = anteriorità, futuro = posteriorità. Potremmo sostituire il modo indicativo con l’infinito se il soggetto della cornice coincidesse con quello del discorso indiretto: “Nora ha detto che si è fatta un piercing” o “Nora ha detto di essersi fatta un piercing”.
La cornice al futuro, che troviamo nella seconda frase, si comporta di solito come il presente, quindi non richiede nessun cambiamento, per eventi passati (“Si sono trovati bene” > “Diranno che si sono trovati bene” oppure “Diranno di essersi trovati bene”). Quando l’evento del discorso diretto / indiretto è al presente bisogna considerare se il presente è acronico, cioè vale sempre, o è riferito a un preciso momento. Nel primo caso, rimane tale; nel secondo caso diventa passato. Per esempio: “Sei una brava persona” (presente acronico) > “Domani dirò a tutti che sei una brava persona”; “Sono a casa” (evento riferito a un momento preciso) > “Domani Luca dirà a tutti che ero a casa”.
Nella sua seconda frase, bisogna capire se “Ci troviamo bene al mare” sia una affermazione generale (cioè ‘di solito ci troviamo bene al mare’), oppure si riferisca a un momento preciso (cioè ‘ci troviamo bene adesso al mare’). Nel primo caso la frase rimarrà intatta nel discorso indiretto; nel secondo diventerà “Mi diranno che si sono trovati bene al mare”, oppure “Mi diranno di essersi trovati bene al mare”.
Se l’evento del discorso diretto / indiretto fosse futuro, bisognerebbe valutare il suo rapporto temporale con il futuro della cornice: “Tra tre giorni ce la metterò tutta per vincere” > “Domani dirò che due giorni dopo ce la metterò tutta per vincere”, ma “Tra quattro giorni dirò che ce l’avrò messa tutta per vincere”, o “Tra quattro giorni dirò che ce l’ho messa tutta per vincere”, o anche “Tra quattro giorni dirò di avercela messa tutta per vincere”.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Potete verificare se l’analisi dei seguenti periodi è corretta?
1. Il problema dell’inquinamento atmosferico è concentrato soprattutto nelle aree metropolitane (principale) / dove il riscaldamento degli edifici, il traffico e gli impianti industriali hanno effetti dannosi sulla qualità dell’aria (subordinata) / e causano danni alla salute dei cittadini, (coordinata) / ragione per cui spesso si ricorre a misure di emergenza come il blocco del traffico dei veicoli più inquinanti (subordinata alla coordinata).
2. Il presidente della Repubblica ha accolto con gioia la delegazione degli sportivi (principale) / che hanno partecipato alle olimpiadi (subordinata) / e che hanno dato prestigio al nome dell’Italia (coordinata).
3. Tutti coloro che parteciperanno al viaggio di istruzione (principale) sono invitati ad alzare la mano, (subordinata 1° grado) / perché il numero esatto dei ragazzi venga comunicato in segreteria (subordinata 2° grado).
4. Una volta saliti sul treno ci accorgemmo (principale) che il biglietto non era stato obliterato (subordinata).
5. Ho pensato (principale) che la soluzione migliore sia (subordinata 1° grado) quella indicatami da Luigi (subordinata 2° grado).
6. Senza che lui lo sapesse, (subordinata 1° grado) / gli amici di Marco hanno organizzato una festa, (principale) / perché è tornato da un soggiorno all’estero che è durato più di un anno (subordinata 1° grado).

 

RISPOSTA:

 1. L’analisi è sostanzialmente corretta, ma incompleta: la subordinata introdotta da dove è un relativa; la coordinata è coordinata alla subordinata relativa; la subordinata alla coordinata è anch’essa relativa. Quest’ultima è introdotta da un nesso relativo (ragione per cui), nel quale il nome tecnicamente fa parte della proposizione reggente, visto che è l’antecedente del pronome per cui. Può, però, essere considerato un tutt’uno con il relativo (si evita, così, di tagliare la proposizione reggente dopo ragione, lasciandola un po’ sospesa: e causano danni alla salute dei cittadini, ragione).
Esulando dall’analisi, rilevo che la virgola prima di ragione non va bene; l’uso di un incapsulatore (ovvero una parola che racchiude un intero enunciato) come ragione è uno dei tipici casi in cui è richiesto il punto e virgola (o, al limite, il punto fermo). La necessità di inserire un segno di interpunzione più forte della virgola rafforza l’idea che ragione faccia parte più della relativa subordinata che della reggente.
2. Analisi corretta. Manca, però, l’indicazione del tipo di subordinata, ovvero relativa, e dell’informazione riguardo alla coordinata, che è coordinata alla subordinata.
3. Scorretta. Ecco la versione corretta: “Tutti coloro sono invitati (principale) che parteciperanno al viaggio di istruzione (subordinata di 1° grado relativa) ad alzare la mano (subordinata di 1° grado oggettiva o finale), / perché il numero esatto dei ragazzi venga comunicato in segreteria (subordinata di 2° grado finale).
4. Scorretta. Ecco la versione corretta: “Una volta saliti sul treno (subordinata di 1° grado temporale implicita) ci accorgemmo (principale) che il biglietto non era stato obliterato (subordinata di 1° grado oggettiva).
5. Sostanzialmente corretta. La subordinata di 1° grado è oggettiva; la subordinata di 2° grado è relativa implicita. In questo caso non c’è dubbio che quella faccia parte della reggenre, quindi: che la soluzione migliore sia quella / indicatami da Luigi.
6. Scorretta. Ecco la versione corretta: “Senza che lui lo sapesse (subordinata di 1° grado esclusiva), / gli amici di Marco hanno organizzato una festa (principale), / perché è tornato da un soggiorno all’estero (subordinata di 1° grado causale) che è durato più di un anno (subordinata di 2° grado relativa).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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QUESITO:

I seguenti esempi contengono ripetizioni o pleonasmi e sono pertanto da evitare?
1) Il suo commento è di per sé già eloquente.
2) Te l’ho già detto prima.
3) Risolvere definitivamente il problema.
4) L’uomo è un assiduo avventore del locale.
5) Bazzico abitualmente quel circolo.
6) Non so se lei ne sia capace. Ma il fatto che/se lo sia o non lo sia non è rivelante.

 

RISPOSTA:

Le frasi 1, 2, 3 e 5 presentano avverbi o locuzioni avverbiali che non apportano un significato determinante alla frase e servono soprattutto ad arricchirla sintatticamente. Possono, pertanto, essere definiti pleonastici e in uno stile che voglia essere asciutto andranno evitati (sebbene non si tratti di errori da nessun punto di vista). Si noti che, se nello scritto gli avverbi superflui non hanno ragione di apparire, nel parlato possono servire da appendici informative del verbo. Questo si nota soprattutto nella frase 5: se eliminiamo l’avverbio, l’informazione saliente diviene quel circolo (infatti l’accento della frase viene a cadere tutto su questo sintagma), ma l’emittente potrebbe voler puntare l’attenzione sull’azione del bazzicare, non sul luogo. Per questo scopo avrebbe due possibilità: una dislocazione (quel circolo lo bazzico, così come il problema l’ho risolto) oppure, appunto, l’inserimento dell’avverbio semanticamente quasi neutrale che gli consenta di appoggiare la voce non sul sintagma nominale (bazzico ABITUALMENTE quel circolo). Non ugualmente efficace sarebbe, invece, BAZZICO quel circolo, perché la posizione iniziale non marcata del verbo lo configura come tema, ovvero come informazione poco saliente. Per approfondire i concetti di temaremadislocazione e simili può consultare l’archivio di DICO, a partire dalla risposta n. 28009, che rimanda a sua volta ad altre risorse della pagina.
Decisamente non superfluo è l’aggettivo assiduo della frase 4: un avventore, infatti, può non essere assiduo, ma occasionale, oppure essere accompagnato da una proposizione relativa che lo qualifica diversamente. Il secondo periodo della frase 6 deve essere scompartito, perché le due possibili costruzioni sintattiche accorpate non sono equivalenti, ma una esprime un dubbio, l’altra esprime un fatto:
6a. Ma se lo sia o non lo sia non è rivelante.
6b. Ma il fatto che lo sia non è rivelante. / Ma il fatto che non lo sia non è rivelante.
Le varianti b risultano in contrasto logico con il contenuto del primo periodo, che presenta un dubbio. La variante a potrebbe essere semplificata (Ma se lo sia non è rivelante oppure Ma se non lo sia non è rivelante), ma la semplificazione comporterebbe un lieve cambiamento nel senso della frase, perché farebbe propendere il dubbio verso una delle due possibilità, come se l’emittente sospettasse che il ricevente fosse oppure non fosse capace. Neanche qui, insomma, si riscontra un pleonasmo.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Ho un dubbio riguardo a questa frase: “Se stavi a casa tua, tutto questo non sarebbe accaduto”.
Con il se l’imperfetto è assolutamente vietato? Devo per forza dire se fossi stato?

 

RISPOSTA:

L’indicativo imperfetto può essere usato al posto del congiuntivo trapassato nella protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà in un contesto informale. Anche l’apodosi può prendere l’indicativo imperfetto: “Se stavi a casa tua, tutto questo non accadeva”.
La forma è generalmente da evitare nel parlato e nello scritto di alta formalità (sentenze, articoli scientifici, lezioni e relazioni di studio o di lavoro e simili). Nello scritto di media formalità (componimenti scolastici, e-mail di lavoro e simili) è accettabile, ma produce un abbassamento del tono del testo. Nello scritto informale e nel parlato di media e bassa formalità si può usare senza remore. 
Nella scelta, ovviamente, peseranno anche ragioni di stile personale ed esigenze espressive: nello scritto giornalistico, per esempio, l’indicativo può essere preferito per dare al testo un alone di leggerezza ammiccante.
Questo tema è stato oggetto di decine di risposte che può leggere nell’archivio di DICO usando come parola chiave per la ricerca periodo ipotetico.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Hanno archiviato la pratica per coloro il cui adempimento era stato regolarmente soddisfatto.
La frase è corretta (coloro il cui adempimento…)?

Cerca di pensare a quanti spasimanti molesti dai quali tuo padre ti ha riservato.
La frase è corretta (quanti spasimanti… dai quali)?

 

RISPOSTA:

Le frasi non sono ben formate.
Nella prima, il cui adempimento (equivalente a l’adempimento dei quali) può significare sia l’adempimento fatto dai quali, sia l’adempimento fatto nei confronti dei quali. Già questa ambiguità è dannosa per la comprensione e dovrebbe essere evitata. A questa, inoltre, si aggiunge l’inconciliabilità tra il soggetto ademplimento e il predicato essere soddisfatto. Non sono molti i verbi che ammettono adempimento come argomento (che sia il soggetto o il complemento oggetto): mi viene in mente soltanto ottemperare. In alternativa, si può modificare la frase in modo da trasformare adempimento nel verbo adempiere a, inserendo un complemento oggetto generico. In conclusione propongo due versioni riformulate della frase:
1. hanno archiviato la pratica per coloro che avevano regolarmente ottemperato all’adempimento;
2. hanno archiviato la pratica per coloro che avevano regolarmente adempiuto all’indicazione / all’ordine / all’obbligo.
Nella seconda frase c’è un pleonasmo: la stessa funzione relativa, infatti, è svolta tanto dall’aggettivo quanti quanto dal pronome dai quali. Per evitare il pleonasmo, bisogna eliminare una delle due parole. Anche in questa frase, inoltre, il verbo della relativa non è ben scelto: riservare da spasimanti non è un’espressione felice. Propongo questa riformulazione:
1. cerca di pensare alla quantità di spasimanti molesti dai quali tuo padre ti ha protetto.
Altre variazioni sono possibili, per esempio:
2. cerca di pensare a quanti spasimanti molesti tuo padre abbia allontanato da te per proteggerti.
Possibile, ma problematica (quindi da riservare a contesti informali), anche la seguente:
3. cerca di pensare da quanti spasimanti molesti tuo padre ti abbia protetto.
Il problema di questa variante è la sostituzione sintetica della preposizione retta dal verbo pensare (a) con quella richiesta da quanti per svolgere la sua funzione di complemento di allontanamento (da) in relazione al verbo proteggere.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Ho una perplessità a proposito del tempo – o dei tempi – valido per accordare una proposizione dipendente dall’apodosi di un periodo ipotetico.

“Se non ti fossi sottoposto a questo esame, ora ti domanderesti / ti saresti domandato: ‘Che malattia ho?'”
potrebbe diventare:
“Se non ti fossi sottoposto a questo esame, ora…
1a) “ti domanderesti che malattia hai”
1b) “ti domanderesti che malattia tu abbia”
1c) “ti domanderesti che malattia potresti avere”
2a) “ti saresti domandato che malattia hai”
2b) “ti saresti domandato che malattia tu abbia”
2c) “ti saresti domandato che malattia potresti avere”.
Quali predicati sono ammessi e quale secondo voi è il più indicato?

Rimanendo in tema di subordinate dipendenti da apodosi, in una frase che abbia come protasi “Se avessi seguito il mio consiglio”, l’apodosi potrebbe essere “ti renderesti conto / ti saresti reso conto”, ma un’eventuale subordinata di quest’ultima si dovrebbe costruire con il tempo imperfetto o anche altri tempi e modi sarebbero possibili?
3a) […] “ti renderesti conto / saresti reso conto che continuare a studiare era la soluzione migliore”
3b) […] “ti renderesti conto / saresti reso conto che continuare a studiare è la soluzione migliore”
3c) […] “ti renderesti conto / saresti reso conto che continuare a studiare sia la soluzione migliore”
3d) […] “ti renderesti conto / saresti reso conto che continuare a studiare fosse la soluzione migliore”
3e) […] “ti renderesti conto che continuare a studiare sarebbe la soluzione migliore”
3f) […] “ti saresti reso conto che continuare a studiare sarebbe stata la soluzione migliore”.

 

RISPOSTA:

Partiamo dall’assunto che i tempi dell’indicativo e del congiuntivo si equivalgono nella proposizione completiva (quindi tanto in “che malattia…” quanto in “che continuare a studiare…”); il congiuntivo, rispetto all’indicativo, caratterizza la frase come più formale, ma non ne modifica il senso. Il condizionale presente, a sua volta, coincide con l’indicativo presente (sia che usiamo il condizionale del verbo, sia che affianchiamo al verbo un verbo servile come potere). Rispetto all’indicativo, il condizionale aggiunge una sfumatura di eventualità, suggerendo che ci sia un’altra condizione sottintesa. Per esempio, nella prima frase “ti domanderesti che malattia potresti avere” suggerisce “… che malattia potresti avere se tu fossi malato”. Come si nota, dal punto di vista semantico non cambia molto; il condizionale, infatti, serve qui non per aggiungere informazioni, ma come espediente per attenuare il peso emotivo dell’affermazione.
Per quanto riguarda i tempi, tutte le varianti da lei proposte sono corrette per entrambe le frasi, ma nel passaggio dall’una all’altra cambia leggermente da una parte il rapporto temporale tra la condizione e la conseguenza (l’apodosi), dall’altra il rapporto temporale tra la reggente (che coincide con l’apodosi) e la completiva.
Sul versante del periodo ipotetico, “se non ti fossi sottoposto… ti domanderesti” comporta uno scarto temporale tra i due eventi: la condizione è avvenuta nel passato, la conseguenza è contemporanea al momento dell’enunciazione; “se non ti fossi sottoposto… ti saresti domandato”, invece, rappresenta i due eventi come contemporanei tra loro, ma entrambi passati rispetto al momento dell’enunciazione. La stessa relazione vale per la seconda frase. 
Sul versante della proposizione completiva, vale la regola generale della consecutio temporum: il presente instaura un rapporto di contemporaneità con il verbo della reggente, il passato di anteriorità, il futuro (o il congiuntivo presente) di posteriorità. Quando la reggente è al passato, il futuro si costruisce con il condizionale passato; è il caso della variante 3f) […] “ti saresti reso conto [nel passato] che continuare a studiare sarebbe stata [nel futuro rispetto a quel passato] la soluzione migliore”.
Potrà trovare molti altri esempi e spiegazioni sulla consecutio temporum e sull’uso dei modi nel periodo ipotetico nell’archivio di DICO, scrivendo nel campo search o consecutio temporum o periodo ipotetico.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Leggo su un giornale a diffusione nazionale, nell’articolo di fondo: “… non prendeteci in giro, che non siamo ragazzini …”. Quel che non dovrebbe essere accentato ed avere quindi valore di perché poiché? Altrimenti, come definire quel che?

 

RISPOSTA:

Uno dei tratti più caratteristici dell’italiano contemporaneo è la diffusione nello scritto del che polivalente, ovvero di usi del connettivo che non facilmente inquadrabili nella classificazione grammaticale tradizionale. Si tratta di usi ben noti alla tradizione dell’italiano, ma fino a qualche decennio fa tipici del parlato. Tipici, ma non esclusivi, come dimostrano, per fare un esempio tanto antico quanto illustre, i tanti passi danteschi nei quali la funzione di che è indecidibile (per una disamina di questi passi si può leggere la voce dell’Enciclopedia dantesca dedicata proprio a che). Il più famoso è probabilmente il verso 3 dell’Inferno: “ché la diritta via era smarrita”, che nell’edizione Petrocchi (qui riprodotta) appare come ché, ma sul quale ci sono parecchi pareri discordi che vorrebbero la restituzione di che (secondo la lezione di molti codici). Il valore del connettivo nel passo, infatti, può sì essere causale, ma non si possono escludere il valore consecutivo (= tanto che la diritta via era smarrita), quello semplicemente aggiuntivo (= e la diritta via era smarrita), quello che alcuni definiscono modale (= in modo tale che / sicché la diritta via era smarrita) e addirittura, ma si tratta dell’interpretazione meno accreditata, quello relativo (= nella quale la diritta via era smarrita). Tra gli usi del che polivalente, infatti, rientra anche quello di relativo generico, che può sostituire cui e tutti gli altri casi (in cuiper cui ecc.). 
Questi usi sono rimasti ai margini della tradizione scritta fino a qualche decennio fa; anche le occorrenze dantesche sono da interpretare come tentativi di imitare il parlato o occasionali abbassamenti di tono. L’avvicinamento relativamente recente tra lo scritto e il parlato ha portato a una sempre maggiore accoglienza di tratti come questo nello scritto, a partire ovviamente da testi di bassa formalità (famoso il verso della canzone di Jovanotti perché non c’è niente che ho bisogno) o brillanti, come certi articoli giornalistici di commento. Lo scritto mediamente formale ancora rifiuta questi usi, ma è possibile che essi si diffondano sempre di più in futuro. Già oggi, per esempio, il che pseudorelativo all’interno della frase scissa (“È lui che ho visto”) è pienamente accettato. Sulla frase scissa, in particolare, si possono leggere diverse risposte nell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Se verificassi che la situazione fosse / sia / è sotto controllo mi sentirei più tranquillo.

La subordinata oggettiva che la situazione fosse, a mio avviso è corretta, ma una collega sostiene che occorre il congiuntivo presente sia. Pur considerando corretto anche l’uso dell’ indicativo (volendo dare alla proposizione una natura realistica), quale tempo del congiuntivo è corretto?

 

RISPOSTA:

Come regola generale, sconsiglio sempre di sostenere che una forma o una costruzione sia scorretta. Molto spesso, infatti, l’errore si rivela essere una variante ammessa dalla lingua, magari con qualche restrizione, o addirittura pienamente legittima. In questo caso, per esempio, le tre forme verbali da lei prospettate sono valide, a certe condizioni. In particolare, fosse è addirittura l’unica possibile se la situazione di cui si parla è passata: “Se verificassi (ora) che la situazione (ieri) fosse sotto controllo mi sentirei più tranquillo”. Se, invece, la situazione è attuale, sia è sicuramente la forma più attesa, perché in linea con le regole della consecutio temporum, secondo cui il presente congiuntivo indica contemporaneità nel presente con il verbo della reggente. La forma fosse, però, non è comunque da escludere, perché può essere attratta dalla struttura sottostante: “Se la situazione fosse sotto controllo mi sentirei più tranquillo”. Si tratta di un uso meno preciso, ma che non definirei scorretto. L’indicativo presente, infine, non rappresenta la situazione come realistica, come lei suppone, ma abbassa il registro linguistico. Non c’è differenza tra sia e è dal punto di vista sintattico, ma la prima forma è più formale della seconda.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Con una reggente all’indicativo (presente o futuro), una subordinata introdotta da appena o da quando può essere costruita tanto con il congiuntivo passato quanto con quello trapassato? Se sì, che cosa cambierebbe a livello semantico?
1. Rachele uscirà di casa, appena / quando abbia sbrigato le faccende.
2. Rachele uscirà di casa, appena / quando avesse sbrigato le faccende.
La costruzione
3. Rachele uscirà di casa, appena/quando avrà sbrigato le faccende
è certamente più attesa, ma vi domando se siano possibili anche quelle sopra elencate.

 

RISPOSTA:

Le tre varianti sono legittime e non sono neanche le uniche possibili. Partiamo dal presupposto che le proposizioni temporali al futuro sono per loro natura affini alle condizionali, sia che contengano l’indicativo, sia che contengano il congiuntivo. È chiaro, infatti, che la previsione di un evento futuro porti con sé una certa componente di potenzialità. Questa componente è minima nella versione 3 della frase, per via dell’uso dell’indicativo: quando avrà sbrigato implica sì se avrà sbrigato, ma nello stesso tempo suggerisce che ciò avverrà certamente (per quanto ne sa l’emittente). Nella versione 2, al contrario, la componente di potenzialità è massima, perché il congiuntivo trapassato (avesse sbrigato) ha il ruolo di indicare un’ipotesi improbabile o impossibile. La frase, quindi, suggerisce che, per quanto ne sa l’emittente, Rachele difficilmente riuscirà a sbrigare le faccende in tempo per uscire.
Ci sarebbe una terza versione della frase, con il congiuntivo imperfetto, che rappresenterebbe la condizione come incerta, ma realizzabile: “Rachele uscirà di casa, appena / quando sbrigasse le faccende”.
La versione 1, infine, rappresenta una variante della 3 senza apprezzabile cambiamento di significato, ma posizionata più in alto sull’asse diafasico, ovvero più formale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Secondo la predizione, ‘Roma esisterà fino a quando esisterà il Colosseo'”.
Se non vado errato, l’esempio è valido; se però volessimo modificarne le sfumature semantiche, si potrebbe procedere come segue?
1. Secondo la predizione, “Roma esisterebbe fino a quando esista il Colosseo”.
2. Secondo la predizione, “Roma esisterebbe fino a quando esistesse il Colosseo”.
3. Secondo la predizione, “Roma esisterà fino a quando esista il Colosseo”.
Le tre varianti sono corrette sotto il profilo sintattico?
La seguente, invece, è scorretta?
4. Secondo la predizione, “Roma esisterebbe fino a quando esisterebbe il Colosseo”.

 

RISPOSTA:

Il primo punto da considerare è il verbo della proposizione Roma esisterà / esisterebbe. La scelta del modo del verbo dipende qui dalla volontà di rappresentare l’esistenza come un fatto certo (indicativo) o come la conseguenza di una condizione (condizionale).
Nel primo caso ci si aspetta che anche la subordinata temporale (che essendo al futuro ha già in sé una sfumatura di potenzialità) sia all’indicativo futuro (versione 1). Così facendo, i due eventi, pur in un rapporto di condizione-conseguenza, sono rappresentati come certi (per quanto sia possibile rappresentare come certi eventi non ancora avvenuti).
Possibile è anche il congiuntivo presente nella temporale dipendente dalla principale all’indicativo futuro (versione 3); si tratta della variante più formale della versione 1.
Con il condizionale nella principale, la subordinata temporale ammette ancora l’indicativo futuro (“Roma esisterebbe fino a quando esisterà il Colosseo”). In questo caso il condizionale è giustificato da un’altra condizione, diversa da quella dell’esistenza del Colosseo, recuperabile dal co-testo, ovvero la veridicità della predizione: “Roma esisterebbe (se fosse vera la predizione) fino a quando esisterà il Colosseo”. Sarebbe un caso di condizionale di distanziamento; lo stesso che usano i giornalisti quando riportano fatti non confermati (per esempio: “L’imputato avrebbe ricattato il vicino di casa”, ovvero “L’imputato avrebbe ricattato se l’accusa fosse vera, il vicino di casa”).
Se, invece, costruiamo la temporale con il congiuntivo imperfetto (versione 2) mettiamo in relazione diretta la condizione del perdurare dell’esistenza del Colosseo e la conseguenza dell’esistenza di Roma.
La versione 4 della frase, infine, è scorretta, perché rappresenta la condizione all’interno della temporale ipotetica con il condizionale presente, che, invece, serve a rappresentare la conseguenza.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle frasi seguenti è stato usato il pronome relativo. C’è qualche differenza logica o di significato? Qual è, tra le due, la soluzione da preferire?
1. Il preside del Liceo è Giovanni, COLUI CHE ha insegnato per molti anni Filosofia.
2. Giovanni è il preside del Liceo, CHE ha insegnato per molti anni Filosofia.

 

RISPOSTA:

Tra le due frasi ci sono due differenze, entrambe nella proposizione principale, la disposizione dei sintagmi e la presenza del pronome colui. La prima differenza rispecchia un diverso scopo informativo: nella prima frase si vuole informare su chi sia il preside del Liceo, nella seconda su chi sia Giovanni. Per quanto riguarda colui, esso funge da antecedente di che, quindi è il referente dell’informazione della proposizione relativa; a sua volta, colui rimanda a Giovanni, che è subito adiacente. Questa formulazione con la relativa indirettamente riferita alla persona di cui si sta parlando separa l’informazione della relativa da quella della reggente, suggerendo che la prima sia rilevante per descrivere Giovanni, ma in modo indipendente dal suo ruolo di preside. Senza colui, al contrario, l’informazione della relativa è collegata a quella della reggente, tanto da suggerire che ci sia una relazione di quasi motivazione tra le due (quasi Giovanni è il preside del Liceo perché ha insegnato Filosofia).
Nella seconda frase, l’informazione della relativa si aggancia direttamente alla persona di cui si sta parlando; stranamente, però, questa non è Giovanni, ma il preside del Liceo.
La seconda formulazione, insomma, non è felice, perché, a prescindere dalla presenza di colui, allontana il pronome che dal suo antecedente naturale, che è Giovanni. È preferibile, pertanto, usare la prima versione, con o senza colui, oppure, nella seconda, anticipare la relativa come incidentale: “Giovanni, che ha insegnato per molti anni Filosofia, è Il preside del Liceo”. Con l’incidentale, colui diviene superfluo in ogni caso, perché l’anticipazione dell’informazione della relativa rispetto a quella della principale fa risaltare la prima come dotata di una rilevanza autonoma e rende molto improbabile l’interpretazione quasi motivazionale.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Sfogliando il vostro archivio delle domande, mi sono soffermata sull’alternanza tra congiuntivo trapassato e imperfetto, passato prossimo e futuri dell’indicativo nelle subordinate. Mi piacerebbe conoscere il livello di formalità delle soluzioni sotto indicate.
1) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi fosse passata, dovrei richiamarlo.
2) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi passasse, avrei dovuto richiamarlo.
3) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi passasse, dovrei richiamarlo.
4) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi è passata, dovrò richiamarlo.
5) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi passerà, dovrò richiamarlo.
6) Stamattina il medico mi ha detto che se entro domani la febbre non mi sarà passata, dovrò richiamarlo.

 

RISPOSTA:

1) La proposizione condizionale (se entro domani la febbre non mi fosse passata) configura l’oggettiva (dovrei richiamarlo) come l’apodosi di un periodo ipotetico (di cui la condizionale è la protasi). Il congiuntivo trapassato (fosse passata) indica che l’ipotesi è altamente improbabile, inverosimile. Si noti che questa funzione sintattica in questo caso è svincolata dalla consecutio temporum, tanto che il trapassato può essere usato anche in relazione a un evento futuro quale è quello descritto nella frase.
Riguardo alla 2) e alla 3), il congiuntivo imperfetto (passasse) indica che l’ipotesi è verosimile. L’apodosi di questo periodo ipotetico è una proposizione oggettiva (dipendente da ha detto) e tutte le completive (categoria nella quale rientra l’oggetiva) rispettano fedelmente la consecutio temporum. Stando alla consecutio, un evento successivo a un altro presente si indica con l’indicativo futuro, il congiuntivo presente o, in un periodo ipotetico, il condizionale presente; un evento successivo a uno passato (il cosiddetto futuro nel passato), invece, si indica con il congiuntivo imperfetto o il condizionale passato; la scelta del tempo del condizionale, pertanto, dipenderà dal tempo della reggente. Il passato prossimo (ha detto) è ovviamente un passato, ma vale come presente, perché la disposizione del medico è ancora valida nel momento dell’enunciazione e lo sarà anche nel momento in cui l’emittente dovrà chiamarlo. Il passato prossimo, pertanto, richiede preferibilmente il condizionale presente (dovrei), tanto in relazione a una protasi al congiuntivo imperfetto (ipotesi possibile), quanto in relazione a una al congiuntivo trapassato (ipotesi improbabile). Più insolito, ma non impossibile, sarebbe il condizionale passato (avrei dovuto), che rappresenterebbe automaticamente la disposizione del medico come legata al passato e non più valida (circostanza che potrebbe verificarsi se, per esempio, il medico ha in seguito comunicato una disposizione diversa, o se l’emittente ha già deciso che non seguirà la disposizione).
Nella 4) la proposizione condizionale rappresenta l’ipotesi come reale, suggerendo che sia molto probabile che si verifichi. Il passato prossimo (è passata) in relazione a un evento futuro si giustifica immaginando come momento di riferimento domani, rispetto al quale la febbre si è già manifestata come passata o no. L’apodosi all’indicativo futuro è perfettamente in linea con il grado di probabilità di questa ipotesi, ma essa ammette anche il condizionale, che lascia trasparire la possibilità che nonostante la febbre l’emittente possa non chiamare il medico (come se ci fosse una seconda protasi implicita: se entro domani la febbre non mi è passata, dovrei richiamarlo (se lo ritenessi opportuno)).
Dal punto di vista della formalità, quest’ultima versione della frase ammette delle varianti: quella più formale è la 6), con il futuro anteriore nella protasi (se non mi sarà passata) e il futuro semplice nell’apodosi; quella meno formale avrebbe il passato prossimo nella protasi e il presente nell’apodosi (devo chiamarlo). La 5), con i due futuri, si colloca a un livello intermedio: è meno precisa, quindi meno formale, di quella con il futuro anteriore, ma è più precisa, quindi più formale, di quella con il passato prossimo.
Si consideri che il futuro anteriore è usato soprattutto in contesti di alta formalità, o per evitare confusione qualora il co-testo generi ambiguità. Nel tempo, il futuro anteriore ha subito un progressivo abbandono in favore del futuro semplice e del presente indicativo, decisamente più economici.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Penserai che sono una ignorante… ma

1. non avrei mai creduto che arrivasse un periodo così”; 
2. non avrei mai creduto che potesse arrivare un periodo così”.

Sono corrette entrambe?

 

RISPOSTA:

Sì, ma la seconda aggiunge alla formulazione una ulteriore sfumatura di eventualità, per mezzo della quale l’emittente enfatizza la scarsa probabilità che ha attribuito al realizzarsi dell’evento.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Potete aiutarmi a fare l’analisi di questi periodi?
1. Comprendiamo (principale) / che sei dispiaciuta (prop. oggettiva) / e non vogliamo certo andare avanti con questo argomento (prop. coordinata).

2. Credo (principale) / sia un bene (prop. oggettiva) / che tu abbia preso finalmente questa decisione (?).

3. Il mio assicuratore ha voluto sapere (principale) / che cosa era successo (prop. interrogativa indiretta) perché spesso i responsabili tentano (prop. causale) / di nascondere le prove dei loro errori (prop. oggettiva implicita).

4. Non mi era mai capitato (principale) / di essere fermata alla dogana (prop. oggettiva implicita) e di dover subire un interrogatorio (prop. coordinata).

5. Sono andata al supermercato (principale) / per comprare la pasta (finale).

RISPOSTA:

La sua analisi è giusta tranne che in pochi casi. Per comodità e per specificare alcune informazioni su alcune proposizioni, riscriviamo di seguito tutte le frasi con il tipo di proposizione tra parentesi quadre. Mettiamo in grassetto i punti in cui la sua analisi è sbagliata o incompleta.
1. Comprendiamo [principale] / che sei dispiaciuta [oggettiva esplicita di primo grado] / e non vogliamo certo andare avanti con questo argomento [coordinata alla principale].
 
2. Credo [principale] / sia un bene [oggettiva esplicita di primo grado] / che tu abbia preso finalmente questa decisione [soggettiva esplicita di secondo grado].
 
3. Il mio assicuratore ha voluto sapere [principale] / che cosa era successo [interrogativa indiretta esplicita di primo grado] / perché spesso i responsabili tentano di nascondere le prove dei loro errori [causale esplicita di secondo grado]. 
Tentare di + infinito rappresenta una perifrasi (detta aspettuale) che va considerata come un unico verbo.

4. Non mi era mai capitato [principale] / di essere fermata alla dogana [soggettiva implicita] / e di dover subire un interrogatorio [coordinata alla soggettiva]
 
5. Sono andata al supermercato [principale] / per comprare la pasta [finale implicita di primo grado].
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Quale delle due frasi è corretta? Perché?
1. Io mi riterrei felice alla fine di questa vacanza se tu abbia avuto il piacere di stare con me.
2. Io mi riterrei felice alla fine di questa vacanza se tu avessi avuto il piacere di stare con me.

 

RISPOSTA:

La variante corretta è la 2. La proposizione condizionale (quella introdotta da se) ammette il congiuntivo soltanto nei tempi imperfetto e trapassato. In particolare, quando tale proposizione è subordinata a una proposizione al condizionale presente, formando con essa il cosiddetto periodo ipotetico della possibilità, il tempo del congiuntivo più comune è l’imperfetto, ma, se l’evento descritto dalla proposizione condizionale è precedente a quello della reggente, il tempo da usare è il trapassato.
Nella sua frase 2, l’evento dell’avere piacere è precedente a quello del ritenersi felice, perché quest’ultimo avviene soltanto alla fine della vacanza; in questa situazione, come appena detto, nella condizionale ci si aspetta proprio il congiuntivo trapassato.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Qualora vi interessasse un film sulla pandemia che riguardi la quarantena di una città…”: la domanda è: che riguardi o che riguardasse?

 

RISPOSTA:

Entrambe le varianti sono possibili. Ugualmente possibile sarebbe che riguarda, ma, come sempre avviene, quando c’è la possibilità di scegliere tra l’indicativo e il congiuntivo, quest’ultimo rappresenta la scelta più formale. E va aggiunto che la scelta del congiuntivo rispetto all’indicativo è motivata (sebbene non sia obbligatoria) anche dal contesto ipotetico in cui si inserisce la proposizione.
Il congiuntivo nella proposizione relativa, però, non è soltanto la scelta più formale; esso connota anche la proposizione come ipotetica, facendo sfumare il pronome che verso la locuzione nel caso in cui. In questo quadro, l’imperfetto rispetto al presente allontana la rappresentazione dello stato del riguardare dalla realtà. In altre parole, la variante con il congiuntivo imperfetto presenta la caratteristica del riguardare come meno probabile rispetto a quanto appaia con il congiuntivo presente. 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Se, nel frattempo, sarà selezionato il messaggio, l’utente sarà autorizzato a…”.
Non sarebbe stato meglio adottare il futuro anteriore per differenziare la collocazione temporale delle due azioni?
“Se, nel frattempo, sarà stato selezionato il messaggio, l’utente sarà autorizzato a…”.
La locuzione nel frattempo in questo esempio, inevitabilmente proiettato nel futuro, è usata in modo improprio?

 

RISPOSTA:

Certamente la costruzione con il futuro anteriore è più precisa, quindi più formale. Non si può, però, dire che la prima variante sia sbagliata: il rapporto temporale tra le due azioni è, infatti, evidente anche senza il ricorso al futuro anteriore. Tale rapporto, per la verità, è quasi sempre recuperabile dal co-testo o ricostruibile per logica, ed è per questo che il futuro anteriore è sempre meno usato nella lingua comune.
In questo caso specifico, un ulteriore motivo che scoraggia l’uso del futuro anteriore e giustifica ancora più fortemente, al contrario, il futuro semplice, è la presenza di un terzo evento, che lei non riporta nell’esempio, ma che è richiamato dalla locuzione avverbiale nel frattempo e con il quale l’evento del selezionare è in rapporto di contemporaneità. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1) “Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, sia che mio marito fosse favorevole sia che fosse contrario”.
Le due proposizioni della frase dovrebbero essere contemporanee; ma se si volesse rendere la subordinata posteriore alla reggente, si potrebbe adottare il condizionale passato o sarebbe sbagliato (rendendo quindi necessario il ricorso al congiuntivo trapassato)?
“Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, sia che mio marito sarebbe stato favorevole sia che sarebbe stato contrario”.
Se modificassimo la struttura del periodo trasformando sia che in sia se avremmo 2) “Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, sia se mio marito sarebbe stato favorevole sia se sarebbe stato contrario”.
Se la subordinata diventasse una concessiva (introdotta da anche se), avremmo 3) “Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, anche se mio marito sarebbe stato contrario”.
Nelle due varianti modificate cambierebbe qualcosa a livello sintattico?

 

RISPOSTA:

La locuzione correlativa sia che… sia che introduce due proposizioni condizionali, che richiedono il verbo al congiuntivo ed escludono il condizionale. Ammettono, ma in un registro molto trascurato, l’indicativo in sostituzione del congiuntivo: “… sia che mio marito è / era / sarà favorevole sia che è / era / sarà contrario”. 
A riprova della natura condizionale della proposizione introdotta da sia che, potremmo parafrasare che con una perifrasi: “Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, sia nel caso in cui mio marito fosse favorevole, sia in quello in cui fosse contrario”. 
Il congiuntivo non permette di esprimere la posteriorità, se non in modo molto sfumato, con il presente in relazione a un tempo presente, con l’imperfetto in relazione a un tempo passato: “Spero che domani tu venga alla mia festa”; “Speravo che l’indomani tu venissi alla mia festa”. In una completiva è quasi sempre possibile supplire a questa mancanza del congiuntivo con l’indicativo futuro al posto del congiuntivo presente (“Spero che domani tu verrai”) e con il condizionale passato al posto del congiuntivo imperfetto (“Speravo che domani tu saresti venuto”). Si tratta, comunque, di scelte che abbassano la formalità della costruzione. Nella frase 1), invece, il congiuntivo è in una proposizione condizionale retta da una proposizione al passato, che non ammette la sostituzione del congiuntivo imperfetto con il condizionale passato. Ne consegue che, in questa frase, non c’è modo di esprimere la posteriorità dell’evento della subordinata se non in modo lessicale, ovvero inserendo un riferimento temporale esplicito; per esempio sia che poi mio marito fosse favorevole… In alternativa, si può formulare la frase diversamente; per esempio sia che in seguito scoprissi che mio marito era / fosse favorevole (si noti che l’oggettiva qui ammette pienamente l’indicativo per evitare l’insolita sequenza di due congiuntivi imperfetti l’uno in dipendenza dall’altro).
Lo stesso discorso fatto per la 1) vale per la 2): la costruzione sia se mio marito sarebbe stato favorevole… è scorretta, sebbene risulti leggermente più ammissibile della 1) per via dell’attrazione della completiva logicamente (ma impossibile sintatticamente) sottostante: sia (non sapevo) se mio marito sarebbe stato favorevole…
Riguardo alla 3), la proposizione concessiva, specialmente dopo anche se, ammette sia l’indicativo (“Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, anche se mio marito era contrario”); sia il congiuntivo (“Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, anche se mio marito fosse contrario”); sia il condizionale passato (“Avevo intenzione di rivolgermi a un legale, anche se mio marito sarebbe stato contrario”).
La variante con il condizionale passato situa l’evento certamente in un momento successivo a quello della reggente.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

A proposito della possibilità che la consecutio e il periodo ipotetico si intreccino, è anche il caso di questi esempi?

1) Comunque andasse, egli sarebbe stato contento.
2) Comunque fosse andata, egli sarebbe stato contento.

Nella soluzione 1 (consecutio), la secondaria con andasse è contemporanea alla reggente?
Nella soluzione 2 (periodo ipotetico), la secondaria con fosse andata potrebbe essere considerata anteriore non solo, è ovvio, alla reggente, ma anche al momento in cui il periodo è stato enunciato? Anche se ipotizzassimo un esempio introdotto da una dichiarativa, secondo me, il suddetto dubbio rimarrebbe:

3) Egli disse che ieri sarebbe stato contento, se ieri l’altro fosse andata bene.

4) Egli disse che l’anno successivo sarebbe stato contento, se fosse andata bene la visita che avrebbe fatto nei prossimi mesi.

In mancanza di opportuni riferimenti, come si fa a stabilire se le azioni sono già avvenute o possano avvenire?

Due ultime cose, non del tutto fuori attinenza dall’argomento. Il periodo

5) Se tu mi tradissi, la nostra amicizia non sarebbe stata sincera

rientra nei casi del periodo ipotetico misto e pertanto è valido?

Infine, in questa risposta vengono proposte due alternative all’esempio sollevato dall’utente: si potrebbe aggiungere anche la forma “Volevo chiederle se sia possibile”?

 

RISPOSTA:

Gli esempi 1 e 2 non si prestano bene a rappresentare la domanda, perché la proposizione introdotta da comunque non è una condizionale, bensì una concessiva, che non entra in relazione con la reggente per formare il periodo ipotetico. In entrambi i casi, quindi, il tempo del congiuntivo è relativo alla consecutio temporum, non al grado di certezza dell’ipotesi. La difficoltà nella scelta del tempo del congiuntivo della concessiva è tutta interna alla consecutio, e riguarda l’individuazione del momento di riferimento, necessariamente passato, rispetto a cui il congiuntivo imperfetto andasse indica contemporaneità e il congiuntivo trapassato fosse andata indica anteriorità. Ci sono, infatti, due momenti di riferimento possibili, sarebbe stato e l’implicito momento del punto di vista rispetto a cui il condizionale passato sarebbe stato indica un momento posteriore. Per rendere più evidente questo momento del punto di vista, possiamo rappresentarlo con un verbo di dire o di pensare al passato: “Disse che comunque andasse / fosse andata, egli sarebbe stato contento”. Andasse e fosse andata, quindi, possono indicare contemporaneità e anteriorità tanto rispetto a disse, tanto rispetto a sarebbe stato. Nel caso di andasse questo non provoca ambiguità, perché l’imperfetto congiuntivo non può che essere contemporaneo (ma proiettato nel futuro) a disse e precedente a sarebbe stato. Il trapassato, invece, può riferirsi a due momenti effettivamente diversi:

1. (Disse che) comunque fosse andata il giorno prima, egli sarebbe stato contento.
2. (Disse che) comunque fosse andata il giorno dopo, egli sarebbe stato contento.

Nel primo caso, il congiuntivo trapassato si giustifica perché indica un momento anteriore rispetto a un altro passato, ma nel secondo caso sembra indicare un momento posteriore rispetto a un altro passato (disse), quindi come si spiega? In questo caso seleziona come momento di riferimento sarebbe stato, che vale comunque come passato, perché è passato rispetto al momento dell’enunciazione (ovvero rispetto a ora, che il momento da cui noi guadiamo tutti gli eventi descritti dalla frase).
Per disambiguare la frase con il congiuntivo trapassato, ci sono due modi: uno è quello appena visto, l’inserimento di una indicazione temporale esplicita; l’altro è sostituire il congiuntivo trapassato con il condizionale passato nella proposizione concessiva, nel caso in cui l’evento della concessiva sia posteriore rispetto alla cornice:

3. (Disse che) comunque sarebbe andata, egli sarebbe stato contento.

In questo modo, non ci sono dubbi che sarebbe andata sia posteriore rispetto alla cornice e, per logica, anteriore rispetto a sarebbe stato (che rappresenta la conseguenza dell’evento della concessiva).
Il condizionale passato con la funzione di indicare il futuro nel passato nella proposizione concessiva introdotta da comunque  legittimo, ma può essere percepito come scorretto perché è chiara la componente condizionale della proposizione concessiva, che ci induce a preferire senz’altro il conguntivo al suo interno.
Si noti che altrettanto legittimo sarebbe il condizionale presente (in una frase riportata al presente) per esprimere un’attenuazione della fattualità dell’evento: “Pensa che comunque andrebbe, egli sarebbe contento”. L’alternativa con il congiuntivo è, comunque, considerata sempre più formale di quella con il condizionale, e decisamente preferibile anche in contesti di media formalità a quella con l’indicativo: “Pensa che comunque va, egli sarà / sarebbe contento”.
Gli esempi 3 e 4 introducono un problema nuovo, che non è la presenza della proposizione sovraordinata con il verbo di dire (che, però, non si può chiamare dichiarativa, perché la proposizione dichiarativa è una subordinata completiva), ma la sostituzione della proposizione concessiva con la condizionale. In questo caso si può dire che consecutio temporum e grado di possibilità del periodo ipotetico interagiscano, ma è anche vero che nelle sue frasi, ben costruite, non vedo alternative possibili, perché la complessa relazione temporale tra gli eventi prende il sopravvento su eventuali sfumature ipotetiche.
Per quanto riguarda la frase 5, il condizionale passato è dovuto alla relazione temporale di futuro nel passato tra il momento in cui si scopre l’insincerità dell’amicizia e lo svolgimento dell’amicizia. Questo è un altro caso di interazione tra periodo ipotetico e consecutio temporum, che produce quello che può essere definito un periodo ipotetico misto. Tale definizione, per la verità, ma non è necessaria, perché l’idea che il periodo ipotetico sia fissato in tre moduli e che le altre costruzioni siano commistioni di due di questi moduli è una semplificazione grossolana: ogni costruzione del periodo ipotetico ha la stessa validità delle altre.
La sua ultima frase, infine, è corretta sia che volevo indichi un momento effettivamente passato, sia che esso sia la forma di cortesia di voglio e si riferisca, quindi, al presente. Per chiarezza, però, va ricordato che qui il periodo ipotetico non è coinvolto, perché la proposizione introdotta da se è una interrogativa indiretta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se le frasi seguenti sono corrette nell’uso dei tempi e modi verbali e che tipo di proposizioni sono.
– Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo. Tutti vestivano allo stesso modo. Leo e Luca pensarono che la nuova compagna non sarebbe resistita in quella scuola se non la smetteva con le sue stranezze.

– Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo. Tutti vestivano allo stesso modo. Leo disse a Luca che la compagna se fosse stata “reale” sarebbe / era nei guai.

– Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo. Tutti vestivano allo stesso modo. Leo e Luca si dissero che se era una persona “vera”, non sarebbe resistita a lungo in quella scuola.

 

RISPOSTA:

1) Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo [proposizione indipendente]. Tutti vestivano allo stesso modo [indipendente]. Leo e Luca pensarono [principale] che la nuova compagna non sarebbe resistita in quella scuola [oggettiva] se non la smetteva con le sue stranezze [condizionale].
I verbi vanno bene. L’indicativo imperfetto (se non la smetteva) è una variante meno formale del congiuntivo trapassato (se non l’avesse smessa), qui coerente con il tono generale del testo.

2) Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo [indipendente]. Tutti vestivano allo stesso modo [indipendente]. Leo disse a Luca [principale] che la compagna sarebbe stata nei guai [oggettiva], se fosse stata “reale” [condizionale].
Il condizionale presente sarebbe non è un’opzione valida, perché l’evento dell’essere nei guai può essere o contemporaneo a quello del dire della reggente (Leo disse) o successivo. Nel primo caso sarebbe richiesto l’indicativo imperfetto era o il congiuntivo imperfetto fosse (per la verità molto forzato in dipendenza dal verbo dire); nel secondo caso sarebbe richiesto il condizionale passato (che esprime il futuro nel passato) sarebbe stata o, ancora, l’indicativo imperfetto era. Quest’ultima forma, quindi, rimane ambigua tra la contemporaneità e la posteriorità, perché può assumere entrambe le funzioni. Va sottolineato che la presenza della proposizione condizionale (se fosse stata “reale”) configura la proposizione oggettiva come una apodosi di un periodo ipotetico. Anche se la costruiamo con il condizionale passato, però, questo non rappresenta la conseguenza per forza come irreale, perché, lo ricordiamo, ha la funzione di esprimere il futuro nel passato (e lo stesso vale per l’indicativo imperfetto). Possiamo, quindi, avere sia la compagna sarebbe stata / era nei guai, se fosse stata “reale” (periodo ipotetico dell’irrealtà), sia la compagna sarebbe stata / era nei guai, se fosse “reale” (periodo ipotetico della possibilità).

3) Il nostro liceo non era un vivaio di non conformismo [indipendente]. Tutti vestivano allo stesso modo [indipendente]. Leo e Luca si dissero [principale], se era una persona “vera” [condizionale], che non sarebbe resistita a lungo in quella scuola [oggettiva]. 
Si noti che la congiunzione che è stata spostata dopo l’incidentale per permettere l’analisi.
In questo caso era è usato al posto del congiuntivo trapassato fosse stata. Si tratta di una variante legittima, ma meno formale.
L’indicativo imperfetto, come si vede, può prendere il posto tanto del condizionale passato quanto del congiuntivo trapassato; è, del resto, quello che succede in una frase come “Se lo sapevo venivo” = ‘Se lo avessi saputo sarei venuto’.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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QUESITO:

Vorrei sapere se le seguenti frasi sono giuste:
1. Sul naso aveva una spruzzata di lentiggini, ma nel complesso somigliava a cento altre ragazze, se non che aveva degli occhi enormi e non era truccata.
2. Nessuno le si sedette accanto.
3. Pareva in un mondo tutto suo, isolata in una mare di occhi fissi su di lei.
4. Il secondo giorno arrivò vestita in modo sempre strano, ma diverso, e questa volta cantò…
5. Infatti in quella scuola erano tutti uguali: se per caso capitava di distinguersi, in un nanosecondo sarebbero tornati alla normalità.

 

RISPOSTA:

1. Il connettivo se non che è la sintesi di se non per il fatto che. Si può usare come fa lei (anche nella forma univerbata sennonché), anche senza che che abbia un aggancio preciso. Possibile, eventualmente, usare la variante completa se non per il fatto che.
2. Niente da segnalare.
3. Niente da segnalare.
4. Niente da segnalare.
5. La forma impersonale capitava non va bene in dipendenza dalla reggente con soggetto personale in un nanosecondo sarebbero tornati alla normalità. Si può correggere così: “Se per caso a qualcuno capitava di distinguersi, in un nanosecondo sarebbe tornato alla normalità”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Studiando gli schemi della consecutio temporum disponibili anche in rete, noto che in un rapporto di contemporaneità, la secondaria di una principale al condizionale passato si costruisce, a seconda del modo suggerito del predicato verbale (congiuntivo o indicativo), con l’imperfetto.
Ciò vale anche quando il suddetto condizionale ha valore di futuro nel passato?

Ad esempio:
1. Il ricordo avrebbe scandito per sempre l’esperienza che avrei vissuto, bella o brutta che fosse.

È valida? Sostituire il congiuntivo imperfetto con un altro condizionale passato sarebbe errato?
2. Il ricordo avrebbe scandito per sempre l’esperienza che avrei vissuto, bella o brutta che sarebbe stata.

 

RISPOSTA:

Come lei stessa nota, il modo verbale richiesto nelle subordinate è dovuto a ragioni sintattiche estranee alla consecutio temporum, sebbene con essa intrecciate. La proposizione bella o brutta che fosse è equivalente a o che fosse bella, o che fosse brutta, ovvero a una ipotetica (o condizionale) correlativa, che richiede il congiuntivo. Il congiuntivo imperfetto, del resto, ha il potere di proiettarsi nel futuro (si pensi a una frase come “Speravo che il giorno dopo mi chiamasse”).
Il condizionale passato sarebbe possibile se modificassimo leggermente la sintassi, trasformando la subordinata condizionale in relativa: che sarebbe stata bella o (sarebbe stata) brutta. Ovviamente, in questo modo si perde l’idea dell’ipotesi, dell’incertezza, e la prospettiva è rappresentata come un’alternativa fattuale. Questa scelta risulterebbe meno significativa, perché è scontato che le esperienze future siano fattualmente o belle o brutte (non c’è bisogno di esplicitarlo); meno scontato, invece, è che il parlante consideri in anticipo il ricordo legato all’esperienza futura duraturo (ma, sia detto a margine, la scelta del verbo scandire lascia un po’ perplessi) a prescindere dalla natura dell’esperienza.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Quanti errori ho commesso?

1) La sua spavalderia non gli permetteva di riflettere, di capire che dare libero sfogo agli istinti giovanili fosse una cosa; che [si può eliminare?] agire con sfrontatezza e leggerezza, invece, sarebbe diventato pericoloso.  
2) Riguardo all’inferno, disse che l’aveva considerato una punizione solo per gli adulti; e se tutte le ragazze che si comportavano come lei fossero finite all’inferno, per stare calde, non ci sarebbe stato bisogno del fuoco eterno. 
3) Sapevano che essere genitori comportasse anche subire grandi delusioni e provare forti dispiaceri. 
4) Quando i ragazzi cominciarono a guardarla con interesse, capì che stava andando nella giusta direzione; o meglio, che lei immaginava fosse quella giusta. 
5) Suor Teresa iniziò dicendo che il giorno dopo sarebbe partita per i ritiri spirituali e che [questo che si può togliere?] sarebbe stata assente per due giorni.   
6) Si consolò pensando che l’esame saltato, in definitiva, era / fosse stato una fortuna, anche se dal retrogusto amarissimo: gli aveva permesso di scoprire le bugie raccontategli.
7) In quel momento entrò la sua segretaria che, vedendolo in quello stato, gli chiese preoccupata… [le virgole si possono togliere?] 
8) Lo pestarono senza pietà, peggio di come lui aveva / avesse fatto con l’altro. 
 

RISPOSTA:

1) Il che si può togliere. Facendolo, però, la struttura della frase, e il suo significato, cambiano leggermente, perché sarebbe diventato pericoloso si configura non più come subordinata di di capire ma come coordinata alla principale.
2) Corretta. Qui l’assenza del che introduttivo di non ci sarebbe stato bisogno del fuoco eterno non cambia quasi niente, perché la proposizione non può che essere subordinata a disse
3) Corretta. Il congiuntivo imperfetto è usato secondo i modi della consecutio temporum per esprimere contemporaneità nel passato.
4) La seconda parte è poco coesa, perché che rimane a metà strada tra il pronome relativo e la congiunzione correlativa del primo che. Una possibile correzione è la seguente: o meglio, nella direzione che lei immaginava fosse quella giusta
5) Come la 2.
6) Corrette entrambe le varianti. Il congiuntivo è la soluzione più formale. Dopo i due punti si potrebbe aggiungere un segnale discorsivo per maggiore chiarezza: gli aveva, infatti, permesso di scoprire le bugie raccontategli.
7) Le proposizioni incidentali, come la gerundiva vedendolo in quello stato, richiedono le virgole di apertura e chiusura.
8) Corrette entrambe le varianti. Il congiuntivo è la soluzione più formale.
Raphael Merida 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se la forma della frase “Volevo chiederle se sarebbe possibile fare l’esame in forma scritta anziché orale” è corretta, o se invece bisogna usare il se fosse.

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Se sarebbe possibile non è la protasi di un periodo ipotetico, ma è una proposizione interrogativa indiretta retta da sapere. In questo tipo di proposizione si può usare il congiuntivo (quindi se fosse possibile), che è, anzi, la variante più formale, ma anche l’indicativo (se è possibile) e il condizionale, che serve ad attenuare la perentorietà della richiesta, rendendola più cortese.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1. Nella frase “Se pagassi rate mensili da 100 euro e la maxirata da 5000, alla fine dei tre anni l’auto mi costerebbe 8.600 euro” si potrebbe sostituire il condizionale presente con quello passato (“Se pagassi rate mensili da 100 euro e la maxirata da 5000, alla fine dei tre anni l’auto mi sarebbe costata 8.600 euro”), per accentuare l’idea di un effetto compiuto o di un’azione conclusa?
Tra le soluzioni costerebbesarebbe costatacosteràsarà costata, qual è preferibile?

2. La seguente frase è sintatticamente valida? “Tu torneresti a casa quando (nel momento in cui) io verrei a prenderti”. 
“Tu torneresti a casa quando io venissi a prenderti” è certamente corretta e, mi pare, sarebbe equiparabile a un periodo ipotetico, ma non restituirebbe la semantica che tenderei ad ascrivere alla precedente forma (semplificando: “Io – se potessi – verrei a prenderti e – in questo caso – tu torneresti a casa”). 

3. “Tanto più tempo avrebbe atteso, quanto più improbabile sarebbe stato che avrebbe parlato con il professore”. È corretto il terzo condizionale, anche in riferimento a essere improbabile che per indicare la posteriorità dell’azione? L’alternativa “Tanto più tempo avrebbe atteso, quanto più improbabile sarebbe stato che parlasse con il professore” ne avrebbe invece indicato la contemporaneità?

4. “Non siamo certi del programma: o verrei a prenderti io in mattinata o passerebbe Giulia nel primo pomeriggio”. Fermo restando che varianti quali passerò / passo io o passerà / passa Giulia… e potrei passare io oppure Giulia… sarebbero più efficaci, l’esempio indicato è accettabile?

5. Muovo da un articolo presente nel vostro archivio: “Se ci fosse un’emergenza, il personale sarebbe infatti pronto ad applicare il protocollo, perché sarebbe stato / è stato / sarà stato precedentemente formato per fronteggiare ogni criticità”.
Non riesco ad afferrare la ragione secondo la quale il condizionale passato non è del tutto accettabile. Il passato prossimo è, a mio modestissimo parere, effettivamente valido se, nell’introdurre la subordinata, indica certezza e fa riferimento a un evento anteriore all’enunciazione. Il futuro anteriore si potrebbe quindi impiegare, sempre per indicare certezza (per quanto possa essere certo il futuro), per
sottolineare che l’evento è successivo, anziché anteriore, all’enunciazione. Mi domando se l’accettabilità non piena del condizionale passato abbia ragioni logiche (legate all’esempio proposto e alle sue implicazioni semantiche) oppure attinga a ragioni strettamente sintattiche. 

 

RISPOSTA:

1. La variante con il condizionale passato è corretta e legittima, sebbene improbabile da incontrare. Il condizionale passato accentua l’idea che il pagamento delle rate non si verifichi e che, quindi, ci sia la possibilità che l’acquisto non si concretizzi. Per questo motivo è più facile incontrarlo con il congiuntivo trapassato (se avessi pagato… l’auto mi sarebbe costata). Il congiuntivo trapassato, però, è possibile soltanto se l’emittente sappia in anticipo che non pagherà le rate, per esempio perché sta immaginando uno scenario che si sarebbe realizzato se avesse fatto una scelta diversa, ormai impossibile. Il condizionale passato, invece, rimane valido anche in relazione al congiuntivo presente. Il futuro semplice e il futuro anteriore sono anche alternative possibili, tutte dotate di una specifica sfumatura e difficili da graduare in base alla formalità. Per un approfondimento sul rapporto tra futuro semplice e anteriore in un contesto analogo si veda la risposta 2800177 dell’archivio di DICO.

2. Bisogna distinguere le interrogative dirette e indirette introdotte dall’avverbio quando e le temporali introdotte dalla congiunzione quando. Le prime possono avere il condizionale: Quando vorresti partire?; dimmi quando vorresti partire. Le seconde possono avere l’indicativo e il congiuntivo (con sfumatura ipotetica), ma non il condizionale. Nella sua frase, quando introduce una temporale ipotetica, che, quindi, richiede il congiuntivo venissi. Anche se inserissimo una protasi esplicita, la situazione non cambierebbe: “Tu torneresti a casa quando, se io volessi, venissi a prenderti”. 
 
3. Vanno bene sia la variante con il condizionale passato sia quella con il congiuntivo imperfetto. Il congiuntivo è preferibile perché consente di evitare la stranezza della ripetizione dei condizionali. Del resto, con il congiuntivo non si perde l’idea del futuro, che è implicita nella frase.

4. La frase è corretta. I condizionali si giustificano come strategia attenuativa (passerei io implica una protasi del tipo se è possibile).

5. La non piena accettabilità del condizionale passato è dovuta proprio alla logica interna della frase, non a ragioni generali. Come detto nella risposta 2800361 dell’archivio di DICO, a cui lei fa riferimento, si dà per scontato che il personale medico sia stato formato per fronteggiare le emergenze prima dell’insorgere delle emergenze, nonché prima del momento dell’enunciazione (prima di entrare in servizio, cioè), e quindi il tempo più indicato sia proprio il passato prossimo. Una frase che descriva una situazione diversa ammetterebbe sia il futuro anteriore sia il condizionale passato. Per esempio: “Sto seguendo un corso di primo soccorso, così, se ci fosse un’emergenza, sarei pronto ad aiutare le persone in difficoltà, perché sarei / sarò stato formato per questo scopo”. In questo caso l’indicativo futuro indicherebbe la mia certezza di essere formato; il condizionale seguirebbe la logica della conseguenza possibile .
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

È corretta l’alternanza di tempi passati (passato prossimo  / passato remoto) all’interno di uno stesso testo?
Es.: “L’altro giorno ho incontrato Marcella all’uscita di casa. Marcella è la ragazza che due anni fa lasciò il suo compagno e che tentò di dimenticarlo, ma non ci riuscì. Io le ho consigliato di essere più riflessiva”.

 

RISPOSTA:

A una domanda molto simile abbiamo già risposto (legga questa risposta  dell’archivio di DICO). In quel caso l’alternanza era ingiustificata; nel suo caso, invece, i due tempi possono convivere perché rappresentanti due piani temporali diversi. In considerazione della funzione dei due tempi, comunque, consiglio di usare il passato remoto soltanto in riferimento all’evento della separazione: “Marcella è la ragazza che due anni fa lasciò il suo compagno e che ha tentato di dimenticarlo, ma non ci è riuscita”. Il processo del tentativo di dimenticare e il suo risultato sono, infatti, psicologicamente legati al presente, quindi sono meglio costruiti con il passato prossimo. Per la verità, anche l’evento della separazione può essere efficacemente rappresentato con il passato prossimo, proprio perché ancora vivo nel presente: l’uso del passato remoto comporta, in questo caso, un effetto di allontanamento psicologico di quell’evento dal presente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

La frase che segue è corretta?
“Sai che dopo il check-in, anziché mettermi in prima classe fui collocata in seconda a causa di un errore del personale?”.

 

RISPOSTA:

La frase non è corretta. L’uso dell’infinito (in questo caso mettermi) presuppone che il soggetto del verbo (in questo caso il personale) coincida con quello della proposizione reggente (in questo caso io). Non è difficile correggere la costruzione, modificando il soggetto della proposizione reggente o quello della subordinata all’infinito (di tipo avversativo). Nel primo caso avremo “Sai che dopo il check-in, anziché mettermi in prima classe, il personale mi collocò in seconda a causa di un errore?”; nel secondo “Sai che dopo il check-in, anziché essere messa in prima classe, fui collocata in seconda a causa di un errore del personale?”. Si noti anche che ho aggiunto la virgola tra la subordinata preposta alla reggente e la reggente; regola, comunque, non rigida.
La scelta tra la prima e la seconda soluzione dipenderà dall’informazione che si vuole mettere in evidenza: la variante con il soggetto il personale suona molto più accusatoria nei confronti di questa categoria, che è, invece, lasciata in secondo piano nella variante con io soggetto passivo. 
​Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Il seguente periodo è ben costruito?
“Lei non si era opposta a lui quando, in primavera, benché già sconfitto, le aveva comunicato la sua intenzione di abbandonare il progetto”.
In specie, nella proposizione concessiva sarebbe meglio essere più chiari esplicitando il soggetto (lui)?
“Lei non si era opposta a lui quando questo / quest’ultimo / egli / lui, in primavera, benché già sconfitto, le aveva comunicato la sua intenzione di abbandonare il progetto”.
Oppure:
“Lei non si era opposta a lui quando, in primavera, benché già sconfitto, questo / quest’ultimo / lui / egli le aveva comunicato la sua intenzione di abbandonare il progetto”.
E comunque, una subordinata può precedere la principale?

 

RISPOSTA:

Una subordinata implicita deve avere sempre lo stesso soggetto della reggente quando sia costruita con il gerundio o l’infinito. Questa regola serve a garantire la riconoscibilità del soggetto laddove il verbo della proposizione non ha tratti morfologici che rimandi a esso. L’eccezione, comunque codificata, delle proposizioni rette da verbi di comando o di percezione, nei quali il soggetto coincide non con il soggetto della reggente, ma con il complemento oggetto o indiretto (“Ti ordino di andare”; “L’ho visto cadere”) è possibile proprio perché mantiene la riconoscibilità del soggetto dell’infinito. 
I participi presente e passato, che pure sono modi indefiniti, possiedono il tratto morfologico della desinenza, che consente di recuperare facilmente il soggetto nel caso in cui ci sia un solo possibile candidato a questo ruolo, come nella sua frase. Quando ci sia questa condizione, quindi, non è necessario esplicitare il soggetto della subordinata. 
Diverso sarebbe il caso se i soggetti possibili fossero più di uno: “Lui non si era opposto all’altro quando, in primavera, benché già sconfitto, gli aveva comunicato la sua intenzione di abbandonare il progetto”. Come si può notare, in una frase siffatta non è possibile stabilire chi sia sconfitto ed è, quindi, necessario esplicitare il soggetto di sconfitto in qualche modo, per esempio con un pronome. Si noti che le sue soluzioni non risolvono il problema (ma vanno comunque bene perché nel suo caso il problema non c’è). L’esplicitazione del soggetto, se necessaria, va fatta all’interno della subordinata, che quindi deve essere trasformata in esplicita; per esempio così: “Lei non si era opposta a lui quando, in primavera, benché lui fosse già sconfitto, le aveva comunicato la sua intenzione di abbandonare il progetto”.
Tra i pronomi possibili, vanno considerati anche questi, che è la variante più formale di questo e va usato preferenzialmente come soggetto, e costui, molto formale, tanto da suonare affettato in un contesto medio. Ormai antiquato, ma ancora possibile, è egli
Possibile, inoltre, anche sostituire sua con propria, per sottolineare che l’intenzione sia del soggetto.
La posizione delle subordinate, infine, è piuttosto libera per le proposizioni dette avverbiali, di cui fa parte la concessiva. Posposte alla reggente sono di norma le completive (*”Chi era ti ho chiesto”) e obbligatoriamente le relative (*”Ho quasi finito che mi hai prestato il libro”).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Sono corrette le seguenti frasi?
1) Qualora lo desiderasse / avesse desiderato, le avrebbe procurato due inviti. 
2) La testa della ragazzina elaborava le novità in un modo tutto suo e come prima cosa le venne in mente se questa situazione le avrebbe portato, oltre al mal di pancia, anche qualche vantaggio.                                                              
3) Abituata a camminare a braccetto con i guai, si fece coraggio pensando che ormai la bomba era scoppiata, pertanto non sarebbe potuta esplodere un’altra volta.
4) Quando le gemelle salutarono Annarosa con un bacio, lei credette che fosse stato più sincero quello che Giuda diede a Gesù.
5) I pensieri rivolti alle persone care, ai gesti quotidiani e a tutto ciò che fino allora aveva dato per scontato che avrebbe avuto attorno a se le fecero capire l’importanza di quello che stava perdendo.                                            
6) Prese la palla al balzo e le disse che se avesse voluto, lui avrebbe potuto aiutarla.                                                                      
7) Marco non aveva sopportato che il loro rapporto fosse avvelenato dalla gelosia.                                                      
8) Marco le disse che fosse normale avere sensi di colpa dopo tragedie così grandi e che ogni sua decisione era stata dettata dall’amore verso di loro e dall’istinto materno.

 

RISPOSTA:

1) Se si mantiene il congiuntivo imperfetto (desiderasse), nell’apodosi ci si aspetta il condizionale presente: “Qualora lo desiderasse, le procurerebbe i biglietti”. Il condizionale passato (avrebbe procurato) non è impossibile: rende la condizione più concreta.
2) Corretta. Il condizionale passato avrebbe portato esprime l’idea di futuro nel passato.
3) Come 2).
4) Va bene. Il congiuntivo trapassato (fosse stato) indica anteriorità rispetto al momento di riferimento (credette).
5) Va bene. È necessario accentare il . In questo caso avrebbe avuto indicaun evento successivo rispetto ad aveva dato per scontato.
6) In questo caso il condizionale passato avrebbe potuto somma in sé l’idea della posteriorità rispetto al momento di riferimento (avesse voluto) e quella della conseguenza rispetto a una condizione al congiuntivo passato. A sua volta, il congiuntivo passato avesse voluto si giustifica in parte perché all’interno della protasi del periodo ipotetico, in parte perché anteriore rispetto a disse.
7) Corretta. L’imperfetto fosse indica contemporaneità nel passato.
8) Corretta. In dipendenza da dire l’indicativo è più comune del congiuntivo (disse che era normale).
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei chiedere una mano a proposito della concordanza.
1) In questa frase per me vanno bene le due forme:
Dubitavo che Marta capisse / avesse capito cio che le avevi detto.
2) In questa frase vanno bene entrambe le forme?
Benché avesse / avesse avuto tutto cio che voleva, non era mai contento.
3) E in questa frase è giusto usare il trapassato anche se vogliamo esprimere contemporaneità con la reggente?
Pensai che loro (prima) avessero sbagliato quando (= contemporaneità) ti avevano dato quell’informazione.
4) E in generale: purché si usa come se?

 

RISPOSTA:

1) Entrambe le forme sono corrette: a cambiare è il rapporto temporale tra reggente e subordinata. L’imperfetto (capisse) è contemporaneo nel passato a dubitavo; il trapassato (avesse capito) esprime l’anteriorità dell’evento rispetto a dubitavo.
2) Come per 1).
3) Anche se l’evento del dare l’informazione è contemporaneo rispetto a quello dello sbagliare, il trapassato (avevano dato) è l’unica scelta. Questo per due motivi: da una parte l’evento del dare entra in relazione con avessero sbagliato, ma anche con il verbo della principale (pensai), rispetto al quale è precedente. Dall’altra parte, l’indicativo è più svincolato dalla consecutio temporum rispetto al congiuntivo. 
4) Su purchè la invito a leggere questa risposta  dell’archivio di DICO. Inoltre, nell’archivio di DICO può leggere altre risposte sulla consecutio temporum.
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

La costruzione potrebbe darsi che, ma anche quella può darsi che, è compatibile con il modo condizionale, specie quando si abbia una protasi ipotetica implicita? 
Esempio: “Potrebbe darsi / può darsi che sceglierei di rimanere a casa (se fosse organizzato uno sciopero)”.
Sarebbe comunque possibile, anche in questo caso, optare per il congiuntivo, oppure ne risentirebbe il senso generale? “Potrebbe darsi / può darsi che stia a casa (se fosse organizzato uno sciopero)”.
Rimanendo nell’àmbito del condizionale, tra le tre forme sotto riportate, quale/i consigliate e quale/i no?
1. La domanda che hai appena fatto dovrebbe essere posta a un’altra persona.
2. La domanda che hai appena fatto andrebbe posta a un’altra persona.
3. La domanda che hai appena sarebbe da porre a un’altra persona.

 

RISPOSTA:

La costruzione impersonale può darsi (o potrebbe darsi) regge una proposizione completiva soggettiva che può essere costruita anche con il condizionale: la frase, quindi, va bene tanto con può darsi quanto con potrebbe darsi. Con una protasi al congiuntivo imperfetto (se fosse organizzato uno sciopero), comunemente si avrebbe il condizionale nell’apodosi, perciò “Se fosse organizzato uno sciopero, potrebbe darsi che sceglierei di rimanere a casa”. Possibile, però, anche l’indicativo (“Se fosse organizzato uno sciopero, può darsi che sceglierei di rimanere a casa”), che sottolineerebbe la concretezza della possibilità (in parte prescindente dall’evento dell’organizzazione dello sciopero).
Come si è detto, il condizionale della soggettiva (sceglierei) è previsto dal tipo di proposizione, ma è meno formale della variante al congiuntivo (“Può / Potrebbe darsi che scelga di rimanere a casa”). 
D’altro canto, però, il condizionale è favorito dalla logica, che induce il parlante a considerare proprio sceglierei l’apodosi del periodo ipotetico, trascurando la reggente potrebbe darsi, che in effetti, in quanto al contenuto, è assimilabile a un avverbio: “Se fosse organizzato uno sciopero, forse sceglierei di rimanere a casa”.
Le proposizioni soggettive, oltre al congiuntivo e al condizionale, prevedono anche l’uso dell’indicativo, che certamente è la soluzione meno formale fra le tre: “Può / Potrebbe darsi che scelgo di rimanere a casa”.
Le frasi conclusive sono tutte ben formate e sostanzialmente equivalenti in quanto al senso. Tutte e tre veicolano in modi diversi l’idea di dovere (il verbo modale dovere, il verbo andare con funzione di ausiliare, la costruzione sintattica essere + proposizione relativa implicita).
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

1. Vorrei chiedere aiuto a proposito delle frasi relative. In questa frase è obbligatorio l’uso del congiuntivo?
“Un insegnante che voglia / vuole essere veramente efficace nel suo lavoro deve anzitutto saper ascoltare”.

2. In quest’altra frase, seguendo le regole del consecutio temporum non si dovrebbe usare l’imperfetto?
“L’insegnante ha convocato i genitori di Mattia perché sappiano / sapessero qual è la situazione scolastica del figlio”.

3. In questa frase e obbligatorio l’uso del congiuntivo passato? Il congiuntivo presente è sbagliato?
“Martina non può uscire prima che il bambino non si sia addormetato”.

4. In questa frase non sarebbe meglio usare il trapassato?
“Abbiamo trascorso una bella giornata e la visita al museo è stata più interessante di quanto ci aspettassimo / ci fossimo aspettati”.

5. In questa frase non capisco l’uso del trapassato. Non sarebbe piu logico con un passato prossimo?
“Frequentando un corso estivo di tedesco in Germania, Carlo *aveva imparato* più di quanto avesse imparato negli anni precedenti a scuola”.

6. In questa frase che senso hanno i trapassati?
“Nonostante fosse rimasto a casa tutto il giorno, Andrea non aveva studiato”.

7. In questa frase sono corretti sia l’imperfetto sia il trapassato?
“Renè riusciva quasi sempre a prendere il treno, nonostante ______________ (uscire) di casa sempre all’ultimo momento”.

 

RISPOSTA:

1. Sono adatti sia l’indicativo sia il congiuntivo. Nelle subordinate relative, il congiuntivo, oltre a essere la scelta più formale, aggiunge una sfumatura semantica di ipoteticità. Che vuole descrive una qualità posseduta dall’insegnante; che voglia suggerisce che questa qualità può essere posseduta o no. Con il congiuntivo, in altre parole, la relativa si può quasi leggere come la protasi di un periodo ipotetico: un insegnante, qualora voglia… È anche possibile usare il congiuntivo imperfetto, per rendere la possibilità ancora meno concreta: un insegnante che volesse… dovrebbe.
2. Il passato prossimo della proposizione reggente può essere interpretato in due modi, focalizzando il momento in cui l’azione del convocare è avvenuta, nel passato, oppure considerando l’effetto del convocare, che è presente. Nel primo caso la finale prenderà il congiuntivo imperfetto, nel secondo il presente. Si consideri che l’interpretazione più comune sarebbe la seconda.
3. Possono andar bene entrambi i tempi del congiuntivo. Con il presente si sottolinea la contemporaneità tra i due eventi, con il passato l’anteriorità dell’addormentarsi rispetto all’uscire. Nella frase c’è una negazione di troppo; ecco la forma più corretta: “Martina non può uscire prima che il bambino si sia addormetato”. 
4. Come per la 3.
5. Il trapassato è corretto se c’è sottinteso un momento di riferimento passato; per esempio: “Carlo aveva imparato più di quanto avesse imparato negli anni precedenti a scuola (e per questo superò brillantemente l’esame)”. Senza il momento di riferimento, il tempo da scegliere è il passato remoto (o prossimo).
6. Come per la 5. Ci deve essere un momento di riferimento passato sottinteso rispetto al quale i due eventi sono precedenti.
7. Il trapassato è scorretto perché l’evento dell’uscire è descritto come abituale nel passato; il tempo da inserire, pertanto, è l’imperfetto uscisse. Il trapassato sarebbe adatto in questa frase: “Renè riuscì a prendere il treno, nonostante fosse uscito di casa all’ultimo momento”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase, ricavata da un romanzo, “Aveva l’aria di uno che vuole sapere che cosa gli sarebbe accaduto”, l’autore non avrebbe fatto meglio a sostituire il condizionale passato con il futuro semplice, dato che il verbo della subordinata è al presente?
Al suo posto, avrei infatti scritto: “Aveva l’aria di uno che vuole sapere che cosa gli accadrà”.
Il condizionale passato, a mio modesto avviso, sarebbe stato giustificato in presenza di un verbo al passato, fosse esso del modo congiuntivo o dell’indicativo.
E infine, tra le tre frasi che seguono quale consigliate per un contesto formale?
L’ultima, all’indicativo presente, è accettabile?
“Marco pensò al peggio, come uno che non abbia tempo da perdere”;
“Marco pensò al peggio, come uno che non avesse tempo da perdere”;
“Marco pensò al peggio, come uno che non ha tempo da perdere”.

 

RISPOSTA:

La sua osservazione è corretta: in dipendenza da un presente il futuro si esprime con il futuro (o anche con il congiuntivo presente: “Vuole sapere che cosa gli succeda domani”), mentre in dipendenza da un passato si usa il condizionale passato. In questo caso, però, non sarei così netto nel condannare la scelta dell’autore. Tutto sommato, infatti, il presente vuole sapere non serve a portare la linea temporale degli eventi al presente, visto che la narrazione è al passato. Serve, invece, a dare una dimensione atemporale alla descrizione, come per richiamare nel lettore la consapevolezza che quella reazione evidenziata nel personaggio è, in realtà. comune in ogni tempo e in ogni luogo. Con il condizionale passato, quindi, lo scrittore ritorna alla linea temporale effettiva, che è passata, trascurando l’accidente della reggenza al presente. 
Questo è uno di quei casi in cui la regola grammaticale cede il passo all’espressività linguistica.
Per quanto riguarda le tre frasi che lei propone, la prima e la terza sono equivalenti per il significato, ma quella con l’indicativo è meno formale. La seconda sottolinea che la descrizione è relativa a Marco in particolare, diversamente da quelle al presente, che sono atemporali, quindi suggeriscono che lo stesso atteggiamento è potenzialmente riscontrabile in chiunque.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

​A proposito del congiuntivo: la congiunzione purché si usa come se?  
“Sarei andato in macchina, purché (= se) avessimo diviso le spese” (contemporaneità nel passato);
“Andrei in macchina purché dividessimo le spese”
In questo contesto perché si usa il trapassato. Non basta il congiuntivo passato?
– Giorgio ieri sera ha fatto dei discorsi strani.
– Anche a me e sembrato che il suo comportamento non fosse normale.
– Che avesse bevuto troppo? (oppure Che abbia bevuto troppo?)

Qui invece del trapassato dell’indicativo si usa il trapassato del congiuntivo?
– Luisa non mi parló del suo progetto di cercare un altro lavoro.
– Che avesse cambiato idea?
E anche qui?
– Franco ha ripetuto ciò che mi aveva detto Giulio.
– Che si fossero messi d’accordo?

 

RISPOSTA:

La congiunzione purché è quasi sempre usata nel periodo ipotetico, come semplice variante di se, rispetto alla quale veicola una sfumatura restrittiva. Nella sua frase, per esempio, purché si può parafrasare con ‘soltanto se, soltanto nel caso in cui’.
Ha, però, anche un uso specifico, condizionale-restrittivo, con il quale indica la condizione che deve realizzarsi (o avrebbe dovuto realizzarsi) perché un evento possa verificarsi (o avesse potuto verificarsi). Quando è usata con questa funzione in riferimento a eventi presenti o futuri, non può essere sostituita perfettamente da se; ad esempio: “Farò come tu vuoi, purché tu me lo chieda per favore”. Se proviamo a sostituire purché con se in questa frase, otteniamo un risultato al limite dell’accettabilità: *”Farò come tu vuoi, se tu me lo chieda per favore”. Si noti anche che qui purché è preferibilmente preceduta dalla virgola, perché il legame logico tra condizione e conseguenza è percepito come meno diretto di quello tra ipotesi e conseguenza. Al passato, la specificità di purché si annulla in ogni caso, perché la condizione viene a confluire automaticamente nell’ipotesi: “Avrei fatto come tu volevi, purché / se tu me lo avessi chiesto per favore”. Si noti, però, che anche in questo caso purché richiede la virgola più fortemente di se.

Le proposizioni interrogative che esprimono un dubbio richiedono, come nota lei, il congiuntivo. Possiamo considerare queste proposizioni subordinate a una reggente sottintesa come è possibile… La sua prima frase, quindi, equivale a: “È possibile che abbia / avesse bevuto troppo”. Dal momento che l’evento del bere sarebbe avvenuto prima di un altro evento passato, corrispondente al comportamento non normale, il tempo può essere trapassato. Il passato non sarebbe comunque scorretto, perché l’evento del bere può essere rappresentato come semplicemente passato, senza il riferimento alla precedenza rispetto al comportamento non normale. In 4 la scelta del tempo del congiuntivo modifica sostanzialmente il senso della frase: “Che abbia cambiato idea?” implica che il cambiamento di idea sia ancora attuale, mentre “Che avesse cambiato idea?” lo riferisce solamente al passato (il che, però, non esclude che sia ancora attuale).
Fabio Ruggiano 
Raphael Merida 

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Il verbo pensare presenta delle difficoltà di non facile soluzione. In molti casi non ci sono dubbi: “io penso a lei”, “io penso bene di lei”. Quando, però, il verbo pensare è seguito da un verbo all’infinito, sorgono dubbi.
Faccio degli esempi: “Lui pensa a vendere la macchina” ben diverso da “Lui pensa di vendere la macchina”. Nel primo caso s’intende che lui si occupa della vendita della macchina, nel secondo caso lui è dell’idea di vendere la macchina. Altri esempi: “Lui pensa a lavorare bene” contrapposto a ” Lui pensa di lavorare bene”. Nel primo caso lui s’impegna a lavorare bene, nel secondo caso lui ritiene di lavorare bene. La differenza non è sottile. Altro esempio: “Lui pensa a trovar moglie” e “Lui pensa di trovare moglie”. Nel primo caso lui si dà da fare nella ricerca di una moglie, nel secondo caso lui pensa che troverà una moglie. Anche qui sono due concetti ben diversi. In altri casi la differenza è invece minima,
impercettibile: “Lui pensa a lasciare l’incarico”; ” Lui pensa di lasciare l’incarico”.
Ora  le chiedo: le risulta che esista una regola nell’utilizzo del verbo pensare?
Quando pensare a e quando pensare di

 

RISPOSTA:

Il verbo pensare seguito da una proposizione completiva all’infinito ammette una duplice reggenza preposizionale (sebbene in questo caso le preposizioni fungano da congiunzioni) in grazia del suo significato molto ampio; le due preposizioni, cioè, selezionano ciascuna una diversa parte del significato del verbo, coerente con la propria funzione. La a, che è la preposizione della direzione, seleziona il significato più fattivo del verbo, quello relativo al trovare, grazie al pensiero, il modo per raggiungere un obiettivo (quindi ‘progettare’, ma anche ‘adoperarsi per’). La preposizione di, invece, che instaura relazioni di pertinenza, anche riguardo all’argomento (discutere di politica), seleziona il significato più contemplativo: ‘ponderare, riflettere, valutare’. La reggenza di di, si noti, è limitata ai casi in cui pensare regga una proposizione completiva all’infinito; per il resto la preposizione selezionata è a.
Pensare può essere anche transitivo, e reggere un nome o un pronome: pensare una soluzioneche cosa ne pensi?, o una proposizione: pensa quanto ci divertiremo domani. In questi casi il verbo assume il suo significato più generico: ‘immaginare, formare un giudizio nella mente’. Si noti che l’ultima frase (pensa quanto ci divertiremo domani) può essere costruita anche con la preposizione / congiunzione apensa a quanto ci divertiremo domani, senza che questo faccia scattare il significato di ‘progettare’ o quello di ‘occuparsi di’. Questo avviene perché tale specializzazione si attiva quando sono possibili entrambe le costruzioni, con a e con di, ovvero quando la proposizione completiva è all’infinito. Negli altri casi, quando di è esclusa, la a non aggiunge una sfumatura particolare al significato generico del verbo.
Quando pensare è seguito da un nome, regge preferenzialmente a e a volte, come si è visto, è transitivo. Non regge mai di (ma è possibile, quando è transitivo, farlo seguire da un complemento di argomento: che ne pensi di Luca?​). Seguito da un nome, pensare può oscillare tra un significato più fattivo e uno più contemplativo; la specializzazione semantica, in questi casi, si coglie dal senso della frase: penso io alla cena = mi occupo io della cenapenso ancora alla cena di ieri = rifletto ancora sulla cena di ieri.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le frasi sotto indicate sono tutte corrette?
1. Spero che da ora alla fine del 2021 i dati economici migliorino.
2. Spero che da ora alla fine del 2021 i dati economici siano migliorati.
3. Spero che da ora alla fine del 2021 i dati economici miglioreranno.
4. Spero che da ora alla fine del 2021 i dati economici saranno migliorati.

 

RISPOSTA:

Le proposizioni oggettive esplicite, nelle frasi introdotte da che, ammettono sia l’indicativo sia il congiuntivo. La costruzione della frase, però, ammette soltanto le frasi 1. e 3. La scelta tra le due va fatta in base al contesto comunicativo: l’indicativo (miglioreranno) è la variante meno formale, il congiuntivo (migliorino) quella più formale. Si può anche immaginare una variante ancora meno formale, se non proprio trascurata: “Spero che da ora alla fine del 2021 i dati economici migliorano”.
Le frasi 2. e 4. risultano incoerenti. Il congiuntivo passato (siano migliorati) indica anteriorità rispetto al verbo della reggente; ciò vuol dire che al momento dell’enunciazione il fatto è già accaduto. Potremmo avere la soluzione con il congiuntivo passato in una situazione rivolta al presente (“Spero che i dati economici siano migliorati”), in cui si spera che i dati economici siano migliorati in un momento del passato. 
Il futuro anteriore indica anteriorità rispetto al futuro, mentre nella frase il punto di riferimento del cambiamento è attuale, sebbene proiettato al futuro (da ora alla fine del 2021).
Le frasi 2. e 4. divengono coerenti se posizioniamo il riferimento al futuro, invece che da ora al futuro: “Spero che alla fine del 2021 i dati economici siano / saranno migliorati”. In questo modo, il futuro anteriore assume la sua funzione propria di descrivere un evento precedente rispetto al futuro (la fine del 2021); il congiuntivo passato, a sua volta, diviene possibile perché l’emittente può spostare mentalmente il suo punto di vista alla fine del 2021 e osservare il cambiamento come passato rispetto a quel momento.
Anche con il cambiamento del riferimento temporale le frasi 1. e 3. rimangono valide (“Spero che alla fine del 2021 i dati economici migliorino / miglioreranno”), ma cambiano di significato: passano, infatti, a indicare che il cambiamento è ipotizzato a partire dalla fine del 2021.
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere se le due varianti di ognuna delle coppie di frasi presentate si differenziano a livello di formalità: 
  
1a. Non sono io a dover rispondere. 
1b. Non sono io che devo rispondere.

2a. Lei mi prese la mano.  
2b. Lei prese la mia mano. 

 

RISPOSTA:

​Nella prima coppia, la soluzione con la subordinata implicita è più formale. Essa ha il vantaggio di nascondere il problema dell’accordo del verbo con il soggetto della subordinata (detta pseudorelativa). Se si considera attentamente, infatti, il che che introduce la subordinata è a metà strada tra la prima e la terza persona, come se ci fosse un colui (o quello o simili) sottinteso: “Non sono io (colui) che deve rispondere”. A riprova di questo, se capovolgiamo le posizioni del soggetto e del verbo essere nella proposizione reggente colui diventa obbligatorio, e di conseguenza l’accordo del verbo della subordinata è alla terza persona: “Io non sono colui / quello / la persona che deve rispondere”. La concordanza alla terza persona, che in presenza di colui è obbligatoria, è, però, innaturale senza colui, quindi preferiamo concordare il verbo “logicamente” con io, oppure aggirare il problema con l’infinito.
Nella seconda coppia, la variante con l’aggettivo possessivo è decisamente poco comune e formale, tanto da essere adatta a uno scritto letterario ed essere, invece, da evitare in qualsiasi altra sede. Si pensi a quanto suonerebbe ironica tale costruzione associata a un evento quotidiano: “Il parrucchiere taglia i miei capelli”. Se, però, rendiamo la frase più aulica, ecco che la costruzione diviene accettabile: “Il parrucchiere acconciò la mia chioma con maestria”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le seguenti costruzioni ellittiche (tra parentesi le parti omesse) sono accettabili?

1) Aveva preso l’autostrada, (aveva) pagato il pedaggio, (aveva) raggiunto il lavoro. 
2) Le lampade erano state spente e la musica (era stata) abbassata. 
3) Lunghi pomeriggi d’estate, (noi/essi) distesi sulla spiaggia o sognanti sul molo. 
4) Non era bello; ma, tuttavia, (era) affascinante.

 

RISPOSTA:

​Le frasi 1) e 4) sono ben formate. In una sequenza di più participi costruiti con lo stesso ausiliare si esprime, generalmente, soltanto quello iniziale. 
Se gli ausiliari sono diversi, anche nel caso in cui cambi soltanto la persona, come in 2), è preferibile esplicitarli tutti: “Le lampade erano state spente e la musica era stata abbassata”. L’ellissi dell’ausiliare nel caso in cui cambi solamente la persona è accettabile nel parlato o in uno scritto non sorvegliato. 
In 3) l’ellissi del soggetto è da evitare, altrimenti distesi sognanti viene concordato con lunghi pomeriggi e la frase cambia di senso. Quindi: “Lunghi pomeriggi d’estate, noi / loro distesi sulla spiaggia o sognanti sul molo”. Sarebbe possibile non esprimere il soggetto se la frase continuasse con un verbo di modo finito; ad esempio: “Lunghi pomeriggi d’estate; distesi sulla spiaggia o sognanti sul molo rimanevamo / rimanevano ore ad aspettare il tramonto”. Come si vede, anche in questo caso è meglio separare i due blocchi della frase con un punto e virgola o un punto fermo, in modo da prevenire l’ambiguità del riferimento di distesi sognanti.
Raphael Merida
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho scritto la seguente frase umoristica su Facebook: “Certi individui attraversano la strada con un dinamismo vitale e una ‘joie de vivre’, al cui confronto Frankestein sembra un ginnasta dell’antica Atene”.
Dopo qualche ora mi è sorto il dubbio che quella virgola, l’unica presente nel testo, non dovesse essere posta. Solo che ormai tutti hanno letto e perciò temo di aver rovinato la reputazione di discreto scrittore che ho costruito con fatica. 

 

RISPOSTA:

Nella frase la virgola non è richiesta perché la proposizione relativa introdotta da al cui confronto è di tipo limitativo, non esplicativo. Questa relativa è parte integrante dell’antecedente (un dinamismo vitale e una ‘joie de vivre’), che non ne può fare a meno; se, infatti, proviamo a eliminarla, il risultato risulta incompleto: “Certi individui attraversano la strada con un dinamismo vitale e una ‘joie de vivre'”. Si veda, invece, come cambia il rapporto tra reggente e relativa se rendiamo l’antecedente autonomo:  “Certi individui attraversano la strada con un certo dinamismo vitale e una certa ‘joie de vivre'”; in questo caso la relativa, che pure può seguire, andrà preceduta da virgola, perché è esplicativa, aggiuntiva, non limitativa, ovvero identificativa dell’antecedente. 
Per approfondire questo argomento può consultare diverse risposte nell’archivio di DICO (per esempio la FAQ  Usi testuali della virgola).
Va detto che la sua frase presenta un problema di coesione tipico del parlato, da evitare nello scritto: il riferimento di al cui confronto sarebbe un dinamismo vitale e una ‘joie de vivre’, non certi individui. Nella frase, quindi, si confronta Frankenstein al modo di camminare di certi individui, mentre il confronto può essere fatto o tra il modo di camminare di Frankenstein e il modo di camminare di certi individui, o tra Frankenstein e certi individui che camminano in un certo modo. Il senso della frase è comunque chiaro, ma il testo risulta sconnesso.
Un modo semplice per riconnettere i due termini del confronto è questo: “Certi individui attraversano la strada con un dinamismo vitale e una ‘joie de vivre’ al cui confronto il modo di camminare di Frankestein sembra quello di un ginnasta dell’antica Atene”. Chiaramente, in questo modo la frase è meno diretta e probabilmente fa meno ridere, ma la coesione è migliore. In ogni caso, la relativa rimane limitativa, quindi senza virgola.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Richiedo il vostro parere sulla correttezza di questa frase: “Vi informo che il veicolo, abbia subito un danno”.
Sarebbe più corretto scrivere “Vi informo che il veicolo ha subito un danno”?

 

RISPOSTA:

La frase ha certamente un difetto, che è la virgola prima di che, da eliminare. Si può, inoltre, discutere su quale modo verbale sia meglio usare nella subordinata completiva. Quasi sempre le proposizioni completive ammettono l’alternanza tra indicativo e congiuntivo (penso che tu sei mio amico / penso che tu sia mio amico). In questi casi il congiuntivo si configura come la soluzione più formale, e il senso della frase non è intaccato dalla scelta. Nella sua frase, invece, il senso è talmente oggettivo da preferire senz’altro l’indicativo, in quanto modo della fattualità. Non si può giudicare Vi informo che il veicolo abbia… sbagliata, ma Vi informo che il veicolo ha… è più naturale ed è adatta a tutti i contesti.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Sono corrette queste frasi?

1. Se rappresentava il compenso per una settimana di lavoro, lo considerava inadeguato; se invece fosse stato un regalo per le sue prestazioni sullo yacht, significava che era stata considerata una puttana. 
2. Se a te fa piacere, sarei felice di invitarti a prendere un gelato o se preferisci, potremmo andare al cinema.
3. Due giorni prima dell’esame, Marco ricordò alla sua ragazza l’impegno che si era preso/a? di accompagnarlo.  
4. Inoltre, vista la mia situazione, un aumento di stipendio era proprio ciò che ci volesse / voleva?
5. Ci vorranno ancora secoli perché tutto questo cambi.

 

RISPOSTA:

1. Corretta; l’alternanza tra un periodo ipotetico con protasi all’indicativo imperfetto (rappresentava) e al congiuntivo trapassato (fosse stato) è ammissibile come scelta stilistica.
2. L’unica sbavatura è la mancanza delle virgole prima della coordinata disgiuntiva (non sempre richiesta, ma in questo caso preferibile perché la coordinata presenta un’alternativa netta rispetto alla prima proposizione), e in apertura dell’incidentale. Quindi, un gelato, o, se preferisci,.
3. l’impegno che si era presa. Il participio passato unito all’ausiliare essere concorda con il soggetto.
4. Corrette entrambe le varianti. Il congiuntivo è più formale.
5. Corretta.
Fabio Ruggiano

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QUESITO

Volevo chiedere se nella frase “Ogni lancetta potrebbe spostarsi più lentamente o accelerare, lasciandoti indietro senza che te ne accorga” è corretto l’uso del congiuntivo o andrebbe meglio l’indicativo accorgi.

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo è corretto. L’indicativo, dal canto suo, non è scorretto, ma più informale, adatto al parlato e a contesti scritti trascurati. Molte risposte sull’alternanza tra indicativo e congiuntivo sono contenute nell’Archivio di DICO; sono recuperabili digitando nel motore di ricerca interno la parola congiuntivo.
Fabio Ruggiano

 

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QUESITO:

Le tre varianti dell’esempio sotto riportato siano valide?
“Se riuscissimo a sbloccare il progetto, nessun governo, italiano o francese che possa essere / potrebbe essere / sia, sarebbe in grado di osteggiarne la realizzazione”.
 

 

RISPOSTA:

Le due varianti che possa essere e sia sono equivalenti dal punto di vista della sintassi del periodo: entrambe hanno il congiuntivo presente (sia possa) in dipendenza da che. Tra le due, quella senza il verbo servile possa è senz’altro preferibile, perché la sfumatura potenziale è già presente nella costruzione che + congiuntivo.
Da scartare, invece, *che potrebbe essere, perché la proposizione costruita con che + congiuntivo equivale a una subordinata completiva a un’espressione come mettiamo il caso; in altre parole, che sia equivale a mettiamo il caso che sia. Se sostituiamo potrebbe essere a sia, quindi, otteniamo una frase scorretta: *mettiamo il caso che potrebbe essere.
Fabio Ruggiano

 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Se voglio scrivere che “i miei amici si preoccupano più quando devono dare un esame di quanto si sono / si siano preoccupati di vivere quegli anni preziosi”, quale scelgo tra indicativo e congiuntivo?
Se dico: “Un cane che non abbaiasse: ecco un animale domestico che non rompe le scatole”, va bene che ci sia l’imperfetto congiuntivo e poi l’indicativo presente?

 

RISPOSTA:

Nella prima frase vanno bene entrambi i modi; in questo caso il congiuntivo non è necessario, ma è un’alternativa stilisticamente più alta. Nella seconda frase il congiuntivo nella proposizione relativa, oltre a rappresentare un’alternativa più formale come nella prima frase, carica la proposizione di una sfumatura ipotetica; come nel caso della proposizione ipotetica, quindi, l’imperfetto accentua la sfumatura rispetto al presente; potremmo dire che che non abbaiasse è assimilabile a se non abbaiasse, mentre che non abbai è a metà strada tra se non abbaia che non abbaia. Visto, però, che anche il presente veicola un certo senso di eventualità, il valore aggiunto dell’imperfetto appare non essenziale, e dal momento che l’imperfetto stride in correlazione con l’indicativo presente rompe, la scelta più consigliabile è che non abbai.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Secondo la regola, se una volontà che si riferisce al futuro non si realizzerà bisogna usare il condizionale composto. Ma in tutti i casi? Non posso semplicemente usare il futuro semplice?

“Domani andrei / sarei andata al mare, ma purtroppo devo rimanere a casa”.

 

RISPOSTA:

Il condizionale passato non esprime semplicemente il futuro, ma esprime un evento successivo a un altro evento passato, per esempio “Luca disse che sarebbe andato a sciare l’inverno successivo”. Nella sua frase, le due versioni sono corrette, ma significano due cose diverse. In nessuna delle due, inoltre, è presente un futuro, ma il condizionale riguarda il grado di possibilità che ha, secondo l’emittente, l’evento andare al mare. “Domani andrei al mare, ma purtroppo devo rimanere a casa” significa che il desiderio di andare al mare è condizionato da un evento (la necessità di rimanere a casa), ma è ancora realizzabile; “Domani sarei andata al mare, ma purtroppo devo rimanere a casa” descrive la stessa situazione, ma con la differenza che il desiderio è descritto (mediante il condizionale passato) come irrealizzabile. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Una volta costrinse un suo studente a ripercorrere i suoi passi attraverso l’immensa stazione”.
La domanda è questa: l’aggettivo possessivo suoi potrebbe riferirsi allo studente o al maestro in questa frase? Quello che dovrebbe dirimere il dubbio è il verbo ripercorrere, che significa ‘percorrere di nuovo’?

 

RISPOSTA:

​L’aggettivo possessivo suo rimanda al soggetto della proposizione, che nel caso di i suoi passi è un suo studente (così come, a sua volta, suo nella proposizione principale una volta constrinse un suo studente rimanda all’altro personaggio in questione). In teoria, quindi, suoi passi sono quelli dello studente. Sempre in teoria, i passi dell’altro soggetto dovrebbero essere definiti i passi di lui: “Una volta costrinse un suo studente a ripercorrere i passi di lui attraverso l’immensa stazione”. 
In realtà, la situazione è più complicata, perché suo è comunemente riferito anche a soggetti di proposizioni sovraordinate, non solamente completive, come è in questo caso. Ugualmente ambigua, per esempio, sarebbe la frase: “Lo chiamò per parlare dei suoi genitori” (i genitori del chiamante o del chiamato?). Il complemento di specificazione con il pronome personale in sostituzione dell’aggettivo possessivo, inoltre, è sentito come antiquato e burocratico (fa pensare a formule come la di lui consorte).
Responsabile, ma in minor misura, dell’ambiguità del riferimento è l’indecidibilità della responsabilità dell’azione (non è possibile, cioè, inferire dal cotesto se i suoi passi siano quelli dello studente o quelli dell’altro personaggio). Il verbo ripercorrere non è dirimente: anche se lo sostituissimo con percorrere l’ambiguità rimarrebbe, perché essa è provocata soprattutto dall’aggettivo possessivo. Non ambigua, per esempio, sarebbe la frase “Una volta costrinse alcuni suoi studenti a ripercorrere i suoi passi attraverso l’immensa stazione”, perché non potremmo riferire il secondo suoi agli studenti
Per risolvere il problema si può soltanto formulare la frase diversamente, oppure fornire, prima o dopo, informazioni dirimenti.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vi sottopongo i seguenti periodi (forma originaria e forme alternative) per analizzare le varie posizioni assunte dalla virgola, nonché, talvolta, l’omissione di quest’ultima.
1a: Suo marito era simile a lei, orgoglioso quando si manifestavano delle critiche alle sue radici.
1b: Suo marito era simile a lei, orgoglioso, quando si manifestavano delle critiche alle sue radici.

2a: Le voci penetravano nella stanza, e nel bosco vicino si moltiplicavano gli ululati del vento.
2b: Le voci penetravano nella stanza e nel bosco vicino si moltiplicavano gli ululati del vento.
2c: Le voci penetravano nella stanza e, nel bosco vicino, si moltiplicavano gli ululati del vento.
2d: Le voci penetravano nella stanza, e, nel bosco vicino, si moltiplicavano gli ululati del vento.

3a: Gli alberi del giardino avevano un aspetto lussureggiante, e anche invitante.
3b: Gli alberi del giardino avevano un aspetto lussureggiante e, anche, invitante.
3c: Gli alberi del giardino avevano un aspetto lussureggiante e anche invitante.

4a: L’obiettivo era ottenere un plauso, un consenso che ne confermasse il placet degli addetti ai lavori.
4b: L’obiettivo era ottenere un plauso, un consenso, che ne confermasse il placet degli addetti ai lavori.

5a: Doveva essere pieno di debiti, o forse di sensi di colpa.
5b: Doveva essere pieno di debiti o forse di sensi di colpa.
5c: Doveva essere pieno di debiti, o, forse, di sensi di colpa.
5d: Doveva essere pieno di debiti o, forse, di sensi di colpa.

 

RISPOSTA:

​La virgola separa e rende autonome due unità informative. Di volta in volta, questa separazione produce sfumature semantiche diverse, evidenti oppure appena percepibili. Nella frase 1a il marito è descritto come orgoglioso nel caso in cui ricevesse critiche, al pari della moglie; nella 1b, invece, si dice che quando riceveva critiche era simile alla moglie, ovvero orgoglioso. La differenza, è evidente, è minima e riguarda il peso informativo dell’aggettivo orgoglioso: in 1b, a causa della seconda virgola, risulta ridotto a una chiosa esplicativa (come se fosse introdotto da ovvero), mentre risalta maggiormente il dato della somiglianza con la moglie.
Anche nella 2a la virgola prima della e separa due unità informative e rende le due descrizioni autonome (con varie possibili ragioni espressive). In 2c e 2d il luogo del bosco è rappresentato come di secondaria importanza rispetto all’informazione principale, la descrizione degli ululati.
La stessa analisi vale per la 3 e la 5.
La 4 presenta il tipico confronto tra la proposizione relativa limitativa (4a) e quella esplicativa (4b) Su questo argomento ci sono diverse risposte nell’archivio di DICO (da FAQ  Usi testuali della virgola), a cui la rimando anche per consultare altri casi commentati di uso della virgola.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

“Dott.ssa, potrebbe indicarmi dove posso trovare il libro del Prof.? Sembra in molte librerie esaurito o non disponibile”.
La domanda è questa: è corretto mettere il punto interrogativo e ritenere la frase indipendente, oppure dipende da come formulo la frase e abbiamo anche una subordinata e quindi non inserisco il punto interrogativo?

 

RISPOSTA:

​Il punto interrogativo va inserito alla fine della domanda, ovvero proprio dove l’ha inserito lei. Quella che segue è una frase affermativa che serve a giustificare la domanda precedente. Se non mettesse il punto interrogativo la frase sarebbe tutta affermativa, ma la forma stessa e il senso della prima parte rendono impossibile una interpretazione che non sia interrogativa.
Fabio Ruggiano
 

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Si può dire: “Ha detto che non veniva”?

 

RISPOSTA:

L’imperfetto può essere usato al posto del condizionale passato, sia in questo caso, cioè quando ha la funzione di futuro nel passato (“Ha detto che non veniva” = “Ha detto che non sarebbe venuto / venuta”), sia quando esprime la conseguenza in un periodo ipotetico: “Se l’avessi saputo non venivo” = “Se l’avessi saputo non sarei venuto”. 
In entrambi i casi si tratta di un uso diffuso ma un po’ trascurato, da riservare al parlato e allo scritto informale. Negli altri casi, è preferibile ricorrere al condizionale passato.
Molte altre risposte sull’uso modale (cioè in sostituzione del modo condizionale) dell’imperfetto si possono leggere nell’archvio di DICO, inserendo nella maschera di ricerca la parola imperfetto.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Si può dire una frase così: “Essendoci piaciuto tanto il libro, abbiamo deciso di comprare tutti i libri di questo autore”?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Il gerundio può avere un soggetto (nella sua frase il libro) diverso dal soggetto della proposizione reggente (noi) se è esplicitato. A volte non è necessario esplicitare il soggetto del gerundio, anche se è diverso da quello della proposizione reggente, se si capisce facilmente; ad esempio: “Essendoci piaciuto tanto (sottinteso l’autore), abbiamo deciso di comprare tutti i libri di questo autore”.
Fabio Ruggiano
 

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QUESITO:

Vi pongo alcuni dubbi e spero che possiate chiarirmeli.
1. Dire a loro oppure dire loro?

2. “Cara Lucia, come stai? E il piccolo Luca?”
Riguardo a questa frase chiedo se è corretta così com’è scritta.

3. “Scrivere a te che non conosco / ti conosco è bello”.

4. “Mi chiedo perché a ogni saggio qualcuno si rompe / rompa un braccio”.

5. “Una volta che i miei genitori si arrabbiano, solo dopo due giorni gli passa…”.
In questa frase è corretto l’uso di gli è corretto?

6. “A volte di domenica vado agli scout”.
Si può dire agli scout?

7 . “Oh cara / Oh, cara quando mi hai concesso quel ballo ero emozionato”.

 

RISPOSTA:

1. Vanno bene entrambe le soluzioni (la stessa possibilità si ha con cui / a cui).
2. La frase va benissimo in un contesto anche scritto di media formalità. Più formale, perché più precisa, è l’esplicitazione del secondo verbo, visto che cambia la persona.
3. La variante corretta è “Scrivere a te che non conosco è bello”. Il che, infatti, può riferirsi a tutte le persone, anche se è più comune che rimandi a un antecedente alla terza persona singolare o plurale. Da evitare la ripetizione del pronome, che non avrebbe alcuna funzione informativa, ma servirebbe solamente a esplicitare un riferimento già sufficientemente esplicito.
4. Vanno bene entrambe le varianti; quella con il congiuntivo è più formale.
5. Gli per (a) loro è ormai accettato in tutti i registri.
6. L’espressione sintetica è efficace e trasparente, ma adatta a un contesto colloquiale, perché non perfettamente formata secondo le regole standard. In italiano, la preposizione di moto a luogo quando il luogo è rappresentato da una persona è da, non a (per esempio: “Ogni domenica vado dai miei nonni”, non *”ai miei nonni”). Vado dagli scout, però, sarebbe inteso come ‘vado a trovare gli scout’, mentre qui si intende che si va a fare le attività degli scout. Da qui la soluzione abborracciata vado agli scout. Per risolvere la questione in linea con la lingua standard si dovrebbe sostituire scout con un luogo, per esempio: vado alla sede degli scout, oppure con un’azione: vado a partecipare alle attività degli scout, o simili. In questo modo, l’espressione si allunga e diviene faticosa, per cui è ovvio, e legittimo, che parlando tra amici si preferisca la variante sintetica.
7. Vanno bene entrambe le varianti. Obbligatoria, invece, la virgola dopo l’allocuzione (ovvero il complemento vocativo): “Oh cara, quando mi hai…”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Porto alla vostra attenzione alcune frasi negative, o che includono congiunzioni ad esse riconducibili, su cui vertono i miei dubbi.
 

1. Non si vedeva niente intorno: né ombrelloni e lettini, né bagnanti, né barche o pattini.

La frase è corretta? Si possono collegare con il né elementi che al loro interno abbiano congiunzioni – come eo – e che potrebbero essere intesi come unità inscindibili, oppure sarebbe meglio scegliere altre forme?
 

2. All’uomo non era permesso di bere alcolici, anche / neppure a tavola.

Meglio anche o neppure?
 

3. Il fenomeno mediatico è privo di (non ha prodotto) ricadute positive, neppure / anche minime, per l’indotto.

Meglio anche o neppure?
 

4. Serve niente?

La frase è equivalente a “serve qualcosa”?

 

RISPOSTA:

La prima frase è ben costruita: le congiunzioni e e o operano in un àmbito ristretto rispetto ai membri dell’elenco, uniti da . La seconda frase ammette entrambe le soluzioni: neppure (o neanche) rafforza la negazione, soluzione spesso preferita in italiano, anche se non obbligatoria. Lo stesso vale per la terza frase. 
La quarta frase è molto interessante, perché rivela un comportamento specifico della proposizione interrogativa diretta. In questa proposizione, la negazione iniziale può avere valore retorico, interpretato convenzionalmente come richiesta di una risposta positiva: “Non vuoi venire alla festa?” (sottinteso: ‘certo che vuoi’). La frase “Non serve niente?”, pertanto, potrebbe essere interpretata come un invito a rispondere positivamente; l’eliminazione della negazione iniziale previene questa interpretazione. In questo modo, si noti, si viene a creare una frase agrammaticale; ciò si vede se la confrontiamo, per esempio, con la sua prima frase: “Non si vedeva niente intorno”. Se togliessimo la negazione del verbo (come avviene in “Serve niente?”), questa frase diventerebbe *”Si vedeva niente intorno”, che è inaccettabile. L’impossibilità di “Serve niente?” non preoccupa i parlanti, che interpretano correttamente la frase come ‘serve qualcosa?’, sebbene letteralmente significhi il contrario. È, infatti, come se interpretassimo la frase *”Si vedeva niente intorno” vista sopra come ‘si vedeva qualcosa intorno’. 
Che questa costruzione, certamente propria di un registro colloquiale, valga solamente nelle domande è dimostrato, oltre che dal confronto fatto, anche dalla risposta negativa normale alla domanda “Serve niente?”, che non è *”No, serve niente” (a meno che non si voglia scherzare), bensì “No, non serve niente”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Il periodo successivo può dirsi lineare?

Certo, i ricordi brutti sono molti come lanciare una bomba, sentirsi un amico che muore alle tue spalle, partecipare a una missione del genere, ma i ricordi belli sono indelebili, come sentirsi dire “Congratulazioni lei è ufficialmente laureata”. Ma tu sei giovane e questa è solo una piccola parte della tua vita.

In particolare, la congiunzione ma dopo il punto fermo non mi sembra adatta.
 

 

RISPOSTA:

La seconda parte va bene, compreso il ma all’inizio del periodo, con funzione avversativa rispetto a tutto il periodo precedente, non solamente rispetto a un elemento. Nella prima parte l’elenco è incongruente (al netto di effetti retorici ricercati), perché una missione dovrebbe contenere, quindi precedere, lanciare una bomba e sentirsi un amico morire, non essere messo sullo stesso piano. Propongo la seguente riformulazione, con la rivisitazione anche della punteggiatura:

​Certo, i ricordi brutti sono molti, come partecipare a una missione del genere, lanciare una bomba, sentirsi un amico che muore alle tue spalle; ma…
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Coerenza
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Leggo: “La sua occupazione doveva essere cucinare le castagne che trovava nel bosco”. 
L’impiego dell’imperfetto dell’indicativo credo che sia corretto, in quanto veicola la scioltezza del periodo; per curiosità intellettuale e pignoleria analitica, vi domando se le seguenti alternative siano altrettanto valide:
a) La sua occupazione avrebbe dovuto essere cucinare le castagne che avesse trovato (aggiunge una sfumatura ipotetica).
b) La sua occupazione avrebbe dovuto essere cucinare le castagne che avrebbe trovato (la subordinata è posteriore alla principale e si costruisce quindi con il condizionale composto). 
c) La sua occupazione avrebbe dovuto essere cucinare le castagne che trovasse (la subordinata è contemporanea alla principale).
Penso che il predicato della principale, qualora si volesse eliminare l’incertezza dell’evento, potrebbe essere sostituito da sarebbe stata o: “la sua occupazione sarebbe stata cucinare le castagne che avesse trovato / avrebbe trovato / trovasse”.
Concludo chiedendo se, in generale, l’imperfetto dell’indicativo, come anticipato poc’anzi, sia la forma “sciatta” del più ricercato (ma talvolta pesante) condizionale passato, in particolare quando si ha a che fare con il verbo potere.
d) La sua paura poteva giocargli un brutto tiro,
benché corretta, non si potrebbe sostituire con 
e) la sua paura avrebbe potuto giocargli un brutto tiro 
senza stravolgere la sintassi della frase (e quindi i rapporti temporali tra reggente e subordinata)?

 

RISPOSTA:

​L’indicativo imperfetto nella frase iniziale può essere interpretato in due modi: come fa lei, oppure con valore epistemico: ‘La sua occupazione era sicuramente cucinare le castagne…”. La parafrasi da lei proposta, con il condizionale passato, annulla questa seconda possibilità e seleziona il valore di futuro nel passato. Ovviamente questa scelta può essere fatta solamente conoscendo il contesto della frase, dal quale si evinca il vero valore dell’imperfetto.
L’imperfetto può avere i due valori appena visti, ma anche quello di ipotesi remota: se lo sapevo = ‘se lo avessi saputo’. Si tratta di valori sfruttati nell’italiano dell’uso medio, ampiamente accettati, non “sciatti” sebbene da non preferire in un contesto formale, specialmente scritto. Innanzitutto perché possono essere ambigui, perché compresenti, come in questo caso. Forse il concetto, che comunque non mi è chiaro, di scioltezza del periodo da lei evocato si riferisce a questa ambiguità?
La stessa ambiguità si trova nella frase d: poteva giocargli può significare ‘a volte gli giocava’ (si noti l’emersione del significato probabilistico del verbo potere, laddove nella prima frase vista sopra il verbo dovere assume un significato epistemico) oppure ‘avrebbe potuto giocargli’. La riscrittura e seleziona solamente quest’ultimo valore.
Le alternative a, b, c per la subordinata relativa modulano il grado di certezza dell’emittente sull’avvenimento del trovare le castagne: il condizionale passato lo rappresenta come futuro rispetto al momento in cui l’occupazione è stata assegnata; i due congiuntivi lo rappresentano non tanto come futuro (che è un tratto implicito), ma come possibile (che trovasse = ‘se le trovasse’) o come improbabile (che avesse trovato = ‘se le avesse trovate’).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere quali forme tra le sottoindicate sono pienamente valide, ai limiti dell’accettabilità e, infine, agrammaticali. I dubbi sono sorti dopo la lettura di un articolo on line sulla cosiddetta attrazione modale.

1a) Non potremo (o potremmo) mai rinunciare ai privilegi che otterremo.
1b) Non potremo (o potremmo) mai rinunciare ai privilegi che ottenessimo.
1c) Non potremo (o potremmo) mai rinunciare ai privilegi che otterremmo.

2) Ci vorrebbe qualcuno che parlerebbe inglese.
(Do per scontato che tutte le altre soluzioni possibili, con relativi gradi di formalità, siano valide: parlasseparliparla).

3a) Se fossi sicuro che viene, gli parlerei a quattr’occhi.
3b) Se fossi sicuro che venga, gli parlerei a quattr’occhi.
3c) Se fossi sicuro che verrà, gli parlerei a quattr’occhi.
3d) Se fossi sicuro che verrebbe (protasi implicita), gli parlerei a quattr’occhi.
3e) Se fossi sicuro che venisse, gli parlerei a quattr’occhi.

4a) Se fossi sicuro che sia stato lui, gliene direi quattro.
4b) Se fossi sicuro che fosse stato lui, gliene direi quattro.
4c) Se fossi sicuro che è stato lui, gliene direi quattro.

5a) Se credessi che lei non mi amerebbe, smetterei di frequentarla.
5b) Se credessi che lei non mi ama, smetterei di frequentarla.
5c) Se credessi che lei non mi ami, smetterei di frequentarla.
(Anche qui do per scontato che la soluzione preferibile sia amasse).

 

RISPOSTA:

Le varianti 1 sono tutte valide. La 1b con la principale all’indicativo futuro suona un po’ forzata, perché pone come certa, all’indicativo, la circostanza dell’impossibilità di rinunciare a privilegi il cui ottenimento è possibile, non certo. Il congiuntivo ottenessimo, infatti, conferisce alla relativa una sfumatura ipotetica. Molto più atteso è il condizionale potremmo. Per ragioni simili, anche la 1c con l’indicativo è improbabile, perché l’ottenimento dei privilegi è descritto come condizionato (al condizionale), come se ci fosse sottintesa una protasi al congiuntivo: “Non potremo mai rinunciare ai privilegi che otterremmo (se riuscissimo in questa impresa)”. Anche in questo caso è più logico costruire la principale con il condizionale.
La 2 è scorretta. I verbi di volontà o desiderio al condizionale richiedono, nella subordinata, il congiuntivo imperfetto; l’unica variante senz’altro corretta, pertanto, è “Ci vorrebbe qualcuno che parlasse inglese”. Accettabile, in fondo, anche “Ci vorrebbe qualcuno che parli inglese”, che, però, è comunemente considerata errata. Al limite dell’accettabilità, e solamente in un contesto parlato molto informale, anche “Ci vorrebbe qualcuno che parla inglese”.
Le varianti 3 sono tutte corrette (con molte riserve sulla 3e, su cui mi soffermerò a parte), anche se non ugualmente accettabili. Quella con il congiuntivo presente è la più formale, quella con l’indicativo presente la più comune. Quella con il condizionale, infine, introduce una ulteriore sfumatura; sottintende, infatti, una protasi (come da lei suggerito): “Se fossi sicuro che verrebbe (se glielo chiedessi), gli parlerei a quattr’occhi”. 
La 3e è, in teoria, scorretta perché contrasta con lo schema della consecutio temporum. Secondo questo, infatti, il congiuntivo imperfetto nella subordinata completiva indica la contemporaneità nel passato con la reggente, ma la reggente (se fossi sicuro) è presente e lo è anche l’apodosi del periodo ipotetico, che è la proposizione principale (gli parlerei a quattr’occhi). Attenzione: il congiuntivo imperfetto della reggente è dovuto alle esigenze del periodo ipotetico, non al fatto che lo stato dell’essere sicuro sia passato; è chiaro, infatti, che tale stato sia presente (= ‘se fossi sicuro adesso’). Questa frase è impossibile solamente in teoria perché, in realtà, esistono, e sono piuttosto comuni, frasi come questa: “Se sapessi che fosse l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei e darei un bacio e poi ti richiamerei per dartene un altro” (trovata attraverso una ricerca on line). Perché i parlanti costruiscono frasi come questa? Per due ragioni concorrenti: perché interpretano l’imperfetto della reggente come passato, quindi usano nella subordinata il congiuntivo imperfetto per instaurare la contemporaneità nel passato (mentre, come abbiamo detto, il congiuntivo imperfetto della reggente esprime, in questo caso, un evento o uno stato presente); perché il tempo della subordinata è attratto da quello della reggente: nel costruire questa frase, cioè, il parlante sovrappone la reggente alla subordinata, perché tende a semplificare il costrutto reggente epistemica ipotetica + subordinata completiva in reggente ipotetica. In questo modo, se fossi sicuro che venga (o se sapessi che sia o simili) si trasforma in se venisse (o se fosse o simili), ma le due costruzioni non si possono escludere a vicenda; si fondono, bensì, insieme, creando se fossi sicuro che venisse
Questa variante, sebbene possibile (e attestata in letteratura, ma lontano nel tempo: “Queste non gle le dò più, se credessi, che mi accoppasse di bastonate”, Carlo Goldoni, Le donne curiose), è frutto di una confusione e va evitata.
Sottolineo, a margine, che il senso generale della frase è oscuro: descrive, infatti, la volontà di parlare a qualcuno solamente nel caso in cui si sia sicuri che questo qualcuno sia presente. Una situazione realistica, invece, sarebbe quella in cui si voglia parlare a qualcuno solamente nel caso in cui questi sia presente (non nel caso in cui si sia sicuri che questi sia presente).
Tra le varianti 4, la 4a e la 4c sono corrette (l’indicativo è meno formale del congiuntivo). La 4b è improbabile, ma possibile se si sottintende un evento a metà strada tra il momento dell’azione compiuta da lui e il momento dell’enunciazione: “Se fossi sicuro che fosse stato lui (a bussare stamattina anche se poi non ho visto nessuno allontanarsi), gliene direi quattro”. Anche in questo caso, comunque, sarebbe possibile usare il congiuntivo passato, neutralizzando lo scarto temporale tra i due eventi passati: “Se fossi sicuro che sia stato lui (a bussare stamattina anche se poi non ho visto nessuno allontanarsi), gliene direi quattro”.
La frase 5 è identica nella struttura alla 3; la soluzione che lei giudica preferibile, pertanto, è proprio quella più decisamente da evitare.
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Si può ritenere c’è una pseudoproposizione principale?

 

RISPOSTA:

Non si tratta di una “pseudoprincipale” (in linguistica non esistono pseudoprincipali, ma solamente pseudorelative), ma di un predicato verbale, che può anche coincidere con una proposizione. Per esempio, in una frase come “C’è da dire che è simpatico” c’è rappresenta, da solo, la proposizione principale; in “C’è una persona che ti aspetta” la proposizione principale è c’è una persona
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le seguenti frasi sono corrette ?

1. Diceva che nel matrimonio bisogna / bisognasse avere pazienza e saper perdonare; che fosse dannoso dare tutto per scontato e lasciare che la routine prendesse il sopravento. E che l’unica soluzione fosse mantenere il rapporto sempre vivo. 
2. Quello che mi fece arrabbiare di più, oltre all’ennesimo probabile tradimento, fu che ti presentasti con giacca e camicia stropicciati, cravatta fuori posto e spettinato; una offesa alla mia intelligenza e una conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, del poco rispetto che tu portavi nei miei confronti.                  3. Il proprietario dell’hotel gli chiese se, in caso di necessità, avrebbe / avesse potuto / potesse chiamarlo. 
4. In un lungo e imbarazzante colloquio, la informò delle frequenti e brevi avventure amorose della figlia e che tutti o quasi ne erano / fossero a conoscenza. 
5. La piccola non si aspettava certo un aiuto dalle sorelle, ma che almeno avessero taciuto sì, quello lo aveva sperato.
6. Quella frase di Marco, nonostante avesse capito perché l’avesse pronunciata, la riempì comunque di gioia. 
7. Giulia scordò che proprio il giorno della sfilata, Marco avrebbe dato l’ultimo esame prima della tesi di laurea e che lei avesse / aveva promesso di accompagnarlo.

 

RISPOSTA:

​Nella prima frase l’alternanza tra presente e imperfetto è possibile non solamente nel primo caso (bisogna / bisognasse), ma anche nei seguenti. Ovviamente, se si propende, come lei ha fatto, per l’imperfetto negli altri casi, ci si aspetta bisognasse, ma il passaggio dal presente all’imperfetto sarebbe giustificabile se si volesse ottenere una sfumatura di significato (apprezzabile solamente in uno scritto con aspirazioni letterarie). La differenza tra il presente e l’imperfetto è che il primo caratterizza il pensiero come generale, atemporale, sempre valido, il secondo lo riconduce al piano temporale al quale appartiene diceva, quindi allude al caso specifico di cui il soggetto di diceva stava parlando.
La seconda frase è corretta, tranne per l’accordo tra giacca e camicia e stropicciati (corretto stropicciate). Possibile, oltre a ce ne fosse stato bisogno, anche ce ne fosse bisogno.
Nella terza sono corrette le forme avrebbe potuto (condizionale passato per esprimere il futuro nel passato) e potesse (congiuntivo imperfetto che conferisce una sfumatura ipotetica alla proposizione interrogativa indiretta). Avesse potuto sarebbe la forma corretta solamente se il proprietario si riferisse non al futuro ma al passato (nel qual caso le altre due forme sarebbero scorrette).
Nella quarta sono corrette entrambe le forme; l’indicativo è più comune, il congiuntivo più formale.
La quinta è corretta.
Nella sesta le forme verbali sono corrette. Per maggiore chiarezza, è possibile, ma in fondo non necessario, aggiungere uno dei due soggetti pronominali nel gruppo proposizionale incidentale: nonostante lei avesse capito perché l’avesse pronunciata o nonostante avesse capito perché lui l’avesse pronunciata. Possibile, ma al costo di una certa ridondanza, anche aggiungerli entrambi: nonostante lei avesse capito perché lui l’avesse pronunciata
Per la settima vale quanto detto per la quarta. Bisogna, però, intervenire sulla punteggiatura: “Giulia scordò che proprio il giorno della sfilata Marco avrebbe dato l’ultimo esame prima della tesi di laurea e che lei…”, oppure “Giulia scordò che proprio il giorno della sfilata Marco avrebbe dato l’ultimo esame prima della tesi di laurea, e che lei…”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Ho seri dubbi, per non dire quasi un incubo, sulla punteggiatura. Come bisogna puntare la seguente frase?
“Hanno chiesto un intervento tempestivo da parte delle famiglie ed esplicitato che qualora si dovessero verificare altri episodi di “sottrazione impropria”, ricorreranno alle vie legali”.

 

RISPOSTA:

La frase può rimanere così com’è. In questa formulazione, la virgola non ha valore informativo, ma serve solamente a separare la subordinata anteposta alla reggente dalla reggente stessa. Per questo motivo, non è necessaria, sebbene sia attesa; sarebbe, inoltre, disorientante per il lettore lasciare un periodo così complesso senza punteggiatura.
Ci sono anche alcune alternative possibili: 
1. “Hanno chiesto un intervento tempestivo da parte delle famiglie, ed esplicitato che qualora si dovessero verificare altri episodi di ‘sottrazione impropria’, ricorreranno alle vie legali” (si noti che le virgolette all’interno di altre virgolette divengono singoli apici).
2. “Hanno chiesto un intervento tempestivo da parte delle famiglie ed esplicitato che, qualora si dovessero verificare altri episodi di ‘sottrazione impropria’, ricorreranno alle vie legali”.
3. “Hanno chiesto un intervento tempestivo da parte delle famiglie, ed esplicitato che, qualora si dovessero verificare altri episodi di ‘sottrazione impropria’, ricorreranno alle vie legali”.
Nella prima la virgola separa i due momenti della richiesta di intervento e dell’esplicitazione, sottolineando l’autonomia dei due eventi.
Nella seconda, la proposizione ipotetica è resa incidentale, quindi semanticamente secondaria, come a suggerire che l’eventualità sia ritenuta improbabile.
La terza unisce le prime due.
La virgola tra subordinata e reggente può essere eliminata solamente nella prima riscrittura; nelle altre due è necessaria per chiudere l’incidentale.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Adoro le lingue straniere perché mi piace l’idea che ovunque io vada / andrò, in giro per il mondo, sia / sarò in grado di parlare la lingua del luogo”, entrambe le versioni mi sembrano corrette, ma ho letto in Internet che ovunque richiede sempre il congiuntivo.

 

RISPOSTA:

Come abbiamo detto in molte altre risposte, ogni volta che l’italiano ammette l’alternanza tra indicativo e congiuntivo l’indicativo rappresenta la variante meno formale e comune nel parlato, il congiuntivo quella più formale e da preferire nello scritto. 
In questo caso l’alternanza riguarda una proposizione completiva, “che sia / sarò in grado…”, e una relativa, “ovunque io vada / andrò…”. Per le completive le suggerisco, se volesse approfondire il caso, di cercare nell’archivio di DICO la parola chiave completiva; la relativa merita un discorso a parte. La congiunzione ovunque contiene una sfumatura di eventualità che avvicina la proposizione da essa introdotta alla protasi del periodo ipotetico. “Ovunque io vada”, cioè, è vicino a “se io vada”, se non, addirittura, a “se io andassi”. Da qui la forte preferenza per il congiuntivo, che, comunque, non può dirsi obbligo. 
In particolare, al presente, al passato prossimo e all’imperfetto l’indicativo risulta molto trascurato, perché può essere sostituito facilmente dal congiuntivo (presente, passato e imperfetto); al passato remoto, però, diviene pienamente accettabile anche nello scritto formale, perché insostituibile: “E ovunque andai, trovai una gioventù avida” (Frank Lloyd Wright, Una autobiografia, trad. it. di Maria Antonietta Crippa e Marina Loffi Randolin, 1985). Al futuro, infine, l’indicativo futuro è sì meno formale del congiuntivo presente, ma non risulta trascurato, perché, rispetto al congiuntivo, ha il vantaggio di rispecchiare più fedelmente l’evento descritto (ovunque andrò, cioè, rispecchia più fedelmente un evento futuro rispetto a ovunque vada), e questo ne legittima parzialmente l’uso. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Sono corrette queste frasi?
1. Sono convinta che il Signore avrebbe perdonato più facilmente un aborto che tutto il male fatto a vostra figlia.
2. L’unica soluzione da prendere, seppure a malincuore, era troncare la relazione.
3. È logico che, se la famiglia tradizionale dovesse generare un ambiente invivibile, sarebbe meglio per i figli vivere con un solo genitore.
4. Sono talmente felice che potrei non mangiare per una settimana! 

 

RISPOSTA:

​Le frasi sono tutte corrette. 
Per la prima e la terza il sospetto potrebbe venire dall’uso del condizionale nella subordinata completiva (“sono convinta che avrebbe“, “è logico che sarebbe“); si tratta, però, di un uso legittimo, perché in entrambe le frasi le completive sono a loro volta apodosi di periodi ipotetici. Nella prima frase la protasi è sottintesa: “Sono convinta che il Signore (se avesse dovuto) avrebbe perdonato più facilmente un aborto che tutto il male fatto a vostra figlia”; nella terza la protasi è esplicitata: “se la famiglia tradizionale dovesse generare un ambiente invivibile”.
Nella quarta il dubbio potrebbe venire ancora dal condizionale, questa volta usato in una proposizione consecutiva. Anche qui, però, il condizionale è giustificato perché la consecutiva è l’apodosi di un periodo ipotetico con la protasi sottintesa: “Sono talmente felice che (se dovessi) potrei non mangiare per una settimana!”.
La seconda frase ha una costruzione con due infiniti, uno nella relativa implicita (“da prendere”) e uno nella completiva (“troncare la relazione”). Come sempre, anche in questi due casi l’infinito presente instaura un rapporto di contemporaneità (in questo caso nel passato) con il verbo della proposizione reggente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Ho dei dubbi sull’uso del congiuntivo, in particolare nelle seguenti frasi: “Ha gli occhi azzurri, ma è probabile che cambieranno / cambino e diventeranno / diventino verdi”; “L’albero della vita presente nell’ex area Expo rimane acceso 24 ore su 24 e 365 giorni su 365. Io ho pensato a quanta energia c’è / ci sia dietro tutto ciò”.

 

RISPOSTA:

​Le due soluzioni da lei prospettate per le due le frasi sono entrambe accettabili. Per una discussione sui vantaggi e gli svantaggi dell’indicativo futuro e del congiuntivo nelle proposizioni completive può vedere le risposte Indicativo o congiuntivo nella interrogativa indirettaCredo che si debba usare il congiuntivo anche in futuro dell’archivio di DICO.  Molte altre risposte presenti in archivio, inoltre, riguardano il rapporto tra l’indicativo in generale e il congiuntivo nelle completive: può recuperarle attraverso il motore di ricerca interno (che trova in alto a destra) inserendo parole chiave come indicativocongiuntivo o completiva.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se la frase “Io gioco una scommessa per 1 a 1 ma è finita 2 a 2” è corretta perché viene considerata come presente storico oppure no e perché.

 

RISPOSTA:

​Nella comunicazione quotidiana è consigliabile mantenere lo stesso piano temporale nell’ambito della stessa frase, per non generare confusione. Se, pertanto, si sceglie di usare il presente storico, si dovrebbe mantenere il presente storico per tutta la frase; quindi: “Io gioco una scommessa per 1 a 1 ma finisce 2 a 2”, oppure “Io ho giocato una scommessa per 1 a 1 ma è finita 2 a 2”. Inoltre, è preferibile non lasciare il soggetto sottinteso se questo non è stato mai introdotto, altrimenti l’interlocutore è indotto a pensare che il soggetto sottinteso coincida con quello precedente o, se non è possibile, come in questo caso, che coincida con l’ultimo referente possibile (“Io gioco una scommessa per 1 a 1 ma la scommessa finisce 2 a 2″); quindi sarebbe meglio “Io gioco una scommessa per 1 a 1 ma la partita finisce 2 a 2”. Questa raccomandazione di massima in questo caso è secondaria, perché si suppone che l’interlocutore sia in grado di recuperare dal contesto il soggetto la partita.
In teoria, è possibile affiancare un presente storico a un passato; ma si dovrebbe limitare questa scelta a contesti letterari, nei quali la scelta si spiegherebbe con l’intento di spiazzare l’interlocutore, presentandogli in rapida sequenza un primo evento come attuale e un secondo come passato. 
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Spesso i libri scolastici propongono esempi molto banali di analisi del periodo, senza presentare quelli più complessi. Esistono testi ben fatti, con esempi articolati di analisi del periodo?
Quale potrebbe essere, ad esempio, l’analisi del seguente periodo?
“Dice che bisognerebbe fare in modo che ci sia spazio da poter adibire per mangiare senza che gli altri ambienti vengano utilizzati”.
Quando ci si riferisce  a un periodo si può parlare di analisi logica oppure questa è una espressione da riferire solamente all’analisi delle proposizioni?

 

 

RISPOSTA:

​l’analisi del periodo proposta a scuola deve tenere conto della preparazione parziale degli studenti; gli autori di grammatiche scolastiche, pertanto, evitano di presentare i casi più controversi. Il problema è, però, che i casi controversi siano molto comuni; gli enunciati che i parlanti e gli scriventi producono per comunicare tra loro spesso non si lasciano incasellare nelle rigide categorie di questa forma di analisi. Le frasi semplificate proposte nelle grammatiche, quindi, finiscono per risultare un po’ innaturali, come esperimenti condotti in laboratorio. 
Un libro agile e serio, scritto da un linguista navigato, dedicato a questo argomento, è L’analisi del periodo, di Michele Prandi, Roma, Carocci, 2013.

La stessa frase da lei proposta, per la verità, risulta innaturale; sembrerebbe rappresentare un discorso parlato (dice che…), ma si fatica a immaginare una persona che possa effettivamente parlare così. Nel parlato, infatti, si cerca la semplicità, per aggirare gli ostacoli della memoria limitata, del rumore, della distrazione ecc. Nello scritto, al contrario, possiamo concedere maggiore spazio alla complessità, perché il mezzo che usiamo è stabile e duraturo.
In ogni caso, volendo analizzare la sua frase otteniamo questo schema:
dice: proposizione principale;
che bisognerebbe: proposizione subordinata di primo grado oggettiva;
fare in modo: proposizione subordinata di secondo grado soggettiva;
che ci sia spazio: proposizione subordinata di terzo grado oggettiva;
da poter adibire: proposizione subordinata di quarto grado relativa implicita (equivalente a che deve poter essere adibito);
per mangiare: proposizione subordinata di quinto grado finale implicita;
senza…: proposizione subordinata di sesto grado eccettuativa.
Si noti che l’eccessiva, chiaramente non necessaria, complessità della frase produce una sbavatura sintattica: il verbo adibire difficilmente regge una proposizione; richiede, invece, tipicamente un complemento introdotto dalla preposizione a. Normalmente si direbbe, quindi, “da poter adibire a locale / spazio / luogo / area per la mensa”, o anche “da poter adibire a locale / spazio / luogo / area nel quale si possa mangiare”.

Il termine analisi logica si riferisce solamente all’analisi delle funzioni sintattiche, anche dette complementi.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Ho dei dubbi sulla punteggiatura e correttezza formale delle tre frasi seguenti:
1. Oggi sono andato al fiume con il mio amico Giulio, subito abbiamo iniziato a
pescare con il fluttuante. Sono elettrizzato ancora adesso; lui è già bravo e
subito ha preso una bella trota che purtroppo è riuscita a slamarsi. (Il punto e
virgola dopo “adesso” va bene?)
2.  Ho preso una iridea di 37 cm, era sbalordito, era veramente un esemplare
gigante, subito mi sono trovato con la bocca spalancata e le pupille dilatate al
massimo. (Dopo la parola gigante è meglio una virgola o un punto e virgola?)
3. Naturalmente ho partecipato ad altri campeggi, ma non ero mai stata con dei
ragazzi molto più grandi di me. Infatti sento di aver compreso che ci si può
divertire anche stando con persone più grandi o più piccole, più simpatiche o
meno,  che conosco già o che non conosco affatto. (La congiunzione “infatti” è
corretta).

 

RISPOSTA:

Rispondo sotto ciascun esempio, punto per punto.
1. Oggi sono andato al fiume con il mio amico Giulio, subito abbiamo iniziato a
pescare con il fluttuante. Sono elettrizzato ancora adesso; lui è già bravo e
subito ha preso una bella trota che purtroppo è riuscita a slamarsi. (Il punto e
virgola dopo “adesso” va bene?).
Sì, va bene, meglio della virgola, perché tra la prima proposizione (“sono elettrizzato”) e la seconda (“lui è già bravo”) c’è un notevole cambiamento di piano, da quello emotivo a quello narrativo.
2.  Ho preso una iridea di 37 cm, era sbalordito, era veramente un esemplare
gigante, subito mi sono trovato con la bocca spalancata e le pupille dilatate al
massimo. (Dopo la parola gigante è meglio una virgola o un punto e virgola?).
Meglio il punto e virgola per motivo analogo a quello del punto 1. E c’è un refuso era > ero. Anche altri segni interpuntivi possono essere migliorati alla luce del cambiamento di piano dall’emotivo al narrativo o viceversa e simili. Provo a riformulare tutto il brano:
Ho preso una iridea di 37 cm; ero sbalordito: era veramente un esemplare
gigante. Subito mi sono trovato con la bocca spalancata e le pupille dilatate al
massimo.
3. Naturalmente ho partecipato ad altri campeggi, ma non ero mai stata con dei
ragazzi molto più grandi di me. Infatti sento di aver compreso che ci si può
divertire anche stando con persone più grandi o più piccole, più simpatiche o
meno,  che conosco già o che non conosco affatto. (La congiunzione “infatti” è
corretta).
Non molto, perché non si sta deducendo qualcosa sulla base di quanto precede, bensì aggiungendo un nuovo elemento. Infatti [stavolta ci sta bene] si può non essere mai stati prima con ragazzi ecc. senza per questo aver compreso ecc. Sarebbe meglio eliminarlo e attaccare con “Sento…”.
 
Fabio Rossi
 

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QUESITO:

1. Gradirei sapere se il congiuntivo passato e il congiuntivo trapassato possono essere considerati tempi anaforici (quali varianti formali rispettivamente del passato prossimo e dei trapassati dell’indicativo). 
“Ti aggiornerò domani sul caso e tu potrai pensare se sia stato utile affidare l’incarico al nostro collega”; 
“Mi chiamerai e mi chiederai se nel frattempo qualcuno ti abbia cercato a casa”.
In questi esempi dovrebbe essere valido anche il futuro anteriore (su cui vorrei spendere due parole più avanti) in quanto la subordinata è un’interrogativa.
2. Il passato prossimo, inoltre, può assolvere alla funzione anaforica anche quando la principale è al condizionale presente? Un esempio: “Nei prossimi giorni non potrai rifiutarti di mangiare, altrimenti io mi rivolgerei al medico, gli racconterei tutto e lui così saprebbe che hai volutamente digiunato”. È evidente che in tale periodo l’azione al passato prossimo è precedente solo a quella costruita con il condizionale presente.
3. A margine, mi permetto anche di esporre un’ultima perplessità cui ho accennato in precedenza. In uno dei vostri interessanti interventi pubblicati molto tempo fa, si è parlato del futuro anteriore che, secondo la Grande grammatica italiana di consultazione, “ha un esplicito valore deittico ed è inaccettabile nelle proposizioni oggettive e soggettive”. Forse non ho ben assimilato la regola, ma in un frase come
“Non saprai mai tutto quello che ho fatto per te” (che dovrebbe invece essere accettabile, in quanto la subordinata è costruita con il passato prossimo) in che modo si potrebbe stabilire se l’azione sia anteriore esclusivamente a non saprai mai
Potrebbe, se non erro, essere anteriore anche al momento dell’enunciazione. Usando il futuro anteriore, invece, tale dubbio sarebbe fugato: “Non saprai mai tutto quello che avrò fatto per te”, ossia ‘Oggi ti dico che tu l’anno prossimo non saprai mai quello che nel frattempo (quindi in un lasso di tempo che è successivo all’ora dell’enunciazione e precedente solo a saprai mai) avrò fatto per te”. 
Secondo il mio modestissimo parere, senza l’ausilio di opportune congiunzioni e preposizioni, in un esempio scarno come quello sopra riportato, la soluzione con il passato prossimo sarebbe un po’ oscura. 

 

RISPOSTA:

​1. Tutti i tempi del congiuntivo sono anaforici, in quanto servono a stabilire un rapporto temporale tra l’evento espresso e quello descritto nella proposizione reggente.
2. Il condizionale presente nella reggente della sua frase funziona allo stesso modo dell’indicativo futuro (in altri casi funziona come l’indicativo presente); nel rapporto con il passato prossimo nella subordinata, pertanto, vale quanto illustrato nella FAQ  Sono tempi difficili per il discorso indiretto dell’archivio di DICO. Aggiungo che l’interpretazione deittica del passato prossimo non è esclusa neanche in una frase di questo genere: è possibile, cioè, che il digiuno sia effettivamente cominciato prima del momento dell’enunciazione, non dopo (anche se prima che il medico lo venga a sapere). 
3. Quanto ho appena scritto le dà ragione su questo punto; già nella FAQ  Sono tempi difficili per il discorso indiretto, infatti, avevo espresso il mio disaccordo con la posizione della Grande grammatica italiana di consultazione.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

So che la relativa può essere costruita con indicativo e congiuntivo, a seconda dei contesti.
Una frase come: “Voglio comprare una casa che ABBIA un bel giardino” può essere resa anche come “Voglio comprare una casa che HA un bel giardino” senza che quest’ultima sia considerata “errata”?

 

RISPOSTA:

Una subordinata relativa con il verbo all’indicativo va sempre bene; al massimo, in alcuni casi, potrà essere giudicata meno formale, ma mai sbagliata. Il congiuntivo, in alcuni contesti, può servire a esprimere sfumature finali, eventuali o potenziali, ipotetiche, desiderative o d’altra natura, ma, per l’appunto, si tratta di sfumature.
Nel suo caso specifico, “Voglio comprare una casa che HA un bel giardino” è perfettamente formata e la sfumatura di potenzialità espressa dall’equivalente frase al congiuntivo è davvero trascurabile, dal momento che il sintagma voglio comprare della reggente indica inequivocabilmente che la casa non è stata ancora comprata.
Aggiungo inoltre che, in questo caso, la relativa, sia all’indicativo sia al congiuntivo, è anche lievemente pleonastica, visto che si potrebbe più agevolmente dire e scrivere: “Voglio comprare una casa con un bel giardino”.

Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei ricevere, se possibile, alcuni chiarimenti circa i rapporti che il passato prossimo stringe con gli altri tempi verbali.

Primo caso: passato prossimo e trasformazione da discorso diretto a indiretto.

“L’ho visto e gli ho domandato: ‘Come va?’”
1a) L’ho visto e gli ho domandato come va. (Accettabile per indicare l’attualità dell’interrogativo.)
1b) L’ho visto e gli ho domandato come vada. (Mantiene l’attualità dell’interrogativo ma ne aumenta la formalità.)
1C) L’ho visto e gli ho domandato come andava. (Costruzione nel rispetto della consecutio.)
1d) L’ho visto e gli ho domandato come andasse. (Consecutio e formalità.)

Nel caso le mie annotazioni siano corrette, mi chiedo se le opzioni 1C e 1D siano applicabili anche in quei contesti in cui, come nelle prime due varianti, si voglia o si debba sottolineare che l’evento è “presente”.
In altre parole, scrivendo o dicendo “gli ho domandato come andasse/andava” si sottintende esclusivamente la contemporaneità con l’azione espressa dalla reggente che, in quanto al passato prossimo, attiene alla sfera del passato, oppure si mantiene comunque un possibile legame con il presente?

Il secondo caso è di simile natura. Mesi addietro lessi su un noto testo grammaticale i seguenti esempi:

“Mi sono raccomandato a Dio che mi soccorra della sua grazia.”

“Cristo mi ha messo in cuore che io vi dica.”

Le costruzioni dimostrano il nesso sintattico e semantico tra passato prossimo e azione presente; ricollegandomi al quesito esposto sopra, mutatis mutandis, vorrei sapere se la sostituzione del congiuntivo presente con il congiuntivo imperfetto cambierebbe tale nesso.

La frase: “Cristo mi ha messo in cuore che io vi dicessi”, ad esempio, escluderebbe la contemporaneità tra la subordinata e l’enunciazione?

Vi ringrazio sinceramente per la vostra disponibilità e per la vostra cordiale attenzione.

Seguo i vostri post su Facebook e sono orgoglioso di promuovere, nel mio piccolo, tra amici, colleghi e familiari, l’attività di DICO.

 

RISPOSTA:

Premetto che tutte le alternative da lei formulate sono valide, in italiano. Facciamo qualche piccola precisazione e distinzione, dunque, soltanto per amore di precisione e di speculazione (nel senso nobile del termine) metalinguistica.
Come giustamente osserva lei, la differenza d’uso tra indicativo e congiuntivo, nelle completive, è più che altro una differenza diafasica, cioè di livello di formalità, senza alcun cambiamento di significato. Qualcosa in più si può dire sull’uso del tempo, invece.
 “L’ho visto e gli ho domandato come va” e “come vada” non sono del tutto rispettose della consecutio temporum, perché, a rigore, quel che conta, nel discorso indiretto, non è il momento dell’enunciazione (essenziale, invece, nel discorso diretto), bensì il rapporto di contemporaneità, anteriorità o posteriorità rispetto al verbo reggente, vale a dire quello che introduce il discorso indiretto (“ho domandato”). Dunque in questo caso è come se ci fosse una mescolanza tra due piani deittici (cioè di riferimento temporale), quello del passato e quello del presente, cioè quello del discorso indiretto e quello del discorso diretto. Ma, a rigore, la domanda “come va” si presume sia stata fatta nel passato (quando cioè “gli ho domandato”), e non nel presente (o meglio, non troppo tempo dopo l’azione del domandare), e dunque la scelta migliore è senza dubbio “come andava” o, più formalmente, “come andasse”.
Diversi sono gli altri due casi da lei citati, il primo dei quali (“Mi sono raccomandato a Dio che mi soccorra della sua grazia”) attribuibile ad Annibal Caro, cioè un autore del Cinquecento (e dunque tenga presente che i rapporti di consecutio temporum, almeno fino all’Ottocento, erano un po’ più elastici di quanto non siano nell’italiano odierno, o comunque non del tutto e non sempre assimilabili a esso).
I due esempi da lei citati (“Mi sono raccomandato a Dio che mi soccorra della sua grazia”; “Cristo mi ha messo in cuore che io vi dica”) non sono a rigore esempi di discorso riportato (non sono, infatti, introdotti da un verbo di dire o simili). Inoltre, prima avviene l’azione di raccomandarsi a Dio, o a Cristo, e poi quella di esser soccorso, o di dire.
Dato che la distanza temporale tra il rivolgersi a Dio ed averne la grazia, e simili, si suppone ben esigua, di fatto l’uso del presente o dell’imperfetto cambia davvero poco o nulla, in questo caso, e pertanto direi che sarebbe di identico significato anche: “Mi sono raccomandato a Dio che mi soccorresse della sua grazia” e “Cristo mi ha messo in cuore che io vi dicessi”.
Diverso sarebbe il caso, poniano, di “Cristo mi ha detto che io vi dicessi”, che a quel punto rientrerebbe perfettamente nel discorso riportato, di cui sopra, e che dunque sarebbe senz’altro preferibile a: “Cristo mi ha detto che io vi dica” (o, più semplicemente, “mi ha detto di dirvi”), a meno che non si voglia supporre una notevole distanza cronologica tra “Cristo mi ha detto” e il mio “dirvi”.
Come ho già osservato in apertura, si tratta comunque di minuzie, qui sceverate soltanto per amor di precisione e di riflessione metalinguistica.
 
Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Sono abituata a dire e leggere frasi come “Spero che possa esserti utile…” o “Spero che potrà esserti utile …”. È anche accettabile spero con il condizionale, come: “Spero che potrebbe esserti utile….”?

 

RISPOSTA:

​Le proposizioni oggettive esplicite, come quella che nella sua frase è introdotta da che, ammettono l’indicativo, il condizionale e il congiuntivo. È facile, infatti, trovare esempi di credo che potrebbepenso che potrebbeimmagino che potrebbe e simili. Il verbo spero, però, veicola un forte senso di eventualità che rende improbabile, alle orecchie dei parlanti, la reggenza del condizionale e, addirittura, rende anche l’indicativo meno accettabile rispetto a quanto non lo sia con gli altri verbi di pensiero. In altre parole spero che puoi è meno accettabile di credo che puoi
Si tratta di una preferenza nell’uso, non di una regola grammaticale: la costruzione spero che potrebbe non può dirsi errata; in pratica, però, è scartata dalla maggioranza dei parlanti e degli scriventi rispetto a quelle con il congiuntivo (più formale) e con l’indicativo (più trascurata).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Tra le varie accezioni di se troviamo, se non vado errata, quella di esprimere una causa, accostandosi pertanto alle funzioni di dato chedal momento che.
  
Muovendo da ciò, vi chiedo se tali frasi potrebbero essere ammesse: 
“Ti voglio bene, se (dato che) non potrei mai vivere lontana da te”;
“Se (dal momento che) non riuscirei mai a parlargli senza arrossire, puoi star certo che già da adesso provo qualcosa per lui”.

 

RISPOSTA:

Le frasi sono perfettamente accettabili; in esse, se esprime la causa come un finto dubbio, cioè come un dubbio che è già stato risolto.
​Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella lingua spagnola ci sono i verbi di dire e di pensare che richiedono il congiuntivo solo nella forma negativa. E nell’italiano? Dopo le strutture: non diconon posso direnon sento, non capisconon vedo usiamo il congiuntivo o l’indicativo? 

 

RISPOSTA:

È preferibile il congiuntivo, soprattutto nello scritto; ma l’indicativo è la scelta più frequente nel parlato comune. 
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO

Non molto tempo fa ho letto su uno spazio di discussione una discettazione sui modi verbali da adottare con le completive oggettive, specie quando queste sono rette da verbi di opinione, percezione e simili.
Più di un utente osservava che in relazione a eventi futuri nella secondaria si debba adottare solo l’indicativo futuro e mai il congiuntivo presente, che è da circoscrivere alla contemporaneità tra reggente e secondaria. Applicando la regola tali frasi sarebbero quindi da penna rossa:

1. Credo che alla festa di stasera non partecipi nessuno.
2. Non penso che in un prosieguo di tempo tuo fratello utilizzi il dizionario.
3. Ipotizzo che entro dieci anni scompaiano del tutto le mezze stagioni.

Che ne pensate?

 

RISPOSTA

L’opinione che nella proposizione oggettiva con un evento al futuro si debba usare obbligatoriamente l’indicativo futuro è infondata. L’indicativo futuro è una variante pienamente accettabile, ma meno formale del congiuntivo presente. In generale, il congiuntivo è sempre il modo da preferire nelle completive in un contesto medio-alto nel parlato e anche medio-basso nello scritto. Bisogna riconoscere all’indicativo futuro una maggiore precisione nel descrivere un evento futuro rispetto al congiuntivo presente; tale vantaggio, però, è poco funzionale, visto che la contestualizzazione futura è ugualmente riconoscibile e, se necessario, ricostruibile attraverso strumenti lessicali come gli avverbi.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Vi auguriamo di vivere a pieno la bellezza di questo nuovo viaggio impregnato di conoscenza e relazioni positive”, vorrei sapere se prima di impregnato bisogna inserire una virgola.

 

RISPOSTA:

​La virgola non è obbligatoria, ma probabilmente è la scelta migliore nel suo caso. Senza virgola, la frase suppone che il viaggio sia già di per sé impregnato, mentre con la virgola questa qualità diventa subordinata all’augurio. Per rendere più trasparente la differenza, è possibile esplicitare la proposizione relativa “contenuta” nel participio passato:
“Vi auguriamo di vivere a pieno la bellezza di questo nuovo viaggio che è impregnato di conoscenza e relazioni positive”.
“Vi auguriamo di vivere a pieno la bellezza di questo nuovo viaggio, che è impregnato di conoscenza e relazioni positive”.
Addirittura, la presenza del verbo augurare favorisce una interpretazione ancora più ottativa della variante con la virgola, come se dicesse:
“Vi auguriamo di vivere a pieno la bellezza di questo nuovo viaggio, che sarà certamente impregnato di conoscenza e relazioni positive”. 
Detto questo, mi permetto di fare un appunto stilistico: il termine impregnato suona, in questa frase, un po’ troppo enfatico, quindi artificioso. Una riformulazione più sobria sarebbe, secondo me, più efficace. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Locuzioni e congiunzioni che normalmente richiedono il congiuntivo possono talvolta introdurre proposizioni al condizionale – oltreché all’indicativo futuro – specie se assumono, per così dire, un valore simile a quello delle apodosi del periodo ipotetico quando la protasi è sottintesa?
Alludo principalmente a è probabile chepurchéa patto chea condizione chenon è detto chesempre che e simili.

1. È molto probabile (se ci fosse l’opportunità di uno scontro diretto) che vincerebbe.
2. Potremmo aver bisogno di chiedere loro un preventivo, sempre che i tecnici (se avessimo bisogno di un preventivo) sarebbero abilitati a svolgere questi lavori.
3. Vorrei al caso rivolgermi al professore, a patto che sarebbe propenso a ricevermi.
4. Non è detto che capirà.

Quali elementi devono essere tenuti in considerazione per stabilire in autonomia quando tali usi siano eventualmente corretti? E Inoltre, l’uso del congiuntivo sarebbe comunque valido nei primi tre esempi o
stravolgerebbe il senso generale delle costruzioni?

a. È molto probabile (se ci fosse l’opportunità di uno scontro diretto) che vinca.
b. Potremmo aver bisogno di chiedere loro un preventivo, sempre che i tecnici (se avessimo bisogno di un preventivo) siano abilitati a svolgere questi lavori.
c. Vorrei eventualmente rivolgermi al professore, a patto che sia propenso a ricevermi.

 

RISPOSTA:

Lei mette insieme due costrutti apparentemente analoghi, ma che, invece, sono diversi e comportano una diversa organizzazione della frase. Da una parte abbiamo costrutti impersonali come è probabile che e non è detto che, che reggono una proposizione completiva soggettiva; dall’altra abbiamo congiunzioni come purchéa patto chea condizione chesempre che, che sono tutte varianti, con varie sfumature semantiche, di se introduttore di una proposizione subordinata ipotetica. 
La proposizione soggettiva può avere il condizionale, la ipotetica no, quindi le frasi 1 e 4 sono ben costruite, la 2 e la 3 sono scorrette. Rispetto alla 1, la variante a è più formale (la variante più formale della 4 sarebbe “non è detto che capisca”), rispetto alla 2 e alla 3, le varianti b e c sono quelle corrette.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Le soluzioni di seguito avanzate sono tutte consentite? Quale prevale sulle altre in termini di conformità grammaticale?
La paura che Giorgio disse di aver sperimentato…
a) era stata quella di perdere la propria dignità
b) era quella di perdere la propria dignità
c) è stata quella di perdere la propria dignità
d) fu quella di perdere la propria dignità
e) è quella di perdere la propria dignità.

 

RISPOSTA:

Nessuna delle cinque alternative è del tutto inaccettabile, sebbene alcune sembrino un po’ scolastiche e forzate.
Un primo problema è nella complessa reggenza sintattica che disse di… era quella di…, decisamente faticosa. Un secondo problema è nella frase pseudoscissa: “la paura è quella di”, piuttosto che un piano “Giorgio … sperimentato la paura di”. Un terzo problema è nella natura del verbo essere quando non ha un valore pienamente temporalizzabile, ma generico e quasi grammaticalizzato, come appunto accade nelle frasi scisse e pseudoscisse o anche nelle considerazioni di carattere generale e quasi universale.
Commisurando tutti questi problemi, la soluzione a) sembra forse la migliore, perché rende minutamente conto della consecutio temporum. Anche la b) va bene perché la genericità del verbo essere in questo caso giustifica una deroga alla resa minuziosa della consecutio, anche perché la paura di perdere la dignità è una paura di allora come di ora, forse, cioè l’uso del verbo essere è qui quasi acronico, o aoristico, nella generalità dell’affermazione “perdere la dignità”. Per spiegarmi meglio, certe affermazioni hanno una loro valenza di là dal momento contingente: se io dico “dissi che per me la paura è quel sentimento che” ecc. ecc., non avrebbe senso dire “fu quel sentimento”, al massimo potrei dire “era”, ma comunque la considerazione ha valore adesso come allora.
Per questo motivo la c) e la d) sono le soluzioni meno felici, perché forzano a una temporalità troppo rigida la constatazione di carattere generale. La e) invece andrebbe bene quasi quanto la b), se non fosse che l’insistito uso del passato in disse e aver sperimentato rende questo presente un po’ forzato: uno scrittore cavilloso (troppo) potrebbe eccepire: chi ti dice che la paura di perdere la dignità che Giorgio aveva allora ce l’abbia tuttora?
In conclusione, così com’è il periodo non autorizza a escludere che la paura di perdere la dignità sia una paura generale (valida sempre, allora come ora, per chiunque ecc.) o contingente, in riferimento a quel momento specifico della vita di Giorgio.
Ribadisco comunque che l’intero periodo, con qualsivoglia alternativa delle cinque, risulterebbe un po’ faticoso, sia per il verbo sperimentare (perché non provare?), sia per il doppio salto mortale sintattico del dire di avere avuto paura e di specificare che la paura è quella di… Sarebbe auspicabile una semplificazione del tipo: “Giorgio ebbe paura si perdere la dignità. Una paura mai provata prima”, o qualcosa di simile (anche propria è pleonastico: di chi altri sarebbe la dignità se non la sua?).
 
Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo un periodo complesso con alcune soluzioni sintattiche su cui vi sarei grato se vi pronunciaste.
Tu dovrai mantenere la calma e isolare a uno a uno tutti i cavi di alimentazione. Dopo un’ora sarà il momento di attendere il segnale convenuto; a quel punto il lavoro
1. sarà stato completato [evento certo, concluso, pertanto anteriore a quello del “segnale convenuto”]
2. dovrebbe essere stato completato 
3. sarebbe stato completato [implicito: se non fossero subentrati inconvenienti]
4. sarebbe completato [implicito: se non subentrassero inconvenienti].

 

RISPOSTA:

Vanno senz’altro bene le due prime frasi, sebbene la seconda esprima in più un valore epistemico (di possibilità): potrebbe anche non essere completato, se qualcosa non funziona o non ha funzionato. In questo caso andrebbe bene anche “dovrebbe essere completato”.
La 3 suona un po’ innaturale, sebbene possibile, per esprimere la possibilità di inconvenienti però meglio espressa con la 2.
La 4 è possibile, sebbene suoni anch’essa più innaturale della 2.
Aggiungo una 5a possibilità, cioè quella al semplice futuro: “sarà completato”, che è la migliore di tutte, visto che il futuro anteriore con valore di anteriorità nel futuro è davvero poco usato, nell’italiano odierno. Inoltre, visto che le indicazioni procedurali presenti nell’esempio hanno il sapore di un’azione che si sta svolgendo quasi in tempo reale, o comunque in un futuro immediato, o proiettato nel presente, sarebbe possibile (e e preferibile) esprimere tutto al presente:
“Devi mantenere la calma e isolare a uno a uno tutti i cavi di alimentazione. Dopo un’ora è il momento di attendere il segnale convenuto; a quel punto il lavoro è completato”.
Concludo che, anche nel suo esempio con i verbi al futuro, la conclusione “il lavoro è completato” va bene, anzi è la migliore.
 
 
Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Si può usare il “perché” in una frase a sé per non fare una domanda, ma per affermare? 
Es.: “Domani non andremo al mare. Perché non ho voglia”.

 

RISPOSTA:

Sì, si può usare. Sicuramente il punto che separa una subordinata dalla reggente è la soluzione meno formale, e più espressiva, adatta per esempio a un articolo giornalistico piuttosto che a un saggio critico, nel quale si opta di solito per una maggiore coesione sintattica. Questo in linea di massima. Per essere più specifici, la subordinata causale è solitamente tra quelle più solidali con la reggente, cioè il cui significato (la causa, la conseguenza di qualcosa, appunto) più delimita il significato della reggente, e per questo motivo si tende a non separare con una virgola la causa dall’effetto. Tuttavia subentra talora l’esigenza di dare pari valore sia alla causa sia all’effetto, e in casi simili il punto aiuta proprio a non mettere in secondo piano, in ombra, la causa rispetto all’effetto. Pare proprio questo il senso dell’enunciato da Lei riportato, nel quale il non aver voglia ha pari importanza, se non addirittura superiore, rispetto al non andare la mare. Lo stesso enunciato senza la virgola conferirebbe meno valore al non avere voglia: “Domani non andremo al mare perché non ho voglia”, in cui la prima parte del periodo ha decisamente più importanza della seconda.
A queste ragioni si aggiunga che talora il perché causale ha in italiano non tanto il valore della causa in sé (cosiddetta causa de re), quanto della causa del dire o pensare una determinata cosa (cosiddetta causa de dicto). Questo secondo valore del perché (causa de dicto), usualmente più comune nel parlato che nello scritto, o nello stile colloquiale piuttosto che in quello formale, è preferibilmente separato da un punto rispetto alla reggente. L’esempio classico del perché de dicto è il seguente: “Piove. Perché prendo l’ombrello”. La causale “perché prendo l’ombrello” non è la causa del piovere (semmai ne è l’effetto), bensì del mio dire, o ipotizzare, che piove.
 
Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La congiunzione finché gode della stessa libertà sintattica di appena (come illustrato nel vostro intervento 2800305) e di quando? Includo dati esempi:

aspetterò / aspetto finché venga;
aspetterò / aspetto finché viene;
aspetterò / aspetto finché è venuto;
aspetterò / aspetto finché sia venuto;
aspetterò / aspetto finché verrà;
aspetterò / aspetto finché sarà venuto.

Se il predicato della principale non è di modo indicativo, ma condizionale, sono comunque possibili molte delle soluzioni sopra prospettate?

aspetterei finché venga;
aspetterei finché viene;
aspetterei finché verrà;
aspetterei finché sarà venuto;
aspetterei finché è venuto;
aspetterei finché sia venuto;
aspetterei finché venisse;
avrei aspettato finché fosse venuto;
avrei aspettato finché venisse.

 

RISPOSTA:

Tutte le varianti dei due blocchi da lei proposte sono accettabili, anche se non ugualmente frequenti. Come sempre, quelle con il congiuntivo sono più formali di quelle con l’indicativo. 
Particolarmente inattese quella con il passato prossimo, che unisce una struttura sintattica sofisticata a una realizzazione superficiale non curata, e quella con la reggente al condizionale passato e la subordinata al congiuntivo imperfetto (piuttosto comune, invece, quella con il congiuntivo trapassato). 
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Si parla spesso del condizionale composto in relazione al futuro nel passato. 
Il periodo “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1986) si sarebbe potuto recare a Venezia” 
dovrebbe essere dunque corretto. Mi immagino che si possa affermare altrettanto di “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si sarebbe potuto recare a Venezia”. 
Omettendo le specifiche incluse tra parentesi – utili nel mio caso per semplificare l’enucleazione del concetto – i due periodi risultano identici, malgrado lo stesso predicato verbale si agganci prima al futuro (nel passato) e poi al passato. 
Mi domando se ci siano, per così dire, accorgimenti linguistici che permettono di decifrare la giusta semantica in assenza di elementi di “co-testo”. 

 

RISPOSTA:

I due periodi sono entrambi ben, formati, ha ragione lei. Qui infatti il condizionale serve non tanto a indicare il futuro nel passato, quanto la modalità epistemica (cioè la probabilità) del verbo recarsi, ribadita dal verbo servile potere. Infatti, se eliminassimo potere, vedrebbe come il condizionale, stavolta per indicare esclusivamente il futuro nel passato, sarebbe corretto soltanto nel primo caso, ma non nel secondo:
1) “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1986) si sarebbe recato a Venezia”;
2) “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si ERA RECATO a Venezia”.
Sarebbe, con molte difficoltà, forse possibile l’uso del condizionale cosiddetto di distanza, cioè quello tipico con cui i giornalisti scaricano la responsabilità di quanto stanno scrivendo: “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si sarebbe recato a Venezia”, nel senso: ‘pare che vi si sia recato ma non vi sono prove’. Tuttavia, sarebbe bene evitare quest’uso, in quanto, in questo contesto, risulterebbe particolarmente incerta l’interpretazione, a causa del conflitto tra il condizionale per esprimere il futuro nel passato (in contraddizione con le date) e il condizionale di distanza.
Nelle sue frasi, a causa della modalità epistemica, la seconda funziona soltanto se la persona in questione (il signor X) a Venezia non ci si è recata. In caso contrario, bisognerebbe per forza utilizzare il trapassato prossimo:
2A) “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si sarebbe potuto recare a Venezia, ma poi non c’è più andato”
2B) “(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si ERA POTUTO recare a Venezia e si era molto divertito”.
Al limite, ma sarebbe davvero difficile da accettare, potrebbe anche essere possibile un uso del genere:
“(Nel 1985) il signor X disse che (nel 1984) si sarebbe potuto recare a Venezia, e in effetti poi c’è (o c’era) andato davvero”, ma l’enunciato così composto avrebbe un effetto un po’ spiazzante sull’interlocutore, che tenderebbe a interpretarlo come contraddittorio.
 
Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vi vorrei chiedere un parere in riguardo all’analisi logica. Quindi anche l’analisi del periodo, in molti aspetti ha le sue limitazioni? 
Cioè essendo analisi della frase complessa, ha in sé l’analisi dei complementi, quindi in alcune situazioni mostra i propri limiti?
La grammatica valenziale, riesce a superare le limitazioni dell’analisi del periodo?

 

RISPOSTA:

Anche l’analisi del periodo, se condotta come mera tassonomia di tipi e se si limita a considerare le subordinate come ampliamento di un complemento è inutile. E anche all’analisi del periodo la grammatica valenziale può apportare qualche aiuto, per esempio nella distinzione tra subordinate argomentali (le completive), cioè necessarie a completare il senso della reggente altrimenti incompleta, e quelle circostanziali, accessorie e non necessarie al completamento della reggente. Insomma, est modus in rebus, come sempre. Dipende da come la si fa, l’analisi del periodo. Distinguere i tipi di subordinata spiegando esattamente i diversi tipi di reggenza, di necessità e di rapporto col verbo reggente è utile e produttivo, mentre attribuire fantasiose etichette semantiche al tipo di subordinata non lo è affatto.
 
Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “C’é da soffrire”, la proposizione “da soffrire” è  una relativa, oppure si può considerare una consecutiva?

 

RISPOSTA:

“C’è da soffrire” = “Bisogna soffire”: “da soffrire”: subordinata soggettiva dipendente dalla reggente “c’è” = “bisogna”. Ulteriori dettagli e specificazioni si possono leggere in altre risposte a domande pressoché identiche a questa: faq 2800312 e faq 2800341. 

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nonostante le vostre numerose spiegazioni offerte in merito alla consecutio, che ho
letto e ho provato ad assimilare in toto, quando mi sono trovato davanti al periodo
sotto riportato, ho pensato subito di ricorrere a voi per ricevere lumi:
Faremo il possibile per preparare il reparto all’evenienza. Se ci fosse un’emergenza,
il personale sarebbe infatti pronto ad applicare il protocollo, perché sarebbe stato
precedentemente formato per fronteggiare ogni criticità.
Il periodo è ben formato, in particolare la subordinata dell’apodosi, introdotta da
“perché”?
Mi trovo inoltre al centro di un confronto, per così dire, retorico, con un mio
collega a proposito di questa frase:
Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché hai ricevuto la convocazione una decina di giorni prima.
Ritengo valida la scelta del passato prossimo “hai ricevuto”, memore delle vostre
lezioni sui tempi deittici e su quelli anaforici; sono tuttavia comparse nella mia
mente alcune soluzioni alternative – non tutte convincenti – su cui mi piacerebbe si
posasse la vostra attenzione:
1) Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché avrai ricevuto la convocazione una decina di giorni prima.
2) Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché riceverai la convocazione una decina di giorni prima.
3) Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché avresti ricevuto la convocazione una decina di giorni
prima.
4) Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché dovresti aver ricevuto la convocazione una decina di
giorni prima.
5) Dico (oggi, 18 agosto): se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché tu abbia ricevuto la convocazione una decina di giorni
prima.
Vi ho posto le suddette alternative per curiosità intellettuale, lo ammetto; se
infatti fosse toccato a me esprimere il concetto intorno al quale ruota la frase,
avrei scelto la seguente soluzione, con tre varianti (che mi auguro essere valide) per
la subordinata:
Il prossimo 9 settembre presenzierai all’udienza solo se nei giorni precedenti
ricevessi/avessi ricevuto/avrai ricevuto la convocazione.

 

RISPOSTA:

Il periodo: “Se ci fosse un’emergenza, il personale sarebbe infatti pronto ad applicare il protocollo, perché sarebbe stato precedentemente formato per fronteggiare ogni criticità” è ben formato nella prima parte (protasi più apodosi del periodo ipotetico dell’eventualità), direi ipercorretto (e dunque non pienamente accettabile) nella causale successiva, che, in quanto causale, non necessita del condizionale che in realtà estende l’eventualità anche a questa seconda parte del periodo. Infatti, il fatto di essere stato formato non è un’eventualità ma la realtà di ogni personale medico e paramedico che si rispetti. Dunque propongo: “….perché è stato precedentemente formato per fronteggiare ogni criticità”. Ricordo che l’apodosi è “il personale sarebbe…”, mentre “perché…” è una causale di secondo grado dipendente dall’apodosi.
Passiamo al secondo esempio: il periodo “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché hai ricevuto la convocazione una decina di giorni prima” è ben formato.
Vediamo le alternative da Lei elencate.
1) Dico (oggi, 18 agosto): “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché avrai ricevuto la convocazione una decina di giorni prima”.
Il futuro anteriore appare fuori luogo. Semmai, per rispettare la consecutio temporum del futuro nel passato, “avresti ricevuto”.
2) Dico (oggi, 18 agosto): “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché riceverai la convocazione una decina di giorni prima”.
Come sopra.
3) Dico (oggi, 18 agosto): “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché avresti ricevuto la convocazione una decina di giorni
prima”.
Va bene.
4) Dico (oggi, 18 agosto): “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché dovresti aver ricevuto la convocazione una decina di
giorni prima”.
Va bene: introduce una modulazione epistemica (l’eventualità “dovresti…”) alla frase.
5) Dico (oggi, 18 agosto): “se il prossimo 9 settembre tu fossi chiamato a presenziare
all’udienza, sarebbe perché tu abbia ricevuto la convocazione una decina di giorni
prima”.
No, non va bene, sia perché il passato congiuntivo non rispetta la consecutio temporum del futuro nel passato, sia, soprattutto, poiché “perché + il congiuntivo” non indica una causale, bensì una finale, e dunque si falserebbe completamente il senso della frase..
Infine, la sua ultima poliforme alternativa: “Il prossimo 9 settembre presenzierai all’udienza solo se nei giorni precedenti ricevessi/avessi ricevuto/avrai ricevuto la convocazione” va bene in tutte le sue possibili varianti. “Ricevessi…” pone l’accento sull’eventualità: chi sa se la riceverai o no; la seconda (“avessi ricevuto…”) sia sull’eventualità sia sulla consecutio temporum (prima ricevi, poi presenzi); la terza (“avrai ricevuto…”) solo sulla consecutio temporum.
 
Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Chiedo un chiarimento sulla correttezza dei tempi nella seguente frase:
“È la prima volta che mi è capitato di sentire che Luigi VOGLIA/VOLESSE tornare nello stesso luogo in cui ha trascorso le vacanze”.
A mio avviso sono entrambi corretti, con la differenza che VOGLIA si riferisce al futuro, mentre VOLESSE indica una contemporaneità. Dico bene?

 

RISPOSTA:

La sua intuizione è in parte giusta, in parte troppo rigida.
Cominciamo dal modo: la scelta del congiuntivo è la più formale, come al solito, ma il suo esempio funzionerebbe perfettamente, e direi anche meglio, all’indicativo: “È la prima volta che mi è capitato di sentire che Luigi VUOLE/VOLEVA tornare nello stesso luogo in cui ha trascorso le vacanze”.
Sicuramente nel suo caso l’uso del congiuntivo è incoraggiato, oltreché dalla formalità e dal retaggio scolastico (non sempre giustificato) di preferire il congiuntivo all’indicativo (che noi linguisti chiamiamo scherzosamente “congiuntivite”), dalla sfumatura eventuale conferita dall’espressione reggente “mi è capitato di sentire”. Se sostituissimo alla reggente (che è una frase scissa: “è la prima che mi è capitato”) un’espressione più netta e meno eventuale, rispettandone però il tempo al passato, come “ho sentito”, l’indicativo sarebbe di fatto l’unica alternativa possibile, relegando il congiuntivo a un livello di artificiosità quasi irricevibile: “ho sentito che Luigi VUOLE/VOLEVA” ecc. / *“ho sentito che Luigi VOGLIA/VOLESSE” ecc.
Passiamo ora alla consecutio temporum. Esattamente come nell’esempio da me ricostruito all’indicativo, il presente ha un valore non del tutto definito (quasi acronico o pancronico) che va dalla contemporaneità alla posteriorità: quando vuole tornarci? ora? domani? prima o poi? Mentre l’imperfetto ha un valore anch’esso più o meno indefinito dalla contemporaneità all’anteriorità: ci voleva tornare e poi c’è effettivamente tornato? oppure ci voleva tornare e non c’è tornato? oppure genericamente ci vorrebbe tornare prima o poi? Quest’ultimo significato è incoraggiato dal valore modale dell’imperfetto indicativo, che può valere, epistemicamente, come un condizionale: voleva = vorrebbe.
Al congiuntivo accade più o meno quel che accadrebbe all’indicativo:
1) “È la prima volta che mi è capitato di sentire che Luigi VOGLIA tornare nello stesso luogo in cui ha trascorso le vacanze”: rispetto a quando l’ho sentito dire, Luigi vuole tornare nello stesso luogo, forse ci tornerà, ma forse c’è già tornato (anche se quest’ultima eventualità è la più rara).
2) “È la prima volta che mi è capitato di sentire che Luigi VOLESSE tornare nello stesso luogo in cui ha trascorso le vacanze”: rispetto a quando l’ho sentito dire, Luigi voleva (prima), o vuole tuttora, tornare ecc., e non si capisce se ha già realizzato o no la sua volontà.
Nel caso da Lei segnalato, infine, a rendere ancora più sfumato il rapporto tra contemporaneità, anteriorità e posteriorità c’è anche l’uso del verbo modale volere, che conferisce una sfumatura eventuale-desiderativa e una proiezione sulla realizzabilità dell’azione che ben si sposa con l’idea di futuro (cioè di posteriorità), che configge, in certo qual modo, con la dipendenza al passato di “è la prima volta che mi è capitato di sentire”. Ricordo en passant, al riguardo, che l’idea di futuro, in molte lingue del mondo (sicuramente quelle romanze e germaniche) è intimamente legata con quella di volere/dovere, tant’è vero che in inglese il futuro si può costruire anche con will = ‘voglio’ e in italiano con il suffisso -arò ecc. che proviene dall’espressione perifrastica latina con habeocantare habeo = devo cantare = canterò, questo per dire che tra verbi modali e idea di posteriorità c ‘è una forte congruenza.
Morale della favola: nell’enunciato da Lei segnalatoci, sia il presente sia l’imperfetto congiuntivo (o indicativo) sono accettabili, ma non è possibile stabilire in modo univoco i valori di contemporaneità, anteriorità e posteriorità dell’uno e dell’altro. Tendenzialmente, il presente voglia  incoraggia l’interpretazione della contemporaneità-posteriorità, l’imperfetto volesse quella della contemporaneità-anteriorità. Il tutto, poi, relativamente al valore del verbo volere. Ma se ci spostiamo da volere a tornare, cioè il verbo principale retto dal modale volere, il discorso si fa ancora più sfumato, perché, sia per la consecutio temporum sia soprattutto per la sfumatura modale conferita dal verbo volere, è impossibile, in tutti i casi da Lei e da noi qui segnalati, stabilire con certezza se Luigi ci è tornato o no.
Le lingue, e il cervello umano che le crea, son fatte di incertezze e di sfumature: è questo il loro fascino, il loro mistero, il loro miracolo cognitivo. Ed è questo che rende la comunicazione, e tutti gli sforzi per comprenderci gli uni con gli altri, un’attività così creativa e accattivante. Non bisogna mai perdere il gusto e la tenacia di tentare di comprendere sempre i testi (scritti, orali, visivi ecc.) con cui ci confrontiamo, neppure di fronte alla loro inevitabile ambiguità.
Concludo con un’ultima notazione: le anomalie date dal valore modale (a metà tra il volitivo e il desiderativo) del verbo volere giustificano anche un’altra apparente anomalia morfosintattica e semantica di quel verbo, vale a dire il fatto che dal presente condizionale dipenda preferibilmente l’imperfetto congiuntivo, piuttosto che il presente, per esprimere la contemporaneità dell’azione: “vorrei che Luigi tornasse”, piuttosto che “vorrei che Luigi torni” (comunque possibile, ma meno formale, in italiano). Per ulteriori dettagli su quest’ennesima “stranezza” dell’italiano, può leggere la documentata risposta del prof. Ruggiano, con relativa citazione da Serianni, nella risposta di DICO dal titolo “Vorrei che tu…”.
 
Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “Vorrei essere amato”, abbiamo solo una proposizione principale?
Il verbo volere essere è un verbo fraseologico? e amato?

 

RISPOSTA:

“Vorrei essere amato” è una sola proposizione passiva costituita dal verbo servile (o modale) volere, che regge l’infinito (in questo caso passivo) essere amato. Dunque, esattamente come all’attivo (vorrei amare), il complesso di servile + infinito costituisce un’unica frase, non due; il verbo servile si comporta, insomma, come un ausiliare.

​Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sottoporvi un quesito di interpretazione semantica. Senza menzionare la legge in questione, vi cito testualmente l’articolo stranamente male interpretato (ma forse è una mia impressione):

“Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina”.

Secondo l’interpretazione collettiva di chi amministra, quell’ove possibile è interpretato in generale; giusto per enfatizzare l’interpretazione, ove possibile equivale anche a dire ‘se non piove ti autorizzo a …’.
Invece, per la conoscenza che ho io di italiano e di analisi logica il testo lo interpreto così:
‘… ha diritto a scegliere la sede di lavoro, se in quella sede non ci sono impedimenti di varia natura’.
Per interpretarla con il ‘se non piove ti autorizzo a…’, secondo me quell’ove possibile doveva essere messo subito dopo la citazione del comma, ovvero “Il lavoratore di cui al comma 3, ove possibile, ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina.”; così scritta è interpretabile con ‘laddove non ci siano
impedimenti di varia natura, il lavoratore ha diritto a scegliere…’.
Secondo voi è corretta la mia interpretazione? 

 

RISPOSTA:

L’interpretazione di un articolo di legge separato dal resto del testo è rischiosa; limiterò le mie osservazioni al versante linguistico. L’espressione ove possibile (descrivibile, dal punto di vista grammaticale, come una proposizione relativa ipotetica nominale incidentale) è semanticamente molto generica, tanto da comprendere qualsiasi circostanza potenzialmente ostativa, dalle avverse condizioni atmosferiche alla mancanza di posizioni vacanti. In questi casi, ci si affida al ragionevolezza del giudice per evitare interpretazioni fedeli alla lettera ma contrarie allo spirito della legge.
L’anticipazione della proposizione incidentale da lei proposta cambia effettivamente il senso generale della frase, ma in un modo potenzialmente peggiorativo per il lavoratore: in “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina”, la restrizione si applica alla sede di lavoro più vicina. Si enfatizza, pertanto, la relazione tra la possibilità della scelta e la vicinanza della sede di lavoro, come a dire che il lavoratore può scegliere la sede più vicina solo se ciò è possibile (senza specificare, come detto sopra, quale possa essere la causa ostativa). Nella frase non è spiegato che cosa succeda se la sede più vicina non sia disponibile, ma il diritto di scegliere una sede è fatto salvo e può essere esercitato, presumibilmente, su un’altra sede.
In “Il lavoratore di cui al comma 3, ove possibile, ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina”, la restrizione si applica al diritto: è il diritto a essere vincolato alla possibilità, non la scelta. Con questa formulazione, il diritto potrebbe non essere fatto salvo in ogni caso, ma valere solamente ove possibile. Paradossalmente, la motivazione ostativa potrebbe essere l’impossibilità di scegliere la sede più vicina; il diritto, cioè, si perderebbe del tutto (e non potrebbe essere esercitato su sedi alternative) se la sede più vicina non fosse disponibile.
Sottolineo che la differenza tra le due formulazioni è sottile; anche nel secondo caso si potrebbe argomentare che lo spirito sia da ricondurre al primo; che, cioè, ove possibile si riferisca al diritto di scegliere la sede più vicina, ma non escluda la possibilità di sceglierne altre.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Tra le funzioni dei due punti, se non sbaglio, vi è anche quella di indicare – con la proposizione che li segue – le conseguenze della proposizione che li precede.
Nella frase “Mi ha chiamato Valentina: ha detto di volermi raggiungere e io, mentre ero impegnato con il lavoro, le ho fornito le indicazioni stradali” la proposizione “ha detto di volermi raggiungere” è una conseguenza della chiamata, ma l’atto di fornire le indicazioni stradali durante il lavoro non lo è, almeno
direttamente.
In casi come questo è preferibile separare le eventuali proposizioni alla destra dei due punti con altri segni (punto e virgola, punto fermo), così da segnare un confine tra ciò che è conseguenza della parte del discorso prima dei due punti e ciò che non lo è?
Nell’esempio summenzionato, le soluzioni potrebbero essere queste:
“Mi ha chiamato Valentina: ha detto di volermi raggiungere; e io, mentre ero impegnato con il lavoro, le ho fornito le indicazioni stradali”.
“Mi ha chiamato Valentina: ha detto di volermi raggiungere. Mentre ero impegnato con il lavoro, (io) le ho fornito le indicazioni stradali”.
Quale sarebbe la soluzione consigliata, considerando anche quelle che non ho ipotizzato?

 

DOMANDA:

​Più che una conseguenza, i due punti segnalano che seguirà una giustificazione, una motivazione, una spiegazione dell’evento o dello stato di cose introdotto prima, o del perché un evento o uno stato di cose sia stato introdotto prima. In questa frase, ai due punti segue una spiegazione della descrizione: “I soffitti a travicelli, freddo d’inverno, caldo d’estate, non potevo aprire la finestra, sempre qualcuno mi faceva brutti segni: Roma era così” (Anna Banti, Artemisia, 1948). Se capovolgiamo il periodo, la descrizione diviene la spiegazione della proposizione “Roma era così”: “Roma era così: i soffitti a travicelli, freddo d’inverno, caldo d’estate, non potevo aprire la finestra, sempre qualcuno mi faceva brutti segni”. Le due proposizioni separate dai due punti, insomma, sono tra di loro in una relazione di spiegazione reciproca.
Nel suo esempio, il fatto che Valentina abbia detto qualcosa non è una conseguenza del fatto che ha chiamato; non è neanche, però, una spiegazione di questo fatto: è, piuttosto, una motivazione, ovvero la spiegazione del perché lo scrivente abbia introdotto il fatto della chiamata di Valentina. Potremmo dire che i due punti, in questo caso, sostituiscono un’espressione come “L’ho detto perché”:  “Mi ha chiamato Valentina. L’ho detto perché ha detto di volermi raggiungere e io, mentre ero impegnato con il lavoro, le ho fornito le indicazioni stradali”.
Per quanto riguarda la prosecuzione della frase, la punteggiatura va scelta in base alla relazione semantica che si intende esprimere tra l’evento della dichiarazione di Valentina e quello della comunicazione da parte dello scrivente. La prima variante della frase, senza segni, suggerisce che i due eventi siano direttamente consequenziali, come se tutta la parte del periodo che va dai due punti al punto finale serva da motivazione per la parte che precede i due punti. Questa soluzione è legittima e si adatta bene a una situazione in cui lo scrivente stia raccontando gli eventi in modo semplice. Non convince la variante con il punto e virgola, che non chiarisce quale rapporto ci sia tra la dichiarazione e la comunicazione. Quella con il punto fermo, invece, è valida: rispetto a quella senza segni separa i due eventi, rendendoli autonomi. In virtù di questa autonomia, “mentre ero impegnato con il lavoro” risulta più rilevante rispetto all’altra variante; in questo modo, lo scrivente potrebbe far rilevare di aver interrotto il proprio lavoro con un certo fastidio per rispondere a Valentina. 
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Alcuni giorni addietro ho letto l’articolo 2800333, in cui un utente ha introdotto un argomento, a me caro, che avrei voluto esporre a mia volta. Benché le vostre chiose siano state come al solito chiare e dettagliate, permangono in me punti oscuri sull’alternativa congiuntivo/condizionale nella reggenza di quando.
Già prima di consultare il vostro intervento, avevo condotto svariate ricerche su Internet (Google libri, siti di linguistica, ecc.), ma, in tutta onestà, confesso di non aver ancora afferrato la regola che ne sancisce l’uso. Il setaccio on line ha prodotto, tra le numerosissime occorrenze, anche i seguenti risultati:
“Avrebbe continuato a farlo anche quando lui sarebbe sparito per sempre” (C. Castellaneta).
“Avrebbe potuto irritarla quando avrebbe voluto” (A. Moravia).
“Ti si chiamerebbe quando si fosse finito” (A. Moravia).
“Sapevo che quando sarebbero venuti gli infermieri, non lo avrei mai più visto” (A. Elkann). 
“Parlava di dedicarsi alla scrittura, quando fosse andato in pensione” (autore non identificato).
Aggiungo in calce anche una frase estratta da traduzione di Edgar Allan Poe a cura di Elio Vittorini (si discosta dal pernio dell’argomento, ma anche qui vi è un uso del condizionale in cui, secondo me, si potrebbe scegliere il congiuntivo): “Si decise allora di informare della mia presenza a bordo il primo uomo che sarebbe venuto giù”.
Come già detto, queste sono solo alcune delle occorrenze. In generale, ho riscontrato un’alternanza dei due modi, anche all’interno di quei casi nei quali – se ho ben interpretato la semantica – quando ha un valore paragonabile a quello di ‘nel momento in cui’.
Mi permetto di domandarvi se:
1) Si possa sempre usare il congiuntivo, indipendentemente dalle sfumature che di volta in volta potrebbe assumere quando, oppure ci sono casi in cui è obbligatorio il condizionale?
2) Esistono appunto dei casi in cui si usa solo il congiuntivo e altri in cui invece si usa solo il condizionale (sempre in riferimento a quando ‘nel momento in cui’), oppure i due modi rivaleggiano negli stessi ambiti e la scelta da parte dello scrivente-parlante dipende esclusivamente dal registro (il congiuntivo è più formale del condizionale)?
3) Nel quesito già citato, l’esempio dell’utente è “Quando fosse giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume”. La forma “Quando sarebbe giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume” sarebbe stata comunque accettabile, anche se meno formale?

 

RISPOSTA:

​1) Il congiuntivo è sempre possibile, sia in un contesto ipotetico, sia in uno di futuro nel passato. In tutti gli esempi letterari da lei proposti, non a caso, si può sostituire il condizionale con il congiuntivo. 
2) Se la proposizione reggente è una apodosi, la proposizione subordinata introdotta da quando richiede il congiuntivo: “Sono certo che gli avrei detto tutto quando lui fosse venuto” (non *”Sono certo che gli avrei detto tutto quando lui sarebbe venuto”); se, però, l’evento della proposizione al condizionale passato è futuro rispetto al passato, il condizionale nella subordinata torna a essere accettabile, perché la subordinata si interpreta come una temporale con possibile sfumatura ipotetica: “Pensai che gli avrei detto tutto quando fosse / sarebbe venuto”. In questo caso, in cui sono possibili entrambi i modi, il congiuntivo è la scelta più formale.
Si noti che in questi casi lo scarto tra protasi e temporale è sottile; a distinguerle è spesso solamente il contesto (negli esempi che ho portato sopra, è il tempo del verbo della proposizione principale).
3) Da quanto appena detto discende che “Quando sarebbe giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume” sia accettabile, sebbene meno formale di “Quando fosse giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume”. In ogni caso, il congiuntivo nella proposizione introdotta da quando non ha valore ipotetico: il giungere dell’alba, infatti, è un fatto ineludibile.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Chiedo la vostra consulenza per alcuni chiarimenti sulle seguenti forme ed espressioni. 
1. All’interno di una narrazione fatta con il passato remoto, per indicare ciò che è avvenuto prima sarebbe più opportuno usare il trapassato prossimo anziché lo stesso passato remoto?
a. “Quando arrivò Michele non era in casa perché aveva voglia di fare una passeggiata. Poco prima di uscire incontrò sul pianerottolo la vicina che gli disse:…”.
b. “Quando arrivò, Michele non era in casa perché aveva avuto voglia di fare una passeggiata. Poco prima di uscire aveva incontrato sul pianerottolo la vicina che gli aveva detto:….”.
2. L’espressione “è sbagliato fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te” è corretta? Ritengo che la forma debba essere “è sbagliato fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te”.

 

RISPOSTA:

La funzione primaria del trapassato è proprio quella di descrivere un evento precedente a un altro a sua volta passato. Nell’italiano contemporaneo, il trapassato remoto, che dovrebbe essere usato nel caso in cui l’evento di riferimento sia al passato remoto, è poco gradito, in favore del trapassato prossimo. La frase 1b, pertanto, è senz’altro ben composta. La frase 1a, però, non è automaticamente composta male, soprattutto nel secondo periodo. Il primo periodo rappresenta l’evento dell’ avere voglia con un imperfetto; nel caso specifico la formulazione risulta incoerente: “perché aveva voglia di fare una passeggiata” non spiega affatto perché Michele non fosse in casa. Cambiando l’evento, però, l’imperfetto può divenire accettabile: per esempio in “Michele non era in casa perché c’era troppo caldo”. Come si vede, l’imperfetto, grazie alla sua funzione di tempo di sfondo, può descrivere un evento o una situazione iniziati in precedenza e ancora validi nel momento in cui avviene l’evento di riferimento. Inaccettabile sarebbe stato, comunque, il passato remoto: *”Michele non era in casa perché ebbe voglia di fare una passeggiata”.

Nel secondo periodo, la formulazione con i due passati remoti è legittima al pari di quella con i trapassati; tra le due cambia il momento di riferimento: per la prima coincide con quello dell’enunciazione, cioè ora, per la seconda, invece, è quello dell’ uscire. In altre parole, nel secondo periodo della frase 1a abbiamo due piani temporali: Momento dell’enunciazione: “(Ora dico che) Momento dell’evento: poco prima di uscire incontrò sul pianerottolo la vicina che gli disse: Nella frase 1b, invece, abbiamo tre piani temporali: Momento dell’enunciazione:”(Ora dico che) Momento di riferimento: poco prima di uscire Momento dell’evento: aveva incontrato sul pianerottolo la vicina che gli aveva detto: La frase 1a sarà certamente preferita in un contesto informale (o in uno scritto che imiti l’andamento del parlato informale) ; la 1b è, invece, più accurata e più adatta allo scritto in generale e al parlato formale.

La frase 2 presenta una sintassi scorretta, sebbene vicina a una costruzione ben nota e antica (la completiva all’infinito senza identità di soggetto), già discussa in questa risposta di DICO, a cui rimando per approfondimenti. Proprio questa vicinanza favorisce l’uso di una simile frase, nonostante la sua scorrettezza. A rendere la costruzione scorretta è il verbo vorresti, che non regge una completiva, ma forma con l’infinito un unico sintagma verbale. Quest’unico sintagma si trova, nella frase, ad avere due soggetti, tu per vorresti e che per essere fatto: una circostanza, come si può immaginare, da evitare. La variante con il congiuntivo, invece, non presenta difficoltà. Si potrebbe, però, ulteriormente migliorare sottintentendo il secondo che, per evitare la sgradevole ripetizione.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “C’è da dire che è stato importante”, il costrutto c’è da dire è un sintagma nominale?

 

RISPOSTA:

il sintagma nominale (per esempio il cane, Mario, molta strada ecc. ) non contiene verbi e non si può ulteriormente scomporre dal punto di vista sintattico. C’è da dire, al contrario, contiene due verbi e si può ulteriormente scomporre in parti sintattiche, il sintagma pronominale ci, il sintagma verbale è, il sintagma preposizionale da dire. I primi due, insieme, formano la proposizione principale del periodo; il terzo coincide con una proposizione relativa implicita (equivalente a “che deve essere detto”). Il periodo è completato dalla proposizione “che è stato importante”, sulla cui natura, a metà tra soggettiva e oggettiva, suggerisco di leggere questa risposta
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Continuo a non cogliere a fondo determinate funzioni dei modi congiuntivo e condizionale e di come si intrecciano e si alternano nelle varie enunciazioni.
La proposizione qualunque cosa fosse successa all’interno del periodo

a) Qualunque cosa fosse successa, egli sapeva che ella ci sarebbe stata,

ha esclusivamente valore ipotetico o anche ipotetico-temporale, sottintendendo l’adesione dell’azione al passato? In altre parole, quel fosse successa rimanda a ieri, una settimana prima, eccetera?
Per significare un’ipotesi aderente al futuro si potrebbe o si deve obbligatoriamente usare il condizionale composto?

b) Qualunque cosa sarebbe successa, egli sapeva che ella ci sarebbe stata.

Inoltre, il condizionale composto, oltre a svolgere la funzione di futuro nel passato, può indicare anteriorità rispetto al condizionale presente (fatte le dovute distinzioni, sulla stregua del futuro anteriore rispetto al futuro semplice)?

c) Ti chiameremmo quando / se avremmo finito.

d) Se toccasse a me, farei quanto mi avrebbero detto.

Oppure sarebbe meglio scrivere, per indicare, appunto, un’anteriorità incerta rispetto all’altrettanto incerta azione del farei, “se toccasse a me, farei quanto potrebbero avermi detto”? In altre parole, esiste un tempo che permetta al lettore di discernere un’eventualità sicuramente non avvenuta nel passato e un’eventualità che abbia le caratteristiche esposte sopra?

 

RISPOSTA:

​I tempi del congiuntivo usati nella protasi del periodo ipotetico (l’imperfetto e il trapassato, raramente gli altri due) assumono la funzione di indicatori del grado di ipoteticità dell’evento, dovendo mediare tra questo sistema e quello della consecutio temporum, con conseguenze difficili da schematizzare, perché i parlanti incrociano continuamente la prospettiva temporale con quella ipotetica alla ricerca di sfumature illocutive (su questo concetto si veda questa risposta dell’archivio di DICO).
In linea di massima, secondo la consecutio temporum il congiuntivo imperfetto indica la contemporaneità nel passato “Mi avrebbe fatto piacere che tu venissi”; nel periodo ipotetico, invece, indica un evento ancora realizzabile, quindi legato al presente: “Mi farebbe piacere se tu venissi” (= è ancora possibile che tu venga). Se, però, è impossibile, se non in uno stile molto trascurato (o in casi molto intricati), costruire una protasi all’imperfetto con un’apodosi al passato (*”Mi avrebbe fatto piacere se tu venissi”) è, al contrario, possibile far dipendere l’imperfetto dal condizionale presente: “Mi farebbe piacere che tu venissi”. In un caso come questo, è evidente la sovrapposizione tra la costruzione completiva e quella ipotetica.
Nella consecutio temporum, il congiuntivo trapassato indica un evento anteriore a quello della reggente, a sua volta al passato: “Non sapevo che lui fosse venuto alla festa ieri”. Nel periodo ipotetico, invece, indica una eventualità che non può più realizzarsi, o al limite una possibilità remota; questa funzione è assolta tipicamente in composizione con un’apodosi al passato: “Sarei stato felice se tu fossi venuto”, ma può essere richiesta anche con un’apodosi al presente: “Sarei felice se tu fossi venuto” (= non sono felice perché tu non sei venuto).
Nella sua frase a) il congiuntivo trapassato (fosse successa) si inquadra nella consecutio temporum, perché indica un evento precedente a un altro passato, corrispondente a ci sarebbe stata. In questo caso fosse successa indica una possibilità futura, non passata, rispetto a sapeva, perché ciò che preme qui è rappresentare il rapporto reciproco tra fosse successa sarebbe stata.
La frase b), al contrario, sottolinea il rapporto tra sapeva e gli altri due eventi, entrambi proiettati nel futuro (rispetto al passato). Si noti che in questo modo è comunque possibile ricostruire, per logica, che sarebbe successa è precedente a sarebbe stata.
La frase c) non è ben costruita: quando / se avremmo finito è chiaramente una protasi di periodo ipotetico, che non ammette il modo condizionale. Lasciando l’apodosi al condizionale presente, la frase può prendere le seguenti forme: “Ti chiameremmo se finissimo” e “Ti chiameremmo se avessimo finito”, per sottolineare che non abbiamo ancora finito.
Nella d) il periodo ipotetico è formato da se toccasse a me, farei, mentre il condizionale passato è contenuto in una ulteriore subordinata dell’apodosi, di tipo interrogativo indiretto. Escludiamo che quest’ultima proposizione possa descrivere un evento futuro nel passato perché, come detto, il futuro nel passato deve riferirsi a un passato, che qui non c’è (se ci fosse, il futuro nel passato sarebbe legittimo: Avrei fatto quanto mi avrebbero chiesto). Il condizionale presente non è escluso: farei quanto mi direbbero, ma è meno formale del congiuntivo, nonché meno efficace, perché innesca un nuovo periodo ipotetico, ridondante (il condizionale presente, infatti, esprime sempre un’azione in qualche modo condizionata): farei quanto mi direbbero (se ciò avvenisse).
L’opzione migliore per costruire l’interrogativa indiretta è il congiuntivo, scegliendo il tempo in base alla consecutio temporum. Partendo dal presente della reggente (farei) potremmo avere farei quanto mi dicessero, che rappresenta l’atto del dire come contestuale a quello del fare, ma per logica leggermente anteriore, o farei quanto mi avessero detto, che lo rappresenta come avvenuto in precedenza.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase “Per l’età che ha è giovane”, “Per l’età che ha” è una proposizione concessiva?

 

RISPOSTA:

​”Per l’età che ha” non è una proposizione, ma un complemento, per l’età, a cui è collegata una proposizione relativa, “che ha”. La funzione che più immediatamente si riconosce in questo complemento è quella concessiva (esso equivale, cioè, a nonostante l’età); è possibile, però, interpretarlo anche come un complemento di paragone, equivalente a in confronto all’età, ovvero ‘in confronto all’immagine comunemente accettata di una persona di quella età’. In virtù di questa interpretazione, la frase intera sarebbe parafrasabile così: “In confronto all’età che ha è giovane”, quindi: “È più giovane dell’età che ha”. 
“Per l’età che ha” può essere trasformato nella proposizione “Per avere questa / quella età” (“Per avere questa / quella età, è giovane”), che, però, non è totalmente equivalente al complemento per l’età: in virtù del verbo contenuto, infatti, accetta solamente l’interpretazione concessiva, non quella comparativa. Inaccettabile sarebbe *”Rispetto all’avere questa / quella età è giovane”, ovvero *”È più giovane dell’avere questa / quella età”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nella frase “Se ti vengono in mente altre mete avvisami, così mi attivo per la ricerca”, vorrei sapere se prima di avvisami bisogna inserire la virgola. 
Inoltre, nello scritto è meglio usare la forma Mi sono ricordato, oppure ricordo?

 

RISPOSTA:

Cominciamo dalla virgola dopo avvisarmi, fortemente richiesta per via della necessità di segnalare la separazione tra due unità informative all’interno di questo enunciato. La prima contiene il periodo ipotetico, la seconda la coordinata alla principale, con valore consecutivo. 
Oltre alla virgola, che è la soluzione più semplice, è possibile anche il punto e virgola, se si vuole enfatizzare l’autonomia dell’atto dell’attivarsi rispetto a quello dell’avvisare. Possibile anche il punto fermo, che renderebbe ancora più autonomo e rilevante l’atto dell’attivarsi. Con il punto fermo, inoltre, il secondo enunciato può assumere due forme: “Se ti vengono in mente altre mete avvisami. Così mi attivo per la ricerca” e “Se ti vengono in mente altre mete avvisami. Così, mi attivo per la ricerca”. La seconda variante isola così, sottolineando il collegamento logico tra la premessa dell’avvisare e la conseguenza dell’attivarsi
Per quanto riguarda la virgola prima di avvisami, è buona norma separare con la virgola la subordinata preposta alla sua reggente dalla reggente stessa. Tale norma ha a che fare con la sintassi del periodo più che con la sintassi dell’informazione; se la subordinata, al contrario, è posposta, l’inserimento della virgola risponde a ragioni più informative che sintattiche. 
Calando il discorso teorico sui suoi esempi, abbiamo le seguenti soluzioni: “Se ti vengono in mente altre mete, avvisami”, ma “Mi scusi se la disturbo”. Possibile, per la verità, anche “Se ti vengono in mente altre mete avvisami”, perché la subordinata ipotetica (ovvero la protasi del periodo ipotetico) si trova regolarmente prima della reggente (l’apodosi), visto che rappresenta la condizione dell’evento descritto nell’apodosi. La variante senza virgola è particolarmente efficace se la frase continua dopo la reggente con altre proposizioni coordinate o subordinate, perché permette di evitare una proliferazione di virgole (ma è una considerazione da fare caso per caso). È proprio questo il caso di “Se ti vengono in mente altre mete avvisami, così…”.
Per quanto riguarda l’opposizione tra mi sono ricordato ricordo, la variante pronominale del verbo contiene, proprio in forza del pronome, una sfumatura di coinvolgimento emotivo del soggetto nel processo. Per questo motivo è più tipica in discorsi informali, solitamente incentrati su esperienze personali. Sempre per questo motivo, inoltre, ricordo è tipicamente usato con valore fattitivo (su questo concetto si può vedere la risposta n. 280013 nell’archivio di DICO), cioè nel senso di ‘far ricordare a qualcuno’.
Faccio notare che mi sono ricordato può essere confrontato con ho ricordato: “Ieri mi sono ricordato dell’appuntamento / ho ricordato l’appuntamento quando era troppo tardi”, ma anche con ricordo​, in un contesto presente: “Mi sono ricordato / ricordo che Luca ci ha / aveva invitato a pranzo per oggi”. Molto strano sarebbe *”Ho ricordato che Luca ci aveva invitato a pranzo per oggi”, a meno che il verbo non sia usato con valore fattitivo: “Ho ricordato a Mario che Luca ci aveva invitato a pranzo per oggi”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle frasi seguenti i tempi sono  corretti?

1. “Ho pagato senza che sia stato fatto quanto accordato”.
2. “Ho pagato senza che fosse stato fatto quanto accordato”.
3. “Ho pagato senza che fosse fatto quanto accordato”.

Potreste spiegarmi il perché?

 

RISPOSTA:

​Le frasi sono tutte corrette, ma descrivono situazioni leggermente diverse.
La scelta del tempo del congiuntivo della proposizione subordinata (qui di tipo esclusivo) dipende proprio dalla consecutio temporum: secondo questa organizzazione del verbo, il congiuntivo passato (sia stato fatto) indica anteriorità rispetto al presente, quindi la prima frase descrive la situazione in cui il pagamento sia stato fatto in seguito alla (e nonostante la) mancata realizzazione del lavoro. Vero è che ho pagato non sia presente, ma passato prossimo; nella prima frase, però, questo tempo indica la situazione attuale, che è il risultato dell’azione del pagare (come se significasse ‘mi trovo adesso ad aver pagato’). Il congiuntivo trapassato (fosse stato fatto) indica anteriorità rispetto al passato, quindi la seconda frase descrive la situazione in cui il pagamento sia stato fatto in passato in seguito alla (e nonostante la) mancata realizzazione del lavoro. Qui il passato prossimo assume il suo valore proprio di passato. Lo stesso vale per la terza frase, che, in forza del congiuntivo imperfetto (fosse fatto), descrive la situazione in cui il pagamento sia stato fatto in passato, contemporaneamente alla mancata realizzazione del lavoro.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Ho sempre avuto la tendenza a usare la congiunzione quando con valore ipotetico, e facendola di conseguenza seguire dal congiuntivo, anche in quei casi in cui sarebbe stato possibile, o forse addirittura obbligatorio, il condizionale con valore temporale. 
In un frase quale

“Quando fosse giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume”

Il congiuntivo è valido, nonostante il giungere dell’alba sia una certezza e non un’eventualità?
Questa particolare tendenza deriva in parte dalle mie letture giovanili dell’opera di Hemingway, in cui sono frequenti costruzioni ipotetiche simili a quella portata alla vostra attenzione.

 

RISPOSTA:

​La sua frase rifiuta una interpretazione ipotetica, sia a causa del contenuto della proposizione principale, sia per la costruzione temporale e per il contenuto della subordinata. L’evento del superare il fiume, infatti, appare situato nel futuro (ma dal punto di vista di una situazione passata); in una apodosi di periodo ipotetico al condizionale passato, invece, si presenta un evento situato nel passato (a volte un passato tendente al presente), che sarebbe avvenuto ma che sappiamo già non essere avvenuto, ad esempio: “Quando / se / qualora fosse venuto anche Luca, io avrei abbandonato il gruppo”. Per cogliere con chiarezza la differenza tra costruzione propriamente ipotetica e al futuro nel passato (per un approfondimento di questo concetto si vedano le tante risposte al riguardo presenti nell’archivio di DICO), immagini la sua frase subordinata a un verbo di dire o di pensare al passato, che rappresenta il riferimento passato rispetto al quale l’evento del superare il fiume è futuro: “Il generale affermò che quando fosse giunta l’alba, l’esercito avrebbe superato il fiume”; in questo modo, l’apparente “stranezza” del congiuntivo svanisce.
in un contesto di futuro nel passato come quello della sua frase, il congiuntivo non solo è ammissibile, ma è la soluzione più formale rispetto al condizionale passato nella subordinata temporale, anche se descrive un evento inevitabile come il sorgere dell’alba. La funzione primaria del congiuntivo, infatti, è quella di segnalare, in un registro medio-alto, la subordinazione; esso veicola l’idea dell’eventualità solamente in contesti ipotetici. 
Si noti che il contenuto della frase non sempre è sufficiente per stabilire se la frase sia al futuro nel passato o sia un periodo ipotetico dell’irrealtà; l’esempio fatto sopra è uno di questi casi: se lo manipoliamo allo stesso modo della frase sull’esercito, si trasforma da periodo ipotetico a descrizione di un evento futuro rispetto al passato: “Dissi che quando / se / qualora fosse venuto anche Luca, io avrei abbandonato il gruppo”. In questi casi è il contesto della frase a farci optare per l’interpretazione corretta.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Quale forme sono corrette?

1. Nonostante i nostri atteggiamenti da onnipotenti non potremmo / potremo mai fare a meno degli altri organismi del mondo vegetale e animale.

2. Dedichiamoli pure le attenzioni che meritano; magari come quelle che eventualmente destineremmo / destineremo a nobili personaggi come il Marchesino Eufemio.

3. Se ne sono andati minacciando che dopo questo attacco ne sarebbero seguiti / seguiranno altri.

4. È facile capire che non avremo / avremmo mai la fortuna di vivere realmente questa utopia.

5. Una situazione che farebbe sorgere una domanda legittima: “Chi difenderebbe / difenderà i diritti di coloro che, giustamente, non accetterebbero mai un pregiudicato alla guida di un governo?”

 

RISPOSTA:

​La scelta tra indicativo futuro e condizionale presente nei suoi esempi è una questione non di correttezza, ma di scelta espressiva. Dipende, cioè, da come si vuole rappresentare l’evento, come un fatto che avverrà in futuro, o come la conseguenza di una condizione implicita (tranne che nella frase 3, che discuterò alla fine). 
Nella frase 1, per l’appunto, se usiamo il futuro abbiamo una affermazione al futuro (non potremo mai fare a meno…); se, invece, usiamo potremmo esprimiamo una conseguenza, quindi lasciamo intendere che ci sia una condizione implicita: “Non potremmo mai fare a meno degli altri organismi (se anche ci provassimo)”. 
Nella frase 2, l’avverbio eventualmente suggerisce che l’atto del destinare sia condizionato, quindi favorisce il condizionale (eventualmente equivale a una protasi come “se volessimo” o “se dovessimo scegliere” o simili). Il futuro, però, non è escluso: rispetto al condizionale, pone il destinare come fattuale, certo (nella mente del parlante); eventualmente, del resto, può anche essere interpretato come ‘se vorremo’, o ‘se dovremo scegliere’ o simili. Attenzione, dedichiamoli non è corretto, perché il pronome enclitico li ha la funzione di complemento oggetto: dedichiamoli significa ‘dedichiamo queste persone’. Il senso ricercato, qui, è ‘dedichiamo a queste persone’, che si ottiene con il pronome enclitico gli, quindi dedichiamogli, come soluzione più informale (oggi largamente accettata anche nello scritto di media formalità), oppure con dedichiamo loro o dedichiamo a loro, come soluzione più formale. Si noti che dedichiamo loro è ambiguo, perché significa sia ‘dedichiamo queste persone’, sia ‘dedichiamo a queste persone’: è una piccola stranezza della lingua italiana, che, comunque, si risolve quasi sempre grazie al senso generale della frase.
La frase 4 risponde alla stessa logica della 1 e della 2: la scelta tra indicativo futuro e condizionale presente è legata al senso ricercato, un fatto futuro (non avremo mai la fortuna) o una conseguenza condizionata da un altro evento, implicito, che potrebbe accadere (non avremmo mai la fortuna). Va detto che, volendo usare il condizionale, la costruzione con non avremmo mai la fortuna sarebbe un po’ insolita (ma non scorretta): comunemente le si preferirebbe non potremmo mai avere la fortuna, proprio come nella frase 1.
La frase 6 è analoga alle altre.
La frase 3 presenta una situazione diversa, perché contiene il condizionale (che non a caso qui è passato, non presente) nella funzione di indicatore di futuro nel passato, non di conseguenza di una condizione. In questo caso, la scelta deve dipendere dalla consecutio temporum: il verbo reggente la proposizione in questione è minacciando, a sua volta dipendente da se ne sono andati, che è passato. Per esprimere un evento futuro rispetto a un altro evento passato si usa proprio il condizionale passato: la scelta più regolare è, pertanto, sarebbero seguiti. Il futuro seguiranno non può dirsi scorretto: può essere considerato legittimo se lo mettiamo in relazione non con se ne sono andati, ma con dopo questo attacco, equivalente a in futuro. Una soluzione come questa potrebbe essere giudicata più trascurata, meno precisa, rispetto a quella del condizionale passato, ma potrebbe anche dipendere da una scelta espressiva consapevole, diretta a rappresentare la realtà in modo più vivido.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Porto alla vostra attenzione il seguente brano:

“Mettiamo che il medico voglia approfondire l’origine dei tuoi disturbi. Tra uno o due mesi potrebbe suggerirti un semplice prelievo venoso per controllare i tuoi valori; e se, nel frattempo, fosse maturato in lui il sospetto della presenza di una patologia severa, potrebbe prescriverti un esame diagnostico più invasivo”.
Apprezzerei la vostra opinione relativamente alla validità di tre aspetti:
1. Il punto e virgola prima della congiunzione e;
2. L’uso del congiuntivo trapassato (fosse maturata), anziché del congiuntivo imperfetto, nella protasi, per introdurre un’ipotesi di cui non si ha contezza al momento dell’enunciazione;
3. L’accordo del sostantivo plurale mesi con l’aggettivo numerale due nonostante il precedente uno avrebbe richiesto il singolare. In questo caso sarebbe stato maggiormente formale ripetere il sostantivo (“Tra un mese o due mesi…”)?

 

RISPOSTA:

​Il punto e virgola è corretto: separa, all’interno di un enunciato complesso, due unità informative, la seconda delle quali è ulteriormente divisa in più unità informative, ben separate da virgole. 
Quello che non convince, piuttosto è il connettivo e dopo il punto e virgola, che introduce quella che si rivela essere un’alternativa. Propongo questa correzione: “… i tuoi valori; oppure, se nel frattempo fosse maturato in lui il sospetto della presenza di una patologia severa, …”.
Il congiuntivo trapassato è ugualmente corretto: indica che il parlante giudichi l’evento improbabile. Vista la delicatezza dell’argomento, si tratta di una sfumatura fortemente indotta dalle convenzioni della cortesia, per sottolineare che l’ipotesi peggiore è anche quella più remota. Remota, ma sempre possibile, come rivela l’apodosi al condizionale presente (potrebbe prescriverti).
L’accordo di mesi con uno o due, infine, segue la regola dell’accordo al plurale tra referenti di generi diversi e una proforma che li raggruppa. Si pensi a “Ieri ho incontrato i miei amici Laura, Giulia e Andrea”. Tale regola è largamente accettata, anche in contesti formali, perché evita ridondanze come un mese o due mesi, o le mie amiche Laura e Giulia e il mio amico Andrea. Rimane, però, possibile, e tutto sommato più preciso (quindi anche più formale), fare tale distinzione, se il contesto lo richiede.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“Poter dormire accanto a te è una delle cose più belle che la vita poteva regalarmi”. In questa frase é corretto utilizzare la forma poteva, si deve usare la forma potesse, o sono corrette entrambe? 

 

RISPOSTA:

L’indicativo non è scorretto, ma è più informale del congiuntivo, che è la variante standard. In un contesto intimo, pertanto, è appropriato. Nell’archivio di DICO potrà trovare molte altre risposte intorno all’imperfetto e all’alternanza tra indicativo e congiuntivo (per esempio questa).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Tra le frasi sotto riportare quali sono considerabili valide?
1. Prima dei cani, lei si occupava di cavalli.
2. Prima che i cani, lei si occupava di cavalli.
3. Prima che di cani, lei si occupava di cavalli.
4. Oltre ai cani, lei si occupa (anche) di cavalli.
5. Oltre i cani, lei si occupava (anche) di cavalli. 
6. Oltre che (oltreché) di cani, lei si occupa di cavalli.

 

RISPOSTA:

​Le due varianti sostanzialmente corrette, ma non perfette, sono la 3 e la 6, perché in entrambe la proposizione subordinata con il verbo sottinteso (“Prima che di cani” e “Oltre che / oltreché di cani”) mantiene quasi la stessa costruzione della reggente. Non sono perfette perché la forma del verbo sottintesa non è identica a quella contenuta nella principale (“Prima che si occupasse di cani, lei si occupava di cavalli”, “Oltre che / oltreché occuparsi di cani, lei si occupa di cavalli”), quindi non potrebbe essere sottintesa. Preferibile, quindi, esplicitare il verbo anche nelle subordinate. Nel parlato e nello scritto informale e di media formalità, comunque, costruzioni del genere sono molto comuni e pienamente accettabili: il verbo sottinteso, infatti, è facilmente inferibile e non c’è possibilità di fraintendimento sul senso della frase.
Possibili anche “Prima di occuparsi di… lei si occupava di…” e tutte le varianti qui descritte con la sostituzione, nella reggente e nella subordinata, di dei a di (con il cambiamento semantico che consegue all’introduzione dell’articolo determinativo).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

È routine, causa fretta, dimenticarmi le monete nell’auto. Stamane mi viene offerto un caffè e declino in quanto provvisto di monete: “Grazie. Ho arraffato le monete dall’auto poco fa. Se non le avevo te lo chiedevo io…”. Un collega mi riprende: ”Perché usi l’imperfetto? Avresti dovuto dire: Se non le avessi avute allora te lo chiederei”. Mi è rimasto il dubbio. Si possono usare i due verbi consecutivi in tempo imperfetto? L’azione è abituale.

 

RISPOSTA:

Si può usare senza dubbio l’imperfetto indicativo nel periodo ipotetico dell’irrealtà, o misto, come nel suo esempio. È un uso da sempre attestato in italiano, anche in letteratura (numerosissimi gli esempi settecenteschi, tra l’altro, anche in poesia), che i grammatici chiamano indicativo irreale. Sicuramente, si tratta di una forma più adatta allo stile informale e colloquiale che non a quello di elevata formalità, che continua a preferire il congiuntivo. Ma in una conversazione tra amici è più che appropriato!
Tuttavia, la giustificazione dell’imperfetto non risiede tanto nell’abitualità dell’azione, sibbene nella sua ipoteticità. L’imperfetto indicativo, infatti, oltre a valori temporali (passato) e aspettuali (serve cioè a esprimere qualità dell’azione quali la continuatività, la ripetizione, l’abitualità ecc.), possiede anche valori modali epistemici, cioè serve a esprimere un certo margine di dubbio, di ipotesi, di probabilità dell’azione. È proprio da questo punto di vista che viene usato frequentemente in frasi come quella da lei sottopostaci.
Fabio Rossi

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Categorie: Punteggiatura

QUESITO:

È corretto l’uso del punto interrogativo nelle seguenti frasi? Esistono delle semplici regole per evitare errori?

1. Che dire quando il tentativo di sdoganare l’indicibile arriva proprio dall’alto, come l’affermazione di un ex parlamentare ora deceduto, che è lecito prostituirsi per far carriera?

2. Vogliamo paragonare l’efficacia immediata di questi sbrigativi sistemi anche se di dubbia moralità e durata, col fare una lunga gavetta politica, affrontare seri provini o un concorso non truccato?

3. D’altronde, come avremmo potuto fare tesoro di qualcosa di astratto anche se d’impareggiabile valore, non essendo riusciti a conservare, sfruttare e valorizzare nemmeno le vestigia del passato?

4. Sarà la fine del patto scellerato e del ragazzaccio toscano?  

5. Sarebbe curioso conoscere se ancora oggi i soliti tuttologi, politologi e opinionisti che si erano subito esaltati, spero in buona fede, al suo ingresso in politica, continuano a vedere in lui il Messia.

 

RISPOSTA:

Tutti gli esempi sono corretti, compreso l’ultimo periodo, nel quale il punto interrogativo giustamente non c’è. In generale, il punto interrogativo si mette alla fine delle proposizioni interrogative dirette (esempi 1-4), mentre si evita alla fine delle interrogative indirette (esempio 5). Quindi “Dove vai?”, ma “Ti ho chiesto / Vorrei sapere dove vai”. Se la proposizione interrogativa diretta, che è sempre una principale, è arricchita da coordinate e subordinate semanticamente necessarie alla domanda, il punto interrogativo può apparire senza problemi in coda a tutto il periodo che si viene a creare, come negli esempi 1-3.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei portare alla vostra attenzione un passaggio ricavato da un romanzo che sto leggendo:

È o non è probabile che, una volta che non fosse avvenuta la resurrezione fisica del corpo di Gesù, i suoi resti fossero stati deposti in un ossario presso il monte Moriah, con vista privilegiata sul Tempio?”
(traduzione dall’originale di Vaticanum di J.R. Dos Santos, pagina 379, pubblicato da Newton Compton editori).

Ammetto tutte le mie difficoltà nello stabilire in primis se il costrutto sia valido dal punto di vista sintattico e, in secondo luogo, nel comporre la relazione semantica tra le proposizioni contenenti i due congiuntivi trapassati.
Modificando l’assetto del costrutto, a mio avviso aumenterebbe la comprensione del passaggio:

È o non è probabile che i suoi resti fossero stati deposti in un ossario presso il monte Moriah, con vista privilegiata sul Tempio, una volta che non fosse avvenuta la resurrezione fisica del corpo di Gesù?”

Ma tenderei comunque a differenziare i due tempi del congiuntivo, trasformando fossero stati deposti in siano stati deposti.

 

RISPOSTA:

La frase è malformata, e ammette un’unica correzione: fossero stati deposti deve diventare sarebbero stati deposti. La correzione da lei proposta, il congiuntivo passato al posto del trapassato, pur sintatticamente possibile, si scontra con il senso della frase, che riguarda non quello che è successo, ma quello che sarebbe successo (ma, per l’appunto, non è successo) se il corpo di Gesù non fosse risorto. A maggior ragione, lo spostamento delle proposizioni non sana il problema. Un simile, grossolano, errore sintattico da parte del traduttore può essere dovuto all’attrazione esercitata dal primo congiuntivo trapassato sul verbo della proposizione successiva, che, però, è una subordinata di primo grado, ed è la reggente della subordinata che la precede (rappresenta l’apodosi del periodo ipotetico completato dalla protasi ipotetico-temporale “una volta che non fosse avvenuta la resurrezione fisica del corpo di Gesù”). Non escludo che il traduttore sia di madrelingua inglese, e abbia confuso le due funzioni che la forma would può assumere in italiano, appunto quella di condizionale e quella di congiuntivo: “If I would come, I would be rejected” = ‘Se venissi, sarei lasciato fuori’.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La proposizione “Un fenomeno delle cui cause non si ha conoscenza” (inteso pressappoco come “non si ha conoscenza delle cause del fenomeno”) è ben formata? 

 

RISPOSTA:

Sì. Il pronome cui inserito tra l’articolo determinativo e il nome ad esso collegato equivale a di cui ; quindi le cui cause= le cause di cui, e delle cui cause= delle cause di cui. “Un fenomeno delle cui cause non si ha conoscenza”, in definitiva, equivale a “Un fenomeno delle cause di cui non si ha conoscenza”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Navigando in internet mi sono imbattuto in teorizzazioni di natura sintattica che intendo sottoporre al vostro vaglio e in merito alle quali gradirei ricevere la vostra autorevole opinione. 
A) Si sostiene che il se ipotetico, a differenza di qualoranel caso (che) e, in parte, casomai (che), non accetti né il congiuntivo presente né il congiuntivo passato.
B) Si sostiene inoltre che il se ipotetico accetti anche i tempi del modo condizionale, purché sottintenda “è vero che” o espressioni di senso analogo. 
Per effetto del punto A, le seguenti costruzioni determinerebbero un errore: 
1. Ti invito a chiamarmi, se tua madre te ne dia la possibilità.
2. Parteciperò / partecipo all’incontro se la presenza dell’oratore sia stata confermata.
Per quanto inusuali e, forse, da evitare, non mi sentirei di bollare i congiuntivi dei due esempi come scorretti. 
Per effetto del punto B, le seguenti costruzioni sarebbero invece valide: 
3. Se (è vero che) potresti aver ragione nel protestare, dovresti innanzitutto farti un esame di coscienza.
4. Se (è vero che) avrei agito come te al posto tuo, allora è probabile che siamo più simili di quanto crediamo.

 

RISPOSTA:

Concordo pienamente con lei riguardo alla legittimità delle frasi 1. e 2. Non bisogna confondere la rarità con il divieto. Il congiuntivo presente e passato sono evitati nella protasi del periodo ipotetico perché esprimerebbero un’ipotesi reale, nel presente e nel passato (mentre l’imperfetto esprime la possibilità e il trapassato l’irrealtà). Siccome la realtà è associata all’indicativo, i due tempi del congiuntivo vengono sempre sostituiti dai corrispondenti tempi dell’indicativo. Rimane, però, possibile ricorrervi; con cautela e preferibilmente in contesti molto formali: sono, infatti, talmente insoliti che farebbero storcere il naso a molti parlanti.
Anche le frasi 3. e 4. sono ben formale. In questi casi il se regge “è vero”, “tu sostieni”, “ammettessimo” o simili: la protasi, cioè, è “Se è vero”, “Se tu sostieni”, “Se ammettessimo” ecc. Il condizionale, quindi, non è introdotto da se, ma è inserito nella proposizione, soggettiva o oggettiva (a seconda di come è costruita la protasi), retta dalla protasi così formata.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Sono corrette le costruzioni seguenti?
1. Se il tecnico che dovrò pagare di tasca mia dovesse rimbalzare la responsabilità del guasto al gestore, io avrei subìto un prolungamento del disservizio.

2. Pubblicherei l’intervista se avessi ricevuto il consenso dell’intervistato.

La seconda è per me più ostica, perché non sono certa se il congiuntivo trapassato possa collegarsi a un evento di fatto incerto ma che, se si compisse, sarebbe successivo all’enunciazione e precedente a quello determinato dall’apodosi.
La costruzione numero 2 sarebbe all’atto pratico il calco di uno dei periodi ipotetici canonici (condizionale presente/congiuntivo imperfetto) ma con il congiuntivo trapassato scelto per sottolineare lo scarto temporale tra l’evento della protasi e quello dell’apodosi.

 

RISPOSTA:

Entrambe le costruzioni sono possibili. Nella prima il condizionale passato presenta l’evento del subire come già avvenuto al momento dell’avverarsi della ipotesi (dovesse rimbalzare), come per sottolineare che il disservizio non inizi al momento dell’avverarsi dell’ipotesi, ma prosegua, essendo iniziato precedentemente all’avverarsi stesso dell’ipotesi.La seconda è meno tipica, ma non per la ragione da lei addotta: la mancata ricezione del consenso, infatti, precede tanto l’evento dell’apodosi quanto il momento dell’enunciazione. Rispetto a ora (momento dell’enunciazione), cioè, il consenso è presentato come non ricevuto prima. In sintesi: “Dico (ora) che se avessi ricevuto (ieri) il consenso dell’intervistato pubblicherei (ora o in futuro) l’intervista”.
Se volessimo, invece, situare nel futuro tanto la ricezione del consenso quanto la pubblicazione dell’intervista, non ci sarebbe ragione di costruire la protasi con il trapassato (perché non si può presentare come impossibile un fatto che non si è ancora avverato); la costruzione più indicata sarebbe, allora, “Pubblicherei l’intervista se ricevessi il consenso dell’intervistato”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In una frase come questa: “C’è da dire che è stato importante”, la proposizione da dire ha un valore tra il consecutivo e il finale?

 

RISPOSTA:

Si tratta di un costrutto difficile da inquadrare nella tassonomia sintattica tradizionale; l’analisi qui proposta, pertanto, deve essere considerata una di diverse possibilità. La prima parte del periodo (C’è da dire ) è costruita con un c’è presentativo, che serve a introdurre un’informazione nuova nel discorso, seguito da una proposizione introdotta da da interpretabile come relativa implicita passiva, o meglio pseudorelativa, come quella impiegata nelle frasi scisse implicite (per le quali la invito a leggere anche questa risposta dell’archivio di DICO), oppure come soggettiva.
Quando il costrutto presenta un antecedente, l’interpretazione pseudorelativa è molto più plausibile di quella soggettiva, ma nello stesso tempo l’antecedente della pseudorelativa è anche il soggetto di c’è ; per esempio c’è qualcosa da dire= qualcosa (soggetto di c’è e antecedente della pseudorelativa) c’è che deve essere detto. Nel suo esempio, la proposizione che è stato importante sarebbe proprio l’antecedente della proposizione pseudorelativa, quindi anche il soggetto (ovvero una proposizione soggettiva) di c’è: “C’è da dire che è stato importante” = “Che è stato importante c’è che deve essere detto”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

La congiunzione appena, con valore temporale, può essere assimilata a quando dal punto di vista della consecutio temporum?

1. Appena l’uomo sia entrato in casa, la donna può / potrà salutarlo.
2. Appena l’uomo avesse potuto entrare in casa, la donna avrebbe potuto salutarlo.
3. Appena l’uomo entrasse in casa, la donna potrebbe / può / potrà salutarlo.

Molti anni addietro, in un prontuario lessicale, trovai una notazione dei cosiddetti “puristi” in cui si sconsigliava l’uso della suddetta congiunzione con i verbi futuri dell’indicativo. Il seguente esempio sarebbe pertanto sbagliato?

4. Appena l’uomo sarà entrato / entrerà in casa, la donna potrà salutarlo.

 

RISPOSTA:

Come congiunzione, appena si comporta come quando, rispetto alla quale ha una sfumatura di significato in più, indicando la coincidenza esatta tra l’evento descritto nella proposizione introdotta e quello descritto nella reggente. La proposizione introdotta da appena, pertanto, può avere, come quando, tutti i tempi del congiuntivo, ma anche tutti quelli dell’indicativo (più comune ma meno formale).

Qualche perplessità suscita la frase 2., ma solamente per via della ripetizione del verbo potere; consiglierei questa soluzione: “Appena l’uomo fosse riuscito a entrare in casa, la donna avrebbe potuto salutarlo”.

Nessun problema neanche con la frase 4. Il divieto “puristico” era probabilmente diretto all’alternanza tra indicativo e congiuntivo, sulla quale il prontuario prendeva le parti del congiuntivo: prescriveva, cioè, di costruire la frase 4. come la 1., equivalente ma più formale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei chiedere se in queste frasi e meglio usare il passato prossimo, l’imperfetto o vanno bene tutt’e due.

1. Quando Luigi bussava / ha bussato, noi guardavamo la TV.
2. Dove eri / sei stato nel pomeriggio? eri / sei stato in città?
3. L’estate scorsa mangiavamo sempre in spiaggia.
4. Paolo è uscito / usciva nel momento in cui io telefonavo / ho telefonato.

 

RISPOSTA:

L’imperfetto come tempo è usato primariamente con due funzioni: per indicare che l’evento si è ripetuto più volte nel passato, o che era abituale; per osservare l’evento nel suo svolgimento, nel suo processo, mentre stava accadendo.
Nella frase 1., “Quando Luigi bussava, noi guardavamo la TV” si può interpretare come relazione abituale, ripetutasi molte volte. Se, invece, intendiamo i due eventi come svolti contemporaneamente in una occasione unica è preferibile sostituire quando con mentre, perché mentre sottolinea la durata del processo. Avremo, quindi, “Mentre Luigi bussava, noi guardavamo la TV”.
Comunemente, comunque, l’imperfetto durativo è messo in relazione con un passato momentaneo, prossimo o remoto, che esprime l’evento di primo piano. Nel nostro caso avremo, quindi: “Quando Luigi ha bussato, noi guardavamo la TV”. In teoria possiamo fare il contrario: “Mentre Luigi bussava, noi abbiamo guardato la TV”, ma il risultato è un po’ surreale; se sostituiamo l’azione del guardare la TV con un altro evento, però, la frase diviene possibile: “Mentre Luigi bussava, è arrivato Luca”. Possibile anche “Quando Luigi ha bussato, è arrivato Luca”, per sottolineare che le due azioni si sono svolte nello stesso momento.
Nella frase 2., la costruzione esclude che l’imperfetto indichi un’azione ripetuta. Indica sicuramente, invece, che l’evento dell’essere sia visto nel suo processo. Anche in questo caso, questa scelta si giustifica soprattutto se si vuole mettere l’evento all’imperfetto in relazione con un altro evento avvenuto mentre il primo si stava svolgendo; per esempio: “Dove eri nel pomeriggio, quando ti ho telefonato?”. Il passato prossimo, invece, osserva l’evento nella sua completezza, senza riferimento al processo: una frase come “Dove sei stato nel pomeriggio”, pertanto, serve a informarsi sulle attività svolte dall’interlocutore nella giornata.
Nella 3., l’imperfetto si interpreta automaticamente come segnale di abitudinarietà, a causa dell’avverbio sempre. Possibile anche “L’estate scorsa abbiamo mangiato sempre in spiaggia”, per indicare non l’abitudine, ma una caratteristica generale dell’estate scorsa.
La 4. somiglia molto alla 1. Possibile l’interpretazione abituale dell’imperfetto, che, però, dovrebbe essere favorita da un avverbio come solitamente: “Paolo solitamente usciva nel momento in cui io telefonavo”. Anche in questo caso, la costruzione più comune sarà: “Paolo è uscito nel momento in cui io telefonavo” (meno naturale “Paolo usciva nel momento in cui io ho telefonato”). Si noti che il connettivo nel momento in cui non permette di interpretare l’imperfetto esattamente come durativo, ma rende l’azione incoativa, concentrando l’attenzione sul processo di preparazione dell’evento. “Nel momento in cui telefonavo”, pertanto, si interpreta come ‘nel processo di preparazione della telefonata’.
Possibile anche “Paolo è uscito nel momento in cui io ho telefonato”, per indicare che i due eventi sono avvenuti nello stesso momento.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO: 

È corretta la frase “Incontro persone che so aver opinioni diverse dalle mie”, con l’infinito alla latina anziché la forma esplicita con l’indicativo?
Penso di no, ma non ne sono certissimo, perché il soggetto della completiva dovrebbe coincidere di norma con il soggetto della reggente. Forse i toscani usano questo costrutto arcaico. 

 

RISPOSTA:

​La costruzione della frase è corretta e ancora a suo agio nell’italiano contemporaneo, anche di media formalità, senza coloriture regionali; ho trovato, per esempio, un costrutto simile in un account Facebook: “Come faccio a segnalare una persona che so avere un profilo falso ma mi ha bloccato?”. A darle la sensazione di arcaicità è forse l’apocope di aver, che suona un po’ letteraria, sebbene sia anch’essa piuttosto comune.
Ha ragione a ricordare la norma della conservazione del soggetto per l’infinito. Questa, però, non è assoluta e, in questo caso, viene infranta con buone ragioni (nonché sulla base di un modello molto antico). La costruzione sintattica superficiale della frase nasconde una costruzione logica bimembre: da una parte “Incontro persone”, dall’altra “so che queste persone hanno opinioni diverse dalle mie”. Il pronome relativo consente di fondere le due costruzioni logicamente autonome in modi diversi, per esempio così: “So che le persone che incontro hanno opinioni diverse dalle mie”. Se, però, per ragioni informative, vogliamo isolare a sinistra della frase “Incontro persone”, si crea un corto circuito tra la sintassi e la logica, perché la proposizione dipendente dal verbo sapere è a metà strada tra una oggettiva e una relativa. Nella frase “Incontro persone che so che hanno opinioni diverse dalle mie”, cioè, il parlante rimane incerto se interpretare “che hanno opinioni diverse dalle mie” come una relativa dipendente da “Incontro persone” (come se “che so” fosse, in realtà, una incidentale tipo ” – e lo so -“) o come una oggettiva dipendente da “che so”. La costruzione con l’infinito elimina la difficoltà.
Si noti, a questo proposito, che il soggetto dell’infinito in quest’ultima costruzione non può che essere l’oggetto del verbo della reggente. Se il soggetto fosse lo stesso della reggente sarebbe richiesta la preposizione introduttiva di: “So di aver opinioni diverse”; nel caso specifico, però, il risultato sarebbe incoerente, visto che la frase completa diverrebbe *”Incontro persone che so di aver opinioni diverse dalle mie”.
Avvicinerei questo caso agli altri comunemente considerati le eccezioni più evidenti alla norma dell’identità del soggetto tra la reggente e la subordinata implicita, le frasi con un verbo di comando o licenza e quelle con un verbo di percezione nella reggente, nelle quali il soggetto della oggettiva è senz’altro l’oggetto (diretto o indiretto) del verbo della reggente, non il soggetto: “Ti ordino / permetto di fare ì compiti” = “Ordino / permetto che tu faccia i compiti”; “Ti ho visto uscire” = “Ho visto che tu uscivi / sei uscito”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Prendo spunto da questa risposta , in cui ho avuto modo di apprendere le vostre indicazioni circa l’inserimento di predicati al presente in costruzioni al passato.
Nonostante la vostra spiegazione sia stata, come al solito, comprensibile ed esauriente, vorrei, se possibile, addentrarmi un po’ nella materia. Anche in periodi molto complessi è consentita l’alternanza di tempi diversi a seconda della condizione della situazione proposta o è preferibile, laddove attuabile, mantenere la narrazione “sulla stessa linea”?
Un esempio:
 

Molti anni fa facemmo una gita al mare. Lungo la spiaggia c’era un molo che si insinuava nella baia. Lì incontrammo un uomo, il suo nome era Ernest, e insieme a lui raggiungemmo quella montagna che con le sue vette lambiva il cielo.

Per prima cosa domando se la narrazione possa essere ritenuta valida, anche se Ernest è ancora in vita e continua a portare tale nome, il molo continua a insinuarsi nella baia e la montagna con le sue vette continua a lambire il cielo. Tali predicati potrebbero essere tramutati in indicativo presente per conferire alle descrizioni un carattere di attualità o ciò potrebbe generare delle stonature sintattiche?
 

Molti anni fa facemmo una gita al mare. Lungo la spiaggia c’è un molo che si insinua nella baia. Lì incontrammo un uomo, il suo nome è Ernest, e insieme a lui raggiungemmo quella montagna che con le sue vette lambisce il cielo.

Quale soluzione suggerireste, purché siano entrambe corrette?

 

RISPOSTA:

Le soluzioni che lei propone sono ugualmente valide. La prima lascia aperta la questione della persistenza degli elementi descritti nel presente; la seconda, invece, ne fa il centro dell’interesse. Questo è un caso di scelta espressiva e narrativa, che va valutato da una parte alla luce del gusto e dello stile scrittorio, dall’altra considerando i fini della narrazione, cioè quanto sia importante, nel meccanismo narrativo, che gli elementi siano descritti come ancora attuali.

​Fabio Ruggiano

 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Questa frase può essere corretta solo con l’imperfetto? magari con il passato prossimo indica anteriorità e sarebbe meglio il trapassato prossimo? “Ieri sono andata al giardino zoologico e ho visto che hanno dato / davano da mangiare alle foche”.

 

 

RISPOSTA:

La frase rimane corretta con il passato prossimo, l’imperfetto e il trapassato prossimo. Il suo significato, però, cambia. “Ho visto che hanno dato da mangiare alle foche” mette in evidenza l’evento in sé, per rilevarne l’effettiva realizzazione. Sarebbe adatta a una situazione in cui la parlante non fosse sicura se allo zoo avrebbero dato da mangiare alle foche nel momento in cui lei sarebbe stata presente. Allora, avendo visto l’evento, potrebbe raccontare in seguito di aver visto “che hanno dato da mangiare alle foche”.
“Ho visto che davano da mangiare alle foche” è la forma più prevedibile, perché mette in evidenza che l’evento del dare da mangiare è avvenuto quando la parlante stava guardando. Si noti che l’imperfetto non chiarisce se la parlante sia rimasta a guardare tutto il processo del dare da mangiare, o ne abbia visto solamente una parte.
“Ho visto che avevano dato da mangiare alle foche”, infine, indica che l’evento del dare da mangiare era già avvenuto quando la parlante è arrivata in vista delle foche. Di conseguenza, la parlante non ha visto l’evento, bensì qualche conseguenza, per esempio una parte del cibo ancora non mangiato, o le lische dei pesci scartate dalle foche, da cui ha dedotto che le foche avevano già ricevuto il cibo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

In un contesto sviluppato su tre livelli temporali, che tempo si usa per indicare un evento precedente a quello espresso con il trapassato prossimo o il trapassato remoto? Tra i due, quale si deve scegliere per determinare l’anteriorità rispetto all’altro? 
Esempio: “Nel 1985 andammo in Sardegna. L’anno prima avevamo / avemmo optato per la Sicilia, dopo che una guida turistica ce ne aveva / ebbe decantato le bellezze”.

 

RISPOSTA:

​L’italiano non ha un tempo che esprima l’anteriorità rispetto al trapassato: tutti gli eventi precedenti a eventi già al trapassato andranno, pertanto, anch’essi al trapassato. Sarà il senso della frase a guidare il ricevente nella corretta ricostruzione della linea temporale.
Non bisogna pensare che il trapassato remoto indichi anteriorità rispetto al trapassato prossimo (o viceversa); dal punto di vista temporale, i due tempi sono sullo stesso piano: indicano anteriorità rispetto a un evento descritto da un tempo passato.
La scelta tra il trapassato prossimo e il trapassato remoto dipende in parte dalla funzione dei due tempi, il primo dei quali entra in relazione con il passato prossimo, il secondo con il passato remoto. Da questo punto di vista, la sua frase, che comincia con il passato remoto andammo, dovrebbe continuare con due trapassati remoti, avemmo optato e ebbe decantato. D’altra parte, il trapassato remoto è oggi caduto in disuso ed è sostituito comunemente dal trapassato prossimo, anche in relazione con un passato remoto. La sua frase, pertanto, sarebbe ben costruita anche con avevamo optato e aveva decantato. La scelta tra le due varianti (trapassati prossimi o remoti) dipenderà dal grado di formalità che si vuole conferire alla frase: il trapassato remoto, che dal punto di vista normativo è più corretto, innalza il registro linguistico. Potrebbe, però, paradossalmente, essere percepito come scorretto da molti parlanti, per via della sua rarità nell’uso comune.
In ogni caso, opterei per due trapassati analoghi; il passaggio dal prossimo al remoto o viceversa non è giustificabile né dal punto di vista funzionale, né dal punto di vista dell’adesione alla norma o all’uso.
A margine, sottolineo che i piani temporali nella sua frase sono quattro, non tre: bisogna sempre considerare il momento dell’enunciazione, cioè ora, rispetto al quale andammo è, appunto, passato.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

Nelle proposizioni completive (come la soggettiva retta da succede nel suo esempio), il congiuntivo è preferito in contesti di media formalità (richiesto in contesti di alta formalità), specie nello scritto. Le faccio notare che il suo dubbio non ha toccato abbandonino, nella seconda soggettiva, istintivamente coniugato al congiuntivo. Per maggiori dettagli, le consiglio di interrogare l’archivio di DICO inserendo la parola chiave congiuntivo nel motore di ricerca interno).
Eviterei di usare cose per intendere ‘persone’: difficilmente il lettore potrebbe intendere tale assimilazione; meglio sarebbe: “Traslocando succede che ci si portino dietro alcune cose e persone, e se ne abbandonino altre”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Apprezzerei la vostra consulenza per ricevere innanzitutto eventuale conferma della correttezza dei seguenti enunciati:

1. Ringrazio il cielo che mio figlio abbia/ha un lavoro.
2. Il problema è che un Paese come il nostro non abbia/ha una vera politica di incentivazione culturale.
3. Essi hanno commentato che si tratti/tratta di un errore.

Come avrete certamente notato, per ognuno dei tre esempi ho inserito sia il congiuntivo sia l’indicativo, poiché – confrontando vari dizionari e interrogando siti internet ad hoc – ho riscontrato entrambi i modi.  Ho notato che, al di fuori di DICO, sono molti gli addetti ai lavori (o sedicenti tali) che, a proposito dell’alternanza dei modi congiuntivo e indicativo sostengono che i cosiddetti verba dicendi reggano solo il secondo dei due; mi sono inoltre imbattuto in presunte regole, per me alquanto bizzarre, per le quali certe costruzioni verbali (come, tanto per citarne una, “essere convinto che”) coniugate al passato o alla terza persona (sia plurale sia singolare) possono reggere il congiuntivo “perché indicano una certezza soggettiva altrui”, ma in caso di azioni presenti o con coniugazioni alla prima persona, l’indicativo sarebbe obbligatorio “perché se si è certi di ciò che si dice non si può scegliere il congiuntivo” (scrivere “Sono convinto che X abbia disputato una bella prestazione” sarebbe quindi un errore imperdonabile). Se non vado errato, negli articoli reperibili all’interno del vostro archivio e accomunati dalla chiave completive si parla invece di una scelta tra i due modi che muove dagli intenti di registro e quindi comunicativi: formale = congiuntivo; informale = indicativo. Se ho ben assimilato le lezioni e prescindendo dall’adeguatezza contestuale, giudico valide in assoluto costruzioni quali

Sostengo che abbiano parlato troppo.
Dico che possa ancora farcela.
Non posso ignorare che egli abbia sbagliato.
Mi è giunta voce che lei non si sia presentata.
Si accorse che i suoi amici non fossero vicino a lei.
Sono giunto alla conclusione che si possa partire.
La legge stabilisce che sia garantita la libertà d’espressione.
 

malgrado le varianti all’indicativo siano di norma ben tollerate e certi risultati con il congiuntivo siano un po’ stridenti.
Domanda finale, di forse difficile risoluzione: se la grammatica è una, come si spiega questa varietà di interpretazioni di certe sue disposizioni?

 

RISPOSTA:

La funzione primaria del congiuntivo è di modo della subordinazione (non esclusivo: l’indicativo ha sempre avuto la funzione di modo di alcune subordinate, come le relative, le causali, le temporali). Esso non ha, di base, una precisa sfumatura semantica. Nel tempo, però, si è colorito di una sfumatura di eventualità per via dell’associazione con la proposizione ipotetica, con la concessiva e simili. È divenuto, per questo, il modo del dubbio, dell’eventualità, della incertezza. Nello stesso tempo, l’indicativo ha allargato la sua funzionalità a quasi tutte le subordinate, entrando in concorrenza con il congiuntivo. Di fronte all’avanzata dell’indicativo nella subordinazione, per giustificare l’esistenza del congiuntivo i parlanti hanno sfruttato la sua sfumatura semantica, che gli ha, quindi, donato una nuova ragion d’essere. Quando noi diciamo che il congiuntivo sia più formale dell’indicativo ci ricolleghiamo alla natura propria del congiuntivo, quella di modo della subordinazione: nelle proposizioni che ammettono entrambi i modi, ad esempio le completive, il congiuntivo è la scelta più in linea con la tradizione; l’indicativo è quella più innovativa. Si badi che non scoraggiamo l’uso dell’indicativo nelle completive: ne rileviamo, invece, la reale differenza rispetto alla scelta del congiuntivo. Ho più volte sottolineato che in un contesto parlato familiare è proprio il congiuntivo a rischiare di essere “stonato”.
Chi sostiene che il congiuntivo indichi incertezza, in contrapposizione alla fattualità dell’indicativo, non sbaglia completamente, ma si concentra sull’aspetto secondario dell’opposizione tra questi due modi. In ragione di ciò, arriva a conclusioni impressionistiche, come la convinzione, molto diffusa, che “Credo che tu sia…” indichi incertezza, mentre “Credo che sei…” indichi certezza. Bisogna comunque ammettere che la sfumatura semantica del congiuntivo sia percepita sempre più distintamente dai parlanti, mentre sempre meno riconosciuta sia la funzione sintattica di questo modo; è possibile che questa situazione porti in futuro al rafforzamento dell’aspetto secondario, e all’indebolimento di quello primario, così che si instauri una contrapposizione tra indicativo e congiuntivo totalmente su base semantica.
Attualmente, è ancora possibile difendere l’opposizione sintattica, per cui tutte le sue frasi sono ben formate, nonché più formali (più “fedeli alla funzione primaria del congiuntivo”) rispetto alle, possibili, varianti con l’indicativo.
Come si vede dalla riflessione qui svolta, le diverse interpretazioni dei fenomeni grammaticali derivano dalla storicità della lingua, che muta nel tempo, nonché dalla libertà che i parlanti hanno di spiegare a sé e agli altri come funziona la loro lingua, arrivando a conclusioni a volte impressionistiche ma che, se accolte dalla maggioranza, possono trasformarsi in regole.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

1a) Non è chiaro se sia stato effettuato l’intervento; in tal caso procederemo con una diffida.

1b) Non è chiaro se sia stato effettuato l’intervento; in tal caso procederemmo con una diffida.

2a) Se tornerai, mi trovi qui.

Se fossi stata al posto dello scrivente, avrei di preferenza omologato i predicati a un unico tempo, ottenendo tali risultati: 2b) Se torni, mi trovi qui (oppure: “Se tornerai, mi troverai qui”).

 

RISPOSTA:

 

​Vista la quantità di esempi, rimandiamo all’archivio di DICO per ulteriori approfondimenti sulla consecutio temporum.
1) Entrambe le opzioni vanno bene: il condizionale nella proposizione oggettiva subordinata (“che altri si sarebbero posti / si porrebbero tutti questi problemi” configura la proposizione stessa come l’apodosi di un periodo ipotetico, con la protasi implicita. In altre parole, la frase si lascia interpretare così: “anche se dubito che altri si sarebbero posti tutti questi problemi (se si fossero trovati in questa stessa situazione)”, oppure “anche se dubito che altri si porrebbero tutti questi problemi (se si trovassero in questa stessa situazione). La scelta tra il condizionale presente e il passato dipende dal grado di possibilità che il parlante attribuisce all’evento del porsi problemi (collegato alla relazione temporale con il verbo della reggente): se questo evento è percepito come possibile, quindi attuale rispetto all’evento del dubitare, si usa il presente si porrebbero; se, invece, è percepito come improbabile, quindi lontano dal presente dubito, si usa il passato si sarebbero posti.
La subordinata oggettiva può anche essere costruita con il congiuntivo, perdendo il valore di apodosi di periodo ipotetico. Riscrivendo la frase con il congiuntivo, si ottiene: “anche se dubito che altri si pongano / siano posti tutti questi problemi”. Anche in questo caso, è possibile scegliere tra il presente e il passato, secondo il solo criterio del rapporto temporale tra l’evento del porsi problemi e il l’evento del dubitare.

2) Sia l’indicativo, sia il congiuntivo vanno bene: la scelta dipende dal grado di formalità che si vuole ottenere (indicativo meno formale; congiuntivo più formale).

3) L’evento dell’invitare è antecedente rispetto ad ancora oggi insiste, cioè al presente. In questo contesto, il tempo del congiuntivo nella subordinata è il passato: abbia invitata. Il congiuntivo trapassato andrebbe bene in una frase in cui si evidenzia l’anteriorità dell’evento rispetto al passato: “Insisteva nel volermi fare il bagno nella vasca, nonostante l’avessi invitata più volte a non considerarmi più un bambino”. Inoltre, la punteggiatura della frase così com’è non va bene, sarebbe opportuno non separare verbo e oggetto: “Ancora oggi, insiste nel volermi fare lei il bagno nella vasca…”.

4) Entrambe le forme vanno bene. L’indicativo futuro nell’apodosi del periodo ipotetico sottolinea la fattualità dell’evento, esprimendo maggiore certezza (nella percezione dell’emittente) sulla sua realizzabilità; il condizionale esprime l’evento come possibile.

5) La subordinata in questione è una comparativa ipotetica, che serve, come suggerisce il nome, a fare un confronto tra la realtà (descritta nella reggente) e un’ipotesi. Il verbo della reggente (ha mostrato) è passato, quindi la subordinata, che richiede il congiuntivo, può prendere l’imperfetto se l’evento del voler partecipare è percepito come possibile (quindi contemporaneo all’evento del mostrare), trapassato se l’evento è percepito come improbabile (quindi distante nel tempo dal mostrare). Si noti che con il trapassato si accentua il valore retorico dell’immagine: il parlante costruisce il confronto con una ipotesi che lui stesso esprime come improbabile.

6)-8) Come la 4).

9) Entrambe le forme sono corrette, anche se il futuro (potrò entrare) è preferibile. Il futuro, infatti, pone l’evento dell’entrare in relazione al momento dell’enunciazione, che è adesso; il passato prossimo ha informato, a sua volta, colloca l’evento dell’informare in relazione con il momento dell’enunciazione, lasciando intendere che l’evento sia ancora da consumarsi, cioè, per l’appunto, futuro rispetto ad adesso.
Diversamente, il condizionale passato (sarei potuto entrare) esprime l’idea del futuro nel passato, quindi si pone in relazione non con il momento dell’enunciazione, bensì con quello di riferimento, che è rappresentato da ha informato. Come detto sopra, ha informato è in stretto rapporto con il presente, il che non giustifica pienamente la costruzione del futuro nel passato. Se sostituiamo il passato prossimo con il passato remoto, il condizionale passato diviene legittimo: “Inoltre mi informò che sarei potuto entrare nella struttura la sera…” (sempre possibile, comunque, rimane “Inoltre mi informò che potrò entrare nella struttura la sera…”, nel caso in cui l’evento dell’entrare sia futuro rispetto ad adesso).
A margine, si noti che il sintagma la sera si lascia interpretare (preferibilmente, non obbligatoriamente) in due modi diversi nelle due costruzioni: “Inoltre mi ha informato che potrò entrare nella struttura la sera…” suggerisce che potrò entrare di sera (possibilmente ogni sera); “Inoltre mi informò che sarei potuto entrare nella struttura la sera…” suggerisce che sarei potuto entrare quella sera.

10. Simile all’esempio precedente. Il sintagma “da questa sera” accentua la separazione tra il passato prossimo ha raccontato e il momento dell’enunciazione, rendendo più accettabile il condizionale passato.

11. La proposizione relativa può essere costruita con l’indicativo (“che vogliono partecipare”), il congiuntivo presente (“che vogliano partecipare”), il congiuntivo imperfetto (“che volessero partecipare”). La scelta dipende dal grado di probabilità dell’evento del voler partecipare (nella percezione dell’emittente). Esattamente lo stesso vale se sostituiamo volere con desiderare (quindi desiderano / desiderino / desiderassero); cambia, ovviamente, il significato del verbo: desiderare ‘avere un desiderio’; volere ‘avere la volontà’.

12) Possibili entrambe le varianti, con la solita sfumatura funzionale tra l’indicativo fattuale e il condizionale che presuppone un’ipotesi. Il condizionale, infatti, configura la proposizione come l’apodosi di un periodo ipotetico, come se fosse: “anche se (se non l’avessi trovata) quella vecchia andrebbe bene”.

13) Siano state esplose si pone in relazione al momento dell’enunciazione, rispetto a cui è antecedente; fossero state esplose, invece, si pone in relazione a hanno disposto, che è già passato, rispetto a cui è, a sua volta, antecedente. Come nella frase 9), il passato prossimo è fortemente proiettato sul presente, tanto da non giustificare pienamente la costruzione con il trapassato; questo vale anche per la relativa “che avevano colpito il senzatetto”, che funziona meglio con il passato prossimo: “le autorità hanno subito disposto l’esame autoptico, necessario per accertare ufficialmente le cause del decesso, e stabilire se le pallottole che hanno colpito il senzatetto siano state esplose”. Anche qui, se usassimo il passato remoto la situazione si capovolgerebbe a favore del trapassato: “le autorità disposero subito l’esame autoptico, necessario per accertare ufficialmente le cause del decesso, e stabilire se le pallottole che avevano colpito il senzatetto fossero state esplose”.
Si noti anche la punteggiatura: le virgole prima e dopo la relativa non sono richieste, perché la relativa è limitativa (su questa rimandiamo all’archivio di DICO).

14) Corrette entrambe le forme. Anche per questo rimandiamo all’archivio di DICO, consultabile con la parola chiava ausiliare.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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QUESITO:

Ho un dubbio sull’interpretazione della locuzione “a seconda dei casi” nel seguente testo:

“Cerchiamo di essere particolarmente consapevoli della sensazione prodotta dal passaggio dell’aria attraverso il naso, dove la percepiamo con maggiore intensità. A seconda dei casi, potrà trattarsi del punto di primo contatto dell’aria con le narici, o un po’ più all’interno, o ancora più in alto, nel seno nasale”.

“A seconda dei casi” significa ‘a seconda delle persone’ oppure ‘a seconda del momento in cui avviene l’evento’?

 

RISPOSTA:

Le frasi 1a) e 1b) sono corrette. L’indicativo accentua la fattualità, quindi la concretezza dell’evento; il condizionale lo esprime come possibile, ma maggiormente soggetto all’avverarsi della condizione implicitamente contenuta nel sintagma in tal caso.
Anche le tre varianti proposte in 2a) e 2b) sono tutte valide. La scelta di costruire l’apodosi di 2a) con il presente, effettivamente più marcata rispetto alle altre, veicola una sfumatura di attualità atemporale per l’evento del trovare, come se il parlante volesse sottolineare l’assolutezza della situazione, la sua validità a prescindere da qualsiasi imprevisto.
Fabio Ruggiano
Raphael Merida

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​QUESITO:

Curiosando in rete mi sono imbattuta in una discussione circa le seguenti costruzioni:
1. Se non vieni perché non te la senti è un discorso; se invece vorresti venire ma ti senti in imbarazzo, sbagli.
2. Se hai rifiutato perché non ne hai bisogno, posso capire; se invece avresti voluto accettare ma qualcuno te l’ha impedito, ti prego di dirmelo.
Gli utenti intervenuti si sono divisi tra sostenitori della conformità ai dettami sintattici e sostenitori del contrario. Voi che cosa ne pensate?

 

RISPOSTA:

Il condizionale in una proposizione introdotta dalla congiunzione se è sempre visto con sospetto, perché è un errore molto comune sostituirlo al congiuntivo imperfetto nella protasi del periodo ipotetico (*”Se vorresti potresti farlo” al posto del corretto “Se tu volessi potresti farlo”).
Nella prima frase da lei proposta, la difficoltà sta nel contrasto tra l’apparente violazione della regola appena esposta e la sensazione che il risultato “suoni bene”. E in effetti la frase è corretta, perché la regola non viene affatto violata. Per accordare la sensazione con la regola basta reintegrare un pezzo di frase che è stato sottinteso: “se, invece, vorresti venire ma non vieni perché ti senti in imbarazzo, sbagli”. La protasi che funge da ipotesi di sbagli non è, quindi, “se vorresti venire”, che sarebbe mal formata (*”Se vorresti venire sbagli”) e non rispecchierebbe il senso inteso dal parlante (lo sbaglio non è voler venire, ma, al contrario, non venire), bensì “se vorresti venire ma non vieni”, ovvero “se non vieni pur volendo venire” (che sarebbe la costruzione della frase più formale e adatta allo scritto), oppure “se non vieni anche se vorresti venire”. La costruzione coordinata con ma della protasi, insomma, nasconde una struttura semantica subordinativa con una concessiva.
Per la verità, anche senza reintegrare “se non vieni” il ragionamento vale lo stesso: “se ti senti in imbarazzo pur volendo venire / anche se vorresti venire”; bisogna, però, riconoscere che l’ipotesi è senz’altro “se non vieni”. Nella mente del parlante, cioè, il rapporto di ipotesi-conseguenza è questo: “Sbagli se non vieni”. Le altre informazioni, “ti senti in imbarazzo” e “vorresti venire”, hanno semanticamente un ruolo di sfondo rispetto al nucleo dell’enunciato.
I motivi per cui il parlante non dice chiaramente quello che pensa (“Sbagli se non vieni”) possono essere due; la variatio sintattica rispetto alla costruzione del primo pezzo della frase, oppure, più probabilmente, la cortesia: normalmente, infatti, quando comunichiamo costruiamo percorsi linguistici alternativi, più lunghi e indiretti, rispetto a quello che rispecchia più fedelmente il nostro pensiero, se quest’ultimo ci sembra troppo violento o invadente. Lo facciamo soprattutto quando dobbiamo ordinare qualcosa (invece di dire “Apri la finestra” diciamo “Potresti aprire le finestra?”); quando esprimiamo un’opinione non pacifica (invece di dire “La filatelia è un ottimo passatempo perché…” diciamo “La filatelia mi rilassa molto, mi aiuta a concentrarmi e mi fa scoprire tanti fatti storici”); quando, similmente, critichiamo qualcuno, come nel caso della frase in questione.
Possiamo applicare lo stesso ragionamento fatto per la prima frase anche alla seconda: “se, invece, avresti voluto accettare ma non hai accettato perché qualcuno te l’ha impedito, ti prego di dirmelo” (ovvero “se non hai accettato pur avendo voluto…”). In più, questo secondo caso offre un interessante incrocio sintattico: il verbo di dire nell’apodosi avvicina tutto il resto della frase, compresa la protasi (ma esclusa l’eventuale causale) a una interrogativa indiretta: “ti prego di dirmi se avresti voluto accettare ma (non hai accettato perché) qualcuno te l’ha impedito”. L’interrogativa indiretta è normalmente costruita con il condizionale passato per esprimere il futuro nel passato.
​Per maggiori informazioni sul futuro nel passato suggerisco di consultare l’archivio di DICO inserendo nel motore di ricerca interno il termine consecutio temporum.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Enuncio (ora): i gentili professori di DICO mi hanno invitato (ieri) a consultare dopodomani (futuro rispetto all’enunciazione) l’archivio delle domande per verificare se nel frattempo (in un tempo intermedio tra ieri e dopodomani) … è stato / fosse / sia stato / era stato / fosse stato pubblicato il quesito”.
Quale tempo determina al meglio l’azione dell’eventuale pubblicazione del quesito?
Che cosa cambierebbe se riformulassi la frase così: “Ieri l’altro, i gentili professori di DICO mi hanno invitato a consultare stamattina / poche ore fa / ora l’archivio delle domande per verificare se nel frattempo (?) pubblicato il quesito”?

 

RISPOSTA:

La scelta nel primo caso è tra sia stato pubblicato e sarà stato pubblicato (o al limite, ma solo in un contesto informale, e meglio se nel parlato, è stato pubblicato). Le uniche coordinate rilevanti per stabilire la consecutio sono il momento dell’enunciazione, che è sempre ora, il momento di riferimento, ovvero dopodomani, e il momento dell’azione del pubblicare, che è successiva rispetto a ora, ma precedente rispetto a dopodomani. Il momento di ieri non è rilevante: anche se l’invito fosse fatto domani, non ieri, la consecutio rimarrebbe uguale: “I gentili professori di DICO mi inviteranno (domani) a consultare dopodomani l’archivio delle domande per verificare se nel frattempo sia stato / sarà stato / è stato pubblicato il quesito”.
Chiarito questo, diventa evidente che il tempo dell’azione è il futuro anteriore, ma, se scegliamo il modo congiuntivo, più formale, opteremo per il tempo che in questo modo, privo di futuro, sostituisce il futuro anteriore, ovvero il passato. L’indicativo passato prossimo può svolgere la stessa funzione del congiuntivo passato, ma in un registro informale. Dal momento che l’indicativo ha il futuro anteriore, il passato prossimo produce, rispetto al congiuntivo passato (che è obbligato), uno slittamento del centro deittico (per una spiegazione di che cosa sia si veda l’archivio di DICO) dal momento dell’enunciazione a quello di riferimento (nel nostro caso dopodomani); il parlante, cioè, semplifica la situazione, che ha tre coordinate, considerandone solamente due: il momento dell’azione e quello di riferimento. Rispetto al momento di riferimento, l’azione diviene, appunto, passata (sparisce il tratto del futuro).
L’imperfetto congiuntivo (fosse pubblicato) indica contemporaneità nel passato, quindi non può essere usato in questo contesto. Allo stesso modo, inadeguati sono il trapassato indicativo e congiuntivo, che indicano anteriorità rispetto a un evento passato.

La riformulazione della frase sposta l’evento nel passato, quindi esclude il futuro anteriore come possibilità. Rimane, invece, valido il congiuntivo passato, sia stato pubblicato (meno formale l’indicativo, è stato pubblicato), che ignora il momento di riferimento (in questo caso ieri l’altro) e considera solamente il momento dell’enunciazione, rispetto al quale l’azione è passata. Se, invece, “triangoliamo” le tre coordinate, l’azione del pubblicare si configura come futura rispetto al passato, quindi prende la forma del condizionale passato, sarebbe stato pubblicato.
Non è finita: possiamo anche valorizzare la sfumatura ipotetica veicolata dalla proposizione interrogativa indiretta “se nel frattempo (?) pubblicato il quesito”, come se la frase intendesse dire ‘nel caso in cui nel frattempo (?) pubblicato il quesito’. Questa operazione cambierebbe la prospettiva e renderebbe valido il congiuntivo imperfetto, fosse pubblicato (ipotesi possibile), e anche il congiuntivo trapassato, fosse stato pubblicato (ipotesi improbabile). Da scartare, in questo caso, le varianti all’indicativo, era pubblicato e era stato pubblicato.
Il trapassato unisce al valore ipotetico quello di anteriorità, che il ricevente interpreta come anteriorità rispetto al momento dell’enunciazione; l’imperfetto esprime contemporaneità, quindi oscura la relazione tanto con il momento di riferimento, quanto con il momento dell’enunciazione (tranne per il fatto che è un tempo passato) e fa risaltare, invece, la fase intermedia, descritta con l’avverbio nel frattempo.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vivo all’estero e mi risulta difficile spiegare ai miei amici tedeschi i motivi per cui si fa uso del congiuntivo in certe frasi della nostra lingua. Alcuni esempi: “È bello che tu sia venuto”; oppure: “È importante che si veda il film dall’inizio”; “È deprecabile che Mario arrivi sempre in ritardo”. Nella lingua tedesca, ma anche in altre lingue, in frasi analoghe si usa l’indicativo. Perché noi usiamo il congiuntivo? Quale spiegazione dare?

 

RISPOSTA:

​Il congiuntivo è una risorsa che l’italiano ha sviluppato per segnalare la subordinazione. Il nome stesso del modo allude alla sua funzione di collegare le proposizioni, ma ricordiamo che in passato per designarlo era usato anche il termine soggiuntivo (ancora oggi in inglese esso è definito subjunctive), ancora più esplicito riguardo alla funzione di aggiungere parti della frase subordinate alla proposizione principale. 
In astratto, quindi, il congiuntivo è il modo delle subordinate, o almeno di quelle esplicite, visto che le implicite usano i modi indefiniti. In effetti, se osserviamo il panorama delle proposizioni subordinate, vediamo che molte richiedono obbligatoriamente o facoltativamente il congiuntivo (finali, completive, ipotetiche non del primo tipo, relative improprie, concessive, comparative di minoranza e maggioranza, eccettuative), e quando è prevista la possibilità di scegliere tra il congiuntivo e l’indicativo, il primo rappresenta la variante più formale. 
Se molte subordinate richiedono il congiuntivo, alcune, al contrario, lo rifiutano: le causali (ma non le causali irreali, sulle quali si veda questa risposta dell’archivio di DICO: https://bit.ly/2XpQU1x), le temporali, le relative proprie, le consecutive, le ipotetiche di primo grado (del tipo “Se sei tanto sicuro, fallo”), le comparative di uguaglianza e di analogia. Questa distinzione tra subordinate al congiuntivo e subordinate all’indicativo non deve sorprendere: le lingue non sono meccanismi perfetti. Il congiuntivo è il modo della subordinazione, ma l’indicativo non è escluso da questa funzione. 
Del resto, lo stesso congiuntivo può figurare in proposizioni indipendenti, al posto dell’indicativo (che, come si sa, è il modo per eccellenza della proposizione principale), come in “Volesse il cielo che la mia squadra vincesse il campionato”, o “Mio padre dica quel che vuole: io al concerto andrò comunque”, o “I volontari facciano un passo avanti” e simili. In realtà, se osserviamo bene, le proposizioni principali al congiuntivo sono subordinate ad altre proposizioni all’indicativo, che rimangono implicite: “(Vorrei che) volesse il cielo che la mia squadra vincesse il campionato”, o “(Lascio che) mio padre dica quel che vuole: io al concerto andrò comunque”, o “(Ordino che) i volontari facciano un passo avanti”. 
La selezione dell’indicativo da parte di alcune subordinate, invece, è dovuta allo stretto legame logico esistente tra queste subordinate e la principale, ma anche alla tradizione e all’uso (non sempre è possibile ricondurre le strutture sintattiche a ragioni logiche). È possibile fare una graduatoria tra le subordinate in base al criterio della aderenza logica con la principale. Le più aderenti sono quelle proposizioni che richiedono l’indicativo anche quando sono dipendenti da proposizioni a loro volta al congiuntivo, come le consecutive, le relative proprie, la causali: “Dicono che Luca fosse tanto stanco che dormì per due giorni“; “Non sapevo che tu avessi conosciuto il ragazzo di cui ti avevo parlato tanto“; “Vorrei che tu venissi perché lo vuoi, non perché tu sia costretto” (sulle causali irreali si è detto sopra). Più incerto il comportamento delle comparative di uguaglianza: “Andrea si comporta sempre come ci si aspetta da lui“, ma “Sospetto che Andrea si comporti sempre come ci si aspetti da lui“. Ovviamente, però, è anche possibile “Sospetto che Andrea si comporti sempre come ci si aspetta da lui“.  Anche in questi casi, come in tutti quelli in cui è possibile l’alternanza tra l’indicativo e il congiuntivo, vale la norma non scritta che il congiuntivo rappresenti la soluzione più formale. Come si è detto, l’aderenza logica alla reggente non può spiegare tutti i casi: le completive, per esempio, tanto legate alla reggente da essere necessarie (una frase come “Sono convinto che tu mi stia imbrogliando” non avrebbe senso compiuto se togliessimo “che tu mi stia imbrogliando”) sono quasi sempre costruite con il congiuntivo.
La specializzazione sintattica del congiuntivo nella segnalazione della subordinazione ha finito per assegnargli la sfumatura semantica di modo della ipotesi, dell’eventualità, della possibilità, della controfattualità. Questa sfumatura, sviluppatasi secondariamente rispetto alla funzione sintattica primaria, è oggi percepita come il carattere preminente del congiuntivo. È opinione comune, per esempio, che “Credo che tu sei un buon amico” esprima certezza, mentre “Credo che tu sia un buon amico” esprima dubbio; la differenza, invece, è, come detto, di natura diafasica: la prima variante è meno formale della seconda, ed è, coerentemente, tipica del registro medio-basso nello scritto e del registro medio e medio-alto nel parlato. Lo stesso vale per “La tua proposta è migliore di quanto mi aspettavo” e “La tua proposta è migliore di quanto mi aspettassi” e, ribadisco, per tutti gli altri casi di possibile alternanza. 
Certo, una convinzione così radicata come quella che il congiuntivo sia il modo dell’eventualità non può essere trascurata: anche se si tratta di una interpretazione secondaria, oggi essa è attiva nella percezione dei parlanti, quindi va registrata. Possiamo dire, quindi, che il congiuntivo è il modo della subordinazione, ma veicola anche, secondariamente e non sempre, una sfumatura semantica epistemica: il parlante, usandolo, esprime incertezza sulla fattualità di ciò che sta affermando.
La relazione tra indicativo e congiuntivo è al centro di molte domande poste a DICO nel tempo: una delle ultime risposte sull’argomento si può leggere qui: https://bit.ly/2GnQ1zH, ma consiglio anche di interrogare l’archivio inserendo nel motore di ricerca interno la parola chiave congiuntivo
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

“Entrò in camera trafelato, come uno che abbia corso a perdifiato”: tale frase è un esempio di scissa o pseudoscissa?
Vi domando, poi, se il congiuntivo trapassato o il passato prossimo sarebbero stati ugualmente validi:
“Entrò in camera, come uno che avesse corso a perdifiato”.
“Entrò in camera, come uno che ha corso a perdifiato”.

 

RISPOSTA:

​La prima frase ricalca l’ordine sintattico naturale dell’italiano, Soggetto, Verbo, Oggetto (ovvero ampliamenti vari, visto che al posto dell’Oggetto qui troviamo un complemento di moto a luogo e poi un complemento predicativo del soggetto). La versione scissa della sua frase sarebbe: “Fu lui a entrare in camera trafelato…” (la seconda parte è implicita perché il suo soggetto coincide con quello della reggente); quella pseudoscissa “Fu lui quello che entrò in camera trafelato…”.
Il congiuntivo passato della proposizione comparativa può essere sostituito con il trapassato, con la differenza che il rapporto temporale tra reggente e subordinata cambia. Il passato esprime anteriorità rispetto al presente, quindi rispetto al momento dell’enunciazione, ovvero ora: ne consegue che la descrizione della persona è riferita non alla situazione specifica narrata, ma ha valore generale (la persona somigliava a chiunque abbia corso a perdifiato). Il trapassato esprime anteriorità rispetto al passato, quindi viene riferito al momento dell’azione dell’entrare: ne consegue che la descrizione riguarda la situazione specifica narrata (la persona sembrava aver corso a perdifiato).
La sostituzione con l’indicativo passato prossimo è anche possibile: in questo caso non cambia la relazione temporale, ma il livello di formalità (più basso con l’indicativo).
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Una volta che può avere sia valore ipotetico che temporale, come quando? Le possibilità riportate più sotto, nonostante i distinguo di carattere semantico, sono valide?
“Una volta che avreste / abbiate / avrete ricevuto la comunicazione, vorrei essere messo al corrente”.

 

RISPOSTA:

Tutti i connettivi temporali assumono una sfumatura ipotetica quando introducono un evento futuro, proprio perché il futuro comporta automaticamente un certo grado di incertezza. Questa sfumatura è accentuata, nella percezione dei parlanti, dal congiuntivo (sebbene in astratto il congiuntivo sia solamente più formale dell’indicativo; su questo punto può leggere una recente risposta nell’archivio di DICO). Quindi, “Una volta che abbiate / avrete / avete ricevuto…” sono tutte varianti possibili, tra cui la più formale è abbiate ricevuto (sul passato prossimo in costrutti ipotetici si può leggere questa altra risposta nell’archivio di DICO). Possibili anche “Una volta che riceveste…” (congiuntivo imperfetto) e persino “Una volta che aveste ricevuto…” (congiuntivo trapassato), che designano l’evento rispettivamente come possibile e improbabile (accentuano, quindi, la sfumatura ipotetica del connettivo).
Scorretta, invece, nel suo caso, *”Una volta che avreste ricevuto…”. Il condizionale passato è possibile solamente se ci si trova in un contesto di futuro nel passato, come in questa frase: “Vi avevo chiesto di avvisarmi subito una volta che avreste ricevuto la comunicazione”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nella frase “Marco era accanto a Riccardo, che parlava a vanvera”, la subordinata è collegata al soggetto o al complemento? La virgola (sia se presente, come nell’esempio, sia se assente) è determinante per caratterizzare la relativa? In che modo si possono evitare incomprensioni senza ricorrere a soluzioni quali “Marco era accanto a Riccardo e quest’ultimo parlava a vanvera”; “Marco era accanto a Riccardo e quello parlava a vanvera”?

 

RISPOSTA:

 

Nella sua frase, la relativa è senz’altro collegata al complemento, perché il pronome relativo rimanda sempre al referente più vicino, detto anche antecedente. Non è, pertanto, necessario sovraspecificare il riferimento con una forma referenziale come quest’ultimo. Questo pronome è adatto se dividiamo la frase in due parti, così: “Marco era accanto a Riccardo. Quest’ultimo parlava a vanvera”.
Se manteniamo la frase unita, un pronome più esplicito è necessario qualora il referente sia non quello adiacente, ma quello più lontano (in questo caso Marco): in “Marco era accanto a Riccardo e quello parlava a vanvera”, infatti, il referente di quello è proprio Marco (si noti che, coerentemente, quello indica in genere un oggetto che si trova lontano da chi parla).
La virgola non influisce sul collegamento, ma influisce, invece, sulla funzione della relativa e sul significato dell’intera frase. La relativa senza virgola, detta limitativa, contiene una informazione che identifica l’antecedente, mentre quella separata dalla virgola, detta esplicativa, aggiunge una informazione accessoria sull’antecedente. Nel suo caso, la virgola è quasi obbligatoria, perché Riccardo, nome proprio, è identificato di per sé; ma la situazione cambia se sostituiamo a Riccardo un nome comune, ad esempio: “Marco era accanto a quel ragazzo, che parlava a vanvera”. Nella frase così costruita, la relativa aggiunge una caratteristica non necessaria per identificare quel ragazzo; quindi l’emittente presuppone che il suo interlocutore sappia già chi sia quel ragazzo. Se l’enunciato fosse parlato anziché scritto la virgola sarebbe sostituita da una pausa intonativa e si potrebbe immaginare che l’interlocutore stia vedendo quel ragazzo nel momento in cui avviene la conversazione. La caratteristica del parlare a vanvera si configura, pertanto, come accessoria, o transitoria: il ragazzo in questione si comportava in quel modo nel momento in cui era accanto a Marco, ma non sappiamo se parlare a vanvera sia un’abitudine che lo identifica.
Sappiamo, però, che l’emittente non ritiene il parlare a vanvera un’abitudine che identifica quel ragazzo agli occhi del suo interlocutore, altrimenti avrebbe scritto “Marco era accanto a quel ragazzo che parlava a vanvera” e, nel parlato, avrebbe pronunciato l’enunciato senza pause. In “Marco era accanto a quel ragazzo che parlava a vanvera”, senza virgole o pause, la relativa fa, infatti, parte del complesso nominale di quel ragazzo e ne determina l’identità: in questo caso, l’emittente sta richiamando alla memoria del suo interlocutore un particolare ragazzo noto a entrambi in passato (visto che usa l’imperfetto parlava) per la sua abitudine di parlare a vanvera.
Di relative limitative ed esplicative si parla anche in questa risposta dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Pronome, Verbo
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QUESITO:

Le seguenti costruzioni sono corrette in tema di rapporti tra i tempi verbali? 
– Lavorerai domattina – domanda l’uno.
– Sì, di pomeriggio – risponde l’altro.
– Pensavo che lavorassi di mattina. 
(Mi domando se il congiuntivo imperfetto possa sostituire il condizionale passato).

– Mi stai dicendo che tu domani saresti stato disposto a partire di casa alle 6 di mattina? – domanda la donna. 
(Il condizionale passato, pur collegandosi a un evento futuro al momento dell’enunciazione, può essere accettato per sottolineare la definitiva conclusione della condizione?)

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo imperfetto può estendere la sua funzione di indicatore di contemporaneità nel passato inglobando anche l’espressione del futuro nel passato, propria del condizionale passato. Usando il congiuntivo imperfetto, il parlante rappresenta l’evento come contemporaneo al momento in cui lo ha pensato o comunicato, conferendogli una sfumatura di certezza, a dispetto della sua collocazione nel futuro. Per questo motivo, con verbi di comando il condizionale passato è quasi impossibile: “Ordinò che io l’indomani partissi” (non *”Ordinò che io l’indomani sarei partito”), mentre è il congiuntivo imperfetto molto strano con verbi di dire privi di sfumature volitive: “Mi disse / comunicò che l’indomani sarei stato arrestato” (non *”Mi disse / comunicò che l’indomani fossi arrestato”). Con verbi di pensiero, le due opzioni sono generalmente valide; il congiuntivo è la scelta meno formale, sebbene non si possa dire trascurata, adatta a un registro medio, come dimostrano gli esempi letterari: “Lei stava ai fornelli, si è girata al rumore dei passi. Pensavo che aprisse le braccia. Ho detto: ‘Mamma, sono qui!'” (Susanna Tamaro, Per voce sola, 1991). Si vedano, su questo argomento, le tante risposte a domande analoghe nell’archivio di DICO; per esempio questa.
Il condizionale passato nella seconda frase lascia intendere che l’azione futura non si avvererà, perché è intervenuta una condizione ostativa. L’emittente, cioè, sa già che la persona con cui sta parlando non dovrà partire. Si noti che non siamo in un contesto di futuro nel passato, perché il momento di riferimento è presente e coincide con il momento dell’enunciazione (nel futuro nel passato, invece, il momento di riferimento è passato, mentre quello dell’enunciazione è, come sempre, presente). Il condizionale passato, pertanto, si configura come l’apodosi di un periodo ipotetico dell’irrealtà, che suggerisce, come detto, la controfattualità dell’espressione verbale. Diversamente, “Mi stai dicendo che tu domani saresti disposto a partire…” indicherebbe che l’azione potrebbe ancora avverarsi.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Mi pare che le relazioni di consecutio temporum che qui di illustro non siano mai state prese in esame.

1) Domani pomeriggio ricordati di chiamare il centralino, se entro la fine della mattinata (di domani)…
a) non avrai ricevuto/riceverai aggiornamenti.
b) non ricevessi aggiornamenti.
c) non avessi ricevuto aggiornamenti.
N.B. Nella variante a) ho unito i due tempi del futuro perché leggendo i vostri articoli ho capito che si differenziano quasi esclusivamente per il livello di formalità.

2) Se nel frattempo fosse stata chiarita la situazione, il dirigente già domani…
a) potrebbe adottare misure restrittive.
b) potrà adottare misure restrittive.

 

RISPOSTA:

Nei suoi esempi la costruzione del periodo ipotetico si intreccia con la consecutio temporum.
La frase 1) presenta i tre modelli canonici della protasi del periodo ipotetico. La soluzione a) coincide con la protasi di un periodo ipotetico della realtà, costruita con l’indicativo. L’evento condizionante, quello che provoca come conseguenza l’altro (ricordati), espresso nell’apodosi, è situato nel futuro rispetto al momento dell’enunciazione, cioè adesso (dal punto di vista di chi parla). La scelta del tempo da usare per questo evento è molto ampia: sono possibili li futuro semplice (se non riceverai), il futuro anteriore (se non avrai ricevuto), il presente (se non ricevi) e anche il passato prossimo (se non hai ricevuto). Tra queste, il futuro anteriore è la più lineare, perché esprime tanto la posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione quanto l’anteriorità rispetto alla conseguenza; il futuro semplice è, nell’italiano contemporaneo, sempre sostituibile a quello anteriore, come variante semplificata, che lascia implicito il rapporto di anteriorità rispetto alla conseguenza, facilmente inferibile per logica. Il presente, a sua volta, è quasi sempre sostituibile al futuro con funzione temporale: sarebbe questa, probabilmente, la variante preferita in una conversazione tra pari. Il passato prossimo è l’esito di uno slittamento, pienamente ammissibile, di piani temporali: con esso, il parlante sposta il suo centro deittico per un attimo a domani, mettendosi nei panni della persona che deve ricordarsi di chiamare. In quel momento, l’evento della protasi è, appunto, nel passato.
La soluzione b) rappresenta una protasi di un periodo ipotetico della possibilità: esprime l’evento della mancata ricezione di aggiornamenti come possibile invece che come reale, suggerendo che secondo il parlante esso sia un po’ meno probabile rispetto a quanto lo sarebbe stato se lo avrebbe espresso con l’indicativo.
La soluzione c), infine, rappresenta una protasi dell’irrealtà, che suggerisce l’improbabilità dell’evento.
La frase 2) mostra due casi apodosi rispetto a una protasi con il trapassato (se fosse stata chiarita). La soluzione a), al condizionale presente (potrebbe adottare), da un parte designa l’evento come possibile, dall’altro sottolinea la necessità che l’evento della protasi si sia concluso prima che l’evento dell’apodosi, l’adozione di misure, possa avvenire. Nella soluzione b), l’indicativo designa la conseguenza come reale, sottolineando il pieno potere del dirigente (se non, addirittura, l’intenzione già formata) di metterla in atto. Si può, ovviamente, aggiungere anche in questo caso una terza soluzione per l’apodosi, quella che rispecchia la costruzione canonica dell’irrealtà: “avrebbe potuto adottare misure restrittive”. Con questa, la conseguenza è data, appunto, per irreale: si completa, in questo modo, la costruzione di una ipotesi di cui si conosce già l’esito controfattuale.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Quali forme verbali vanno usate in queste frasi?
1. Luca gli chiede se è / sarebbe / sia ancora possibile fare una veloce visita all’interno della struttura.
2. Ho detto loro che non avessi / avevo idea di cosa accadeva / accadesse a René quando urlava.
3. Mi avevano avvertito che, in certi momenti, la vita poteva / sarebbe potuta diventare difficile come percorrere una strada tutta in salita.
4. Compiaciuta, ha sussurrato sorridendo che, un attimo prima, aveva mentito ai suoi amici per aiutarmi; ma non aveva pensato, nemmeno per un attimo, che fossi / fossi stato uno di loro.
5. Luca chiede se l’Amministrazione comunale può / potrebbe / potrà mettere a disposizione un pulmino
6. Il custode del centro sportivo era comunque ben informato su cosa avveniva / avvenisse all’interno del deposito.
7. Non avrei mai immaginato che terminata l’arrampicata potesse presentarsi / si fosse presentato un baratro.
8. Raramente ciò che leggevo coincideva con quello che poi accadeva / sarebbe accaduto.
9. Se pretendo un regalo, mio padre mi chiede se sono sicuro di essermelo / averlo meritato o guadagnato.
10. Aveva più amici di quanti lui stesso avrebbe / avesse mai potuto immaginare.
11. Oggi è successa una tragedia immane, la peggior cosa che la mente di un bambino potesse / possa immaginare e sopportare.
12. Chiamo e chiedo se è / sarebbe / sia possibile fissare un appuntamento per intervistare il titolare.
13. Anche lui, prima di lasciare il binario, ha atteso che il treno uscisse / fosse uscito completamente
dalla stazione.
14. Rispondo che ieri sera abbiamo continuato la lettura e che / come, nonostante sorprese ed emozioni, siamo / fossimo riusciti comunque a fare una bella dormita.
15. Ho la sensazione che una forza invisibile stia fiaccando ogni mia resistenza, e che la volontà di reagire avesse / abbia lasciato spazio a una profonda rassegnazione.
16. Tornata la calma gli chiedo anche se mi fa / farebbe accendere la sigaretta.
17. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo ha spinto / abbia spinto / avesse spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desiderasse / desideri comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
18. Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se ha / aveva / abbia / avesse ricevuto comunicazioni.
19. Mi viene spontaneo chiedergli subito in che modo si siano / sono / fossero conosciuti.
20. Se non fosse per l’indiscutibile casualità del nostro incontro, ora sospetterei / avrei sospettato che l’acuto finale te lo fossi / lo avessi preparato per l’occasione.
21. Quando le dissi che avrei accettato la sua offerta anche subito, ma che non desiderassi / desideravo metterla contro mia madre, rispose…
22. In quei giorni, non ebbe il dovuto rilievo mediatico nemmeno la notizia che la ragazza non aveva / avesse fatto uso di sostanze stupefacenti. 

 

RISPOSTA:

​La scelta del modo e del tempo verbale nelle frasi da lei proposte non è quasi mai obbligata, ma, piuttosto, dipende dalla sfumatura semantica ricercata, dal grado di formalità richiesto dalla situazione o dalla consecutio temporum. Visto il gran numero di esempi, non mi dilungo in spiegazioni, ma rimando all’archivio di DICO, nel quale ci sono già molte risposte che trattano dei fenomeni qui coinvolti. Riscriverò, di seguito, le frasi corrette:
1a. Luca gli chiede se è ancora possibile fare una veloce visita all’interno della struttura.
1b. Luca gli chiede se sarebbe ancora possibile fare una veloce visita all’interno della struttura.
1c. Luca gli chiede se sia ancora possibile fare una veloce visita all’interno della struttura.
Tutte le tre frasi 1. vanno bene: quella con l’indicativo è più diretta, quella con il condizionale è più cortese (e fa emergere il punto di vista interno del soggetto, avvicinandosi al discorso indiretto libero), quella con il congiuntivo è più formale.

2a. Ho detto loro che non avevo idea di cosa accadeva a René quando urlava.
2b. Ho detto loro che non avessi idea di cosa accadesse a René quando urlava.
Anche in questo caso, la scelta del modo dipende dal grado di formalità atteso.

3a. Mi avevano avvertito che, in certi momenti, la vita poteva diventare difficile come percorrere una strada tutta in salita.
3b. Mi avevano avvertito che, in certi momenti, la vita sarebbe potuta diventare difficile come percorrere una strada tutta in salita.
La versione con il condizionale passato è più formale. In teoria l’imperfetto è più generico e può far riferimento alla vita in generale, non per forza alla vita futura, ma il verbo della reggente, avvertire, impone un’interpretazione futura. Possibile anche potesse.

4a. Compiaciuta, ha sussurrato sorridendo che, un attimo prima, aveva mentito ai suoi amici per aiutarmi; ma non aveva pensato, nemmeno per un attimo, che fossi uno di loro.
4b. Compiaciuta, ha sussurrato sorridendo che, un attimo prima, aveva mentito ai suoi amici per aiutarmi; ma non aveva pensato, nemmeno per un attimo, che fossi stato uno di loro.
La variante con l’imperfetto indica che l’amicizia era o non era in corso mentre lei pensava; quella con il trapassato sottolinea che l’amicizia si era o non si era conclusa in un momento precedente a quello in cui lei si era trovata a pensare.

5a. Luca chiede se l’Amministrazione comunale può mettere a disposizione un pulmino.
5b. Luca chiede se l’Amministrazione comunale potrebbe mettere a disposizione un pulmino.
5c. Luca chiede se l’Amministrazione comunale potrà mettere a disposizione un pulmino.
Come per la 1., l’indicativo è più diretto. Il futuro aggiunge una precisazione temporale rispetto al presente, per cui è più facile ricondurlo a un evento specifico, mentre il presente rimane ambiguo tra “può mettere a disposizione sempre” e “può mettere a disposizione per una specifica occasione”. Aggiungerei anche una quarta versione, con possa, che risulterebbe la più formale.

6a. Il custode del centro sportivo era comunque ben informato su cosa avveniva all’interno del deposito.
6b. Il custode del centro sportivo era comunque ben informato su cosa avvenisse all’interno del deposito.
Come per la 1., è una questione di formalità.

7. Non avrei mai immaginato che terminata l’arrampicata potesse presentarsi un baratro.
Impossibile si fosse presentato, perché il trapassato esprime l’anteriorità rispetto al tempo della reggente, quindi contrasta con il fatto che il soggetto non sapeva che ci fosse un baratro. Possibile, e più formale, si sarebbe presentato.

8a. Raramente ciò che leggevo coincideva con quello che poi accadeva.
8b. Raramente ciò che leggevo coincideva con quello che poi sarebbe accaduto.
Anche qui l’indicativo è meno formale (e più comune), il condizionale passato più formale.

9a. Se pretendo un regalo, mio padre mi chiede se sono sicuro di essermelo meritato o guadagnato.
9b. Se pretendo un regalo, mio padre mi chiede se sono sicuro di averlo meritato o guadagnato.
Qui la scelta è tra meritare (ausiliare avere) e meritarsi (ausiliare essere), ovvero tra il verbo nella sua forma neutrale, più formale e distaccata, e lo stesso verbo nella versione pronominale, che gli conferisce una sfumatura emotiva, di partecipazione del soggetto (come se intendesse meritare per sé).

10. Aveva più amici di quanti lui stesso avesse mai potuto immaginare.
La variante con il condizionale passato è al limite dell’illogico, perché descrive una situazione in cui il soggetto non può immaginare che si sia realizzato uno stato (avere tante amicizie) dopo che lo stesso si è effettivamente realizzato e lui non può che esserne pienamente consapevole.

11. Oggi è successa una tragedia immane, la peggior cosa che la mente di un bambino possa immaginare e sopportare.
Non c’è nessuna ragione per usare il congiuntivo imperfetto in questo contesto.

12a. Chiamo e chiedo se è possibile fissare un appuntamento per intervistare il titolare.
12b. Chiamo e chiedo se sarebbe possibile fissare un appuntamento per intervistare il titolare.
12c. Chiamo e chiedo se sia possibile fissare un appuntamento per intervistare il titolare.
Si veda l’esempio 5.

13a. Anche lui, prima di lasciare il binario, ha atteso che il treno uscisse completamente dalla stazione.
13b. Anche lui, prima di lasciare il binario, ha atteso che il treno fosse uscito completamente dalla stazione.
La scelta del tempo dipende da una sfumatura: l’imperfetto esprime la contemporaneità tra l’azione del treno e quella di lui; il trapassato sottolinea che il treno era completamento uscito prima che lui lasciasse il binario.

14. Rispondo che ieri sera abbiamo continuato la lettura e che, nonostante sorprese ed emozioni, siamo riusciti comunque a fare una bella dormita.
Visto il contenuto analogo delle due oggettive coordinate, non c’è ragione per non mantenere la stessa costruzione per entrambe. La sostituzione del secondo che con come è possibile, ma non cambia la costruzione della proposizione.

15. Ho la sensazione che una forza invisibile stia fiaccando ogni mia resistenza, e che la volontà di reagire abbia lasciato spazio a una profonda rassegnazione.
Non c’è ragione per usare il trapassato congiuntivo in questa frase.

16a. Tornata la calma gli chiedo anche se mi fa accendere la sigaretta.
16b. Tornata la calma gli chiedo anche se mi farebbe accendere la sigaretta.
Si veda la 1. Possibile anche la variante più formale con faccia.

17a. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo ha spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desiderasse comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
17b. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo abbia spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desiderasse comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
17c. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo avesse spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desiderasse comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
17d. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo ha spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desideri comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
17e. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo abbia spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desideri comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
17f. Proseguo la telefonata curioso di sapere cosa lo avesse spinto a chiamarmi così presto e cos’altro desideri comunicarmi di così importante, oltre alla litigata con la moglie.
Come si vede, tutte le varianti sono possibili. I vari tempi del congiuntivo instaurano di volta in volta rapporti diversi (di anteriorità o contemporaneità) tra il momento dell’azione che essi stessi esprimono e gli altri momenti configurati nella frase: quello dell’enunciazione, ovvero ora, quello della chiamata e quello dell’insorgenza della volontà di comunicare con l’amico.

18a. Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se ha ricevuto comunicazioni.
18b. Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se aveva ricevuto comunicazioni.
18c. Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se abbia ricevuto comunicazioni.
18d. Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se avesse ricevuto comunicazioni.
Le varianti più attese sono quelle con il passato prossimo indicativo (meno formale) e il passato congiuntivo (più formale). Quelle con il trapassato (per le quali vale sempre la differenza di formalità tra indicativo e congiuntivo) presuppongono la presenza di un tempo di riferimento intermedio tra quello dell’enunciazione e quello della ricezione delle comunicazioni. In realtà, questo tempo intermedio dovrebbe coincidere con quello della domanda del Colonnello, ma il fatto che il soggetto usi il presente (sento) pone questo evento sullo stesso piano temporale del momento dell’enunciazione, appunto il presente. La situazione sarebbe più chiara se sento fosse un presente storico, che ammette senza difficoltà (ma con cautela) lo slittamento dei piani temporali tra il presente e il passato. In alternativa, si può pensare che ci sia un altro evento intermedio, non introdotto esplicitamente, tra la domanda e la ricezione delle comunicazioni; ad esempio “Sento il Colonnello chiedere al Capitano dei Ris, sicuro di non essere ascoltato, se avesse ricevuto comunicazioni prima dell’arrivo degli ordini ufficiali“.

19a. Mi viene spontaneo chiedergli subito in che modo si siano conosciuti.
19b. Mi viene spontaneo chiedergli subito in che modo si sono conosciuti.
19c. Mi viene spontaneo chiedergli subito in che modo si fossero conosciuti.
Anche qui l’indicativo è la variante più diretta, meno formale e più comune. Per il trapassato valgono le stesse considerazioni fatte a proposito dell’esempio 18.

20a. Se non fosse per l’indiscutibile casualità del nostro incontro, ora sospetterei che l’acuto finale te lo fossi preparato per l’occasione.
20b. Se non fosse per l’indiscutibile casualità del nostro incontro, ora sospetterei che l’acuto finale lo avessi preparato per l’occasione.
Non c’è motivo (sebbene non sia impossibile) di usare il condizionale passato (avrei sospettato) quando si specifica che l’azione avviene ora e la protasi del periodo ipotetico ha il congiuntivo imperfetto (fosse). Il passato funzionerebbe bene se la protasi fosse al trapassato (“Se non fosse stato per l’indiscutibile casualità del nostro incontro, ora avrei sospettato…”). Per quanto riguarda la scelta tra preparare e prepararsi si veda l’esempio 9.

21a. Quando le dissi che avrei accettato la sua offerta anche subito, ma che non desideravo metterla contro mia madre, rispose…
21b. Quando le dissi che avrei accettato la sua offerta anche subito, ma che non desiderassi metterla contro mia madre, rispose…
Il congiuntivo è più formale.

22a. In quei giorni, non ebbe il dovuto rilievo mediatico nemmeno la notizia che la ragazza non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti.
22b. In quei giorni, non ebbe il dovuto rilievo mediatico nemmeno la notizia che la ragazza non avesse fatto uso di sostanze stupefacenti.
Come per l’esempio 21.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

La congiunzione se può essere sostituita all’occorrenza da qualora o nel caso che per evitare che dentro lo stesso enunciato vengano a crearsi ripetizioni? Tali ripetizioni (se… se…), laddove fossero presenti, sarebbero riconducibili a una sgrammaticatura?
Esempio: “Non so se Niccolò userebbe ancora oggi quelle parole, qualora / se avesse l’occasione di
esprimersi sul fatto.

 

RISPOSTA:

​La sostituzione da lei immaginata è quasi sempre possibile, con un cambiamento di significato trascurabile. Volendo essere precisi, rispetto al generico sequalora aumenta il grado di improbabilità dell’evento espresso nella proposizione che introduce, mentre nel caso che (ma anche nel caso in cui) specifica che quella espressa nella proposizione introdotta è una tra due o più possibilità.
In ogni caso, la ripetizione di se non si può considerare un errore; qualche fastidio può provocare, al massimo, la ripetizione per tre o più volte a poca distanza.
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Il seguente periodo è ben costruito o contiene invece un errore madornale?
“Se, qualora diventassi ricco, farei del bene al prossimo, significa che, di base, la mia natura è buona”. Alludo chiaramente alla frase con il condizionale: nel caso fosse valida, vi domando se la specificazione della protasi (nell’esempio di riferimento “qualora diventassi ricco”) sarebbe obbligatoria o facoltativa.

 

RISPOSTA:

La frase non è ben formata. La proposizione ipotetica incidentale “qualora diventassi ricco” non è la protasi del periodo ipotetico, ma è subordinata alla protasi (e non sintatticamente necessaria), che è “Se facessi del bene al prossimo”. Quindi, innanzitutto, il condizionale farei va sostituito con il congiuntivo imperfetto facessi. Noto anche che la protasi con il congiuntivo imperfetto è subordinata a una apodosi con l’indicativo presente, significa. Questo non può essere considerato un errore, ma è certamente una scelta insolita, visto che l’indicativo esprime la certezza del parlante su quanto sta dicendo, mentre la protasi al congiuntivo imperfetto esprime la possibilità che qualcosa avvenga. Insomma, il modello sottostante alle frase così formulata è: ‘se si verificasse un evento ciò comporta una conseguenza’. La formulazione più comune in questo caso sarebbe, invece, “Se, qualora diventassi ricco, facessi del bene al prossimo, significherebbe che, di base, la mia natura è buona”; con il condizionale significherebbe si esprime con chiarezza che la conseguenza è, appunto, condizionata dalla possibilità che si verifichi l’evento indicato nella protasi. La proposizione oggettiva “che, di base, la mia natura è buona”, infine, può essere costruita anche con il congiuntivo (“che, di base, la mia natura sia buona”), se si vuole elevare il registro dell’intera frase.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Mi piacerebbe avere il vostro parere  su questa una frase che mi ha fatto sorgere un dubbio sull’uso non obbligatorio del congiuntivo: “Sul loro viso il terrore aveva fatto spazio al disprezzo che volevano trasmettermi, ignorando che, in quel periodo, era l’ingrediente principale della mia vanità…”.
È giusto “era l’ingrediente…” o la regola prevede fosse?

 

RISPOSTA:

Il congiuntivo nel caso da lei indicato non è obbligatorio. Questo esempio rientra tra quelli in cui il parlante (o lo scrivente) è libero di scegliere il modo del verbo in base alla situazione comunicativa e allo scopo del testo.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Condizionale o congiuntivo?
“Se Rodolfo si sarebbe limitato a rompere le scatole, com’è giusto che sia, solo alla mafia, oggi godrebbe di ottima salute!”.

 

RISPOSTA:

​La proposizione introdotta da se, nel suo esempio, è una ipotetica. Nel caso specifico, rappresenta la protasi di un periodo ipotetico dell’irrealtà, che  richiede il congiuntivo trapassato. La costruzione corretta, pertanto, è “Se Rodolfo si fosse limitato a rompere le scatole, com’è giusto che sia, solo alla mafia, oggi godrebbe di ottima salute!”.
Assolutamente corretta è l’apodosi di questo periodo ipotetico (“oggi godrebbe di ottima salute”), al condizionale presente. Sebbene il tipico periodo ipotetico dell’irrealtà abbia il passato nell’apodosi (ad esempio: “Se fossi venuto da me ti avrei aiutato“), è sempre possibile, per esprimere rapporti temporali specifici tra la protasi e l’apodosi, usare vari tempi del congiuntivo e del condizionale in relazione tra loro. In questo caso, in particolare, il parlante vuole esprimere l’attualità della possibilità del godere di buona salute nel presente, per sottolineare che tale esito sarebbe stato possibile, anche se non si è realizzato. La costruzione con il condizionale passato (“Oggi avrebbe goduto di ottima salute”), invece, avrebbe sottolineato il fatto che effettivamente l’esito non si è realizzato.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

La locuzione com’è, in casi quali “bella com’è”, “stonato com’è” e simili, può essere adattata con le opportune flessioni del verbo in frasi al passato?
“Giulia, bella com’era, aveva uno stuolo di ammiratori al suo seguito”;
“Marco, per come era stanco, non riusciva più a camminare”;
“Paola, sfiancata come era stata la sera precedente, quel giorno non provò nemmeno ad alzarsi dal letto”.

 

RISPOSTA:

Quella che lei chiama locuzione è una vera e propria proposizione subordinata, introdotta dall’avverbio come. Se come non è a sua volta preceduto da una preposizione, la proposizione è una comparativa (è il caso della prima e della terza frase che lei porta come esempi); se, invece, è preceduta da per, come nella sua seconda frase, è piuttosto interpretabile come una causale: “Marco non riusciva a camminare a causa di quanto era stanco”. Entrambe le proposizioni, comparative e causali, richiedono il modo indicativo del verbo, che deve rispettare le regole del tempo comuni alla maggior parte delle altre subordinate. I suoi esempi, pertanto, sono tutti ben formati.
Per saperne di più sull’uso dei tempi del verbo nelle subordinate, può consultare l’archivio di DICO inserendo come parola chiave consecutio temporum.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Spesso, specie nel parlato, si registra una preponderanza di frasi costruite con il presente dell’indicativo, anche in presenza di avverbi e congiunzioni che potrebbero ammettere tempi diversi.
Gli esempi di seguito sono accettabili nel linguaggio sorvegliato o sarebbe meglio modificarli?
1) Quando finisci di lavorare, torna.
2) Appena posso, vengo da te.
3) Finché non arriva lei, non mi muovo da qui.

 

RISPOSTA:

L’estensione del presente indicativo a usi che logicamente sarebbero propri del futuro (l’espressione di eventi o azioni future) è un tratto tipico della varietà della lingua detta neostandard, divergente dalla norma tradizionale, ma accettata da tutti i parlanti nella maggior parte dei contesti comunicativi.
Le frasi come quelle proposte da lei, in particolare, sono appropriate a una conversazione, o uno scritto, di media formalità, o anche familiare; è possibile anche in questi casi usare il futuro, ma una simile scelta potrebbe conferire all’eloquio del parlante una patina di artificiosità. Volendo aderire allo standard, anzi, si dovrebbe usare anche il futuro anteriore in due dei tre esempi: “Quando avrai finito di lavorare, torna”; “Finché non sarà arrivata lei, non mi muoverò da qui”.
Il futuro, semplice e anteriore, è, comunque, ancora la scelta più appropriata in contesti comunicativi molto formali.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se le seguenti frasi sono corrette: 
“Anita non sa neanche cosa dica”, 
“La pedagogia speciale propone metodi educativi che rispondano / rispondono ai bisogni degli educandi”,
“Il filosofo preferisce una scienza che parta / parte dal dubbio”,
“Mi ha chiesto se io abbia dormito bene”.

 

RISPOSTA:

Le frasi sono tutte corrette, comprese entrambe le varianti per la seconda e la terza. La prima e la quarta contengono una proposizione interrogativa indiretta, introdotta in entrambi i casi da se, che preferisce il congiuntivo. L’indicativo non sarebbe scorretto (“Anita non sa neanche cosa dice”, “Mi ha chiesto se ho dormito bene”), ma sarebbe meno formale.
​Nella seconda e nella terza frase la situazione è diversa: le subordinate sono relative, che normalmente richiedono l’indicativo (quindi rispondono e parte) quando indicano una qualità posseduta dal referente o uno stato di fatto, ma possono prendere il congiuntivo se si vuole aggiungere al verbo una sfumatura di eventualità e di auspicio. “Che rispondono ai bisogni degli educandi”, cioè, descrive i metodi che la pedagogia effettivamente propone; “che rispondano ai bisogni degli educandi” fa risaltare la speranza che la pedagogia ripone nella possibilità che i metodi rispondano ai bisogni degli educandi. E lo stesso vale per la terza frase.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

L’uso del condizionale nelle proposizioni sotto riportate è adeguato?
1) Anche se dovresti occupartene tu, mi farò carico io dell’incombenza.
2) Ho voluto aggiornarla sulla variazione, fermo restando che dovrebbe essere l’istituto a procedere d’ufficio.

 

RISPOSTA:

È sicuramente corretto; in quanto all’adeguatezza, questa dipende dal contesto e dallo scopo comunicativo che l’emittente si propone. Il condizionale del verbo dovere serve per mitigare la forza illocutiva, ovvero la perentorietà, dell’ordine realizzato con questo verbo. Tale modalizzazione del verbo dovere è quasi sempre richiesta in condizioni normali, per evitare di sembrare scortesi; ma nel caso in cui l’emittente intenda essere molto esplicito, al limite dello scortese, potrebbe anche optare per l’indicativo. Al contrario, se l’emittente intende ridurre ancora di più la forza illocutiva, può sostituire del tutto il verbo dovere con altre perifrasi che mascherano completamente l’ordine, ad esempio: “Anche se potresti occupartene tu, mi farò carico io dell’incombenza”, oppure mascherano il destinatario dell’ordine: “Anche se non dovrei occuparmene io, mi farò comunque carico dell’incombenza”.
​Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vorrei sapere se le seguenti costruzioni, ricavate da brani narrativi e di cui la letteratura abbonda, siano valide nelle loro ellissi verbali:
“Appoggiato a una delle cabine di ferro del portico era un uomo in attesa, le braccia incrociate”. 
“Riposò lentamente il ricevitore, restando poi immobile, gli occhi sul telefono”.
“Era Annetta, la cuoca, gli occhi rossi, la testa imbacuccata nello scialle”.
“Donato, nude le braccia, in canottiera, i fianchi stretti da una sciarpa, se ne stava accovacciato in un angolo”.
“Federica ora parlava piano, la testa china, i capelli sul viso”.
In quest’ultimo esempio vi è inoltre un impiego particolare dell’avverbio ora: è legittimo in un enunciato al passato?

 

RISPOSTA:

Quelle da lei messe in evidenza sono apposizioni modali-associative, ovvero nomi seguiti da aggettivi o participi (ma ci potrebbero essere anche proposizioni relative), apposti a un nome introdotto subito prima, di cui rappresentano un dettaglio. Il costrutto è a suo agio in letteratura, ma alcuni di questi sintagmi, divenuti routinari, si sono diffusi anche nella lingua comune; ad esempio le braccia conserte o le gambe penzoloni. Nella lingua comune, per la verità, si trova più frequentemente la variante sintatticamente legata di queste strutture: con le braccia consertecon le gambe penzolonicon le dita incrociate ecc., che viene a coincidere con un complemento predicativo (“Si fermò con le braccia alzate”) o di unione (“Si presentò con le scarpe tutte infangate”).
Queste apposizioni rientrano nella categoria delle strutture assolute, ovvero quelle strutture legate logicamente ma non sintatticamente al resto della frase di cui fanno parte. Una disamina completa delle strutture assolute, compreso il cosiddetto accusativo alla greca, è qui: http://www.treccani.it/enciclopedia/strutture-assolute_(Enciclopedia-dell’Italiano)/.
Per quanto riguarda ora usato all’interno di un discorso riportato al passato, si deve innanzitutto ricordare che questo avverbio è comunissimo, e accettabile nello scritto di media formalità, anche con il significato di ‘in quel momento’ (il dizionario GRADIT dà addirittura questo uso come FO, ovvero fondamentale: “per indicare contemporaneità nel passato, in quel momento: il pericolo era cessato, o. poteva  fermarsi“). Lo scrivente, però, potrebbe averlo usato come tratto del discorso indiretto libero (il breve estratto non consente di decidere a quale significato sia riconducibile l’uso specifico). Se, infatti, attribuiamo a ora il significato tradizionale di ‘in questo momento’, questo avverbio sposta per un attimo il centro deittico dal piano diegetico al piano mimetico. In altre parole, ora interrompe la narrazione in terza persona, che è costruita dall’esterno e da una coordinata temporale diversa rispetto ai fatti (chi narra, cioè, è una persona diversa da chi agisce, e si trova in un tempo diverso, tanto che riporta le azioni al passato) per portare il discorso al piano della realtà, proiettandoci per un attimo nella linea temporale, quindi nel punto di vista, del protagonista della storia.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella seguente frase “Caio informava Sempronio che avrebbe avviato un’indagine interna al fine di accertare che fine abbia fatto l’oggetto” è corretto dire abbia fatto o si deve usare avesse fatto?  

 

RISPOSTA:

La costruzione corretta è la seguente: “Caio informava Sempronio che avrebbe avviato un’indagine interna al fine di accertare che fine avesse fatto l’oggetto”. Le regole della consecutio temporum stabiliscono che il tempo del congiuntivo della proposizione dipendente (qui “che fine… l’oggetto”) è passato (abbia fatto) quando esprime un evento anteriore a un altro evento presente, trapassato (avesse fatto) quando esprime un evento anteriore a un altro evento passato. Dal momento che l’evento di riferimento nel nostro caso è informava, che è imperfetto, quindi passato, il tempo da scegliere è, appunto, il trapassato.
Il tema della consecutio temporum è stato spesso affrontato nelle risposte di DICO: può approfondirlo consultando il nostro archivio usando come parola chiave proprio consecutio temporum.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Vi sarei grata se analizzaste il seguente enunciato, letto recentemente:
“Ti avevo detto che avrei aspettato di riuscire a parlare con Max, prima di avvertirti”.
Avrebbe potuto essere migliorato dallo scrivente in chiave sintattica e di punteggiatura?

 

RISPOSTA:

​La frase è ben formata da tutti i punti di vista. Descrive una situazione intricata, nella quale il momento dell’incontro con Max è stato preceduto dall’annuncio dell’emittente: “Ti avevo detto”. Tale avvertimento è espresso con il trapassato perché è avvenuto prima di un altro evento, a sua volta passato. L’evento passato rispetto al quale l’annuncio dell’emittente è anteriore non è esplicitato, ma possiamo facilmente ricostruirlo: è la richiesta di informazioni da parte del ricevente. Il parlante, cioè, sottintende “Prima che tu mi chiedessi informazioni sul mio incontro con Max, ti avevo detto…”.
L’azione dell’aspettare contenuta nella subordinata oggettiva direttamente dipendente dalla principale è espressa con il condizionale passato perché è collocata nel futuro rispetto al trapassato avevo detto (per saperne di più sul futuro nel passato è possibile consultare l’archivio di DICO con la parola chiave consecutio temporum). La proposizione temporale “Prima di avvertirti”, infine, è costruita con l’infinito perché il suo soggetto coincide con quello della reggente, io; l’infinito è, inoltre, presente perché instaura un rapporto di posteriorità con l’azione della reggente (“che avrei aspettato”).
Quest’ultima proposizione contiene un’informazione di sfondo, quindi è bene separarla dal resto della frase con una virgola. Una alternativa ugualmente valida è inserirla come incidentale nel corpo della frase: “Ti avevo detto che, prima di avvertirti, avrei aspettato di riuscire a parlare con Max”.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi sottopongono quattro frasi per sapere se siano ben formate. Alla luce delle vostre spiegazioni, presumo che le prime due lo siano, ma non sono certo che la terza e la quarta siano equivalenti alle precedenti in termini sintattici.
“L’unico che ha scritto la poesia sono stato io”.
“L’unico che ha scritto la poesia sono io”.
“L’unico ad aver scritto la poesia sono io”.
“L’unico ad aver scritto la poesia sono stato io”.

 

RISPOSTA:

Tutte le frasi sono ben formate. Le seconde due rappresentano varianti implicite (con l’infinito al posto dell’indicativo nella proposizione pseudorelativa) delle prime due; ai fini della scelta del tempo del verbo nella reggente si comportano allo stesso modo. Ciò che le distingue dalle varianti esplicite, invece, è che sono possibili solamente quando il soggetto della subordinata coincide con quello della reggente; impossibile è, infatti, trasformare in implicita una frase come questa: “È la libertà (quello) che voglio”.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Mi sono emozionato nel vederlo”
“Mi sono emozionato nell’averla vista”
Differiscono solamente per il fatto che la seconda, diversamente dalla prima, indica l’anteriorità dell’evento rappresentato dall’infinito passato, ma sono entrambe corrette?
Senza discostarmi dall’oggetto della domanda, vi chiedo se si possono riscontrare dei contesti in cui l’infinito presente e il passato siano intercambiabili, escludendo qualunque distinguo di carattere semantico.
Mettiamo il caso che ci si voglia congedare da un collega che ha appena presentato le dimissioni; si potrebbe dire indifferentemente
“È stato un piacere lavorare con te”
“È stato un piacere aver lavorato con te”? 

 

RISPOSTA:

l’infinito passato, come da lei stesso ricordato, indica che l’evento o la situazione sia antecedente all’evento o situazione della reggente. Tale regola, però, si scontra con la funzione deittica di questa forma verbale, che colloca l’evento espresso nel passato. A seconda di quale funzione facciamo prevalere, quella anaforica o quella deittica (su questi concetti rimando alla risposta n. 2800175 dell’archivio di DICO), possiamo avere l’una o l’altra versione della frase, entrambe accettabili.
Questo vale per la seconda coppia di frasi; nella prima coppia, invece, la versione con l’infinito passato risulta un po’ forzata, al limite dell’accettabilità. La preposizione nel come introduttore di una subordinata temporale-causale, infatti, indica automaticamente che l’evento contenuto nella subordinata sia contestuale a quello contenuto nella reggente. Questo fa emergere il valore anaforico del tempo dell’infinito della subordinata, quindi richiede che tale infinito sia presente, in linea con la contemporaneità con la reggente indicata da nel. La costruzione diviene pienamente accettabile se, per esempio, sostituiamo la preposizione nel con a: “Mi sono emozionato ad averla vista”. In questo modo la proposizione subordinata, pur rimanendo temporale-causale, non implica necessariamente la contemporaneità con la reggente (ma neanche la esclude: “Mi sono emozionato a vederla”) .
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vi domando se le locuzioni con valore condizionale o dubitativo e tutte quelle concessive (non solo benché) possono essere utilizzate senza il verbo. 

1. Anche se spaventato, sarebbe giunto alla fine del tunnel.
2. Seppure / sebbene difficili, gli esami possono essere superati.
3. Gli alunni frequenteranno la classe quinta, purché promossi.

Al di là degli esempi, quali sono le congiunzioni che ammettono l’ellissi del verbo nelle proposizioni che introducono? 

RISPOSTA:

Le frasi da lei portate ad esempio sono tutte ben formate. In generale, l’ellissi del verbo è possibile, a prescindere dalle congiunzioni usate, ogni volta che il verbo sottinteso sia facilmente recuperabile nel co-testo o nel contesto. Come esempio di recupero dal co-testo si veda la seguente conversazione, nella quale il verbo della risposta si suppone sia lo stesso della domanda (sebbene con un adattamento morfologico dovuto al cambiamento del soggetto): “- Sarà Luca ad accompagnarti? – No, Andrea”. Un caso di recupero dal contesto è il seguente: “Io amo i film comici, e tu?”. Ovviamente, ancora più tipico è il recupero all’interno della stessa frase, come avviene negli esempi da lei proposti, o nelle frasi coordinate, come: “Luca è andato a casa presto e Andrea tardi”.

Fabio Ruggiano‚ Fabio Rossi

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QUESITO:

1) “L’ultima parola che ho detto è stata speranza“; 
2) “L’ultima parola che ho detto è speranza“;
3) “L’aspetto che più mi piacque della città furono le bellezze architettoniche”;
4) “L’aspetto che più mi piacque della città sono le bellezze architettoniche”.
Le soluzioni 2 e 4 sono corrette al pari, rispettivamente, della 1 e della 3? È obbligatoria, in questi e altri casi simili, l’identità dei tempi verbali nelle proposizioni?

RISPOSTA:

​Le frasi da lei proposte sono tutte ben formate. Sono tutte esempi di una costruzione nota come frase pseudoscissa invertita. In una frase scissa, una proposizione reggente introdotta dal verbo essere è seguita da una subordinata simile a una relativa, ma in realtà dotata di caratteristiche peculiari (per questo detta a volte pseudorelativa); la frase scissa corrispondente alla 1), ad esempio, è “È /è stato speranza che ho detto”. La funzione della frase scissa è di separare due informazioni, la prima nuova, la seconda data (ovvero già nota all’interlocutore), per dare all’informazione nuova un valore contrastivo implicito, cioè di opposizione tra l’elemento presentato e un altro. Nel nostro caso, con la frase si sottolinea che è stata detta proprio quella parola, e non un’altra che pure era possibile. Il verbo essere nella frase scissa ha la funzione di introdurre l’elemento focale dell’intera frase, come se dicesse all’interlocutore: “Ecco: concentrati su questo elemento”. Per questo motivo è spesso presente, anche se l’evento nel quale l’elemento è coinvolto è avvenuto nel passato, o avverrà nel futuro (“È / sarà speranza che dirò quando mi chiederanno che cosa rimane fino alla fine”). L’emittente, infatti, tende a riportare l’esistenza dell’elemento al momento dell’enunciazione. La scelta tra il presente e lo stesso tempo della subordinata per il verbo della proposizione reggente dipende, appunto, da quanto l’emittente vuole sottolineare l’attualità dell’elemento introdotto. il presente mostra che l’elemento è ancora (o già) esistente (o che l’emittente lo considera esistente); la scelta opposta, però, non indica che l’elemento non sia più (o ancora) esistente, ma, semplicemente, trascura questo dettaglio, mentre, al contrario, sottolinea la logica contemporaneità tra l’esistenza dell’elemento e l’evento espresso dalla pseudorelativa.
Rispetto alla frase scissa, la pseudoscissa contiene un antecedente del che; ad esempio, sempre riusando come modello la frase 1): “È / è stata speranza la parola che ho detto”. Si chiama pseudoscissa perché la presenza dell’antecedente (qui la parola) rende la proposizione subordinata una vera relativa, quindi la scissione tra le due parti della frase è molto meno marcata. A sua volta, la pseudoscissa invertita contiene gli stessi componenti della pseudoscissa, quindi anche l’antecedente del che, ma a posizioni invertite, quindi, appunto, “L’ultima parola che ho detto è / è stata speranza“. Tanto per la pseudoscissa quanto per la pseudoscissa invertita vale, come per la frase scissa, la possibilità di usare, nella reggente, il presente o lo stesso tempo della relativa, con le stesse conseguenze semantiche.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Le frasi scritte di seguito sono corrette o sarebbe consigliato il congiuntivo? Nell’esempio B, si verrebbe tra l’altro a creare, secondo me, una ripetizione, oltreché una cacofonia. 
a) L’eventualità che potrebbero accadere certi fatti è da tenere in conto.
b) La possibilità che potrebbe succedere mi fa paura.
c) Penserei che sarebbe un pazzo se facesse quello che temi (in riferimento a uno dei vostri esempi FAQ, in cui avevate impiegato sia al posto di sarebbe).
Sempre restando in tema di alternanza congiuntivo/condizionale, gli enunciati con valore concessivo, introdotti da malgradononostante (che) ecc., nonché quelli introdotti da qualunquequale che ecc., possono talvolta ammettere il condizionale composto per rimarcare l’aspetto del futuro del passato o è d’obbligo il congiuntivo a prescindere?
d) Qualunque risposta avrei ricevuto, avrei avuto qualcosa da obiettare.
e) Non si sarebbe lasciato convincere facilmente, nonostante avrebbe subito pressioni. 

RISPOSTA:

​Nella frase a), il condizionale nella proposizione oggettiva (o, se vogliamo, dichiarativa) è ammesso, soprattutto se manteniamo il verbo servile potere, che accentua la sfumatura semantica potenziale, funzionale all’uso del condizionale. Se, invece, eliminiamo potere, la frase diviene difficilmente accettabile: “L’eventualità che accadrebbero certi fatti è da tenere in conto”. In realtà, anche in questo caso il condizionale è giustificabile, se consideriamo l’oggettiva come l’apodosi di un periodo ipotetico: “L’eventualità che accadrebbero certi fatti (se le circostanze lo permettessero) è da tenere in conto”. Il congiuntivo rimane comunque la scelta migliore; con questo modo si può anche costruire l’apodosi di un periodo ipotetico: “L’eventualità che accadano certi fatti (se le circostanze lo permettono / permettano) è da tenere in conto”. Rispetto a questo periodo ipotetico, quello con il condizionale presente e il congiuntivo imperfetto possiede una sfumatura eventuale più spiccata.
La frase b) ha la stessa struttura della a), per cui quanto detto si applica, mutatis mutandis, anche a questa.
Nella frase c) il condizionale sarebbe risponde agli stessi principi esposti sopra: esalta la sfumatura eventuale della frase. In altre parole, “Penserei che sarebbe un pazzo…” punta l’attenzione sul fatto che la concretizzazione della qualità dell’essere pazzo dipende (è, appunto, condizionata) dagli avvenimenti presentati nella protasi. Il congiuntivo, dal canto suo, veicola una sfumatura epistemica, molto meno marcata rispetto a quella eventuale del condizionale: sottolinea, cioè, che quanto detto dall’emittente sia un’opinione, non un fatto (come, del resto, emerge chiaramente dal senso generale della frase).
Per quanto riguarda le frasi d) ed e), il condizionale passato è sempre accettabile. Sostituendo il condizionale con il congiuntivo nella frase d) (“Qualunque cosa avessi ricevuto, avrei avuto qualcosa da obiettare”) si accentua la sfumatura epistemica; si sottolinea, cioè, l’incertezza dell’emittente riguardo a quello che avrebbe potuto ricevere e si enfatizza, quindi, l’indeterminatezza di questa cosa, o di queste cose. Tale incertezza è in linea con il significato indefinito dell’aggettivo qualunque; per questo con gli aggettivi e i pronomi indefiniti si preferisce di solito usare il congiuntivo.
Nella frase e) la sostituzione del condizionale con il congiuntivo non cambierebbe solamente una sfumatura semantica, ma il significato complessivo della frase: “… nonostante avesse subito pressioni” si riferisce al passato rispetto al momento di riferimento rispetto a cui “non si sarebbe lasciato convincere” è futuro; diversamente, “… nonostante avrebbe subito pressioni” si riferisce al futuro, che può essere o non essere contemporaneo a quello in cui “non si sarebbe lasciato convincere”, rispetto allo stesso momento di riferimento.
Il condizionale passato nelle proposizioni concessive è usato anche nei giornali. Può servire a esprimere il futuro nel passato: “E invece non hanno seguito le indicazioni di andare a Malta, porto più vicino, nonostante avrebbe costituito un approdo comodo e sicuro per le vite dei migranti” (ilgiornale.it, 19 marzo 2018). Può esprimere, in alternativa, il distacco epistemico del giornalista che non garantisce sulla veridicità di quanto riporta: “Stando alle prime indiscrezioni la rinuncia al trono del re sarebbe un gesto d’amore, nonostante avrebbe mentito sui due mesi di assenza dal suo incarico” (Rainews, 7 gennaio 2019).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretto dire “Avrei dovuto dare un regalo a Piero stasera, SAI SE VENGA?”. Alcuni dicono sia più corretto SAI SE VIENE.

RISPOSTA:

​Sono entrambe costruzioni corrette. Quella con il congiuntivo è decisamente formale, quindi adatta a contesti scritti e molto seri. In un contesto di comunicazione familiare o con amici, al contrario, può sembrare eccessivamente elaborata. Per maggiori informazioni sulla scelta del modo nelle proposizioni completive (come la interrogativa indiretta, qui rappresentata da se venga / se viene), può consultare questa risposta dell’archivio di DICO.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Leggo in una traduzione di Conan Doyle:
“Mi era intollerabile la prospettiva di tenere per me il segreto fino a quando non potessi parlarne con lei”.
Se scrivessimo “avessi potuto parlarne con lei” o “avrei potuto parlarne con lei”, al di là delle differenze semantiche, si commetterebbe un errore?

RISPOSTA:

Sono tutte alternative possibili, con, come rilevato da lei, differenze semantiche._x000D_n”Fino a quando non avrei potuto parlarne con lei” è la normale costruzione del futuro nel passato, che richiede il condizionale passato. Con questa costruzione l’evento delparlarne con lei è semplicemente presentato come futuro rispetto alla situazione configurata dalla proposizione reggente (tenere il segreto ), che è, a sua volta, passata rispetto al momento dell’enunciazione, ovvero il qui e ora dell’emittente._x000D_n”Fino a quando nonpotessi parlarne con lei” trascura la relazione temporale con il verbo reggente (comunque facilmente decodificabile grazie al significato della congiunzionefino a quando )e accentua, invece, il carattere ipotetico della proposizione temporale: la frase, così, si avvicina a “(Forse non avrei tenuto il segreto) senonpotessi parlarne con lei”. Grazie all’imperfetto congiuntivo, la prospettiva delparlarne con lei è presentata come possibile, quindi l’emittente sa, o è convinto, che si realizzerà (ma non sa quando).La variante con il trapassato (“Fino a quando nonavessi potuto parlarne con lei”) sposta l’ipotesi dal piano della possibilità a quello dell’irrealtà: l’emittente, quindi, non sa se, né quando, l’evento si realizzerà._x000D_nFabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei entrare nel merito dei modi verbali che si possono – o si devono – impiegare nelle subordinate completive, in particolare nelle oggettive. 
Se non sbaglio, in più occasioni avete sottolineato che in un registro formale si possa sempre usare il congiuntivo, benché l’indicativo risulti spesso la scelta più comune e largamente tollerata. Prima di apprendere tali indicazioni, tendevo a suddividere i possibili costrutti di tipo completivo in due categorie: quelli governati da verbi che richiedono l’indicativo e quelli governati invece da verbi che indulgono al congiuntivo. In altre parole, la distinzione che determinavo non seguiva l’asse formalità (congiuntivo) / “colloquialità” (indicativo). 
Pensavo, ad esempio, che la frase “Ho capito che cosa vuoi veramente” fosse preferibile (ma anche più ligia alla grammatica) a “ho capito che cosa tu voglia veramente”, come “affermo che avete regione” anziché “affermo che abbiate ragione” ecc. 
Per concludere, vi sarei riconoscente se mi chiariste questi dubbi: 
1. Con la completive oggettive si può sempre usare il congiuntivo, anche se il costrutto affermativo è retto da verbi dichiarativi o di giudizio o percezione, quali, tra gli altri, constataredirericordarerisponderescriveresostenerevedere ecc.?
2. Se, in determinate soggettive e oggettive, si usasse l’indicativo (ad esempio “È evidente che ha sbagliato”, “Sostengo che ha smesso di lavorare”, “Dico che i colleghi non sono in grado”, “Ha dimostrato che i ragazzi erano scappati” ecc.) si svilupperebbe comunque un registro sintattico medio-alto, adatto anche a contesti sorvegliati? (Mi vengono in mente i tanti “Sostiene Pereira che…” seguiti dall’indicativo che ho sempre ritenuto essere un esempio da manuale).

RISPOSTA:

Confermo che il congiuntivo sia la scelta più formale per le proposizioni completive, sebbene l’indicativo sia più comune, e in certi casi adatto a quasi tutti i contesti. Da rivedere, pertanto, l’idea che sia proprio il congiuntivo la variante meno “ligia alla grammatica”, ovvero meno aderente all’italiano standard.
I casi più favorevoli alla scelta dell’indicativo sono quelli in cui il verbo della proposizione reggente contenga nel suo significato il tratto della certezza (come sapereaffermareconstatare, i verbi di percezione in genere) e la reggente stessa sia affermativa e al presente. Questo avviene perché il modo indicativo veicola una sfumatura di fattività, mentre il congiuntivo è il modo della volizione e dell’eventualità. La semantica, pertanto, si intreccia con il registro e rende accettabili scelte diverse, a seconda di quale ragione l’emittente vuole far prevalere. Ci sono addirittura alcuni casi divenuti quasi canonici, con verbi reggenti dalla semantica ambigua, nei quali la maggioranza dei parlanti concorderebbe per una interpretazione semantica della scelta tra indicativo e congiuntivo: “Credo / penso che tu sei una brava persona” (= ‘ne sono sicuro’) contro “Credo / penso che tu sia una brava persona” (= ‘lo penso anche se non ne ho le prove’). Coerentemente con questa interpretazione semantica, il congiuntivo diventa preferibile al passato: “Credevo / pensavo che tu fossi (molto più sciatto eri) una brava persona”, per la controfattualità che emerge da una simile costruzione, o, per la stessa ragione, se la reggente diviene negativa, anche al presente: “Non credo / penso che tu sia (molto più sciatto sei) una brava persona”. A prescindere dalla convinzione generale, comunque, la ragione diafasica (il grado di formalità) è sempre presente e il congiuntivo rimane la scelta più formale anche con il verbo reggente costruito affermativamente e al presente.
Con verbi reggenti assertivi e di percezione, come detto, il congiuntivo è decisamente marcato verso l’alto, soprattutto quando questi verbi sono costruiti affermativamente al presente: “So / vedo che tu sei (molto formale sia) una brava persona”. Tale preferenza per l’indicativo è più sfumata al passato: “Sapevo / vedevo che tu eri (molto formale fossi) una brava persona”, ma si perde quasi del tutto con la costruzione negativa al passato: “Non sapevo / vedevo che tu fossi (o eri) una brava persona”. Per la costruzione negativa al presente dobbiamo cambiare verbi reggenti (spiegherò il motivo subito sotto) e, come si vede, il congiuntivo è anche qui preferibile o almeno sullo stesso piano dell’indicativo: “Non affermo / sento che tu sia (o sei) una brava persona”.
Con sapere e vedere costruiti negativamente al presente la subordinata oggettiva è innaturale (*”Non so che tu sia / sei una brava persona”). Possiamo, però, trasformarla in una interrogativa indiretta; osserviamo che, così, il congiuntivo diviene un’alternativa ancora più vicina alla medietà: “Non so / vedo se tu sia (o sei) una brava persona”.
In moltissimi casi, comunque, l’indicativo è una scelta talmente diffusa tra i parlanti che deve essere considerata adatta a molti contesti, anche di media formalità. Tra questi rientrano certamente i romanzi rivolti al grande pubblico, come il giustamente famoso Sostiene Pereira da lei citato, che aspirano a un modello di lingua comune. Anche in questo romanzo, non a caso, ci sono casi di congiuntivo in completive rette da verbi al passato; in questo brano, ad esempio, si susseguono una soggettiva e una oggettiva: “gli pareva strano, sostiene, che una persona che aveva formato riflessioni così profonde sulla morte non pensasse all’anima. E dunque pensò che ci fosse un equivoco”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Mi piacerebbe porre alla vostra attenzione tre costruzioni, le prime due ricavate da testi musicali e l’ultima da un noto romanzo del Novecento. Vorrei mettere sotto la lente non già il modo congiuntivo, che reputo adeguato, ma i tempi che gli autori hanno scelto.

1) Un errore sarebbe volere che tu sia oro anche per me.
2) Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigliasse un po’ più al mio.
3) Mi gettai sulla spiaggia e immersi la faccia nel tritume fradicio e credo che svenissi perché rimasi immobile, quasi senza sentimento, un tempo che mi parve lunghissimo.

In riferimento al brano letterario – oltre alla domanda sull’adeguatezza del tempo imperfetto – vi chiedo – muovendo da alcuni dei vostri articoli FAQ pubblicati – se la forma esplicita della frase (“credo che svenissi”) non avrebbe dovuto essere sostituita da quella implicita (“credo di essere svenuto”).

 

RISPOSTA:

​Nella frase 1) troviamo un congiuntivo presente in dipendenza dall’infinito presente di un verbo di volontà, a sua volta dipendente da un condizionale presente. Questa situazione fa entrare in conflitto due costrutti, quello richiesto normalmente dalla consecutio temporum per la contemporaneità nel presente, e quello preferito dai verbi di volontà, desiderio, opportunità.
Il primo prevede nella oggettiva (anche in dipendenza da un condizionale presente) un presente, congiuntivo o indicativo: “Penserei che sia un pazzo se facesse davvero quello che temi”; “Se me lo chiedessi, ti risponderei che è un pazzo a volersi licenziare”. Il secondo prevede il congiuntivo imperfetto: “Vorrei che tu fossi più riflessivo quando prendi certe decisioni”. A rafforzare l’attrazione verso il congiuntivo imperfetto è anche il modello del periodo ipotetico del secondo tipo a cui si può conformare la frase: “Un errore sarebbe volere che tu sia oro anche per me” = “Un errore sarebbe se tu fossi oro anche per me”. Si noti, però, che se manteniamo i due gradi di subordinazione il presente torna a essere valido quanto l’imperfetto: “Un errore sarebbe se io volessi che tu sia / fossi oro anche per me”. Si torna, cioè, alla situazione iniziale, in cui il presente congiuntivo dell’oggettiva indica la contemporaneità nel presente, ma l’imperfetto è preferito dalla reggenza del verbo volere.
In conclusione, nella frase 1) presente e imperfetto sono ugualmente, per ragioni diverse, legittimi.
Nella frase 2) il congiuntivo si trova all’interno di una proposizione relativa, non di una oggettiva. La proposizione relativa è piuttosto libera da condizionamenti di tempo e modo verbale, infatti qui è accettabile il congiuntivo presente (“Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigli un po’ più al mio”) e anche l’indicativo presente (“Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somiglia un po’ più al mio”). In generale, quando è costruita con il congiuntivo, la relativa assume una sfumatura semantica di desiderio o auspicio; quindi “il cui nome somiglia” è una constatazione oggettiva, “il cui nome somigli / somigliasse” è un auspicio. Osservando l’alternanza dei modi da un altro punto di vista, si può dire che con l’indicativo la relativa è propria, quindi funge da ampliamento attributivo dell’antecedente (una metropoli), con il congiuntivo è impropria, e si avvicina a una finale-consecutiva: “Si potrebbe costruire una metropoli tale che / affinché il suo nome somigli un po’ più al mio”.
Il congiuntivo imperfetto, rispetto al presente, è attratto dalla semantica del costrutto reggente, si potrebbe, assimilabile a sarebbe bellosarebbe opportuno, ovvero a un’espressione che indica opportunità. Siamo, quindi, in una situazione analoga a quella della frase 1). Potremmo addirittura individuare una sfumatura di differenza semantica tra “Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigliasse un po’ più al mio”, in cui è più percepibile il desiderio che ciò avvenga, e “Si potrebbe costruire una metropoli il cui nome somigli un po’ più al mio”, in cui la possibilità è vista dall’emittente con maggiore distacco, sebbene pur sempre come auspicabile.
Nella scelta tra somiglia e somigli, va detto, incide anche il grado di formalità del contesto: al netto delle sfumature semantiche, quando l’alternanza tra indicativo e congiuntivo è possibile, quest’ultimo risulta la scelta più formale. A meno che non si voglia sottolineare la sfumatura oggettiva, quindi, somigli è preferibile a somiglia.
Nella frase 3) l’imperfetto congiuntivo svenissi nell’oggettiva dipendente da un presente (credo) è perfettamente in linea con la consecutio temporum. Ovviamente, l’imperfetto è adatto a indicare azioni non momentanee, mentre il passato esprime azioni concluse (“credo che io sia svenuto”). Con questo tempo, quindi, lo scrittore ha inteso esprimere lo svolgimento dell’azione dello svenire, che poi, peraltro, non si è realizzata, quindi non si è conclusa. Oggi sarebbe più comune un costrutto progressivo: “Credo che stessi svenendo”, o anche “Credo che stessi per svenire”, nel quale, si noti, il verbo essere è comunque all’imperfetto congiuntivo.
Per quanto riguarda la forma esplicita della oggettiva con lo stesso soggetto della reggente, essa è giustificata dalla necessità di sottolineare l’aspetto durativo dell’azione; l’infinito passato renderebbe l’azione conclusa: “Credo di essere svenuto”.
Una questione collegata alla scelta dell’imperfetto è la scelta di ribadire il soggetto pronominale oppure lasciarlo sottinteso (“Credo che svenissi” o “Credo che io svenissi”), visto che svenissi vale tanto per la prima quanto per la seconda persona singolare. Normalmente il co-testo permette di capire se a compiere l’azione sia io o tu; ma se così non fosse, sarebbe bene esplicitare il soggetto. Questo, inoltre, può essere inserito per veicolare un valore contrastivo: “Credo che io (e non qualcun altro) svenissi”.
​Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Esempio, se dico: “Invito alla mia festa Gigi, Paolo, Francesco, Maria e i gemelli Rossi purché vengano vestiti da clown”, cosa si intende in italiano? Chi ha l’obbligo di venire vestito da clown?

 

RISPOSTA:

​Si tratta di un caso di ambiguità, dovuto all’ellissi del soggetto della subordinata concessiva (“purché vengano”). Questa ambiguità non è risolvibile linguisticamente; il ricevente, cioè, non può ricavare (tecnicamente inferire) informazioni sufficienti a decodificare il senso della frase dalla forma linguistica della stessa. Il contesto può aiutare, ad esempio la condivisione di informazioni scambiate precedentemente tra l’emittente e il ricevente, o qualche altra fonte di informazioni circostanziale. Se il contesto non è sufficiente a completare il senso della frase, è probabile che il ricevente chieda all’emittente di spiegarsi meglio, oppure che rimanga con il dubbio.
Per evitare l’ambiguità è sufficiente esplicitare il soggetto di vengano; ad esempio: “Invito alla mia festa Gigi, Paolo, Francesco, Maria e i gemelli Rossi purché tutti vengano vestiti da clown”, oppure “Invito alla mia festa Gigi, Paolo, Francesco, Maria e i gemelli Rossi purché i gemelli vengano vestiti da clown”, o anche “Invito alla mia festa Gigi, Paolo, Francesco, Maria e i gemelli Rossi purché gli uomini vengano vestiti da clown” ecc.
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Gradirei sapere se, nei casi sotto elencati, la virgola è necessaria, come da esempi, facoltativa o da evitare:
a. Ho parlato per ore, dimenticandomi dell’impegno che avevo fissato.
b. Nel resto della giornata, ho concluso ben poco.
c. Ti ho cercato dappertutto, per informarti dell’accaduto.
d. Continuo ad ascoltarti, nonostante tu stia uscendo dal seminato.
e. Sei stato punito, perché avevi commesso una cattiva azione.
f. Domani mattina, mi recherò in banca.
g. Le regalai una rosa, i cui petali erano gialli.
h. A Schelling, Hegel contesta la staticità del pensiero.

 

RISPOSTA:

In nessuno dei casi elencati la virgola è indispensabile, talora è consigliabile, talaltra sconsigliabile, in un caso è sbagliata. Nello specifico:
A. Meglio la virgola, dal momento che la subordinata gerundiva successiva introduce un’informazione che appartiene a un piano diverso, rispetto alla semplice descrizione dell’evento («ho parlato per ore»). È come se aggiungesse le conseguenze dell’evento e funge dunque, in un certo senso, da coordinata dal valore esplicativo. Si potrebbe, infatti, parafrasare come segue, in forma esplicita: «Ho parlato per ore, e, così facendo, ho dimenticato l’impegno» ecc. Ogniqualvolta la subordinata si colloca su un piano diverso, quasi accessorio, rispetto alla reggente, la virgola, ancorché non obbligatoria, è altamente consigliabile, per una più agevole ripartizione dei piani gerarchici dell’informazione, cioè per distinguere meglio le informazioni di primo piano («Ho parlato per ore») da quelle sullo sfondo.
B. In questo caso il complemento di tempo fa da quadro di riferimento dell’azione che segue: in casi come questo la virgola è superflua, a meno che il quadro riferimento temporale non sia particolarmente complesso e articolato, come per esempio in: «Dopo aver camminato per ore ed essermi anche slogato una caviglia, ho deciso che fosse giunto il momento di fermarmi». Oppure se non si voglia sottolineare il tempo, proprio in contrasto ad un altro tempo: «Di mattina, lavoro; la sera, mi diverto» (ma anche in questo caso la virgola sarebbe facoltativa, non certa obbligatoria).
C. Qui la virgola è superflua, perché la reggente e la finale sono unite da un forte vincolo logico-semantico: Il campo d’azione della reggente («Ti ho cercato dappertutto») è proprio finalizzato a quanto segue, cioè «per informarti» ecc. A meno che lo scrivente non voglia conferire particolare evidenza, e un certo margine di autonomia, a entrambe le azioni, quasi riproducendo le inflessioni tonali del parlato, in cui la principale potrebbe essere focalizzata, vale a dire con un particolare rilievo informativo e tonale; insomma, un po’ come se dicessi (o scrivessi): «Ti ho cercato dappertutto» (e con una certa apprensione, o sfinitezza, sottolineando DAPPERTUTTO e il fatto che per un sacco di tempo non riuscivo a trovarti), «proprio perché desideravo informarti dell’accaduto».
D. Vale quanto detto per C: la concessiva è strettamente legata alla reggente, e dunque la virgola è superflua, a meno che non vi sia un contesto particolare che richieda la focalizzazione di «Continuo ad ascoltarti». La virgola, in questo caso, sottolinea tanto la mia pazienza quanto la tua incoerenza.
E. Come sopra: la causale è fortemente solidale con la reggente, che ne rappresenta l’effetto, dunque la virgola è superflua, a meno che non si voglia focalizzare la punizione.
F. Come B, a meno che non si voglia focalizzare il complemento di tempo, per esempio in contrasto con un altro momento della giornata (focalizzazione contrastiva): «Domattina, mi recherò in banca, e non oggi pomeriggio».
G. Qui la virgola è sbagliata, perché la relativa è limitativa: cioè non le ho regalato una rosa qualsiasi, ma una gialla, e dunque quel che segue la reggente non è un’informazione accessoria, bensì costitutiva per la designazione dell’oggetto di cui si sta parlando (cioè l’antecedente del pronome relativo: «una rosa»). Diverso sarebbe il caso di «Le regalai una rosa, che è il suo fiore preferito»: in questo caso la relativa è appositiva, o esplicativa, cioè non delimita una rosa particolare, perché tutte le rose sono, o meglio la rosa in genere è, il suo fiore preferito; in quanto tale, questo tipo di relativa non è necessaria ai fini dell’identificazione dell’antecedente, ma aggiunge una caratteristica accessoria, e come tale è di norma (con qualche eccezione) separata dall’antecedente con una virgola.
H. La virgola è facoltativa, soprattutto se si vuole disambiguare il nome, fugando il dubbio che si tratti di un certo signor Schelling (di nome) e Hegel (di cognome). Naturalmente in questo caso l’equivoco è altamente improbabile, ma un caso come: «A Gianni Rossi diede ragione» potrebbe lasciare il lettore spiazzato per qualche secondo, senza virgola tra Gianni e Rossi.
Fabio Rossi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“L’artista non si aspettava che la mostra avesse un grande successo e rimase stupito nel vedere i visitatori”.
Qual è la corretta analisi logica e del periodo della seguente frase?

 

RISPOSTA:

L’analisi logica delle proposizioni contenute in questo periodo è molto semplice, tranne che per il sintagma avesse un grande successo, che merita un discorso a parte.
L’artista: soggetto.
Non si aspettava: predicato verbale.
La mostra: soggetto.
Avesse: predicato verbale.
Un grande successo: complemento oggetto con attributo.
Rimase: predicato verbale (verbo copulativo).
Stupito: complemento predicativo del soggetto.
Vedere: predicato verbale.
I visitatori: complemento oggetto.
In avesse un grande successo, a ben vedere, il verbo avere è un verbo supporto; serve, cioè, a comporre un unico significato insieme al sintagma nominale che lo accompagna. Analizzarlo separatamente da quest’ultimo, pertanto, è una forzatura. Alcuni costrutti a verbo supporto hanno un verbo equivalente, come, ad esempio, fare il proprio ingresso, che equivale a ‘entrare’, o dare ascolto, ovvero ‘ascoltare’. Altri non sono “traducibili” con un unico verbo, come avere pauraavere successofarsi la doccia e tanti altri. Un modo meno superficiale per analizzare avesse un grande successo è, quindi: costrutto / espressione a verbo supporto con attributo.
Analisi del periodo:
L’artista non si aspettava: proposizione principale.
Che la mostra avesse un grande successo: proposizione subordinata di primo grado oggettiva esplicita.
E rimase stupito: proposizione coordinata alla principale.
Nel vedere i visitatori: proposizione subordinata (alla coordinata alla principale) di primo grado implicita. Il valore di questa proposizione è a metà tra causale (‘perché vide i visitatori’) e temporale (‘quando vide i visitatori’).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Sono corrette/accettabili le seguenti frasi: 
“Penso che per fare presto prenderò il treno, se mi vedi/vedrai per le cinque vorrà dire che avevo preso il diretto delle due”
“Penso di esserci, se non mi vedrai vorrà dire che avevo un impegno”?

 

RISPOSTA:

Il trapassato prossimo serve a indicare un evento passato rispetto a un altro, anch’esso passato. Se l’evento di riferimento è, invece, futuro (nella sua frase questo è rappresentato dall’incontro tra il parlante e il ricevente alle cinque), il trapassato non va bene; in questo caso l’anteriorità dell’evento può essere espressa con il futuro anteriore (visto che, presumibilmente, anche l’evento è futuro rispetto al momento in cui viene prodotto l’enunciato): “Penso che per fare presto prenderò il treno, se mi vedi/vedrai per le cinque vorrà dire che avrò preso il diretto delle due”. Valido è anche l’uso del passato prossimo: “Penso che per fare presto prenderò il treno, se mi vedi/vedrai per le cinque vorrà dire che ho preso il diretto delle due”, che esprime l’anteriorità rispetto all’evento di riferimento (l’incontro alle cinque) e lascia implicita la posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione. Ovviamente, se l’evento non è momentaneo, ma è continuato, il tempo giusto da usare è l’imperfetto: “Penso di esserci, se non mi vedrai vorrà dire che avevo un impegno”.
La invito a consultare l’archivio di DICO usando la chiave di ricerca consecutio temporum: troverà diverse domande simili alla sua e le rispettive risposte.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Mi piacerebbe sviluppare con il vostro contributo l’uso della punteggiatura in occasione dei discorsi diretti. Ho evidenziato differenze formali tra i testi analizzati, presumibilmente legate sia alle scelte dello scrivente sia alle indicazioni editoriali.
Cerco di entrare nel merito con qualche esemplificazione.

1. «Vado,» disse, «a comprare il pane.»
2. «Usciamo insieme», disse «così possiamo passeggiare al sole.»
3. «Prima di parlare» disse. «Rifletti sugli effetti che potresti produrre.»
4. «Sì, certo, » rispose l’uomo, «appena posso. »
5. «E come è possibile? » domandò, «ognuno ha quel che si merita. »
6. «Questo non me lo chiedere» disse. «Non c’entro niente in questa storia.»

Ho notato che il format più diffuso, specie in pubblicazioni di buon livello, è quello rappresentato dagli esempi 3 e 6; mentre gli altri esempi, con le virgolette caporali spesso sostituite dai trattini, sono frequenti in editori minori. Considerazioni personali a parte, mi (e vi) domando se, per un buon uso dei segni di punteggiatura, dentro e fuori le virgolette, si possa attingere a regole grammaticali, prescindendo da linee guida editoriali e simili. 

 

RISPOSTA:

​Come da lei giustamente notato, la punteggiatura che segnala il discorso diretto è soggetta a forti variazioni, dovute alle diverse tradizioni editoriali, quasi tutte, in linea di principio, valide, ma anche alla difficoltà a stabilire la relazione sintattica tra le virgolette e gli altri segni di interpunzione.
Limitandoci agli esempi da lei portati (che, comunque, non sono gli unici possibili), alcune considerazioni possono aiutarci a valutarne almeno la coerenza interna e il rispetto delle norme generali dell’interpunzione. In tutti gli esempi, l’espressione fuori dalle virgolette, che prende forme diverse, è identificabile come un inciso; questo, di norma, va inserito tra virgole, trattini lunghi, parentesi, oppure, solo in casi particolari, tra punti e virgola o punti fermi. Questo mi induce a considerare l’esempio 2. poco accurato, perché manca la virgola di chiusura dopo disse. Più comprensibile, ma pur sempre non ideale, la scelta di 5., che evita la virgola dopo il punto interrogativo e attribuisce, pertanto, a quest’ultimo anche la funzione di segnalare l’inizio dell’inciso.
L’esempio 3. mi risulta incomprensibile: l’inciso non introdotto dal alcun segno e concluso con un punto fermo è decisamente insolito. L’unica giustificazione per questa scelta si può trovare in un’eventuale sfumatura semantica ricercata dallo scrivente con questo uso (ma bisognerebbe valutare un brano più ampio). Diverso è il caso di 6., nel quale il punto dopo disse induce il lettore a immaginare uno stacco netto, intonativo e logico, tra il primo e il secondo intervento tra virgolette. Il fatto che i due interventi siano sintatticamente autonomi consente questa interpretazione, impedita, nell’esempio 3., dalla relazione di subordinazione tra il primo e il secondo intervento.
Inutili e da eliminare, infine, sono gli spazi tra i segni interni e le virgolette di chiusura in 4. e 5.
Difficile stabilire se sia meglio inserire i segni come le virgole dentro o fuori dalle virgolette: personalmente ritengo che solamente le marche dell’intonazione, ovvero punti esclamativi, punti interrogativi e puntini di sospensione (oltre, ovviamente, ai trattini che riguardano il discorso contenuto all’interno delle virgolette) andrebbero inseriti dentro le virgolette, mentre tutti gli altri segni andrebbero posti fuori. In questo modo si risolve il dilemma del doppio segno di 5., che diventerebbe così:

«E come è possibile?», domandò, «ognuno ha quel che si merita», o anche: «E come è possibile?», domandò, «Ognuno ha quel che si merita».

È, quest’ultima, la soluzione per cui parteggio. Se, invece, accettiamo l’inserimento di tutti i segni dentro le virgolette, la soluzione 1. appare internamente coerente ed efficace.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Il presente quesito verte su rafforzativi ed eventuali usi pleonastici. Le frasi sotto riportate sono corrette o sarebbe opportuno apportare modifiche per migliorarle?
“Preferisci bere o, invece, mangiare?”
“Io domani studierò tutto il giorno, tu, per contro, guarderai la TV”.

 

RISPOSTA:

In queste frasi non si può parlare di pleonasmo: invece e per contro sono segnali discorsivi, che rafforzano il senso della coordinazione, nel primo caso realizzata con la congiunzione o, nel secondo realizzata con la virgola (ovvero per asindeto).

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Che valore ha la negazione non nella seguente frase: “Ho più freddo quando piove che non quando nevica”? È diverso da quello che la stessa negazione assume in questa frase: “Ho più freddo quando piove di quando non nevica”?

 

RISPOSTA:

​Cambiando la posizione del non la sua funzione cambia e, con essa, cambia il significato della frase. Nella frase “Ho più freddo quando piove di quando non nevica” l’avverbio è inserito all’interno della proposizione temporale, quindi si unisce al verbo rendendolo negativo. L’anticipazione rispetto alla congiunzione quando produce due effetti: obbliga a modificare la congiunzione di in che (le due congiunzioni sono, invece, ugualmente valide senza non) e trasforma non da negazione vera e propria in negazione espletiva. Questo tipo di funzione di non riguarda alcune proposizioni subordinate (le comparative, le esclamative, quelle introdotte da chissà che, le temporali introdotte da finché e prima che, le eccettuative) ed è sempre facoltativa (sebbene in alcuni casi sia sconsigliata e in alcuni, al contrario, consigliata).
Tra le comparative, quella di uguaglianza esclude la negazione espletiva: “Amo il calcio tanto quanto non amo la pallavolo” significa che non amo affatto la pallavolo. Al contrario, la comparativa di disuguaglianza, soprattutto di maggioranza (come quella contenuta nella sua frase: “Ho più freddo quando piove che non quando nevica“), la accetta di buon grado. La negazione espletiva non rende la proposizione a cui si riferisce negativa, diversamente dalla negazione propria, che polarizza negativamente il verbo della proposizione. Al contrario, la proposizione che segue la negazione esplicativa è per forza positiva, in quanto questo tipo di negazione implica che ci sia una controparte negativa della proposizione positiva; così “Ho più freddo quando piove che non quando nevica” implica “Ho meno freddo / non ho freddo quando nevica”.
Quando il secondo termine di paragone possiede la qualità oggetto della comparazione in un grado minimo o nullo la negazione esplicativa è pienamente accettabile; al contrario, quando la qualità è posseduta in grado massimo la negazione è meno calzante. In altre parole, la sua frase (“Ho più freddo quando piove che non quando nevica”) suggerisce che quando nevica il soggetto abbia pochissimo o niente affatto freddo, mentre la variante “Ho più freddo quando piove che quando nevica” suggerisce che anche quando nevica il soggetto senta freddo (sebbene meno di quanto ne sente con la pioggia).
Sottolineo, a margine, che in una frase del genere la proposizione temporale “Quando nevica” si trova pur sempre all’interno del costrutto comparativo e viene considerata, pertanto, una proposizione comparativa. Questo vale anche per la temporale con la negazione propria in “Ho più freddo quando piove di quando non nevica“; un buon modo per definire questo tipo di proposizione può essere temporale comparativa.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Avverbio
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Credo che la frase “Penso che la vicenda non interessi a nessuno” sia corretta; vorrei sapere se lo sia anche quella che si ha volgendo in negativo la reggente e trasformando in affermativa la subordinata: “Non penso che la vicenda interessi a nessuno”. Ho sentito pronunciarla di recente da un personaggio pubblico; personalmente, avrei sostituito nessuno con qualcuno
Vorrei poi sapere, rimanendo sempre in tema di nessuno e simili, se una frase come “durante la mia assenza ti sei intrattenuto con qualcuna?” (sottintendendo qualche donna) possa essere considerata valida oppure sia meglio lasciare il pronome al maschile, come se fosse invariato.

 

RISPOSTA:

​L’italiano ammette la doppia negazione, del verbo e del pronome, sebbene a volte questa abitudine provochi qualche ambiguità. In alcuni casi, anzi, la doppia negazione è senz’altro richiesta; nella sua prima frase, ad esempio, la forma con la sola negazione del pronome (“Penso che la vicenda interessi a nessuno”) sarebbe innaturale, mentre quella con la negazione solamente del verbo (“Penso che la vicenda non interessi ad alcuno”) sarebbe ben formata, ma molto formale.
Il fenomeno che lei ha notato nella frase “Non penso che la vicenda interessi a nessuno” è quello della “risalita” di un elemento dalla subordinata alla reggente. Di solito la risalita riguarda il pronome clitico in frasi con verbi servili (“Posso capirlo” ma anche “Lo posso capire”), con verbi modali (“Comincio a capirlo” ma anche “Lo comincio a capire”), con verbi di moto (“Vengo a prenderti con la macchina”, ma anche “Ti vengo a prendere con la macchina”). Sono tutti casi in cui sussiste una forte solidarietà tra la reggente e la subordinata, per cui le due proposizioni vengono trattate come una sola. Lo stesso avviene per la negazione. 
La risalita del pronome atono è ormai del tutto acclimata, tanto da non destare l’attenzione di quasi nessun parlante. Quella della negazione è altrettanto comune, e altrettanto accettabile, sebbene produca una frase leggermente diversa rispetto a quella intesa dal parlante: nel suo caso, ad esempio, il parlante sostiene di aver formulato un pensiero (penso che…) riguardo allo scarso interesse per la vicenda, non di non aver formulato un pensiero (non penso che) riguardo a quell’argomento.
La sua proposta di sostituire nessuno con qualcuno (“Non penso che la vicenda interessi a qualcuno”) non è calzante: produrrebbe, infatti, una frase dal significato diverso, equivalente a “Penso che la vicenda non interessi a qualcuno”. Il pronome qualcuno, cioè, suggerirebbe che secondo il parlante ci sia qualcun altro a cui la vicenda interessa. La variante con una sola negazione sarebbe, piuttosto, “Penso che la vicenda non interessi ad alcuno”, o, al limite, “Non penso che la vicenda interessi ad alcuno”. 
Nella seconda frase, il pronome qualcuna riferito implicitamente a donna è corretto.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

La frase
Se non ti disturbo, verrei a trovarti stasera
è tollerabile anche in un linguaggio sorvegliato o il periodo ipotetico tradizionale
Se non ti disturbassi, verrei a trovarti stasera
È sempre consigliato?

 

RISPOSTA:

In questo caso non è tanto in gioco il rapporto tra un registro più formale (con la protasi al congiuntivo) e uno più informale (all’indicativo), bensì una diversa sfumatura semantica dei due costrutti, entrambi perfettamente standard, corretti e adatti anche in uno stile formale. Il primo esempio, tipico caso di periodo ipotetico misto, combina una protasi della realtà con un’apodosi (cioè la principale) dell’eventualità. Usando una frase siffatta, il parlante (o lo scrivente) intende manifestare la propria volontà di andare a trovare l’interlocutore, sfumando, per cortesia e buona educazione, la propria volontà sia mediante l’ipotetica (se non disturbo) sia mediante il condizionale epistemico che attenua la perentorietà di “vengo a trovarti di sicuro”.
La seconda frase, invece, manifesta una maggiore incertezza (in virtù della protasi al congiuntivo, tipica del periodo ipotetico dell’eventualità). In altre parole, chi sente o legge la frase ha la netta impressione che la persona che la usa non andrà a trovare l’interlocutore, vuoi perché è convinta di disturbarlo, vuoi perché non ne ha, poi, tutta questa voglia.
I due periodi oggetto della domanda, dunque, non sono affatto intercambiabili. È sempre bene fare attenzione alle sfumature della lingua, per non incorrere in spiacevoli incidenti diplomatici o simili.

Fabio Rossi

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QUESITO:

In alcune delle vostre recenti risposte, avete parlato di costruzione implicita ed esplicita, elencando una serie di casi in cui la prima è obbligatoria. 
“Ho scelto il vestito affinché io potessi indossarlo”, “Ho dubitato spesso che io potessi farcela”, “Non so se io possa partire”, “Credo che mi sia sbagliato” sono da considerarsi sbagliate, anche se la specificazione del pronome, a parte l’ultimo esempio, fuga ogni dubbio riguardo alla persona cui si riferisce il verbo? 
Relativamente alla penultima frase, se sostituissimo il congiuntivo con il futuro indicativo, si migliorerebbe la qualità del linguaggio?
“Non si può escludere di dover prendere provvedimenti” o “Non si può escludere che dovremo prendere provvedimenti”?
“Non dobbiamo dimenticarci che non sappiamo mai abbastanza” è giusta o anche in questo caso sarebbe meglio la costruzione implicita?
“Non c’è motivo che io parli” o “non c’è motivo per/di parlare”?
“I ragazzi erano sul pianerottolo che aspettavano (o ad aspettare?) l’ascensore”.

 

RISPOSTA:

Riguardo alla sostituzione del congiuntivo con l’indicativo, valga la considerazione generale che quando la costruzione ammette tanto l’indicativo quanto il congiuntivo, il congiuntivo è sempre l’alternativa più formale.
Venendo al problema della costruzione implicita, la proposizione finale che ha lo stesso soggetto della reggente richiede la costruzione implicita, quindi *”Ho scelto il vestito affinché io potessi indossarlo” deve essere corretta in “Ho scelto il vestito per poterlo indossare”. All’opposto, in “Non so se io possa partire” la proposizione subordinata è una interrogativa indiretta introdotta da se, che non ammette la costruzione implicita; la frase “Non so di poter partire”, infatti, non sarebbe equivalente a “Non so se io possa partire”, bensì a “Non so che io posso partire”, che ha un significato diverso.
Negli altri casi del primo gruppo, le proposizioni subordinate sono oggettive. Queste proposizioni, introdotte dalla congiunzione che nella forma esplicita, ammettono la costruzione implicita e, anzi, la preferiscono (sebbene non si possa parlare, in questo caso, di obbligo). Quindi a “Ho dubitato spesso che io potessi farcela” va preferita “Ho dubitato spesso di potercela fare”; a “Credo che mi sia sbagliato” va preferita “Credo di essermi sbagliato”.
C’è, però, una considerazione da fare a proposito dell’opportunità di mantenere la costruzione esplicita anche con queste proposizioni: quando il parlante vuole enfatizzare l’identità del soggetto della subordinata, la costruzione esplicita diventa pienamente giustificata quasi sempre (questo vale persino per la proposizione finale). Pertanto, ferma restando la generale preferibilità della costruzione implicita, “Ho dubitato spesso che io potessi farcela” e “Credo che mi sia sbagliato” sono accettabili se l’intento del parlante è quello di enfatizzare il soggetto io.
Le frasi del secondo gruppo presentano qualche difficoltà in più: la prima ha una costruzione impersonale nella reggente (“Non si può escludere”), che favorisce la scelta della variante personale nella subordinata, nel caso in cui il parlante voglia evitare che tutta la proposizione sia impersonale.
La seconda ha, sempre nella reggente, una costruzione personale, ma deontica (cioè di obbligo: “Non dobbiamo dimenticarci”); tale costruzione rende possibile una doppia interpretazione pragmatica (cioè relativa allo scopo) dell’enunciato: se rimaniamo ancorati al significato del verbo, la subordinata va assimilata alle oggettive viste sopra (quindi preferisce la costruzione implicita, ma ammette quella esplicita, soprattutto per enfatizzare il soggetto); se, invece, diamo maggior peso alla costruzione deontica, la subordinata è assimilata a quelle rette dai verbi di comando (come comandareordinareconsigliaresuggerire ecc.), che sono sempre implicite quando il soggetto coincide con il destinatario dell’obbligo.
In altre parole, “Non dobbiamo dimenticarci che non sappiamo mai abbastanza” riceve facilmente un’interpretazione informativa; “Non dobbiamo dimenticarci di non sapere mai abbastanza” viene interpretata, piuttosto, come regolativa. Per rendere la differenza ancora più evidente, proviamo a sostituire non dobbiamo dimenticarci con ricordiamoci: “Ricordiamoci che non sappiamo mai abbastanza” suona come un avviso; “Ricordiamoci di non sapere mai abbastanza” è, piuttosto, un ordine.
In “Non c’è motivo che io parli” il soggetto della subordinata non coincide con quello della reggente, quindi la costruzione esplicita è del tutto legittima. La costruzione implicita (“non c’è motivo di parlare”) va anche bene, ovviamente, con la differenza che in questo caso il soggetto della subordinata è impersonale, come quello della reggente. La forma “Non c’è motivo per parlare” è anche possibile, ma in questa frase la proposizione subordinata non è completiva, bensì causale.
In “I ragazzi erano sul pianerottolo che aspettavano (o ad aspettare?) l’ascensore”, infine, la subordinata è relativa, non completiva (qui che ha funzione non di congiunzione, ma di pronome) e le due costruzioni sono ugualmente legittime; come di norma, comunque, anche in questo caso quella implicita è più formale.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nelle risposte ai quesiti, ribadite spesso che l’identità di soggetto tra proposizioni reggenti e subordinate richiede, e a volte impone, la costruzione implicita. Partendo dal presupposto che seguendo questo suggerimento non si cadrebbe mai in errore, quali sono i casi in cui la costruzione esplicita è comunque ammessa (pur essendo sconsigliata) e quelli in cui invece è vietata?
Mi è capitato di leggere o ascoltare frasi quali “Spero che io sia stato chiaro”, “Prima che uscisse di casa, egli non aveva salutato nessuno”. Sono esempi da penna rossa?

 

RISPOSTA:

L’alternanza tra forma esplicita e forma implicita (rappresentata dall’infinito) riguarda le proposizioni subordinate che nella forma esplicita sono introdotte dalla congiunzione che e ammettono, o richiedono, il modo congiuntivo. Tali proposizioni, quindi, sono le completive soggettive e oggettive, le finali, che sono introdotte da perché (per + che) o affinché (al + fine + che), le consecutive e le temporali introdotte da prima che, che vogliono il congiuntivo (non quelle introdotte da dopo che, che vogliono l’indicativo, né, tanto meno, quelle introdotte da quandomentre ecc.).
In quattro casi la forma implicita è obbligatoria:
1. Con la proposizione finale sempre: “Ti parlo per farti capire il mio pensiero” (non *”Ti parlo perché io ti faccia capire il mio pensiero”); “Luca è venuto per studiare con me per l’esame” (non *”Luca è venuto perché studiasse con me per l’esame”); “Verranno per arrestarti” (non *”Verranno perché ti arrestino”).
2. Quando la proposizione soggettiva ha un soggetto che coincide con il soggetto logico della reggente: “A me piace viaggiare” (non *”A me piace che viaggio”); “A Luca è sembrato giusto chiedermi scusa” (non *”A Luca è sembrato giusto che mi chiedesse scusa”); “Domani ti sembrerà di aver agito bene?” (non *”Domani ti sembrerà che hai agito bene?”). In realtà in questo caso l’obbligo è, come spesso accade, in parte elastico; in particolare con il verbo sembrare l’infrazione è meno evidente (qualche esempio di “Ti sembra che hai…” e simili è rinvenibile on line, in sedi non squalificate). Questo avviene probabilmente perché sotto la costruzione con sembrare si insinua quella con pensare e simili, come se nella mente del parlante si creasse una confusione tra il modello “Ti sembra che…” e il modello “Pensi che…”. Con quest’ultimo, come si vedrà tra poco, la costruzione implicita è sì consigliata (“Pensi di aver fatto bene” è preferibile a “Pensi che hai fatto bene”), ma meno rigidamente.
3. Nelle oggettive rette da un verbo di comando, consiglio e simili. Attenzione: in questo caso l’identità che fa scattare l’obbligo non è tra i soggetti, ma tra il soggetto della subordinata e il destinatario del comando, consiglio ecc.: “Ti ordino di sistemare la stanza” (non *”Ti ordino che tu sistemi la stanza”); “Ho consigliato a Giulia di partire presto domani” (non *”Ho consigliato a Giulia che parta presto domani”); “Chiederò loro di aiutarmi con il lavoro” (non “Chiederò loro che mi aiutino con il lavoro). Si badi che nell’ultima frase il verbo chiedere è usato con il significato di ‘richiedere’, assimilabile ai verbi di comando; se, invece, lo usiamo con il significato di ‘domandare’ le cose cambiano: “Chiederò loro che intendono fare riguardo alla mia offerta”. Come si nota, qui la proposizione subordinata non è una oggettiva, ma una interrogativa indiretta, e che non è una congiunzione, ma un pronome interrogativo (infatti può essere sostituito da che cosa).
4. Quando tanto la reggente quanto la subordinata sono impersonali: “Bisogna comportarsi bene” (ma “Bisogna che tu ti comporti bene”); “Si stabilì di partire all’alba” (ma “Si stabilì che partissimo all’alba”); “Prima di agire è bene riflettere” (ma “Prima che tu agisca è bene che tu rifletta”).
Nella maggior parte degli altri casi, la costruzione implicita è consigliata ed è comunque la variante più formale, ma quella esplicita è comune e accettabile in contesti informali e mediamente formali. Il grado di accettabilità del costrutto esplicito non è costante, ma è soggetto alla semantica e alla reggenza del verbo reggente e ad altri fattori circostanziali. Ad esempio, la proposizione oggettiva vista prima: “Pensi che hai fatto bene?” è più accettabile di “Spero che io sia stato chiaro”, decisamente più sciatto di “Spero di essere stato chiaro” (si noti, a margine, che il congiuntivo sia, uguale per le prime tre persone, obbliga qui l’esplicitazione del soggetto pronominale, per evitare la concordanza automatica con un soggetto di terza persona). Anche il secondo esempio da lei proposto: “Prima che uscisse di casa, egli non aveva salutato nessuno”, mi sembra al limite dell’accettabilità; meglio “Prima che uscisse di casa, non aveva salutato nessuno” (e comunque la costruzione più formale è “Prima di uscire, non aveva salutato nessuno”).
La proposizione consecutiva è quella più libera su questo fronte; ammette quasi sempre, infatti, il costrutto esplicito senza un evidente scarto diafasico (ovvero di formalità): “Sono tanto stanco che non voglio uscire per una settimana” è valida tanto quanto “Sono tanto stanco da non voler uscire per una settimana”. Tale peculiarità di questa proposizione è dovuta probabilmente al fatto che contiene necessariamente un evento posteriore rispetto a quello della reggente. Come si vedrà sotto, proprio questa circostanza avvantaggia la costruzione esplicita su quella implicita.
Va detto che il costrutto esplicito è quasi sempre possibile se il parlante intende enfatizzare il soggetto della subordinata, come in questo esempio letterario: “Facendomi onore mi chiese che collaborassi anch’io” (Vittorio Gorresio, La vita ingenua, 1980). Persino la finale ammette tale possibilità: “Ho lavorato tanto affinché avessi il premio anch’io”. Si noterà che in questi casi il soggetto viene inserito preferibilmente alla fine della subordinata, perché veicola una informazione nuova, che si trova tipicamente nella parte destra dell’enunciato. Anche se lo anticipassimo, ci troveremmo a pronunciarlo (o immaginare di pronunciarlo nella nostra testa) con un’intonazione marcata: “Ho lavorato tanto affinché ANCH’IO avessi il premio”. Più o meno lo stesso avviene quando l’enfasi ha una funzione contrastiva: “Ho pensato che io (e non altri) ho la responsabilità di portare a termine il progetto”; “Ho lavorato tanto affinché io (e non altri) avessi il premio”​. In questo caso, la novità del soggetto può essere rimarcata dividendo in due parti la subordinata (costruendo quella che viene definita una frase scissa): “Ho pensato che sia io (e non altri) ad avere la responsabilità di portare a termine il progetto”; “Ho lavorato tanto perché fossi io (e non altri) ad avere il premio”. Come si vede dagli esempi, peraltro, anche nella frase scissa permane la preferenza per la costruzione implicita della subordinata che ha lo stesso soggetto della reggente e che sarebbe introdotta da che se fosse esplicita: “ad avere la responsabilità…” (non *”che ho la responsabilità”); “ad avere il premio” (non *”che io abbia il premio”).
C’è, infine, un caso nel quale, nonostante l’identità di soggetto, è la costruzione esplicita a essere preferibile: quello delle completive che contengono un’azione futura rispetto alla reggente (si tratta della circostanza a cui abbiamo accennato a proposito della proposizione consecutiva). Tale preferenza è dovuta al fatto che l’infinito non ha il tempo futuro in italiano, quindi bisogna ricorrere alla costruzione finita per segnalare che l’evento della subordinata è posteriore rispetto a quello della reggente: “Credo che farò uno spuntino” (“Credo di fare uno spuntino” significherebbe che sono incerto se io stia facendo uno spuntino); “Pensai che avrei fatto uno spuntino” (in questo caso si usa il condizionale passato per esprimere il futuro nel passato). L’infinito presente, per la verità, può anche esprimere un’azione futura, per cui quasi sempre il costrutto implicito risulta trasparente: “Penso di fare uno spuntino” e “Pensai di fare uno spuntino”, per esempio, sono ben formati, anche se l’azione di fare uno spuntino è posteriore rispetto al pensare. Con il verbo credere il costrutto implicito è meno felice perché credere può significare tanto ‘valutare’ quanto ‘non essere certo’ e può ingenerare confusione.

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QUESITO:

Quali modi e tempi verbali si devono usare nelle proposizioni introdotte da senza che o dopo che nei periodi che sto per scrivervi?
1) Ho visto il documentario senza che io abbia avuto (avessi / avessi avuto) la possibilità di fare una pausa. (P. S. E se sostituissimo il passato prossimo della principale con il passato remoto, come si costruirebbe la subordinata?)
2) È andato in vacanza senza che io ne fossi stato informato.
3) Finiranno le ferie senza che avrò avuto (abbia avuto) la possibilità di riposare.
4) Gli esperimenti sarebbero eseguiti dopo che le prove fossero (fossero state / sarebbero state) completate.
5) Gli esperimenti saranno eseguiti dopo che le prove fossero (fossero state / siano state / saranno state) completate.

 

RISPOSTA:

La scelta del tempo del congiuntivo migliore per le subordinate nelle frasi da lei proposte dipende in parte dalla consecutio temporum, in parte dalla logica.
Nella frase 1) tutte le varianti sono da scartare, in favore della costruzione implicita: “Ho visto il documentario senza avere / avere avuto la possibilità di fare una pausa”. L’identità di soggetto tra la reggente e la subordinata consiglia, e a volte richiede, tale costruzione. Se, invece, modifichiamo la frase in modo che i soggetti delle due proposizioni siano diversi (ad esempio “Hai cambiato canale senza che io abbia potuto / potessi / avessi potuto chiederti di non farlo”), la situazione cambia completamente e tutte le varianti diventano possibili. La scelta tra l’una e l’altra dipende dal rapporto temporale che vogliamo stabilire tra i due eventi, il cambiamento di canale e la richiesta di non cambiare canale, nonché dall’aspetto che vogliamo attribuire al tempo della richiesta. Il congiuntivo passato stabilisce un rapporto di contemporaneità e attribuisce un aspetto momentaneo alla richiesta, mette, cioè, in evidenza che l’azione si è (o, in questo caso, non si è) verificata in quel preciso momento, contemporaneo rispetto all’azione del cambiare canale. L’imperfetto instaura lo stesso rapporto di contemporaneità nel passato con il verbo della reggente, ma ha un aspetto durativo, quindi comunica che l’azione non si è verificata in un lasso di tempo all’interno del quale è avvenuta l’azione del cambiamento di programma. Il trapassato, più semplicemente, implica che la richiesta non è stata fatta prima del cambiamento di canale (anteriorità nel passato).
Se al posto di hai cambiato mettessimo cambiasti non cambierebbe niente. Lo stesso discorso vale per la frase 2).
Nella frase 3) avrò avuto è da scartare non in quanto tempo, ma in quanto modo indicativo, rifiutato dalla congiunzione senza che. Il verbo reggente della frase è al futuro, che, nell’ambito della consecutio temporum al congiuntivo, si comporta come il presente. I tempi del congiuntivo ammissibili sono, pertanto, il passato per l’anteriorità e il presente per la contemporaneità e la posteriorità. A questo punto, entra in gioco la logica: è chiaro che la possibilità di riposare si sia manifestata prima della fine delle vacanze, non contemporaneamente a essa, né, a maggior ragione, dopo. L’unica possibilità, pertanto, è quella da lei stessa prospettata, con il congiuntivo passato: “Finiranno le ferie senza che abbia avuto la possibilità di riposare”. In una frase dal contenuto diverso, il presente sarebbe stato senz’altro possibile, o addirittura preferibile; ad esempio: “L’allarme suonerà senza che i ladri se ne accorgano”.
Nella frase 4) il verbo reggente è condizionale presente; in questo caso abbiamo due possibilità: se costruiamo il periodo come un periodo ipotetico (quindi assimiliamo dopo che a se), la forma del verbo corretta nella subordinata è il congiuntivo imperfetto fossero completate, proprio della protasi del periodo ipotetico della possibilità. Se, invece, consideriamo il condizionale sarebbero eseguiti come una variante di cortesia dell’indicativo presente, quindi diamo alla congiunzione dopo che pieno valore temporale, per cui sottolineiamo il rapporto temporale di anteriorità dell’evento della subordinata rispetto a quello della reggente, presente, sceglieremo il congiuntivo passato siano state completate, coerentemente con la consecutio temporum.
Per quanto riguarda saranno eseguiti nella frase 5), infine, ribadiamo che il futuro nella consecutio temporum si comporta come il presente, quindi la forma del verbo della subordinata sarà il congiuntivo passato siano state completate (anteriorità rispetto al presente o al futuro). In realtà, dopo che non seleziona obbligatoriamente il congiuntivo (diversamente da senza che, ma anche da prima che): non è da escludere, pertanto, il futuro semplice saranno completate, né quello composto saranno state completate, che instaurano con il futuro della reggente un rapporto di anteriorità o contemporaneità specificamente nel futuro, impossibile da rappresentare al congiuntivo, per la mancanza di un tempo futuro in quel modo. Come sempre, la variante con l’indicativo è più comune, ma meno formale; decisamente sciatta, ma pur sempre possibile, è anche quella con il corrispondente indicativo di siano state completate, il passato prossimo sono state completate​ (lo stesso vale per la frase 4). Le altre forme sono da scartare.
Fabio Ruggiano

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DOMANDA

Gentilissimi professori, sottopongo alla vostra analisi le seguenti frasi lette di recente:

a. Proprio ieri mi hanno domandato se era vero che due mesi fa ho incontrato il mio socio.
b. L’alunno si è ammalato ieri e starà a casa fino alla prossima settimana. È un vero peccato: la prossima settimana sarebbe stato in gita per due giorni.
c. Tutte le donne presenti, a quelle parole, si toccarono la bocca.
d. Quando eravamo piccoli si cantava le canzoni. Oggi si hanno i minuti contati.
Esempio a: non pensate che il secondo passato prossimo ho incontrato debba essere sostituito dal trapassato prossimo? Forse sbaglio, ma mantenerlo, come nell’esempio, non significherebbe situare l’azione di due giorni fa sullo stesso piano temporale di ieri?
Esempio b: se avessimo sostituito sarebbe stato con avrebbe dovuto essere o doveva essere, avremmo ottenuto costruzioni equivalenti e ugualmente corrette oppure no? Qual è, secondo voi, quella preferibile?
Esempio c: una volta per tutte: la frase è corretta o sarebbe stato meglio declinare al plurale anche il sostantivo bocca? Aggiungo: si dice la cima dei monti o le cime dei montila punta delle dita o le punte delle dita? la grammatica ci viene in soccorso con un regola universale per gestire la concordanza oppure ogni caso va analizzato a sé?
Esempio d: se non sbaglio, la prima frase riporta un si riflessivo che sostituisce la prima persona plurale. È sempre tollerato o si tratta di un toscanismo da evitare? La seconda è, invece, sempre se non sbaglio, una costruzione con il si passivante. Come si fa (o fanno???) a conoscere i casi in cui il si riflessivo è da preferire al si passivante e viceversa?

 

RISPOSTA

a. Entrambe le varianti sono possibili; il passato prossimo indica semplicemente che l’incontro è avvenuto nel passato rispetto al momento dell’enunciazione (adesso), il trapassato (avevo incontrato) aggiunge il dettaglio che l’incontro è avvenuto prima rispetto a un momento diverso da quello dell’enunciazione, coincidente con quello in cui è stata fatta la domanda. Proprio per questo motivo, se usiamo il trapassato prossimo, dobbiamo cambiare anche il complemento di tempo relativo a quell’evento, da due mesi fa a due mesi prima: l’avverbio (originariamente una forma verbale) fa, infatti, può riferirsi solamente al momento dell’enunciazione.
Va detto che, sebbene il passato prossimo ho incontrato sia formalmente equivalente al passato prossimo hanno domandato, non bisogna pensare che i due eventi siano rappresentati come contemporanei: essi sono, piuttosto, rappresentati entrambi come passati, senza una relazione reciproca esplicita. Tale relazione, peraltro, si ricava chiaramente dai complementi di tempo, ieri e due mesi fa.
b. La variante con il verbo servile non cambia molto dal punto di vista sintattico, ma aggiunge, ovviamente, una sfumatura semantica potenziale. La costruzione con l’imperfetto del verbo dovere dal punto di vista semantico presenta l’evento della gita come già stabilito, dal punto di vista sintattico è meno formale, sebbene molto comune.
c. Il singolare è la forma più attesa, sebbene il plurale non sia scorretto. Il singolare suggerisce che ognuno dei soggetti toccò la sua bocca; il plurale specifica che le bocche sono più di una, come i soggetti che le toccano (una specificazione, ovviamente, superflua).
Una considerazione simile si può fare per la punta delle dita, con la differenza che le dita sono più di una per ogni persona (diversamente dalla bocca), quindi la specificazione del plurale è meno superflua: la frase idiomatica sarà sempre “si contano sulla punta delle dita”, ma è del tutto giustificata una frase come “Può capitare di sentire le punte delle dita addormentate” (come anche, del resto, “Può capitare di sentire la punta delle dita addormentata”). Il caso di la cima / le cime dei monti è diverso: le due varianti hanno due significati diversi. La cima dei monti indica il punto più alto di una catena montuosa; le cime dei monti indica la cima di ognuno dei monti considerati. Come si può vedere, più che una questione di grammatica, qui è in gioco la logica.
d. La costruzione noi si cantava non è passiva, bensì impersonale; indica, infatti, che l’azione è compiuta da un soggetto imprecisato, non che essa ricade sul soggetto stesso. L’esplicitazione del soggetto di prima persona plurale, tipica della Toscana, ma ben attestata nella tradizione letteraria in italiano, sembra confliggere con l’impersonalità del costrutto, ma in realtà bisogna ricordare che i costrutti sintatticamente impersonali sottintendono sempre un soggetto logico. Anche il secondo si è impersonale, e infatti sottintende il soggetto logico noi: “Oggi si hanno i minuti contati” equivale a “Oggi abbiamo i minuti contati”, oppure a “Oggi tutti hanno i minuti contati”. Anche in “Come si fa a conoscere i casi”, si fa è impersonale (equivalente a facciamo). La costruzione “Come si fanno a conoscere i casi”, pertanto, è scorretta, sebbene molto diffusa in contesti informali; è indotta dall’attrazione esercitata dal complemento oggetto plurale casi sul verbo fare, come se proprio i casi fosse il soggetto di fare (infatti nessuno direbbe mai *”Come si fanno a conoscere il caso”).
La prego, per il futuro, di mandarci una domanda alla volta. Le domande complesse ci mettono in difficoltà perché non si possono classificare con precisione per l’archivio.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Cari linguisti, a seguito della lettura di alcune vostre risposte sono sorte in me diverse incertezze che desidererei risolvere con il vostro contributo.
Alla luce di questa risposta, la costruzione “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo avrebbe procurato” è giusta oppure sarebbero preferibili “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo avesse procurato” o “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo abbia procurato”?
Trasformando il discorso diretto “Disse: ‘Chiunque ti aggredirà, si troverà nei guai'” in indiretto, si ottiene 
“Disse che chiunque lo avrebbe aggredito, si sarebbe trovato nei guai” oppure “disse che chiunque lo avesse aggredito, si sarebbe trovato nei guai”?
Oltre al passato prossimo, esistono altri tempi verbali che sono coinvolti dalla funzione deittica? Potrebbe essere il caso del trapassato remoto nella frase “Ieri mi hai detto di richiamarti oggi per sapere se era arrivata la macchina”?
In tale esempio, il trapassato indicherebbe anteriorità rispetto alla principale e non rispetto al momento dell’enunciazione. 
A proposito dell’esempio 4 di questa risposta, spiegate che la soluzione con il congiuntivo è corretta e più formale rispetto a quella con l’indicativo. Non metto in dubbio, sia chiaro, il vostro giudizio, ma trattandosi di una frase positiva, retta da un verbo che indica certezza, non sarebbe addirittura più formale l’indicativo, come nei casi: “Ho capito chi sei”, “So che cosa vuoi”, “Ho notato dove andavi”, “Mi rendo conto che sei brava”?

 

RISPOSTA:

Rispetto alla frase analizzata nella risposta  (“Se tu fossi qui, non sapresti con chi ti toccherebbe parlare”), il suo primo esempio presenta una differenza dirimente: la proposizione introdotta da chi non è una interrogativa indiretta, bensì una relativa. Dal momento che le proposizioni relative sono molto autonome per quanto riguarda la scelta dei modi e dei tempi (mentre le completive, tra cui le interrogative indirette, sono fortemente vincolate), la costruzione con il congiuntivo trapassato (“Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo avesse procurato”) è, nel suo caso, corretta. Non solo: la sua frase ha diverse varianti possibili.
– “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo ha procurato”: qui la relativa è costruita come propria, all’indicativo, e presenta l’azione del procurare come passata, quindi automaticamente anteriore rispetto allo stato dell’essere responsabile.
– “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo procurasse”: qui la relativa è costruita come impropria, in particolare come una ipotetica (la responsabilità sarebbe di chi lo procurasse = se qualcuno lo procurasse la responsabilità sarebbe sua).
– Infine, come da lei proposto, “Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo avesse procurato”: simile alla precedente, presenta l’azione del procurare come fortemente ipotetica (la responsabilità sarebbe di chi lo avesse procurato = se qualcuno lo avesse procurato la responsabilità sarebbe sua).
Scorretto (o quanto meno difficilmente giustificabile) è il congiuntivo passato (*”Se accadesse l’incidente, la responsabilità sarebbe di chi lo abbia procurato”), perché questa forma del verbo non si usa nella proposizione ipotetica, che influenza la scelta del modo congiuntivo nella relativa.
Ragionamento simile vale per questo dubbio (“Disse che chiunque lo avrebbe aggredito, si sarebbe trovato nei guai” o “Disse che chiunque lo avesse aggredito, si sarebbe trovato nei guai”): entrambe le varianti sono corrette. Nel primo caso la subordinata è considerata una relativa propria, equivalente a “Disse che colui che lo avrebbe aggredito, si sarebbe trovato nei guai”, con l’azione dell’aggredire posteriore rispetto all’azione del dire, ma pur sempre nel passato. Nel secondo caso è modellata su una ipotetica, come se fosse “Disse che se qualcuno lo avesse aggredito, costui si sarebbe trovato nei guai”.
I tempi deittici sono quelli che situano l’azione, l’evento o lo stato in un momento assoluto, passato, presente o futuro; i tempi anaforici (i trapassati, il futuro anteriore e il condizionale passato nella funzione di futuro nel passato) fanno, invece, riferimento a un’azione, un evento o uno stato diversi rispetto al momento dell’enunciazione. Il passato prossimo è un tempo deittico, non anaforico. Nella sua frase (“Ieri mi hai detto di richiamarti oggi per sapere se era arrivata la macchina”), il trapassato prossimo (non remoto) era arrivata indica che l’arrivo della macchina è (o non è) anteriore a un momento nel passato. Tale momento potrebbe essere sia quello della richiesta della chiamata (colui che ha fatto la richiesta, quindi, non sapeva ancora, al momento della richiesta, se la macchina fosse arrivata o no) sia quello della chiamata, perché anche questa, per quanto si sia verificata oggi, precede il momento dell’enunciazione, quindi è passata. Ci sono, quindi, tre piani temporali: quello dell’enunciazione, cioè adesso, quello della richiesta e quello della chiamata, che sono passati, e quello dell’arrivo (o del mancato arrivo) della macchina, che precede i due momenti passati.
Il congiuntivo nelle completive è sempre la scelta più formale; non bisogna confondere, però, formale con comune: è prevedibile, infatti, che la variante più comune sia proprio quella meno formale. Anzi, in dipendenza da alcuni verbi (che esprimono certezza, come essere sicuro), specie all’interno di specifiche costruzioni (frasi affermative al presente), l’indicativo si è imposto quasi come unica scelta; di conseguenza, in questi casi il congiuntivo è oggi percepito come scorretto e il suo uso è sconsigliato se non in contesti di alta formalità. L’opportunità di usare il congiuntivo va, comunque, valutata caso per caso. Nei suoi esempi, la variante con il congiuntivo è quasi sempre possibile, sebbene poco comune: “Ho capito chi tu sia”, “So che cosa tu voglia”, “Mi rendo conto che tu sia brava”. Nell’esempio della risposta (“Sapevo che Marco voleva/volesse parlarle”), il verbo reggente, sapere, preferisce l’indicativo nella subordinata, ma all’imperfetto ammette il congiuntivo. Ecco un esempio letterario a sostegno di questa posizione: “Le Breda della mia squadra erano le armi migliori della compagnia e sapevo che cosa significasse per i fucilieri sentire le pesanti in caso di attacco” (Mario Rigoni Stern, Il sergente della neve, 1953, p. 68).

Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Le frasi a seguire, secondo voi, sono corrette? 

1. “Coinvolgi tutto il reparto – avrebbe potuto aver detto il capo in quell’occasione” (la criticità consiste nell’associazione condizionale composto-infinito passato).

2. “Si potrebbe scegliere una destinazione la cui distanza dall’Italia non sia (o fosse?) esagerata”;

3. “Gli spiegò chi fosse (o era?)”;

4. “Sapevo che Marco voleva (o volesse?) parlarle”;

5. “È chiaro/evidente/fuor di dubbio che la nipote non vuole (o voglia?) più studiare”;

6. “Sono sicuro/certo che ogni giorno abbia (o ha?) la sua pena”;

7. “Sono a conoscenza del fatto che abbia (o ha?) discusso con ognuno dei suoi amici”.

 

RISPOSTA:

​La frase numero 1 è ben formata, sebbene la sequenza di due tempi composti la faccia suonare strana. Non a caso, è giustificata solamente all’interno di una situazione insolita: indica, infatti, che in un momento passato rispetto al momento in cui viene enunciata la frase qualcuno abbia concepito il dubbio che il capo in un momento ancora anteriore avesse dato quell’ordine. Diviene più chiara se esplicitiamo il contesto: “Andrea pensò che il capo avrebbe potuto aver detto di coinvolgere tutto il reparto”.
La numero 2 richiede il presente (sia), perché la proposizione relativa richiede di norma il tempo verbale che rispecchia il tempo dell’azione o dello stato designato. In questo caso, lo stato della distanza dall’Italia è ovviamente presente.
Le frasi 3-7 sono ben formate sia con il congiuntivo, sia con l’indicativo: il congiuntivo è la scelta più formale; l’indicativo quella più colloquiale (infatti tipica del parlato).
​Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Congiuntivo: modo il cui perfetto utilizzo non finisce mai di mettermi in ansia esagerata.
1) Non voglia mai il cielo che venissero contestati sia il mio che il vostro titolo.
2) Non voglia mai il cielo che vengano contestati sia il mio che il vostro titolo.
Quale è preferibile?

3) Che importa se quest’uomo era realmente così, se come tale è accettato ancora oggi!
4) Che importa se quest’uomo fosse realmente così, se come tale è accettato ancora oggi!
Quale delle frasi è errata?

 

RISPOSTA:

Tra le prime due frasi, la seconda è quella più aderente alla norma standard. La consecutio temporum, infatti, richiede che in dipendenza da un tempo presente (nel suo esempio voglia) la subordinata al congiuntivo prenda il presente (quindi vengano contestati) se il rapporto tra i due eventi è di contemporaneità (o di posteriorità). Se la reggente avesse il congiuntivo imperfetto (“Non volesse mai il cielo che”), nella subordinata sarebbero ammessi sia il presente (vengano contestati), sia l’imperfetto (venissero contestati).
Tra le seconde due frasi, la prima è meno formale (ma non scorretta); la seconda è più formale, da preferire in contesti scritti e anche parlati non familiari.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

 La frase “Volevo chiederti quando potessi venire da te” può essere considerata corretta?

 

RISPOSTA:

La frase è corretta. Il congiuntivo nella proposizione interrogativa indiretta è la soluzione più formale. Corrette sono anche le varianti con il congiuntivo presente (“quando possa venire da te”), che rende l’eventualità più concreta rispetto al congiuntivo imperfetto, e quella con il condizionale (“quando potrei venire da te”), che subordina l’azione del venire a una condizione implicita, quella dell’assenso da parte dell’interlocutore (per esempio “se tu volessi”). Possibile anche l’indicativo presente (“quando posso venire da te”), meno formale ma del tutto appropriato in una conversazione tra pari. Possibile anche, sempre in un registro informale, l’indicativo imperfetto (“quando potevo venire da te”), che, spostando l’azione nel passato, risulta meno diretto del presente.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Cari linguisti, vi pongo un doppio quesito inerente la consecutio temporum (già ampiamente discussa, ne sono consapevole). Il seguente costrutto: 
 

“Prima che uscissi dall’officina, il meccanico mi aveva detto che se il problema dell’auto fosse all’avantreno, avrebbe dovuto sostituire i supporti motore”

è un esempio che contiene un periodo ipotetico misto tollerato anche nello scritto sorvegliato, oppure è consigliata la forma canonica con il congiuntivo trapassato nella protasi, considerando che, nel suddetto esempio, la scelta del congiuntivo imperfetto è indotta dall’attualità del fatto proposto? E inoltre, a tal proposito, una variante del tipo: 
 

“Prima che uscissi dall’officina, il meccanico mi aveva detto che se il problema dell’auto fosse all’avantreno, dovrebbe sostituire i supporti motore” 

sarebbe comunque accettabile? 
A margine, ma sempre in riferimento al concetto di attualità indicato in precedenza, vi domando se si possa sempre impiegare un verbo coniugato all’indicativo presente, quando la reggente sia retta da un passato remoto o da un trapassato prossimo, oltreché dal passato prossimo: “Il professore mi aveva spiegato che il percorso universitario è arduo”, “Alle elementari mi hanno insegnato che la capitale d’Italia è Roma”, “L’uomo che vedesti due anni fa è mio padre”.

 

RISPOSTA:

​La prima frase, che contiene il periodo ipotetico con la protasi al congiuntivo imperfetto e l’apodosi all’indicativo trapassato, è ben formata, sebbene insolita: sottolinea che il parlante (non avendo ancora ricevuto notizie dal meccanico) ha ragione di credere, ma non ne è certo, che il problema non sia all’avantreno, e che il meccanico non abbia già sostituito i supporti. La costruzione risulta più chiara se eliminiamo il piano del discorso riportato: “Se il problema dell’auto fosse all’avantreno, il meccanico avrebbe dovuto sostituire i supporti motore”.
Rispetto al congiuntivo trapassato, l’imperfetto sottolinea che lo stato di cose (il problema) è ancora possibile nel momento dell’enunciazione (ovvero nel momento in cui il parlante sta raccontando i fatti).
Il periodo ipotetico con il congiuntivo trapassato (“se il problema dell’auto fosse stato all’avantreno”), si badi, sarebbe valido anche nel caso specifico illustrato, ma non veicolerebbe automaticamente la sfumatura di possibilità presente nell’imperfetto; lascerebbe, piuttosto, aperte entrambe le interpretazioni: 1. Il parlante (non avendo ricevuto notizie dal meccanico) ha ragione di credere, ma non ne è certo, che il problema non sia all’avantreno; 2. Al contrario, il parlante sa già che il problema era proprio quello e che il meccanico ha sostituito i supporti.
Per quanto riguarda il secondo quesito, anche queste costruzioni sono legittime e ben formate. Si tratta di casi in cui le proposizioni al presente indicano stati di fatto perduranti nel momento dell’enunciazione, che è presente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Incontro un po’ di difficoltà nel completare la seguente frase: “L’arrivo di tua sorella farebbe sì che… salti saltasse salterebbe il programma di domani”. L’espressione fare sì che, se non erro, impone l’uso del modo congiuntivo, come le congiunzioni sebbenebenché eccetera. So, però, che esse accettano talvolta anche il modo condizionale. È forse il caso anche dell’esempio che è al centro del mio dubbio?

 

RISPOSTA:

La forma più corretta sarebbe salti, che rispetta il rapporto di contemporaneità nel presente con il verbo della reggente farebbe (per approfondire questo punto potrebbe consultare le altre risposte dell’archivio di DICO che riguardano la consecutio temporum). Il condizionale salterebbe non è impossibile, per via dell’attrazione da parte di quello della proposizione reggente, che rappresenta l’apodosi di un periodo ipotetico (completato dalla protasi “L’arrivo di tua sorella”, ovvero “Se arrivasse tua sorella”). Si tratta, però, di una scelta meno formale. Non a caso, facendo una ricerca on line, troviamo entrambi i costrutti; quello con il congiuntivo in una fonte più affidabile (e firmata), quello con il condizionale in una meno titolata (e non firmata):

“La pratica consentirebbe semplicemente di ‘mirare’ meglio i messaggi pubblicitari e ciò, oltre a rendere più redditizia la pianificazione delle aziende, farebbe sì che anche la navigazione degli utenti sia più piacevole” (Riccardo Staglianò, in repubblica.it: http://www.repubblica.it/online/tecnologie_internet/privacy/doubleclick/doubleclick.html).

“Per accedere alla pensione anticipata, però, a meno che il governo non blocchi l’aumento dell’età pensionabile di 5 mesi prevista a partire dal 1 gennaio 2019, saranno necessari 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi di contributi per le donne, questo farebbe sì che la sua pensione decorrerebbe a partire dal 2020″ (https://www.notizieora.it/affari/pensione-anticipata-o-quota-100-nel-2019-valutiamo/).

Escluderei, infine, il congiuntivo imperfetto saltasse.
Una piccola nota di stile: vista la frequenza d’uso della parola che, dovuta alle sue tante funzioni, è consigliabile evitare tale parola ogni volta che sia possibile. In questo caso, per esempio, la frase potrebbe essere efficacemente riformulata così: “L’arrivo di tua sorella comporterebbe l’annullamento del programma di domani”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Buongiorno, ho riportato qui sotto alcuni esempi di frasi sui quali nutro dei dubbi circa la lo composizione. Ho usato la barra per separarne le alternative:
“Avrebbe parlato a tutti coloro che si sarebbero/fossero presentati”.
“Mi disse che sarebbero partiti appena avessero/avrebbero acquistato i biglietti”.
“Se non è/sia possibile fare altrimenti, vado al cinema”.
“Quando sarebbero/fossero giunti al parco, avrebbero camminato tra gli alberi”.
“Va/vanno bene tanto la prima l’opzione quanto la seconda”.
“Tutti i terzi livello/terzo livello/terzi livelli in seno all’azienda, dovranno presentare formale disdetta”.

 

RISPOSTA:

​Il dubbio relativo alla scelta tra il condizionale e il congiuntivo accomuna le seguenti frasi: “Avrebbe parlato a tutti coloro che si sarebbero/fossero presentati”, “Mi disse che sarebbero partiti appena avessero/avrebbero acquistato i biglietti”, “Quando sarebbero/fossero giunti al parco, avrebbero camminato tra gli alberi”. Nei tre casi, entrambe le opzioni sono valide: il condizionale rappresenta la scelta richiesta dalla consecutio temporum, visto che il verbo esprime un evento successivo rispetto a un altro evento passato (posteriorità nel passato). In nessuno dei tre casi, ovviamente, l’evento rispetto al quale va valutata la posteriorità è quello espresso dal verbo delle reggenti; anzi, le reggenti presentano eventi posteriori rispetto a quelli delle subordinate. L’evento è quello espresso dal verbo di dire, pensare o simili della proposizione principale, esplicitato nella frase “Mi disse che sarebbero partiti appena avrebbero acquistato i biglietti”, sottintesa nelle altre due: “(Dichiarò/pensò che) avrebbe parlato a tutti coloro che si sarebbero presentati”, “(Dichiararono/pensarono che) quando sarebbero giunti al parco, avrebbero camminato tra gli alberi”. Rispetto a questa relazione temporale, quella tra gli eventi delle due subordinate passa in secondo piano e non viene rappresentata al livello morfologico. La sostituzione dei condizionali con i congiuntivi conferisce agli eventi una sfumatura di potenzialità: ad esempio, nella frase “Mi disse che sarebbero partiti appena avessero acquistato i biglietti” si suggerisce che l’acquisto dei biglietti è ancora da decidere e potrebbe non avvenire.
Nella protasi del periodo ipotetico della realtà “Se non è/sia possibile fare altrimenti, vado al cinema” è preferibile l’indicativo presente.
Nella frase “Va/vanno bene tanto la prima l’opzione quanto la seconda” è preferibile il plurale; il singolare costituisce un caso di concordanza ad sensum, fenomeno largamente accettato, ma da evitare in contesti di media e alta formalità, e soprattutto nello scritto.
Infine, l’unica parola ben formata (tecnicamente si tratta di una unità polirematica) è i terzo livello, che è invariabile perché fa parte di un’espressione più ampia, nella quale la parte variabile è sottintesa: il (soggetto inquadrato / i soggetti inquadrati nel) terzo livello. Si tratta, comunque, di un termine burocratico, da evitare in contesti estranei all’ambito dell’amministrazione.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Gradirei apprendere la giusta sintassi delle proposizioni reggenti nei casi in cui la subordinata sia introdotta da qualoranel caso chese.
Mi spiego meglio: se non erro, qualora nel caso che pretendono il modo congiuntivo e tollerano i vari tempi di esso; ma non sono certa che le forme riportate di seguito siano tipiche del linguaggio colloquiale e quindi da evitare:
“Qualora volesse, può (oppure potrebbe?) scegliere il libro che preferisce”.
“Qualora voglia, potrebbe (oppure può?) scegliere il libro che preferisce”.
“Nel caso non fosse arrivato per tempo, andrò (oppure andrei?) a casa”.
“Se non ci fossero le condizioni, lascerò (anziché lascerei) perdere”.
“Se per te non è un problema, potrei contattarti domani oppure Se per te non fosse un problema, potrei contattarti domani”.

 

RISPOSTA:

La scelta dei tempi verbali per la protasi e per l’apodosi del periodo ipotetico deve tener conto della relazione sintattica che la protasi ha con l’apodosi, ma anche delle possibili sfumature semantiche risultanti da accostamenti insoliti.
La soluzione più comune per il periodo ipotetico detto della possibilità o del secondo tipo è quella con il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condizionale imperfetto nell’apodosi. Rispetto a questa, le frasi da lei proposte con il congiuntivo imperfetto nella protasi e l’indicativo presente o futuro nell’apodosi (“Qualora volesse, può scegliere il libro che preferisce” e “Se non ci fossero le condizioni, lascerò perdere”), lungi dall’essere errate, veicolano una sfumatura di certezza che le rende più dirette e adatte a contesti informali. Si veda questo esempio letterario (nel quale si imita un tipo di parlato colto) per il caso del futuro: “Sì e no… Ma soprattutto se è no, rispondermi ti servirà di allenamento, qualora ti trovassi costretto a dire alla Polizia di essere stato a Milano” (Vasco Pratolini, Un eroe del nostro tempo, 1949, p. 199). Questo altro esempio, invece, dimostra che l’indicativo (presente, ma lo stesso si può dire del futuro), con la sua sfumatura fattuale, può essere funzionale anche in un contesto tecnico-scientifico: “né la prospettiva muta, qualora volesse ritenersi che il datore debba comunque edurre il lavoratore a termine delle maggiori esigenze” (Luigi Di Paola, Ileana Fedele, Il contratto di lavoro a tempo determinato, 2011, p. 296).
Per quanto riguarda la frase con il congiuntivo presente nella protasi (“Qualora voglia, potrebbe/può scegliere il libro che preferisce”), la soluzione più comune è quella con il presente indicativo nell’apodosi. Si viene, così, a formare quello che viene definito periodo ipotetico della realtà o del primo tipo. Si consideri che, in questo caso, se sostituiamo qualora con se, il congiuntivo presente diviene quasi innaturale, e la costruzione normale prevede l’indicativo tanto nella protasi quanto nell’apodosi. Il condizionale nell’apodosi non è, comunque, scorretto, ma si configura come variante più indiretta e cortese.
Da quanto detto finora consegue che le seguenti frasi, da lei poste come alternative, sono entrambe valide, ma diverse: “Se per te non è un problema, potrei contattarti domani” è un periodo ipotetico del primo tipo, con il condizionale di cortesia nell’apodosi; “Se per te non fosse un problema, potrei contattarti domani” è un periodo ipotetico del secondo tipo canonico.
Allo stesso modo, l’ultima frase (“Nel caso non fosse arrivato per tempo, andrò/andrei a casa”) può essere interpretata in due modi, entrambi perfettamente validi e ugualmente formali. Se interpretiamo non fosse arrivato come un evento ormai concluso, siamo di fronte a un’ipotesi irreale (perché sappiamo che lui, in realtà, è arrivato), che richiede, nell’apodosi, un condizionale passato (in questo caso sarei andato o sarei andata). In questo modo si viene a costituire un periodo ipotetico dell’irrealtà o del terzo tipo. Se, invece, interpretiamo non fosse arrivato come evento ancora attuale, che presenta l’ipotesi come da verificare (non sappiamo, cioè, se lui sia effettivamente arrivato), rientriamo nella fattispecie del periodo ipotetico del secondo tipo, descritto sopra; in questo caso, quindi, nell’apodosi ci si aspetta un condizionale presente (andrei) o, con la sfumatura di certezza di cui si è detto, un indicativo futuro, o persino presente (se si vuol suggerire che la decisione di andare a casa non ammette deroghe).
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Buongiorno, volevo sottoporvi un mio dubbio: nell’ultima strofa della poesia che riporto sotto, ho usato il congiuntivo presente rispettino. Lo ritenete preferibile all’indicativo presente rispettano?
Grazie

“…E tu scegli parole che sfiorando le cose
ne rispettino la figura,
tenendosi alla giusta distanza
per non ingannare, per non ingannarsi”

 

RISPOSTA:

​La scelta tra indicativo e congiuntivo nella proposizione relativa è quasi sempre una questione di sfumature, non di correttezza. In generale, ricordiamo che il congiuntivo nelle subordinate rappresenta la scelta più formale, mentre l’indicativo è oggi più comune nel parlato e nello scritto informale. Il congiuntivo, inoltre, conferisce all’azione una sfumatura di eventualità che l’indicativo, modo della fattività, non possiede. La frase così costruita (“scegli parole che… ne rispettino la figura”) suggerisce che il rispetto è possibile, non scontato, per cui né l’emittente né il soggetto della scelta (è difficile distinguere il punto di vista dell’uno da quello dell’altro) possono garantire che la scelta produca l’effetto desiderato. Diversamente, l’indicativo (“scegli parole… che ne rispettano la figura”) suggerisce che il soggetto scelga le parole con la certezza che queste realizzino il suo scopo (sebbene si tratti sempre di una certezza psicologica, non oggettiva, anche in questo caso attribuibile al soggetto stesso o all’emittente, o a entrambi).
Dal punto di vista sintattico, va sottolineato che la costruzione del referente parole senza articolo o altro modificatore (per esempio un aggettivo dimostrativo) rende la scelta dell’indicativo un po’ forzata (ma in un testo poetico questo può anche essere un artificio ricercato consapevolmente), sebbene non scorretta, perché la certezza espressa dall’indicativo è più coerente con un referente determinato.
La questione della scelta tra indicativo e congiuntivo è stata affrontata in molte altre risposte, che può leggere nell’archivio di DICO, usando il motore di ricerca interno (con la parola chiave congiuntivo).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

È corretto dire “Se dovessi sapere che mia figlia avrebbe anche lei questi comportamenti ci rimarrei male”?
Grazie

 

RISPOSTA:

Nella frase, le due parti del periodo ipotetico sono “Se dovessi sapere” e “ci rimarrei male”. La prima, detta protasi, presenta la condizione che potrebbe provocare una conseguenza; la seconda, detta apodosi, presenta la conseguenza che potrebbe essere provocata dalla condizione. Nella protasi del periodo ipotetico si può usare il modo indicativo o il congiuntivo, mentre nella apodosi, che è una proposizione indipendente, possiamo trovare tutti i modi verbali, compreso il condizionale. 
La terza proposizione contenuta nella sua frase (si tratta di una proposizione oggettiva), “che mia figlia avrebbe anche lei questi comportamenti”, si viene a trovare in mezzo tra le due parti del periodo ipotetico, e questo può farci pensare che sia parte dell’apodosi. Essa, invece, dipende dalla protasi e non ha un rapporto diretto con l’apodosi. Il modo verbale da usare all’interno di questa proposizione, quindi, segue le regole comuni delle proposizioni oggettive, ovvero può essere l’indicativo o il congiuntivo. La scelta tra i due modi dipende sia dal grado di formalità che si vuole usare, sia dal grado incertezza che si vuole attribuire all’evento: “che mia figlia ha anche lei questi comportamenti” è meno formale e presenta l’evento come più realistico; “che mia figlia avesse anche lei questi comportamenti” è più formale e presenta l’evento come più incerto. Il fatto che l’oggettiva sia dipendente da una proposizione al congiuntivo, comunque, deve far propendere per la scelta del congiuntivo.
In generale, le proposizioni oggettive possono avere anche il condizionale, anche in dipendenza da una protasi di periodo ipotetico, ma solo quando presentano un evento futuro rispetto a un altro passato (“Se avessi saputo che tu saresti voluto andare in vacanza, avrei prenotato”), oppure un evento contemporaneo, con una sfumatura di futuro (“Se sapessi che mia figlia avrebbe un vantaggio a seguire un corso di informatica, la iscriverei subito”).
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Nel discorso diretto si dice:  “Il mio capo mi ordinò: lavora di più”. Ora, nel discorso indiretto è preferibile dire: “Il mio capo mi ordinò che lavorassi di più” oppure “Il mio capo mi ordinò di lavorare di più”?  E comunque, sono entrambe corrette?

 

RISPOSTA:

​Entrambe le varianti sono corrette, ma la seconda è preferibile. Quest’ultima, infatti, si giova del fatto che i verbi di comando, permissione, divieto (ordinarepermetterevietare…) richiedono la subordinata implicita nel caso in cui il suo soggetto coincida con il destinatario del comando, del permesso, del divieto (e, al contrario, non la ammettono se il soggetto coincide con il soggetto della reggente, che è l’emittente del comando ecc.); ad esempio, nella frase “Il padre ha vietato a Luca di uscire la sera”, il soggetto di uscire è senza dubbio Luca, che è il destinatario del divieto, non il padre, che è il soggetto della reggente e l’emittente del divieto.
Si tratta di una eccezione alla regola generale secondo cui il soggetto della proposizione subordinata implicita coincide sempre con quello della reggente; per questo motivo, in “Sogno di andare in vacanza” il soggetto di andare non può che essere io, ovvero il soggetto di sogno; al contrario, se il soggetto della proposizione subordinata non coincide con quello della reggente, la proposizione implicita deve essere sostituita da una esplicita: “Sogno che i miei vicini di casa vadano in vacanza”.
Con i verbi d comando ecc. la reggenza esplicita è fortemente innaturale, e accettabile solamente per alcuni, come ordinare (ma non, ad esempio, vietare: *”Il padre ha vietato a Luca che uscisse la sera”).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Vorrei chiedervi la cortesia di analizzare il periodo “È caduto, facendosi male”. Il mio dubbio riguarda il valore da attribuire a “facendosi male”. Grazie anticipatamente della vostra risposta.

 

RISPOSTA:

Il periodo da lei proposto è formato da una proposizione principale (“È caduto”) e da una proposizione subordinata di tipo modale, che indica la conseguenza della caduta (“facendosi male”). Potremmo concedere alla subordinata anche un valore di tipo consecutivo (“facendosi male” = “così da farsi male”).

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

“(Se tu fossi qui), non sapresti con chi ti toccherebbe parlare” è giusta o sarebbe meglio preferirle soluzioni come “(Se tu fossi qui), non sapresti con chi ti tocchi/tocca parlare” o “(Se tu fossi qui), non sapresti con chi ti toccherà parlare”?

 

RISPOSTA:

L’unica soluzione possibile è la prima, per ragioni non strettamente grammaticali, ma prima di tutto logiche: la situazione configurata dal periodo ipotetico (“Se tu fossi qui, non sapresti”) che fa da premessa alla interrogativa indiretta (“con chi ti toccherebbe parlare”), infatti, impedisce di immaginare come fattuale, quindi all’indicativo (presente o futuro), la presenza della persona con cui il soggetto dovrebbe parlare. Anche nel caso di “non sapresti con chi ti tocchi parlare”, in realtà, emerge lo stesso problema, visto che il congiuntivo presente rappresenta la variante più formale dell’indicativo, a cui aggiunge una sfumatura di eventualità ininfluente sull’accettabilità della forma.

Raphael Merida

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

La frase “continuerai a farti scegliere” si può considerare una forma passiva?

 

RISPOSTA:

La costruzione farti scegliere non è passiva, bensì causativa o fattitiva. La invito a interrogare l’archivio delle domande di DICO con la parola chiave fattitiv per vedere altri esempi a cui abbiamo risposto nel tempo.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Si dice comunemente, ad esempio: “E’ mezzogiorno e un quarto”. Dato che la congiunzione designa un soggetto plurale, la concordanza non stabilirebbe l’uso del verbo “sono”?
“Sarebbe bello incontrarci” o “incontrarsi” nel senso di “sarebbe bello che noi ci incontrassimo”?

 

RISPOSTA:

Mezzogiorno e un quarto è considerato un’entità unica, anche se è identificata linguisticamente da un’espressione con la congiunzione e: per questo si concorda con il verbo al singolare. Espressioni che si comportano allo stesso modo sono pane e formaggio, tira e molla e simili.
“Sarebbe bello incontrarci” e “sarebbe bello incontrarsi” sono varianti della stessa frase che non hanno la stessa accettabilità: il primo caso è meno corretto, perché incontrarci, essendo infinito, richiede identità di soggetto con la proposizione reggente, che è, invece, impersonale. Il secondo caso, al contrario, mantiene correttamente l’impersonalità anche nella subordinata all’infinito.
Bisogna comunque considerare che la variante incontrarci ha il vantaggio di specificare chi si dovrebbe incontrare, risultando più amichevole, laddove incontrarsi è più distaccata, per via dell’impersonalità. In un contesto colloquiale, pertanto, la variante più scorretta sarà preferita e, tutto sommato, accettabile; in un contesto più formale e sostenuto, invece, è preferibile quella sintatticamente corretta.
Una terza alternativa, personale ma corretta, è la seguente: “Sarebbe bello che ci incontrassimo”; tale costruzione articolata, però, rischia di essere ancora meno apprezzata in un contesto colloquiale.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Salve, si può dire “Le cose andranno come dovranno andare” oppure si è obbligati al “…come devono andare”? 

 

RISPOSTA:

Entrambe le varianti sono corrette, ma quella con i due futuri è più formale e più precisa, perché circoscrive il secondo evento al caso specifico; quella con il presente nella proposizione comparativa è più approssimativa grammaticalmente (ma comunque non scorretta) e più generica.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

​Nella seguente frase, “La prossima estate prendi poco sole, così può essere che due neuroni ti rimangono in vecchiaia”, è più corretto usare il congiuntivo (rimangano) o l’indicativo (rimangono)?

 

RISPOSTA:

Entrambe le forme sono corrette. Bisogna precisare che l’alternanza tra indicativo e congiuntivo contrassegna i diversi contesti d’uso: nell’esempio proposto, si presume una profonda familiarità con la persona, quindi un contesto informale, che induce all’uso dell’indicativo. La scelta del congiuntivo, invece, è da preferire in contesti di alta formalità (ma raramente si direbbe questa frase in un contesto formale).

La invito a interrogare l’archivio delle domande di DICO con le parole chiave congiuntiv e indicativ, per vedere altri esempi a cui abbiamo risposto nel tempo.

Raphael Merida

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Premettendo che mi riferisco a situazioni informali e colloquiali (discorsi a voce o messaggi whatsapp ad esempio), e non a situazioni quali temi scolastici, relazioni di lavoro o comunque elaborati scritti, vorrei porvi il seguente quesito: frasi come “Abbiamo fatto tardi, meglio che non c’eri”, o “Pensa se non nascevi”, o “L’accordo era che tu venivi sabato e io ti sostituivo lunedì” sono corrette o comunque utilizzabili in luogo del sicuramente più opportuno congiuntivo, o anche nelle situazioni più easy non vanno usate?

RISPOSTA:

​L’uso dell’indicativo imperfetto in luogo del congiuntivo trapassato (“Pensa se non nascevi” = “Pensa se tu non fossi nato”) e del condizionale passato (“L’accordo era che tu venivi sabato e io ti sostituivo lunedì” = “L’accordo era che tu saresti venuto sabato e io ti avrei sostituito lunedì”) è molto comune nella lingua comune ed è da considerarsi accettabile in contesti di parlato informale e anche mediamente formale. Nello scritto anche mediamente formale, invece, è preferibile usare la struttura standard.
Le faccio notare che nella frase “Meglio che non c’eri” l’indicativo imperfetto è effettivamente il tempo richiesto; non sarebbe possibile sostituirlo con ci fossi stato.
​Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Spettabile redazione, mi piacerebbe approfondire l’uso dei verbi che accompagnano “prima che”. Sono abituata a usare esclusivamente il congiuntivo imperfetto, quando nella principale noto un tempo passato, ma recentemente ho letto questa frase: “Era scesa dall’auto prima che avesse chiuso lo sportello”. È giusta o sarebbe meglio “chiudesse lo sportello”?
A mano a mano che scrivo sono sopraffatta da altre incertezze:
“Sarebbero trascorsi anni prima che avessero trovato (o trovassero) un lavoro”?
“Trascorreranno anni prima che troveranno (o trovassero o trovino) un lavoro”?

RISPOSTA:

​Partiamo da una indicazione implicata dalla sua domanda, anche se non risolve il suo dubbio: le subordinate con identità di soggetto con la reggente preferiscono, e a volte richiedono obbligatoriamente, l’infinito. Quindi, la forma migliore per la prima frase è “Era scesa dall’auto prima di chiudere lo sportello”. Detto questo, mettiamo il caso che il soggetto della subordinata temporale sia diverso da quello della reggente (ad esempio “Era scesa dall’auto prima che lo sportello si fosse chiuso”), il congiuntivo trapassato è corretto al pari dell’imperfetto (“Era scesa prima che lo sportello si chiudesse”). Del resto, anche nella versione con l’infinito è ammessa la variante “Era scesa dall’auto prima di aver chiuso lo sportello”. La consecutio temporum vorrebbe in questo caso l’imperfetto (e l’infinito presente) nella subordinata, visto che l’evento della reggente e quello della subordinata sono contemporanei nel passato (contemporanei grosso modo, ma sufficientemente per rientrare in questa fattispecie). Il trapassato, però, svolge qui una funzione non solo temporale, ma anche aspettuale, perché sottolinea il completamento dell’evento o dell’azione; con il trapassato, cioè, si sottolinea che l’evento riferito dalla subordinata non si era ancora concluso quando era avvenuto l’altro evento riferito nella reggente, o, in altre parole, l’evento della principale era avvenuto prima che quello della subordinata si fosse concluso. Nel suo esempio, la donna era scesa dall’auto prima che la portiera avesse finito di chiudersi.
La seconda frase è ben formata in entrambe le versioni; per comprenderla pienamente, però, è bene esplicitare la reale principale, qui implicita, che giustifica il condizionale passato sarebbero trascorsi. La frase potrebbe essere, per esempio, “Disse / sapemmo / pensai / sembrò che sarebbero trascorsi anni prima che avessero trovato / trovassero un lavoro”. In questo caso, con il trapassato non solo si sottolinea la mancata conclusione dell’evento (chiamiamolo evento 2), ma si mantiene la prospettiva del momento dell’evento (evento 1): il trovare lavoro (evento 2), cioè, è visto in relazione al passare degli anni (evento 1); con l’imperfetto, invece, si torna alla prospettiva del momento dell’enunciazione, per cui trovassero è contemporaneo nel passato a disse.
La forma migliore per la terza frase è “Trascorreranno anni prima che trovino un lavoro”, perché prima che richiede sempre il congiuntivo e questo modo usa il presente per designare eventi futuri. Le altre varianti sono scorrette.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vi propongo un breve elenco di frasi che mi è capitato di leggere o sentire in TV. Ho inserito tra parentesi le mie varianti. Vi sarei grata se per ognuno dei casi proposti mi esponeste la vostra opinione.
1. Peccato tu non abbia comprato il costume: avresti potuto indossarlo quando fossi andata al mare.
2. Se verrai a trovarmi, potresti fermarti a pranzo. (Se venissi a trovarmi, potresti fermarti a pranzo oppure Se verrai a trovarmi, potrai fermarti a pranzo.)
3. Ho telefonato poco fa al negozio per sapere se nel pomeriggio sono/saranno aperti. (Ho telefonato poco fa al negozio per sapere se nel pomeriggio sarebbero stati aperti.)
4. Se fossero stati amici, oggi, durante il pranzo, avrebbero parlato di più. (Se fossero amici, oggi, durante il pranzo, avrebbero parlato di più.)
5. Probabilmente, entro tutto il prossimo mese i lavori agli scavi finiranno. (Probabilmente, entro tutto il prossimo mese i lavori agli scavi saranno finiti.)
6. I testi non dovranno mai essere stati pubblicati, anche in antologia o su piattaforme online. (I testi non dovranno mai essere stati pubblicati, neppure in antologia né su piattaforme online.)
7. Verrò volentieri a cena, a meno che non debba presentarmi alle 6 o alle 7 (Verrò volentieri a cena, a meno che non debba presentarmi alle 6 né alle 7 oppure […] non debba presentarmi né alle 6 né alle 7.)
8. Se venisse qui, non saprebbe neppure con chi avrebbe a che fare.

RISPOSTA:

​Nell’ordine:
1. è ben formata. Interessante è la congiunzione quando, qui equivalente a qualora, che introduce una proposizione temporale-ipotetica, coincidente con la protasi del periodo ipotetico composto insieme all’apodosi “avresti potuto indossarlo”.
2. Le tre varianti sono tutte valide. La prima è descrivibile come periodo ipotetico misto, con l’apodosi al condizionale passato e la protasi all’indicativo. I tre tipi “canonici” di periodo ipotetico, realtà, possibilità, impossibilità, non devono essere considerati gli unici possibili: l’incrocio tra essi è una risorsa sfruttabile al fine di esprimere varie sfumature di significato. In questo caso specifico, l’apodosi al condizionale, invece che all’indicativo, serve a formulare un invito, mentre la variante “potrai fermarti a pranzo” esprime solamente l’astratta possibilità che ciò avvenga e suona meno accogliente. Il periodo ipotetico della possibilità (“se venissi… potresti fermarti”), invece, mantiene l’aspetto di invito dell’apodosi, ma sposta la protasi dall’indicativo al congiuntivo, rendendola più dubbiosa. Questa formulazione indica che l’emittente non vuole sbilanciarsi riguardo alla possibilità che l’evento si realizzi, o perché non ci tiene, o perché vuole lasciare piena libertà di scelta al ricevente (quindi come forma di cortesia).
3. Vanno bene entrambe le varianti. Quella con il presente è meno formale.
4. Vanno bene entrambe le varianti. La prima (“Se fossero amici… avrebbero parlato di più”) è un periodo ipotetico misto; la protasi al congiuntivo imperfetto esprime una sfumatura di dubbio riguardo al fatto che le due persone siano effettivamente amici, e che, quindi, non si siano parlate per qualche ragione ignota. Diversamente, la protasi al congiuntivo trapassato dà per presupposto che i due non siano amici.
5. Dicasi lo stesso che per la frase 3. Qui il futuro semplice è meno formale. Mi concentrerei, però, su “entro tutto il mese prossimo”, che sostituirei con “entro la fine del mese prossimo”.
6. La variante da lei proposta è migliore, perché più chiara, sebbene non si possa dire che l’altra sia errata. L’italiano tollera bene la doppia negazione, e la preferisce in casi ambigui, quindi per coordinare una proposizione negativa a un’altra pure negativa è preferibile neanche o neppure, rispetto a anche. Una volta sostituito anche con neanche o neppure, la congiunzione o può rimanere oppure essere sostituita da .
7. Qui non è in gioco la coordinazione, quindi la prima frase va bene. Anche la seconda va bene: come detto per la frase 6, se la negazione della proposizione è chiara, o e  sono quasi intercambiabili. Nella terza, la doppia negazione “a meno che non debba presentarmi né alle 6…” suona eccessivamente esplicita: la eviterei.
8. Ben formata.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Egregi linguisti, vi sottopongo alcune proposizioni temporali per ricevere, se possibile, relativi chiarimenti.

“Vi invito a tacere finché non sarà stato scoperto il colpevole”.

Vi domando se le costruzioni con il futuro semplice (scopriremo), con il congiuntivo passato (sia (stato) scoperto) e il passato prossimo (abbiamo scoperto) sarebbero comunque corrette.

“È diventato ipocondriaco dopo che è stato ricoverato in ospedale”.

Al riguardo vi domando se la subordinata temporale introdotta dalla congiunzione dopo che non richieda, a prescindere dal contesto, un tempo verbale anteriore rispetto a quello che regge la principale. In tal caso, l’esempio succitato sarebbe scorretto.

RISPOSTA:

​Per quanto riguarda la prima frase, tutte le forme verbali proposte sono accettabili: i futuri si giustificano in rapporto al momento dell’enunciazione, che è presente (come abbiamo scritto più volte – la invito, in proposito, a guardare le risposte etichettate con consecutio temporum nell’archivio di DICO –, il futuro anteriore è oggi sostituibile sempre con il futuro semplice quando ha valore temporale); i tempi passati, congiuntivo e indicativo, invece, si giustificano in rapporto al momento dell’azione del tacere, che è successivo a quello dello scoprire. La consecutio temporum ci consente di scegliere tra le due opzioni senza che si possa dire quale sia la più corretta o la più formale. La formalità entra in gioco nella scelta tra il futuro semplice (meno formale) e anteriore (più formale) e tra il congiuntivo passato (più formale) e l’indicativo passato prossimo (meno formale).
Il problema con la seconda frase riguarda prima di tutto il modo, non il tempo. Quando la proposizione reggente e la subordinata hanno lo stesso soggetto è quasi sempre preferibile, e in alcuni casi obbligatorio, costruire la subordinata con l’infinito. La forma migliore per la frase è, infatti: “È diventato ipocondriaco dopo essere stato ricoverato in ospedale”; in questo modo si evita l’ambiguità del soggetto del verbo della subordinata: se lasciamo “dopo che è stato ricoverato” il lettore è portato a pensare che la persona ricoverata non sia la stessa che è diventata ipocondriaca. In questo modo si risolve anche il problema della consecutio, perché l’infinito passato instaura un rapporto di anteriorità rispetto al verbo della reggente. Se, invece, manteniamo l’indicativo, ipotizzando una frase in cui non c’è identità di soggetto (“Luca è diventato ipocondriaco dopo che la moglie è stata ricoverata in ospedale”), dobbiamo fare i conti con la semantica del passato prossimo in questa specifica frase, che indica uno stato iniziato nel passato, ma persistente nel presente. Data l’indeterminatezza tra passato e presente di questo stato di cose, siamo portati a mantenere anche l’altra azione sullo stesso piano temporale. Si potrebbe dire che questa indeterminatezza fa subentrare il punto di vista del momento dell’enunciazione, che è presente, rispetto al quale lo stato della reggente e l’azione della subordinata sono sullo stesso piano, a metà tra passato e presente.
Diversamente, se avessimo usato il passato remoto, che indica il momento in cui avviene l’azione o insorge lo stato, la consecutio temporum sarebbe stata più netta: “Luca divenne ipocondriaco dopo che la moglie era stata ricoverata”. Anche in questo caso, comunque, l’uso dello stesso tempo nella reggente e nella subordinata, governato dal punto di vista del momento dell’enunciazione, è legittimo: “Luca divenne ipocondriaco dopo che la moglie fu/venne ricoverata”).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

a) “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno che mi direbbe cosa fare” oppure “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno che mi dicesse/dica cosa fare”?

b) “Non è concesso astio” o “Non è concessa rabbia”?

c) “La prossima volta che tu o qualunque altro uomo ti avvicinerai a me…” o “La prossima volta che tu o qualunque altro uomo vi avvicinerete a me…”?

d) “Non è venuto Mario, né i suoi genitori” o “Non è venuto Mario, né sono venuti i suoi genitori”?

e) “Quando Marco ha saputo che quell’uomo è un ufficiale, ha pensato subito alle ripercussioni che la notizia poteva determinare” oppure “Quando Marco ha saputo che quell’uomo è un ufficiale, ha pensato subito alle ripercussioni che la notizia avrebbe potuto/potrà/potrebbe determinare”?

f) “Se (domani) non fossi stato impegnato, ti avrei accompagnato io (domani) al concerto”.

g) “Potrai consumare i ticket quando metterai di nuovo piede in quel locale” oppure “Potrai consumare i ticket quando mettessi di nuovo piede in quel locale”?

 

RISPOSTA:

a) La frase “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno che mi direbbe cosa fare” è corretta, perché la proposizione relativa introdotta da che è attratta nello stesso modo (condizionale) della reggente (“non ci sarebbe nessuno”). La proposizione relativa restrittiva rappresenta un’espansione che qualifica in qualche modo il referente (in questo caso nessuno): è normale, quindi, che venga costruita con lo stesso modo della reggente quando quest’ultima proposizione è all’indicativo o al condizionale.
La variante con il congiuntivo presente, e persino quella con l’indicativo presente, nella relativa non sono scorrette, sebbene suonino innaturali per via della forte attrazione del condizionale della reggente. La relativa, infatti, può effettivamente prendere il congiuntivo per esprimere una qualche sfumatura semantica, per esempio epistemica (se chi parla non è certo di ciò che sta dicendo: “Non c’è mai nessuno che mi aiuti quando mi serve”). Nella frase “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno che mi dica cosa fare” il congiuntivo esprime una sfumatura volitiva rispetto alla situazione reale, come se fosse “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno, come invece, per mia fortuna, c’è, che mi dica cosa fare”. Rispetto a questa frase, l’indicativo esprimerebbe la fattualità della presenza del consigliere: “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno, come invece c’è, che mi dice cosa fare”. Il significato cambia pochissimo rispetto alla versione con il congiuntivo presente, ma la costruzione è meno formale.
Il congiuntivo imperfetto, a sua volta, esprimerebbe una volizione più ipotetica: “Se fossi solo, non ci sarebbe nessuno, come io vorrei, che mi dicesse cosa fare”. La frase così costruita suggerisce che il consigliere non c’è, diversamente dalle altre varianti, che danno il consigliere come esistente.

b) Tanto “Non è concesso astio” quanto “Non è concessa rabbia” sono combinazioni libere, cioè non cristallizzate nell’uso (come, ad esempio “guardare con astio” o “sfogare la rabbia”); le due varianti, pertanto, vanno considerate ugualmente valide e la scelta dell’una o dell’altra va valutata in base alla sfumatura di significato che distingue i due sinonimi astio e rabbia, ma anche in base al fatto che astio è meno comune, più ricercato di rabbia.

c) Sicuramente da preferire la sua variante. Nel caso di più soggetti di terza persona uniti dalla congiunzione o, il verbo può concordare con uno solo oppure con tutti: “Se Luca o qualcun altro si avvicina/si avvicinano mi metto a urlare”). Nella sua frase, però, il cambio di persona tra il primo e il secondo soggetto rende molto forzata la concordanza con uno solo dei due, che esclude l’altro. La concordanza alla seconda persona plurale risolve il problema: “La prossima volta che tu o qualunque altro uomo vi avvicinerete a me…”.

d) La ripetizione del verbo ogni volta che cambia la persona del soggetto è la scelta più corretta e formale; un’altra alternativa ugualmente corretta, che permette di risparmiare la ripetizione, è “Non sono venuti né Mario, né i suoi genitori”, che riunisce entrambi i soggetti nella terza persona plurale (allo stesso modo della frase precedente “Se Luca o qualcun altro si avvicinano mi metto a urlare”). Molto comune è, comunque, la concordanza implicita con solo il primo dei soggetti, favorita dalla correlazione tra le congiunzioni né… né, che non lasciano dubbi sul fatto che il secondo sintagma nominale abbia la stessa funzione del primo (sia, quindi, un altro soggetto). Questa soluzione è più sbrigativa, ma, ovviamente, meno formale.

e) La variante corretta e più formale è il condizionale passato (avrebbe potuto), che esprime il futuro nel passato. La variante con l’imperfetto indicativo (poteva) è anche corretta (perché l’imperfetto ha, tra le sue funzioni, anche quella di esprimere il futuro nel passato), ed è di gran lunga la più comune, ma è meno formale. Le altre non sono valide.

f) Se ho ben capito, questa domanda riguarda il posto migliore nel quale inserire l’avverbio di tempo. Le due varianti sono ugualmente ben formate e quasi identiche in quanto al significato. Sarebbe superfluo, invece, ripeterlo in entrambe le proposizioni.

g) Le frasi sono ben formate, ma non equivalenti per il significato. Se manteniamo tutto all’indicativo il periodo risulta costruito con una proposizione principale e una subordinata temporale. Se, però, inseriamo il congiuntivo nella subordinata, la funzione di quando passa da temporale a ipotetica (la congiunzione diviene, cioè, assimilabile a se), trasformando tutta la frase in un periodo ipotetico. La proposizione principale, “Potrai consumare i ticket”, diviene, pertanto, l’apodosi, e “quando (tu) mettessi/metta di nuovo piede in quel locale” diviene la protasi. L’apodosi all’indicativo di solito richiede il congiuntivo presente nella protasi, che, infatti, risulta l’opzione migliore anche in questo caso: “Potrai consumare i ticket quando tu metta di nuovo piede in quel locale”. Il congiuntivo imperfetto è possibile, ma un po’ forzato: “Potrai consumare i ticket quando tu mettessi di nuovo piede in quel locale” indicherebbe che la possibilità remota del ritorno del soggetto nel locale comporterebbe la certezza della consumazione dei ticket. Con il congiuntivo imperfetto, infatti, sarebbe più atteso il condizionale nell’apodosi: “Potresti consumare i ticket quando tu mettessi di nuovo piede in quel locale”.
Si noti che davanti alla seconda persona del congiuntivo presente e imperfetto va sempre esplicitato il soggetto tu, altrimenti il ricevente è indotto a credere che il verbo sia alla prima o alla terza persona: nel congiuntivo presente, infatti, le prime tre persone coincidono; nell’imperfetto coi

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se i quattro periodi elencati di seguito possono essere giudicati corretti (o comunque accettabili) e, tra questi, qual è il più idoneo a un linguaggio sorvegliato:

1. Se domani non sarò a casa per le 8, vorrà dire che mi avranno trattenuto all’allenamento.

2. Se domani non sarò a casa per le 8, vuol dire che mi avranno trattenuto all’allenamento.

3. Se domani non sarò a casa per le 8, vorrà dire che mi hanno trattenuto all’allenamento.

4. Se domani non sarò a casa per le 8, vuol dire che mi avranno trattenuto all’allenamento.

Vi domando inoltre – rimanendo in tema di sintassi – se il seguente periodo ipotetico

Se non ti avessi conosciuto, oggi sarei stato solo,

può essere definito corretto, al pari del più diffuso

Se non ti avessi conosciuto, oggi sarei solo.

In altre parole, quando l’apodosi ha, per così dire, effetti sul presente, si può comunque impiegare il condizionale composto o si è obbligati a scegliere il presente?

 

RISPOSTA:

Cominciamo dalla scelta tra vorrà e vuole nella prima domanda. In questo caso, ciò che conta maggiormente è il momento dell’enunciazione, non la relazione con il sarò della protasi: la scelta, cioè, dipende da quando si verifica l’evento rispetto al momento in cui viene prodotto l’enunciato, ovvero nel futuro. Stando così le cose, l’opzione più formale è vorrà, sebbene vuole non sia scorretto (il presente è, anzi, usato comunemente per esprimere il futuro). Per quanto riguarda il tempo da usare nella proposizione oggettiva, la scelta più formale è il passato prossimo (quindi la frase da preferire è la numero 3); il futuro anteriore (frase numero 1) è da alcuni ritenuto inaccettabile, ma io ho una posizione più moderata (può leggere in proposito questa risposta dell’archivio di DICO).
Per quanto riguarda la seconda domanda, entrambe le varianti del periodo ipotetico sono accettabili: nella prima si mantiene il rapporto temporale previsto dal periodo ipotetico dell’irrealtà, congiuntivo trapassato nella protasi, condizionale passato nell’apodosi; nella seconda si dà peso al momento dell’enunciazione, ovvero oggi, che spinge a usare il condizionale presente. Si consideri che il rapporto temporale tra la protasi e l’apodosi può essere vario: spesso dipende da una sfumatura di significato che si vuole esprimere o dal gusto dell’emittente.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “Maria è più bella oggi di ieri” abbiamo ugualmente un comparativo di maggioranza? Cioè, in questo caso, quali sono i termini di paragone?
Anche la frase “Ha bisogno di più entusiasmo” si può considerare un comparativo? 

 

RISPOSTA:

Nella frase “Maria è più bella oggi di ieri” la comparazione si instaura tra i due avverbi oggi e ieri. Si tratta, a ben vedere, di una costruzione sintetica, che consente di evitare una ripetizione: la frase completa (ma ridondante) sarebbe, infatti, “Maria è più bella oggi di quanto era bella ieri”. Questa espansione ci mostra che i due termini di paragone sono, in realtà, le due proposizioni che formano la frase: la principale “Maria è più bella oggi”, e la subordinata, detta comparativa di maggioranza, “di quanto era bella ieri”. Aggiungo che questa subordinata ammette anche il congiuntivo (“di quanto fosse bella ieri”), come soluzione più formale ed elegante.
La frase “Ha bisogno di più entusiasmo” presenta una situazione simile: il secondo termine di paragone, sottinteso, è riconoscibile in una proposizione come “di quanto ne abbia adesso”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “Questa è una giornata da sogno”, da sogno è complemento di qualità? Può trovarsi un complemento dopo il predicato nominale?
Invece nella frase: “Questa è una giornata da dimenticare”, da dimenticare è una proposizione finale o consecutiva?

 

RISPOSTA:

Se la frase fosse “Questa giornata è da sogno”, da sogno sarebbe parte nominale. Coerentemente, nella sua frase, una giornata da sogno deve essere considerato tutto parte nominale (come se dicessimo una giornata meravigliosa, o splendida, o simili).
Non sono molti i complementi che si possono agganciare al nome del predicato; un complemento che si può trovare in questa posizione è quello di specificazione: “Luca è appassionato di corse”. Più comune è, invece, l’ampliamento del nome del predicato tramite una proposizione relativa, come quella da lei presentata nella sua seconda frase: da dimenticare, infatti, corrisponde a ‘che deve essere dimenticata’, una forma di proposizione relativa implicita con un senso di obbligo (tecnicamente deontico). Con questo costrutto, formato dalla preposizione da + l’infinito, l’italiano recupera una forma verbale-nominale latina scomparsa, il gerundivo, di cui abbiamo conservato solamente qualche relitto nominalizzato: laureando ‘che si deve laureare’, agenda ‘ cose che devono essere fatte, cose da farsi’, nubendo ‘che si deve sposare’, reprimenda ‘cose che devono essere represse, cose da reprimere’ ecc.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “per essere grande di età, sembra più giovane”; ” per essere grande di età “, si può considerare complemento di limitazione?

 

RISPOSTA:

Dato che, nella frase in questione, per regge un verbo, di modo infinito, non si tratta di un complemento, bensì di una proposizione subordinata implicita, in questo caso una concessiva. Infatti, come corrispettivo esplicito, basterebbe pensare a un esempio del genere: “sebbene sia grande di età, sembra più giovane”. Un altro uso simile di per introduttore di concessiva, stavolta esplicita, è il seguente: “per grande che sia di età, sembra più giovane”. Per può introdurre anche le subordinate limitative implicite, ma con altro valore semantico. Per es.: “per essere grande, è grande”. La differenza semantica tra la limitativa e la concessiva è evidente dagli esempi citati: nella limitativa, la principale conferma l’ambito della subordinata (un equivalente, più o meno, con un complemento di limitazione sarebbe il seguente: “quanto all’età, è grande”), mentre, nella concessiva, la principale è in certo qual modo controfattuale rispetto alla subordinata, cioè la smentisce (un equivalente con un complemento sarebbe il seguente: “nonostante l’età elevata, sembra più giovane”).

Fabio Rossi

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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Gentili professori/staff di DICO, stavo trascrivendo una poesia degli inizi del Seicento dedicata alla decollazione di San Giovanni Battista. Volevo chiedere se la presenza o assenza della virgola al verso 2, dopo essangue, dia un senso diverso ai versi. “Che muto e freddo langue” si riferisce al precursore di Cristo (il Battista) o al capo esangue?

Prima versione
1 Ecco del precursore
2 Di Christo il capo essangue,
3 Che muto e freddo langue;

Seconda versione
1 Ecco del precursore
2 Di Christo il capo essangue
3 Che muto e freddo langue;

 

RISPOSTA:

Nell’italiano contemporaneo la virgola prima della proposizione relativa ha un peso importante: segnala se la proposizione sia da interpretare come limitativa o come esplicativa. La limitativa non vuole la virgola e contiene un’informazione necessaria per definire il suo referente, che si trova nella reggente; l’esplicativa, invece, separata dalla reggente dalla virgola, contiene un’informazione accessoria sul referente. Prendendo spunto dal suo caso, “ecco il capo esangue che langue” mette in evidenza, insieme al capo, la circostanza in cui questo si trova, ovvero il fatto che sia inerte; “ecco il capo esangue, che langue”, invece, indirizza l’attenzione sul capo esangue, aggiungendo solo in un secondo momento l’informazione della circostanza in cui si trova. In entrambi i casi, comunque, non ci sono dubbi sul fatto che il referente del relativo sia il capo e non del precursore.
La distinzione tra i due tipi di relativa, ripeto, vale per l’italiano contemporaneo; fino a metà Novecento non era così netta. Se andiamo indietro nel tempo, poi, addirittura al Seicento, non possiamo contare sui segni di interpunzione per arrischiare interpretazioni sottili sul senso dei testi, perché i segni erano usati con una certa libertà, e soprattutto con forti differenze stilistiche da autore ad autore. Per i testi antichi, inoltre, c’è il problema della tradizione da considerare: prima di scegliere se mettere o no una virgola dobbiamo accertarci che quella fosse davvero l’intenzione dell’autore, e non una scelta, o un errore, di un copista o di un tipografo invadente o poco attento. Raramente possiamo avere la certezza per dettagli così minuti come le virgole, e ci dobbiamo affidare a congetture o ai testimoni più affidabili. A maggior ragione, quindi, dobbiamo resistere alla tentazione di attribuire significati specifici a questi tratti.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Cadendo dal tavolo la penna ha macchiato il tappeto”: nell’analisi del periodo,”cadendo dal tavolo” è una subordinata modale o strumentale?

 

RISPOSTA:

Il gerundio dipendente può assumere molte funzioni, tra le quali quella modale e quella strumentale sono le più comuni. Questo modo verbale, però, sfugge a una interpretazione univoca: quasi sempre assomma in sé contemporaneamente almeno due funzioni.
Come si evince dal nome, quando ha funzione modale, il gerundio rappresenta la trasposizione verbale di un complemento di modo: “Mi venne incontro sorridendo” (‘… con un sorriso’); quando ha funzione strumentale, invece, il gerundio ricalca un complemento di mezzo: “Mi sono fatto largo tra la folla sgomitando” (‘… per mezzo dello sgomitare’).
Può capitare che le due funzioni siano compresenti nello stesso gerundio; in questo caso si dice che esso ha funzione modale-strumentale: “Mentre il sindaco, Gianni Alemanno, stava parlando dal palco, un gruppo di ragazzi ha iniziato a contestarlo denunciando il mancato coinvolgimento dei comitati di quartiere” (repubblica.it, 2011) (‘…per mezzo della denuncia…’, ma anche ‘… con un atteggiamento di denuncia…’).
Come si può vedere dagli esempi, infine, nel gerundio modale è spesso presente una sfumatura temporale: “Mi venne incontro sorridendo” può anche essere parafrasato con ‘Mi venne incontro mentre sorrideva’.
Venendo al suo caso, “Cadendo dal tavolo” si potrebbe interpretare come strumentale, non modale (‘con la / attraverso la / per mezzo della caduta dal tavolo…’). Più convincente, però, mi sembra l’interpretazione causale, con una sfumatura temporale: ‘A causa del fatto che è caduta dal tavolo…’, ma anche ‘Dopo che è caduta dal tavolo…’. Questo gerundio rappresenta, se vogliamo, quella che in latino era una proposizione narrativa (quella costruita con cum + congiuntivo).
Fabio Ruggiano

 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“Non so come possa ricompensarti per tutto ciò che hai fatto per me”. “Che hai fatto per me”, nell’analisi del periodo, è una subordinata relativa o dichiarativa? Non riesco a capirlo. Grazie in anticipo.

 

RISPOSTA:

La proposizione è relativa. Che è pronome relativo e ciò ne rappresenta l’antecedente. Sarebbe stata una dichiarativa se che fosse stata una congiunzione, collegata al verbo della reggente, non a un pronome: “Non posso tollerare ciò: che tu mi manchi di rispetto”. Più comune di ciò, come pronome che anticipa una dichiarativa, è questo : “Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzitutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro” (Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, 1989, p. 382).

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Non ha hobby, fuorché andare a ballare”. A ballare va analizzato insieme ad andare o sono separati? Nel caso in cui andassero analizzati separatamente, a ballare è una proposizione finale?

 

RISPOSTA:

“A ballare” è una proposizione finale, subordinata alla reggente, nella quale figura il verbo andare. Diversamente, l’infinito non sarebbe stato da considerare una proposizione a sé stante se fosse stato parte della perifrasi andare a + infinito, come nell’espressione piuttosto comune “andare a vivere insieme”. In tale perifrasi, il verbo andare perde il suo significato proprio di ‘dirigersi in un luogo’ e assume un valore temporale-aspettuale: conferisce, cioè, al verbo all’infinito una sfumatura relativa alla fase di realizzazione dell’azione da esso espressa. Quale sia questa fase è chiaro: la formula “andare a vivere insieme”, infatti, significa ‘stare per cominciare la convivenza’; la fase, dunque, è quella appena precedente alla realizzazione. Lo stesso vale per la frase fatta “andare a finire”: “Lo sapevo che andava a finire male” significa ‘… che stava per finire male’.
La perifrasi può anche essere imperativa: “Finché simulavo la saggezza, mi sentivo pazzo. Abbandonandomi alla follia, mi sento savio. Andate a spiegare una cosa simile” (Achille Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, 1974, p. 110). L’imperativo impedisce l’interpretazione temporale-aspettuale (sarebbe come dire *’stiate sul punto di spiegarlo’) e induce, invece, a interpretare l’espressione come ‘provate a spiegare…’. Questa interpretazione opera anche nell’espressione vattelappesca, ovvero ‘vattelo a pescare’, quindi ‘prova a pescartelo’.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Vorrei chiedere chiarimenti sull’uso dell’imperfetto. Propongo alcune situazioni a titolo esemplificativo.

1. Sei ingrassato.
2. Mangiavo come un lupo.

(Usando un imperfetto, ritengo che il mio interlocutore capisca che mi riferisco ad un momento particolare del passato oramai concluso – ad esempio, durante le vacanze – e che ora sono tornato a mangiare con più moderazione. Tuttavia mi chiedo se sia necessario fornire un contesto più ampio per giungere alla conclusione da me prospettata. Me lo chiedo perché normalmente l’imperfetto si concentra più sull’aspetto dell’azione / situazione che non sulla sua conclusione o interruzione.)

La giornata era bella, splendeva il sole, ma faceva freddo.

(Pensate che un qualunque parlante italiano interpreterà questa frase in senso univoco, anche in mancanza di contesto? Ossia capirà che si tratta di una giornata qualunque del passato, con momenti conclusisi in quel passato vicino o lontano?)

Mio figlio faceva sempre colazione con pane e burro.

(Si tratta, in questo caso, di un’abitudine risalente al passato ed interrotta, anche se il parlante non ha sentito la necessità di specificare il momento dell’interruzione?)

Mi hanno detto che eri [ma anche: “che sei”] qui e sono venuto.

(E’ coretto dire che in questo caso l’imperfetto non esprime un evento passato ma una situazione che perdura ancora al presente? Infatti l’imperfetto potrebbe essere sostituito dal presente. Si tratta delle cosiddette “frasi completive”?)

1. Mi hanno detto che eri sposato con un’americana.
2. Sì, e lo sono ancora.

(Mi chiedo: se la persona a cui mi rivolto risponde “Sì, e lo sono ancora”, significa che ha percepito dal tono di voce leggermente ascendente sulla secondaria la mia convinzione che non lo fosse più? Altrimenti mi sarei espresso usando il presente: “Mi hanno detto che sei sposato con un’americana”.)

 

RISPOSTA:

La risposta al primo dubbio sull’imperfetto è sì: “Mangiavo come un lupo” è chiaramente un’azione passata; è vero, infatti, che l’imperfetto indichi un’azione durativa, o reiterata, ma pur sempre nel passato. Questo vale quando, come nel suo caso, l’imperfetto abbia valore temporale. Va detto, però, che nell’italiano colloquiale l’imperfetto può avere anche valore modale (funzionare, cioè, come un modo), non temporale, ed essere pertanto svincolato dal riferimento al passato: può rappresentare, ad esempio, un’azione presente come forma di cortesia: “Volevo chiederti un favore”; oppure addirittura un’azione futura, nel caso questa sia stata già decisa: “Te l’ho detto che domani andavo a fare la spesa”.
Anche nel secondo e nel terzo esempio (“La giornata era bella, splendeva il sole, ma faceva freddo” e “Mio figlio faceva sempre colazione con pane e burro”) l’imperfetto ha valore temporale, quindi rappresenta situazioni passate. A proposito di “La giornata era bella…”, aggiungo che la giornata in questione non è una giornata qualunque: l’articolo determinativo, infatti, indica che il parlante ha già introdotto questo tema nel discorso o pensa che l’interlocutore possa recuperarlo nella sua memoria.
Per quanto riguarda “Mi hanno detto che eri [ma anche: “che sei”] qui e sono venuto”, la proposizione “che eri qui” è effettivamente una completiva, e più precisamente una oggettiva (rappresenta il complemento oggetto espanso del verbo dire). Diversamente dagli esempi precedenti, quindi, l’imperfetto si trova in una proposizione dipendente: sostanzialmente, però, la situazione non cambia, perché quando la completiva è all’indicativo la scelta del tempo è scarsamente vincolata alla consecutio temporum. La versione con l’imperfetto rientra nei casi visti sopra: anche qui l’imperfetto indica un’azione durativa nel passato; la versione con il presente, invece, è impossibile, non per il tempo verbale (posso dire, infatti, “Mi hanno detto che sei bravo a cucinare e sono venuto a provare la tua pasta alla carbonara”), ma per il senso generale della frase: una volta vista una persona è illogico ribadire che questa sia nel luogo dove è. Prendiamo un esempio possibile anche al presente: “Mi hanno detto che sei bravo a cucinare e sono venuto a provare la tua pasta alla carbonara” indica sicuramente che la bravura di cui si parla è presente; in questo caso la proposizione coordinata ha senso perché il parlante non può essere sicuro che l’informazione sia veritiera (diversamente dal suo esempio, nel quale il fatto stesso che la conversazione avvenga implica che l’informazione fosse veritiera). “Mi hanno detto che eri bravo a cucinare” indica, invece, che la bravura è venuta meno. In quest’ultima frase l’imperfetto può anche assumere una sfumatura ironica (che emergerebbe solo con una pronuncia ammiccante), come se si intendesse dire: “Mi hanno detto che eri bravo a cucinare e voglio vedere se lo sei ancora”. Anche così, comunque, l’imperfetto manterrebbe il suo valore temporale.
Infine, nell’ultimo esempio l’intonazione non cambia il senso della frase: in ogni caso l’imperfetto indica un’azione passata. In questo caso l’imperfetto potrebbe avere la funzione secondaria di veicolare una sfumatura di cortesia: se il parlante non fosse sicuro del perdurare del matrimonio, con l’imperfetto si metterebbe al riparo dalla brutta figura, come se dicesse: “Mi hanno detto che eri sposato con un americana, ma non sono sicuro che tu lo sia ancora”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Se dicessi “Io penso che dio esiste”, convinto della sua esistenza, sarebbe corretto? Con verbi come penso e credo posso usare il presente indicativo se affermo ciò di cui non ho dubbi?

 

RISPOSTA:

L’indicativo nella proposizione oggettiva (“che Dio esiste”) è corretto, sebbene meno formale del congiuntivo (“che Dio esista”). La differenza tra indicativo e congiuntivo, in effetti, è soprattutto di natura diafasica, ovvero di maggiore o minore formalità: la sfumatura epistemica (relativa al grado di certezza dell’emittente sull’affermazione) veicolata dal congiuntivo in questa frase è, invece, impercettibile. Per un approfondimento sulla questione, la rimando a questa risposta data alla domanda di un altro utente.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Buongiorno, nella frase: “Ho pensato che avrei fatto meglio a prendere l’ombrello”, “ho pensato” è la principale, “che avrei fatto meglio” è la subordinata oggettiva, mentre “a prendere l’ombrello potrebbe essere un’altra oggettiva? Grazie.

 

DOMANDA:

La proposizione è una ipotetica costruita implicitamente (cioè con un modo indefinito), parafrasabile con “se avessi preso l’ombrello”. Rappresenta la protasi che completa il periodo ipotetico dopo l’apodosi “che avrei fatto meglio”. Non è insolito, infatti, che l’apodosi di un periodo ipotetico sia a sua volta una proposizione subordinata.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Punteggiatura, Sintassi

QUESITO:

Egregi professori, vorrei sapere se l’analisi di questo periodo è esatta: 
Mentre ero solo: sec 1^ gr.;
ho pensato: principale;
Che devo chiarire la questione con te: sec.ogg.1^grado;
Perciò parliamone: coord.alla principale.

 

RISPOSTA:

l’analisi è corretta. Volendo aggiungere qualche dettaglio, possiamo ricordare che “mentre ero solo” è una proposizione temporale e che “perciò parliamone” è coordinata senza congiunzioni, ovvero coordinata per asindeto, oppure giustapposta
Va anche detto che questa proposizione coordinata deve essere congiunta al resto della frase con un punto e virgola (una virgola non sarebbe la scelta giusta), visto il brusco cambiamento di prospettiva comportato dal connettivo conclusivo perciò. In alternativa, la giustapposta si può anche separare dal resto con un punto fermo, trasformandola in un periodo a sé stante (e facendole, così, assumere un maggiore peso informativo).
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

È corretto dire “volevo vedere come lo facessi”?

 

RISPOSTA:

La proposizione interrogativa indiretta (“come lo facessi”) retta da un verbo di percezione affermativo (vedere) è costruita normalmente con l’indicativo. La costruzione più comune della sua frase, pertanto, è “volevo vedere come lo facevi”. 
C’è da dire, però, che la variante con il congiuntivo non è scorretta, bensì insolita: è resa accettabile dalla sfumatura volitiva del verbo reggente; può, dunque, usarla, soprattutto in un contesto scritto e di alta formalità. È bene sottolineare che quando si usa il congiuntivo imperfetto il soggetto di seconda persona va esplicitato, visto che la prima e la seconda persona del verbo coincidono, quindi: “volevo vedere come tu lo facessi”. Il senso di questa frase in particolare rende altamente improbabile che il soggetto di facessi possa essere io, ma casi di possibile fraintendimento sono possibili, quindi è sempre bene seguire questa regola.
In mancanza della sfumatura volitiva, la frase sarebbe stata scorretta: *”Vedevo come tu lo facessi”. Al contrario, se il verbo reggente fosse negativo, il congiuntivo sarebbe la scelta migliore: “non volevo vedere come tu lo facessi” (e anche “non vedevo come tu lo facessi”).
Per quanto riguarda il tempo, l’imperfetto, indicativo o congiuntivo, indica la contemporaneità nel passato; instaura, cioè, un rapporto di contemporaneità con il verbo reggente (in questo caso volevo). Se, invece, l’intento è di instaurare un rapporto di posteriorità rispetto al passato, la scelta più corretta è il condizionale passato: “volevo vedere come lo avresti fatto”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

È corretto dire: “Durante la riunione di Mercoledì pare sia emerso che il sig. Mario sia single. La commissione della mensa ha accusato il sig. Mario di non essere sensibile al menù dei bambini perché non abbia figli”?
Le forme verbali sono corrette?

 

RISPOSTA:

I tempi verbali sono corretti, ma l’ultimo congiuntivo, abbia, deve essere sostituito con l’indicativo ha. La proposizione causale esplicita vuole quasi sempre l’indicativo, anche quando si trovi in dipendenza da un’altra proposizione al congiuntivo o, come in questo caso, all’infinito.
Il congiuntivo nella causale è, al contrario, richiesto quando la proposizione presenta una causa irreale: “Un pezzo di ragazzo non perché fosse alto o grosso, che anzi era solo un ragazzino di dodici anni – un pezzo perché restava solo la testa e il tronco” (Melania G. Mazzucco, Vita, 2003, p. 18). Come nell’esempio, la causa reale spesso viene presentata subito dopo, all’interno di un’altra causale, regolarmente all’indicativo, coordinata a quella al congiuntivo. 
L’indicativo è, comunque, possibile anche nel caso della causa irreale: “Non le aveva detto che nel rifiutarsi a Wolfgang lo aveva ingannato: non perché lo amava senza confessarglielo […] ma perché talvolta lo aveva illuso e spesso lo aveva lusingato” (Enzo Siciliano, I bei momenti, 1998, p. 44). Come al solito, la scelta dell’indicativo in un contesto che di norma richiede il congiuntivo caratterizza il discorso come meno formale. 
Fabio Ruggiano 

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Il mio desiderio è che mia mamma dopo l’università mi comprasse o comprerebbe un cane?

 

RISPOSTA:

La forma corretta, secondo le regole della consecutio temporum in italiano, è la seguente: “il mio desiderio è che mia mamma dopo l’università mi compri un cane”. Infatti, dopo una reggente con il verbo al presente, il congiuntivo va al presente, e non all’imperfetto (comprasse). L’imperfetto andrebbe bene in dipendenza da un tempo passato: “desideravo che mi comprasse”. Il condizionale (comprerebbe), in quel contesto, è errato nella subordinata, mentre andrebbe bene nella principale, ma in quel caso la subordinata dovrebbe essere al congiuntivo imperfetto: “il mio desiderio sarebbe… che mi comprasse”.

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

È grammaticalmente corretta la seguente frase: “Vista l’ora, tra il prepararmi e il resto, arriverei lì poco prima che lo sciopero ricominci, per cui poi sarebbe un problema rientrare a casa”?

 

RISPOSTA:

Vista la complessità del periodo, immagino che il dubbio riguardi la consecutio temporum, ovvero il raccordo tra i tempi dei verbi delle proposizioni subordinate. In ogni caso, la frase è grammaticalmente corretta. Il primo condizionale, arriverei, fa parte della proposizione reggente da cui dipende la subordinata causale vista l’ora (equivalente a “siccome l’orario è questo”) e la temporale poco prima che lo sciopero ricominci. Rispetto all’indicativo presente o futuro, il condizionale presente esprime – come suggerisce il nome condizionale – che il verificarsi dell’evento è condizionato dal verificarsi di un altro evento (in questo caso sottinteso: “se venissi”); ai fini della reggenza verbale, però, si comporta esattamente come il presente e il futuro indicativo: quando la subordinata esprime contemporaneità o posteriorità, richiede il congiuntivo presente (“Arrivo/arriverò/arriverei prima che lo sciopero cominci”). In alcuni casi (in dipendenza da alcuni verbi, o con alcune congiunzioni), la subordinata può avere il futuro semplice: “Arrivo/arriverò/arriverei quando sarà buio”.
La proposizione per cui poi sarebbe un problema, coordinata alla principale precedente, ha il condizionale sempre per esprimere incertezza. Questa proposizione regge, a sua volta, la subordinata soggettiva implicita (perché è all’infinito) rientrare a casa. Sulla scelta del tempo dell’infinito c’è poco da dire, visto che questo modo ha solamente due tempi, presente e passato, quindi non dà adito a dubbi.
Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Buonasera.
Sono greco e voglio fare una domanda.
La frase “se non ti avevo conosciuto” è giusta o devo usare congiuntivo?

 

RISPOSTA:

La frase è soltanto a metà, quindi proverò a ipotizzare un completamento: “Se non ti avevo conosciuto era meglio”. La proposizione introdotta da se rappresenta una parte (detta protasi) di un periodo ipotetico dell’irrealtà, ovvero di un periodo ipotetico che esprime un evento irrealizzabile (come se dicesse “ormai ti conosco, quindi non è possibile che io non ti conosca”). Questo tipo di protasi si costruisce normalmente con il congiuntivo trapassato, quindi “Se non ti avessi conosciuto”, ma l’indicativo è ammesso come forma più colloquiale, in contesti che non richiedono il rispetto puntuale della norma standard (meglio nel parlato che nello scritto). Bisogna dire che, per esprimere la stessa irrealtà nel registro colloquiale, la forma più comune è l’imperfetto indicativo, non il trapassato prossimo, da lei usato, quindi “Se non ti conoscevo (era meglio)”. Può leggere una nostra risposta a una domanda molto simile alla sua in questa pagina.

Fabio Ruggiano

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Vorrei sapere se è corretta questa frase: “Se desideri cosi tanto che lui faccia questo , forse non avresti dovuto chiederglielo in questo modo.”

 

RISPOSTA:

Sì, è corretta. È un tipico esempio di periodo ipotetico misto, che combina, in questo caso, caratteristiche del periodo dell’irrealtà con quelle del periodo della realtà.
La versione più formale, dell’irrealtà, sarebbe stata: “se avessi desiderato… che lui facesse…”, oppure, molto informalmente: “se desideravi… che lui faceva”. La versione da Lei proposta va benissimo, in quanto combina il verbo dell’apodosi (o reggente) al condizionale passato (“avresti dovuto”, tipico del periodo ipotetico dell’irrealtà), come se fosse definitivamente tramontata l’ipotesi che “lui facesse questo”, e l’atteggiamento del desiderio, ben ancora presente e reale, che lui, con un comportamento diverso del/della richiedente, possa ancora farlo… Morale della favola: non è mai troppo tardi, e gli usi linguistici, talora, rivelano ben più di quanto crediamo sui nostri desideri reconditi.

Fabio Rossi

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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

“Non ho accordi quadro che modificano quelli in essere” oppure “Non ho accordi quadro che modifichino quelli in essere”?

 

RISPOSTA:

Entrambe le versioni sono corrette, ma si differenziano perché quella con il congiuntivo aggiunge una sfumatura di significato: nella proposizione relativa, infatti, l’indicativo presenta l’azione o l’evento come un dato di fatto, senza suggerire alcuna valutazione soggettiva dell’emittente; il congiuntivo, invece, attribuisce all’azione una sfumatura di eventualità (che deriva da una valutazione dell’emittente), interpretabile in vari modi. In questo caso “accordi che modifichino” vale “che possano (secondo me) modificare”, quindi “tali da poter modificare”; la proposizione relativa, pertanto, si avvicina a una consecutiva.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

La domanda riguarda una frase tratta da “Il nome della rosa” di Umberto Eco, all’interno del capoverso: “Ma l’unicorno è una menzogna? È un animale dolcissimo e altamente simbolico. Figura di Cristo e della castità, esso può essere catturato solo ponendo una vergine nel bosco, in modo che l’animale sentendone l’odore castissimo vada ad adagiarle il capo in grembo, offrendosi preda ai lacciuoli dei cacciatori.” Durante la preparazione di un test per la scuola superiore è stato impossibile raggiungere un consenso fra i colleghi sulla subordinata che inizia con “in modo che…”. In particolare alcuni sostengono che si tratti di una proposizione consecutiva, altri che sia una proposizione finale.

 

RISPOSTA:

Uno dei limiti più gravi della tradizionale tipologia delle subordinate e dei complementi nelle grammatiche italiane è la confusione tra punto di vista semantico e punto di vista sintattico. Non v’è dubbio che, dal punto di vista semantico, la subordinata da Lei segnalata (“in modo che l’animale… vada…”) abbia un valore finale. Come, del resto, non c’è dubbio che la forma con cui è espressa la subordinata (“in modo che”) sia quella tipica delle consecutive. E allora? Come spesso accade in linguistica, non è questione di giusto o sbagliato, bianco o nero, ma di punti di vista. Le risposte sono entrambe corrette. Io, personalmente, propenderei per la consecutiva, dal momento che la scelta della locuzione connettiva “in modo che” indica la volontà di sottolineare la conseguenza dell’azione, più che il suo fine (fine che comunque, come ripeto, è una delle conseguenze…). In altre parole, privilegerei la forma (“in modo che”) al significato, visto che lo scopo di riconoscere le subordinate è quello di individuarne la loro funzione sintattica, il tipo di reggenza, il tipo di rapporto con la reggente, il tipo di verbo usato ecc.
A  questo proposito, mi permetto di far rilevare la scarsa utilità di un esercizio siffatto, a scuola. Lo scopo del riconoscimento delle subordinate non dovrebbe essere quello di confondere le idee agli studenti sulle sfumature semantiche, bensì quello di addestrarli ai diversi tipi di reggenza. Pertanto, forse, sceglierei esempi più chiari e netti, meno controversi, di questo. E inoltre mi soffermerei su questioni più formali, come la differenze tra subordinate dirette (oggettive, soggettive) e indirette, tra subordinate che hanno un antecedente nella reggente (come la consecutiva dell’esempio: “in modo”) e altre che non l’hanno e simili.
Soltanto dopo che gli studenti hanno familiarizzato con queste caratteristiche sintattiche, proporrei loro degli esercizi di cloze o di riscrittura, per addestrarli agli aspetti semantici. Per es.: è possibile riformulare la frase di Eco in un altro modo? Ovvero, è possibile utilizzare un altro tipo di subordinata, al posto di “in modo che” ecc., senza alterare il senso generale del periodo?

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Nella seguente frase: “Vorrei sapere se sarebbe possibile completare il percorso formativo il prossimo anno, qualora si organizzasse un nuovo corso”, il condizionale nell’interrogativa diretta è corretto? Si può considerare prevalente il valore condizionale, di apodosi di un implicito periodo ipotetico, della frase interrogativa?

 

RISPOSTA:

In questo caso la proposizione introdotta da se non è una protasi di periodo ipotetico, ma una interrogativa indiretta (nella domanda lei l’ha, forse per distrazione, definita diretta ); ammette, pertanto, la costruzione con il condizionale, con il congiuntivo e con l’indicativo (ad esempio: “Vorrei sapere se sei dei nostri o no”). Il condizionale, in particolare, è perfettamente lecito quando la subordinata interrogativa rappresenta non già la protasi, mal’apodosi di un periodo ipotetico(la congiunzione se non deve ingannare). Nel suo caso, per l’appunto, “se sarebbe possibile” è l’apodosi del periodo ipotetico completato dalla protasi “qualora si organizzasse un nuovo corso” (ma si badi: non cambierebbe niente se la protasi fosse implicita).La costruzione con il congiuntivo (“Vorrei sapere se fosse possibile”)accentua il valore di incertezza sulla possibilità espresso dall’emittente.nFabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

Tra qualche giorno ci sarà una festa nel mio paese e vorrei recitare un monologo scritto da me. È corretto dire: ” …sogniamo di trovare un parcheggio, per la frustrazione di queste minicar che ormai si infilano dappertutto…anche SE AVREBBERO lo spazio per parcheggiare normalmente, solo per farti vedere che loro fanno come gli pare”?

 

RISPOSTA:

Il periodo è costruito correttamente. La congiunzione anche se introduce una proposizione concessiva e richiede di norma il congiuntivo o l’indicativo. Il condizionale è anche una scelta corretta se si vuole, come in questo caso, esprimere un certo grado di incertezza rispetto a ciò che si sta dicendo. Si noti che l’incertezza espressa dal condizionale ha il valore pragmatico di ridurre la perentorietà dell’affermazione; diversamente, la costruzione “si infilano dappertutto anche se hanno lo spazio…” mostrerebbe che chi parla è certo di ciò che sta dicendo e risulterebbe molto più decisa e polemica. Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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QUESITO:

“Il servizio regolamenterà i rapporti con i nonni materni con modalità protette, almeno inizialmente, e comunque solo se rispondenti alle esigenze del minore.”
La frase sopra riportata è scritta su un decreto del Tribunale dei minorenni che è oggetto di diverse interpretazioni. La prima sostiene che la precisazione “solo se rispondenti alle esigenze del minore” si riferisca esclusivamente alle modalità protette, mentre la seconda sostiene si riferisca ai rapporti con i nonni materni sia protetti che no.Qual è quella giusta?
Grazie infinite e cordiali saluti.

 

RISPOSTA:

La frase da lei sottoposta è complicata dalla sintassi molto sintetica, e in particolare dalla possibile doppia concordanza di rispondenti, sia con rapporti, sia con modalità. Una ragione sintattica, comunque, ci induce a ritenere rispondenti certamente concordato con rapporti, non con modalità: la proposizione “e comunque solo se rispondenti alle esigenze del minore”, infatti, è simmetrica al sintagma “con modalità protette”, quindi va messa sullo stesso piano di quest’ultimo, in relazione a rapporti. Vale a dire che i rapporti in questione saranno regolamentati secondo due criteri: la protezione del minore e la rispondenza degli stessi rapporti alle esigenze del minore. Il secondo criterio, inoltre, è da intendersi prioritario rispetto al primo, vista la presenza di comunque
Al contrario, rispondenti risulterebbe concordato con modalità se la frase fosse stata costruita così: “Il servizio regolamenterà i rapporti con i nonni materni con modalità protette, almeno inizialmente, e comunque rispondenti alle esigenze del minore”. In questo modo, rispondenti sarebbe stato simmetrico solamente a protette, quindi in relazione con modalità, non a tutto il sintagma “con modalità protette” (in relazione a rapporti). 
Come conseguenza dell’interpretazione che ritengo corretta, al servizio è attribuito il potere non solamente di regolamentare i rapporti con modalità protetta, ma anche di escludere tali rapporti, se ritenuti non rispondenti alle esigenze del minore. L’interpretazione alternativa, che ritengo non corrispondente alla lettera, ridurrebbe, invece, il potere del servizio alla regolamentazione dei rapporti già legittimati da un’altra autorità.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Buongiorno,
Avrei bisogno di un riscontro riguardo la correttezza di questa frase: “Se fosse possibile, avrei bisogno di sapere se (il giorno x) il ricevimento avrà luogo”.
Grazie mille.

 

RISPOSTA:

La frase è ben formata. Si noti che la proposizione interrogativa indiretta “se (il giorno x) il ricevimento avrà luogo” può anche essere costruita con il congiuntivo: “se (il giorno x) il ricevimento abbia luogo”. La soluzione con il congiuntivo è più aderente alla grammatica standard, e da preferire in contesti di alta formalità; quella con l’indicativo futuro, altresì, ha il vantaggio di esplicitare il tempo e risulta, pertanto, più chiara (nonché adatta a contesti d’uso mediamente formali).
Per ulteriori suggerimenti sull’uso del congiuntivo nelle proposizioni subordinate, la invito a interrogare l’archivio di DICO usando la parola chiave “congiuntivo”.
Fabio Ruggiano

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QUESITO:

Vorrei sapere qual è l’analisi del seguente periodo: “Sei stato previdente a non uscire con questo freddo”. Grazie e buona serata.

 

RISPOSTA:

“Sei stato previdente” è la proposizione principale, che regge “a non uscire con questo freddo”, subordinata causale implicita (equivalente a “perché non sei uscito/esci con questo freddo”).
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo
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QUESITO:

Buona sera, su un testo di grammatica c’è questo esempio di analisi del periodo:
“Il libro è uscito da pochi giorni”: principale;
“e già va a ruba”: coord.alla principale;
“perché racconta una storia vera”: sub. alla princip.
Io avrei considerato quest’ultima una sub. alla coordinata.
Grazie in anticipo per la risposta.

 

RISPOSTA:

La subordinata è certamente collegata alla coordinata: ovviamente “il libro va a ruba perchè racconta una storia vera”, non “il libro è uscito da pochi giorni perché racconta una storia vera”. È vero che la coordinata è sullo stesso piano della principale, infatti la subordinata è di primo grado, ma è comunque bene distinguerla dall’unica proposizione veramente indipendente, che è “Il libro è uscito da pochi giorni”.
Fabio Ruggiano 

Parole chiave: Analisi del periodo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Buongiorno, nella frase “Stefania è molto occupata a terminare la relazione”, “a terminare” è da intendersi relativa implicita oppure costituisce un verbo fraseologico insieme a “è occupata”?

 

RISPOSTA:

“A terminare” non è una subordinata relativa, né “occupata a” è un verbo fraseologico o modale (del tipo comincio a, mi metto a, ho intenzione di ecc.), bensì si tratta di una completiva implicita (“a terminare”), retta dal verbo occuparsi, o meglio, in questo caso, dalla forma passiva essere occupato. Le completive sono subordinate che svolgono un ruolo analogo a quello del complemento oggetto, vale a dire che completano il valore del verbo, costituendone l’argomento, cioè l’elemento direttamente retto dal verbo. Sono dette, infatti, anche frasi argomentali. Oltre alle oggettive vere e proprie (“dico di andare”), esistono anche le completive oblique, vale a dire quelle che sono rette da verbi intransitivi: Impegnarsi , occuparsi , preoccuparsi (o essere impegnato, occupato ecc.), cioè da verbi che non possono reggere un complemento oggetto e neppure una completiva esplicita, ma soltanto una completiva obliqua implicita, cioè una subordinata all’infinito retto da una preposizione diversa da di (o a volte anche da di): “mi impegno a fare qualcosa”, “sono impegnato a fare qualcosa”, “sono occupato a fare qualcosa”, “mi preoccupo di fare qualcosa”.

Naturalmente, il valore semantico di queste subordinate può variare, oscillando dal valore causale, a quello finale ecc. Nel caso di essere occupato a fare qualcosa, per esempio, il valore può essere analogo a quello delle finali. Tuttavia, è bene definire questo tipo di frasi come completive, piuttosto che finali, poiché le completive sono frasi argomentali (cioè hanno il ruolo di completare le valenze del verbo, ovvero svolgono al funzione di un complemento oggetto o simile), mentre le finali, le causali ecc. sono frasi avverbiali, cioè hanno un valore analogo a quello degli avverbi, che non servono a completare le valenze (o argomenti) del verbo, bensì ad aggiungervi informazioni accessorie (fine, causa, tempo, modo ecc.).

D’altro canto, mi rendo conto che la differenza tra occupato a fare e sto per fare, o ho intenzione di fare è minima, donde la ragione della sua ipotesi che si tratti di un costrutto modale. In realtà sarebbe meglio limitare la categoria dei verbi modali e aspettuali ai soli verbi che indichino o l’atteggiamento del parlante (voglio, devo, posso, analoghi a ho intenzione di, ho il dovere di, ho la possibilità di e simili), oppure (gli aspettuali) all’aspetto dell’azione (sto per, ho iniziato a, ho finito di ecc.).

Fabio Rossi

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Sintassi

QUESITO:

Chiedo se queste frasi sono corrette:
– quando ho comunicato la decisione ai miei genitori, sono rimasti stupiti della mia scelta e mi hanno detto che si mi fossi impegnata / impegnerò, loro mi avrebbero appoggiata / appoggeranno.
– A te non fa rabbia che tutti ti dicono / dicano quanto siano facili gli esami. 
– Dicono che si può fare / possa fare a meno di queste apparecchiature.

 

 

RISPOSTA:

Le tre frasi sono corrette in entrambe le varianti. La prima presenta, tra le due varianti, una differenza nella rappresentazione del grado di possibilità degli eventi: se mi impegnerò loro mi appoggeranno presenta gli eventi come certi; se mi fossi impegnata loro mi avrebbero appoggiata li presenta come possibili, ma non certi.
Negli altri due casi, la scelta tra l’indicativo e il congiuntivo va fatta in base al contesto comunicativo. L’indicativo è la variante meno formale, il congiuntivo quella più formale.
Tanto sul periodo ipotetico, quanto sull’alternanza tra indicativo e congiuntivo, l’archivio di DICO contiene decine di domande e risposte. La invito, pertanto, a “rovistarlo” usando il motore di ricerca interno con parole chiave come periodo ipotetico e congiuntivo.
Fabio Ruggiano
 

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Morfologia, Sintassi

QUESITO:

Nella frase: “La fanciulla volle sia uccidere che bollire che mangiare la testuggine”, gli infiniti che tipo di proposizione sono?

 

RISPOSTA:

Gli infiniti retti da un verbo servile, o da un verbo modale, possono essere considerati o parte integrante del verbo reggente, quindi rientranti nella stessa proposizione, o dipendenti da esso, nel qual caso fanno parte di una proposizione completiva, in questo specifico caso oggettiva.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo, Verbo
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Categorie: Semantica, Sintassi

QUESITO:

Nell’espressione “il male può annidarsi anche laddove sembri non esistere” è corretta la forma col congiuntivo o andrebbe corretta in “il male può annidarsi anche laddove sembra non esistere”?

 

RISPOSTA:

Nel suo esempio laddove ha il valore di avverbio, del tutto equivalente a là dove. La proposizione introdotta da questo connettivo spesso esclude il congiuntivo: “Laddove un tempo crescevano solo i fiori del male ora sono stati piantati semi di iris, glicine e narciso” (repubblica.it, 2018). Il congiuntivo è ammesso, sebbene non obbligatorio, quando, come nel suo esempio, la proposizione ha una forte sfumatura eventuale. Quando è usato, esso produce anche un innalzamento della formalità della frase.
Oltre che da avverbio, laddove può fungere da congiunzione avversativa (analoga a mentre), costruita obbligatoriamente con l’indicativo (fatta salva la possibilità, sempre valida, di sostituire l’indicativo con il condizionale): “ma in alcuni casi questo stesso vizio può portare all’errore esattamente opposto, decretando la pura e semplice insopportabilità del dolore altrui, laddove invece quel dolore non è affatto insopportabile, o non lo è ancora” (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006).
Può, infine, essere una congiunzione condizionale; in questo caso obbligatorio è il congiuntivo (prevedibilmente, visto che quest’uso è raro e altamente formale): “Laddove Luca lo desideri, può raggiungerci più tardi”.
Fabio Ruggiano

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Categorie: Sintassi

QUESITO:

“Se lei non è felice quando sarà felice”. In questa frase ci sono due subordinate?

 

RISPOSTA:

Nella frase c’è una proposizione principale (di tipo interrogativo), “quando sarà felice”, e una subordinata condizionale di primo grado, “se lei non è felice”. Le due proposizioni, insieme, formano un periodo ipotetico, nel quale la proposizione interrogativa rappresenta l’apodosi (cioè la conseguenza) e la proposizione condizionale la protasi (cioè la premessa).

Il dubbio può essere provocato dalla presenza, all’inizio della principale, del connettivo quando, che, in questo caso, non è una congiunzione temporale (che introduce una subordinata temporale), bensì un avverbio interrogativo. Il dubbio è favorito anche dalla mancanza del punto interrogativo, che faciliterebbe l’interpretazione interrogativa della proposizione “quando sarà felice?”.

C’è da dire che quando con funzione di avverbio interrogativo può introdurre anche una proposizione interrogativa indiretta, per esempio: “Non so quando arriverò”. In questo caso la proposizione interrogativa è subordinata e il punto interrogativo non è richiesto.

Fabio Ruggiano

Parole chiave: Analisi del periodo
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