L’Università di Messina ha risposto alla duplice chiamata del 21 marzo: da una parte il ricordo delle vittime della mafia, con l’adesione alla XXI Giornata della Memoria e dell’Impegno, e dall’altra il momento di riflessione sulla drammatica situazione in cui versa il sistema universitario, evidenziata dalla Primavera delle Università Italiane promossa dalla CRUI (Conferenza dei Rettori Italiani).
Stamane la comunità accademica, dopo la partecipazione al corteo messinese di Libera, si è riunita nell’Aula Magna del Rettorato per l’Assemblea Generale d’Ateneo “Quale futuro per l’Università di Messina”. In apertura, un minuto di raccoglimento in memoria delle studentesse Erasmus morte in Spagna, in un tragico incidente stradale. Dopo gli interventi del Rettore, prof. Pietro Navarra, del Prorettore alla Didattica, prof. Pietro Perconti, e del Prorettore alla Ricerca, prof. Salvatore Cuzzocrea, il rappresentante del personale docente precario, dott. Filadelfio Mancuso, il rappresentante del personale tecnico amministrativo, dott. Maurizio Fallico, e i rappresentanti degli studenti, Erika Ristuccia e Francesco Torre, si è dato inizio alla serie di contributi. All’Assemblea Generale sono stati invitate anche le delegazioni politiche nazionali e regionali, le organizzazioni sindacali, i rappresentanti delle istituzioni locali e degli enti culturali e scientifici, e i presidenti degli ordini professionali territoriali.
Dieci i punti messi in evidenza stamane:
– L’istruzione universitaria crea individui più liberi e più forti: La laurea aumenta la possibilità di trovare occupazione e consente di guadagnare di più. Fatto 100 lo stipendio di un diplomato, quello di un laureato è pari a 143. Un tasso di disoccupazione pari al 30% per i diplomati, scende al 17,7% per il laureati.
– La presenza di un’università genera territori più ricchi: Attraverso trasferimenti di tecnologia, contaminazione di conoscenza, divulgazione, sanità e servizi per i cittadini, posti di lavoro diretti e indiretti, consumi dei residenti temporanei, miglior qualità della vita culturale. Un euro investito nell’università frutta almeno un euro al territorio.
– Grazie all’università il paese è più innovativo e competitivo: Nonostante crisi e sottofinanziamento, l’Italia si colloca all’8° posto tra i paesi OCSE e davanti alla Cina per quantità assoluta e qualità della produzione scientifica.
– L’Italia ha il numero di laureati più basso d’Europa (e non solo): UK 42%; OCSE 33%; UE21 32%; Francia 32%; G20 28%; Germania 27%; Italia 17%.
– L’Italia non investe nell’università: Investimenti in euro per abitante: Singapore 573 , Corea del Sud 628, Giappone 331, Francia 303 e Germania 304. Italia 109.
– L’Italia ha applicato l’austerity all’università: Fondi pubblici nel 2009: 7.485 mln. Nel 2016: 6.556 (-9.9%). Fondi pubblici 2010-2013: Francia + 3,6%, Germania +20%.
– L’università italiana è in declino: Meno studenti, meno docenti, meno dottori di ricerca: 130.000 studenti in meno su 1.700.000 negli ultimi 5 anni; 10.000 docenti e ricercatori in meno su 60.500 dal 2008 al 2015; 5000 dottori di ricerca in meno negli ultimi 5 anni.
– Il diritto allo studio non è più garantito: in Italia tra lo 0 e il 9% degli studenti usufruisce degli strumenti di supporto allo studio. In Germania la percentuale sale al 10%-30%; in Francia tra il 40% e l’80%. Inoltre, in Italia il numero degli aventi diritto supera la disponibilità delle risorse.
– Personale tecnico-amministrativo e docenti non sono incentivati: Il contratto di lavoro del personale tecnico-amministrativo è fermo al 2009, gli stipendi dei docenti al 2010. Le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa.
– Norme bizantine impediscono all’università di essere competitiva: “L’Università compete nella didattica e nella ricerca con avversari internazionali snelli ed efficaci. Ma, è trattenuta nel suo slancio dal peso di regole complicate – ha spiegato il prof. Perconti – il sistema universitario deve tornare ad prendersi cura dei propri studenti, perché sono loro a determinare la reputazione dell’Università italiana e la nostra esperienza sta andando verso questa direzione”.
“Uno tra i miei più prestigiosi colleghi a livello mondiale, mi disse un giorno che un ricercatore universitario dà il migliore contributo intorno ai 30 anni – ha commentato il prof. Cuzzocrea – In italia l’età media dei ricercatori è di 51 anni”.
“Alla luce di tutto ciò – ha concluso Navarra – riteniamo necessario e inderogabile:
1) Un significativo rifinanziamento del sistema che consenta di riportare l’entità del finanziamento complessivo al livello del 2008, con un incremento di circa 900 milioni di euro, per consentire un reclutamento ampio di ricercatori e professori universitari, un incremento delle risorse per il diritto allo studio, una ripresa degli investimenti nell’edilizia universitaria.
2) Il rifinanziamento deve essere accompagnato da una programmazione triennale delle risorse e da una revisione del sistema di premialità degli atenei, da ricollegare a programmi specifici di miglioramento delle performance dei singoli atenei.
3)La neutralizzazione degli effetti futuri del blocco degli scatti avvenuto nel periodo 2011-2015 (gli stipendi dei docenti universitari, bloccati per 5 anni, sono stati sbloccati dall’ultima legge di Stabilità, ma l’anzianità maturata nel frattempo è andata perduta).
4) Un significativo alleggerimento degli adempimenti a cui sono oggi chiamate le università, con particolare riferimento al sistema dell’accreditamento, nonché la revisione del sistema delle regole che presidiano la gestione amministrativa delle università”.