Le mummie, da sempre fonte di curiosità e fascinazione, sono state oggi l’oggetto di un convegno che si è svolto nell’Aula dell’Accademia dei Pericolanti dell’Università di Messina. Dopo i saluti del Rettore, prof. Pietro Navarra, e del Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche Odontoiatriche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali, prof. Giuseppe Pio Anastasi, il prof. Marcello Longo (Direttore U.O.C. di Neuroradiologia) ha introdotto gli interventi della dott.ssa Alessia Amenta (Curatore Antichità Egizie dei Musei Vaticani) e della dott.ssa Sveva Longo (Università “La Sapienza” di Roma). Durante la conferenza sono stati presentati risultati dell’importante ricerca scientifica che ha svelato la reale collocazione storica di due reperti custoditi in uno dei musei più importanti del mondo: i Musei Vaticani.
In origine l’analisi delle mummie era possibile solo con tecniche distruttive che creavano la parziale o totale perdita della integrità dell’oggetto in esame, recando un grave danno al patrimonio culturale dell’umanità. L’utilizzo dei raggi X e più recentemente di tecniche moderne come la Tomografia Computerizzata (TC) è ormai universalmente considerato un metodo insostituibile per lo studio di molti reperti archeologici primi fra tutti le mummie dell’antico Egitto. Inoltre, l’evoluzione dei topografi computerizzati ha permesso di studiare facilmente in diverse mummie dei dettagli anatomici non dimostrabili con le tecniche radiologiche convenzionali. Non tutte le mummie però si rivelarono dei reperti autentici, infatti sono stati segnalati nel tempo diversi esemplari falsi distribuiti in varie collezioni nel mondo. Queste mummie, chiamate anche pseudo-mummie, sono classificate in due categorie: fonte affidabile faraonico-romana (quindi mummie egizie senza corpo perché probabilmente distrutto dalla causa della morte) e di età moderna (mummie false vendute fraudolentemente da sedicenti antiquari come vere).
La sezione egizia dei Musei Vaticani ospita diverse mummie autentiche e sarcofagi dell’antico Egitto; tra questi, ci sono anche due piccoli oggetti a forma di mummia, chiamati nel loro inventario “mummia bambina”. Sull’ autenticità di tali oggetti, dei quali peraltro non si conosce la provenienza, non c’è mai stata una vera conferma e pertanto la direzione dei musei ha affidato a vari ricercatori il compito di studiare i reperti per meglio chiarire tale dilemma. A tal proposito l’incarico è stato affidato al Laboratorio di diagnostica applicata ai beni culturali, struttura situata nello stesso museo, la cui direzione è gestita dal Professore Ulderico Santamaria, ordinario di Diagnostica dei Beni culturali dell’Università di Viterbo. Lo stesso laboratorio, di concerto con la direzione dei Musei Vaticani e con la Responsabile della sezione egizia della stessa struttura, dottoressa Alessia Amenta, ha chiesto la collaborazione al Professore Marcello Longo, ordinario di Neuroradiologia della Università di Messina per effettuare lo studio, mediante TC degli oggetti in questione.
Nella “mummia bambina”, codificata con il n° 57.852, si sono riscontrate solo alcune ossa degli arti inferiori di un adulto mentre la maggior parte del contenuto era stata fatta con bende ripiegate su se stesse, fissate tra loro da diversi chiodi. L’esame al radiocarbonio eseguita su un piccolo pezzo di tibia sinistra, ha datato questo esemplare in 980 ± 30 anni BP. Questo risultato ha rivelato chiaramente la non appartenenza delle ossa ritrovate in questo oggetto sia ad un bambino, neanche a un individuo completo e soprattutto risalenti ad un periodo non compatibile con l’età faraonica che è decisamente più antecedente.
Nella seconda “mummia bambina” (n° 57853) sono state trovate diverse ossa umane adulte, in particolare quelle degli arti inferiori e di parte del bacino e della colonna lombare sempre con un ammasso di bende ripiegate su se stesse, fissate con chiodi, per dare forma alla struttura. Analisi tecniche specializzate hanno evidenziato, poi, una struttura ad alta percentuale di calcio – probabilmente gesso – e una sottile lamina metallica, già descritta in precedenza in letteratura in una mummia simile custodita in Inghilterra. Tale dato è apparso subito come un importante indizio sulla non autenticità dei reperti. Infatti il foglio di stagno è riconducibile classicamente ad una manifattura medioevale o comunque più recente non essendo presente lo stagno nei reperti dell’antico Egitto. Inoltre, lo studio tridimensionale della superficie delle maschere, mediante TC, ha dimostrato che le stesse in entrambe le mummie sono simili con la stessa forma degli occhi, naso e bocca facendo sospettare che in realtà siano state prodotte in serie mediante uno stampo. Infine un altro indizio è dato dal ritrovamento, nell’esame TC, dei chiodi che mantenevano in forma le bende ammassate all’interno degli oggetti. Essi per forma, infatti, sembravano essere stati forgiati in un’età più recente.
Questi i fondamentali esiti della ricerca scientifica condotta, e presentata oggi dal prof. Marcello Longo, dalla dott.ssa Alessia Amenta e della dott.ssa Sveva Longo, che hanno permesso di svelare che le due “mummie bambine” dei Musei Vaticani non sono di epoca Faraonica.