Si è tenuto presso l’Aula magna “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Giuridiche e Storia delle Istituzioni il seminario di studio dal titolo “Linguaggio di genere nelle pubbliche amministrazioni: uno sguardo comparato”.
Il seminario, i cui lavori sono stati aperti dal prof. Andrea Romano, coordinatore del Corso triennale Scienze dell’amministrazione e dell’organizzazione, è stato introdotto dalle proff.. M. Antonella Cocchiara e Daniela Novarese, che lo hanno organizzato a conclusione dei rispettivi corsi di Storia dell’amministrazione pubblicae di Storia delle pubbliche amministrazioni.
Daniela Novarese ha tracciato un sintetico quadro delle trasformazioni che la sempre più massiccia presenza di personale femminile ha apportato nelle pubbliche amministrazioni italiane, a cominciare da quelle adottate sin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando per far fronte alla novità si raccomandavano ai capi degli uffici una serie di accortezze logistico-organizzative nei confronti delle impiegate, come quella di alloggiarle nei piani più bassi degli edifici per evitare che a causa delle “lunghissime scale da salire” le poverette, strette nei busti che l’abbigliamento dell’epoca loro imponeva, giungessero nel luogo di lavoro in preda “all’affanno”.
L’intervento di Antonella Cocchiara si è invece soffermato sull’attualità del tema e sulla contraddittorietà tra la normativa italiana, che con direttive e linee guida che obbligano le pubbliche amministrazioni ad adottare in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) un linguaggio non discriminatorio, e le resistenze ad attuarla, opponendo a certi termini declinati al femminile (sindaca, assessora, direttrice, rettrice, prefetta, questora ecc.) che “sono brutti”, “suonano male” o “sono incerti” o addirittura sbagliati. Le linguiste italiane, confortate dall’autorevole opinione dell’Accademia della Crusca, replicano che è solo questione di abitudine alle parole nuove.
La prof. Graziella Priulla, sociologa dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Catania ed esperta in cultura di genere, ha innanzitutto evidenziato come le questioni di linguaggio non siano “sovrastrutturali” ma strutturali, ribadendo come il nominare sia il modo in cui le cose vengono fatte esistere.
La seconda parte dell’incontro ha avuto per obiettivo quello di comparare la situazione italiana con le tendenze dei Paesi di lingua inglese, francese e spagnola A effettuarla sono state, con grande competenza, le docenti del nostro Ateneo Cristina Arizzi, Catherine Buggè e Ana María Bermudo González.