Un gruppo di ricerca ha condotto uno studio sui parametri in base ai quali le aziende propongono un colloquio ai candidati che vogliono ottenere un lavoro. Lo studio affronta l’impatto della bellezza sulla possibilità di trovare lavoro, con particolare attenzione alla prima fase del processo di assunzione. Gli autori della ricerca – il prof. Giovanni Busetta ed Emanuela Visalli dell’Università di Messina e il prof. Fabio Fiorillo dell’Università Politecnica delle Marche – si sono interrogati sulla possibilità che esista una preferenza, da parte dei datori di lavoro, per i candidati attraenti, e se questa dipenda dal sesso, dalle caratteristiche fisiche e da quelle razziali, monitorando agenzie che hanno offerto posti di lavoro in Italia tra l’agosto 2011 e settembre 2012. La ricerca è stata condotta tramite l’invio di 11008 curricula falsi a 1542 offerte occupazionali pubblicizzate. Le conclusioni? Chi possiede qualità estetiche maggiori avrebbe più probabilità di ottenere un colloquio.
«Lo studio – spiega il prof. Busetta – nasce da una tesi di laurea che ho commissionato a Emanuela Visalli, studentessa dell’ex Facoltà di Scienze Statistiche. Si tratta di un’idea innovativa, quella di separare la componente estetica dagli altri parametri nella valutazione dei risultati della ricerca, sebbene sia già stata sviluppata in Sud e Nord America». I ricercatori hanno inviato otto curricula fittizi (quattro con foto e quattro senza, di cui due italiani e due stranieri) per ciascuna offerta lavorativa, dopo aver sottoposto i ritratti ritoccati con photoshop al giudizio di 100 studenti dell’Università, incaricati di valutare la bellezza dei candidati. I curricula hanno ottenuto il 30% di risposte favorevoli, soprattutto per i candidati considerati più attraenti (47% per gli uomini, 54% per le donne), mentre solo il 26% di uomini e il 7% di donne fisicamente meno “avvantaggiati” sono riusciti ad ottenere un colloquio. Emerge dunque l’esistenza non solo di una discriminazione razziale (le candidature degli stranieri non vengono nemmeno valutate), ma anche, e soprattutto, basata sull’aspetto fisico. «Ci aspettavamo simili risultati, però non era prevedibile che fossero così forti, polarizzati. In particolare non credevamo che in impieghi in cui il contatto col pubblico fosse meno frequente l’aspetto fisico avrebbe avuto un peso così rilevante». L’articolo dei ricercatori, tirando le somme, ironizza sull’opportunità di investire in un’operazione chirurgica piuttosto che negli studi: «È una provocazione, ma considerato che abbiamo effettuato oltre 11000 osservazioni i risultati che abbiamo ottenuto sono senza dubbio statisticamente significativi».